30° AVO DI MIRANDOLA

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VOLONTARI OSPEDALIERI TRA PASSATO E FUTURO

30 ANNI DI AVO A MIRANDOLA



VOLONTARI OSPEDALIERI TRA PASSATO E FUTURO

30 ANNI DI AVO A MIRANDOLA



Introduzione

Questo libricino è frutto del cuore e della mente di tante persone che lo hanno voluto e che hanno contribuito alla sua realizzazione. Esso narra in breve la storia dell'AVO di Mirandola che è nata e si è sviluppata grazie al cuore e alla mente di tanti uomini e donne di buona volontà. La loro opera è stata volta al sollievo di malati provati nel cuore e nella mente, oltre che nel fisico. Il loro ricordo non potrà non toccare il cuore e la mente dei lettori. Perché qualsiasi forma di volontariato ha bisogno e si nutre sia di sentimenti, emozioni, sensibilità, sia di meditazione, ragionamento e coerenza. Trenta anni di attività dell'AVO di Mirandola sono dunque una ricchezza che merita di essere conosciuta per il suo valore intrinseco, per gli effetti positivi che ha prodotto a livello sociale, sanitario ed educativo, nonché per l'esempio che potrà offrire anche in futuro per la formazione di “cittadini nuovi, consci delle proprie responsabilità, ma anche gratificati dal sentirsi partecipi nella costruzione del Bene Comune”.

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Decalogo del volontario AVO


Che cosa è l’ AVO

Nel 1975 i primi volontari AVO entrano nell'Ospedale di Sesto San Giovanni, guidati dalla Dott.ssa Caterina Orrù Longhini: incomincia così la storia della nostra associazione. In realtà diversi anni erano occorsi perché da un episodio apparentemente banale scaturisse un'idea tanto feconda e si concretizzasse un progetto ricco e articolato. Infatti, nel 1969, Erminio Longhini, medico all'Ospedale Niguarda, si era fermato a richiamare un'inserviente al dovere di porgere un po' d'acqua a un malato che la chiedeva, anche se quel compito non le spettava. Proprio negli anni '60-'70 profonde trasformazioni coinvolgevano la società e la sanità: si stava passando dalla concezione di ospedale sintetizzata nel motto dell'Hotel Dieu di Parigi “Se sei malato, vieni e ti guarirò; se non potrò guarirti, ti curerò; se non potrò curarti, ti consolerò” a quella di un'azienda produttrice di diagnosi e cure con strumentazioni sempre più costose, ma insieme con l'esigenza di risparmio economico. Ne derivarono, da un lato, l'impoverimento del rapporto umano tra curante e curato a causa della prevalenza della macchina sull'uomo e, dall'altro, la riduzione del malato a malattia. Il volontario AVO è nato per combattere la disumanizzazione delle cure, diventando egli stesso terapia della solitudine del malato e partecipando in modo costruttivo alla realizzazione dei fini dell'ospedale, come è stato ben recepito nel testo della Riforma sanitaria del 1999: ”Le istituzioni e gli organismi a scopo non lucrativo concorrono, con le istituzioni pubbliche e quelle equiparate, alla realizzazione dei doveri costituzionali di solidarietà, dando attuazione al pluralismo etico-culturale dei servizi alla persona.” L'essenza del nostro volontariato, ha tante volte ripetuto il nostro fondatore prof. Longhini, sta nel servizio come dono libero e gratuito di se stessi, del proprio tempo, per la salvaguardia del Bene Comune. Esso nasce dall'amore per l'altro che ci sta accanto, prima di tutto malato, ma anche parente, medico, infermiere e volontario: tutti partecipi della letizia interiore e profonda che deriva da tale sentimento, pur nella sofferenza. Il volontario AVO non deve avere l'intenzione di “andare a dare”, ma deve cercare di stabilire un rapporto umano, uno scambio d'amore con l'altro uomo. “L'amore non è possesso, ma reciprocità e perciò confidenza e fiducia” (S. Natoli). Nella reciprocità ciascuno è curante e curato. Non meravigli pertanto se i volontari dell'AVO ripetono spesso che è molto più grande il bene che ricevono di quello che donano. E' indicibile la gioia intima che si prova davanti al sorriso di un malato che risponde al nostro sorriso, davanti ad un suo ringraziamento sincero per una nostra piccola VOLONTARI OSPEDALIERI TRA PRESENTE E FUTURO / 30 ANNI DI AVO MIRANDOLA

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attenzione. Riportiamo le parole del Prof. Longhini per sintetizzare le caratteristiche del volontario AVO: “E' povero: non chiede potere, non esige nulla per sé. E' umile: non critica, ma migliora. E' capace di andare controcorrente, resta disposto al sacrificio, ambisce di perseguire una preparazione sempre più approfondita. Ha amore alla giustizia. Vanta il sigillo del gratuito, porta pace, fa crescere e cresce insieme, non scarica la propria ansia, non strumentalizza il malato”. Di fronte all'altezza di tali ideali si deve superare il senso d'impotenza o la paura di non esserne all'altezza nella consapevolezza che “tutti siamo particelle infinitesimali di una inimmaginabile grandezza cosmica, ma tutti siamo essenziali nella diversità dei nostri talenti”. Pertanto dobbiamo far prevalere l'ottimismo, il coraggio del salto “nel buio”, ricordando che dall'AVO di Sesto San Giovanni ne sono nate, sino a oggi, 243 costituite da quasi 30.000 persone di buona volontà che si sforzano umilmente di fare piccole cose destinate a grandi risultati spesso nascosti.

Il Prof. Longhini e Anna Maria Ragazzi, Rimini 2011.


Nascita dell’AVO a Mirandola

Prof.ssa Maria Sabattini, 1988.

Il seme dell'AVO venne portato da Milano a Mirandola dal Prof. Sergio Santambrogio, fu sparso tra uomini e donne di buona volontà da Don Carlo Malavasi e fu coltivato con passione, finché non diede abbondanti frutti, dalla prof.ssa Maria Sabattini. Il loro ricordo deve essere custodito con amore e tenacia non per alimentare inutili rimpianti o lodi formali, ma per trarne forza e ispirazione. I principi dell'AVO, da loro incarnati, troppo spesso sono dimenticati o mal interpretati; bisogna invece rimeditarli continuamente, per attualizzarli, anche in funzione delle prospettive future. Notevoli furono le difficoltà iniziali, ma vennero affrontate con coraggio. I valori ispiratori dell'associazione potevano apparire irrealizzabili in una società improntata all'economicismo, alla competizione e all'interesse individuale a svantaggio di quello dei più deboli e della collettività (ancora oggi questa è la grande sfida), ma riuscirono a conquistare tante persone. Il prof. Santambrogio, divenuto primario di Medicina dell'Ospedale di Mirandola nel 1979, aveva conosciuto a Milano il prof. Longhini e ne aveva condiviso il desiderio di umanizzazione delle cure. Egli era ben consapevole che il sistema sanitario italiano doveva essere riformato, soprattutto sul versante etico. Durante una lezione, tenuta il 27 Novembre 1987 per il Corso di formazione dei volontari AVO, afferma: ”L'assistito non si sente il numero uno, bensì un numero umiliato nei modi e nei tempi, distaccati i primi e troppo allungati i secondi. E' proprio a questo punto che deve intervenire l'AVO, il cui compito è di attutire queste alterazioni del sistema. Vorrei che voi volontari capiste l'importanza che avete entrando in una corsia d'ospedale. Il vostro è un ruolo di notevole rilievo e quindi bisogna che siate preparati a dare una assistenza la migliore possibile, per cui Prof. Sergio Santambrogio.

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occorre una buona preparazione di base, non dico scientifica, ma capace di cogliere la parte umana della scientificità”. Anche Don Carlo Malavasi, allora cappellano dell’ospedale di Mirandola, ben comprese la funzione che lo sviluppo dell'associazione poteva avere per il miglioramento delle condizioni dei malati ospedalizzati e per la maturazione etico-civile della società; pertanto si adoperò per far conoscere i principi dell'AVO e aiutarne la nascita. Infatti, già dagli inizi del 1980 convocò delle riunioni a tale scopo e riuscì a riunire una cinquantina di uomini e donne di buona volontà che mossero i primi passi di un cammino lungo, faticoso, ma destinato a raggiungere una meta importante. Egli stesso affermava ne “La Finestra” del 31 Gennaio 1980: “I tempi per arrivare anche solo alla costituzione giuridica saranno lunghi, perché è necessario fare le cose bene, ma intanto si è iniziato a lavorare”. Proprio a lavorare e a lavorare bene provvide senz'altro la professoressa Maria Sabattini che, dopo decenni dedicati alla scuola come insegnante e poi come preside, orientò a favore dell'AVO il suo impegno instancabile, la sua forte determinazione e le sue capacità organizzative. L'associazione, infatti, deve soprattutto a lei sia la nascita a Mirandola, sia la diffusione negli Ospedali di S.Felice s/P, di Concordia e di Finale Emilia. Il 6 Marzo 1981 il prof. Longhini venne a Mirandola per incontrare i promotori dell'AVO; ad ascoltarlo erano in nove: due maestre, tre giovani, un operaio, un commerciante, un sacerdote e una preside in pensione. Il 26 dello stesso mese ebbe luogo la prima riunione, presieduta dal prof. Santambrogio, di quanti intendevano dare la loro adesione all'associazione. Il 13 Aprile 1981, nello studio del notaio dott. Francesco Borellini, veniva costituita legalmente l'AVO di Mirandola, con sede in piazza Ceretti n. 10, e si stabiliva una provvisoria Commissione esecutiva formata, oltre che dalla prof.ssa M. Sabattini, dai seguenti componenti: Bruschi Sergio, Caleffi Andrea, Dotti Alberto, Giliberti Erio, Paolini Marco, Ragazzi Bianca, Cavicchioli Maria Lara e Pederzini Arturo. Il 22 Maggio 1981 il Presidente dell'Unità Sanitaria Locale n. 15, Fausto Luppi,


inviava alla prof.ssa Sabattini una lettera ufficiale in cui si dichiarava lieto che si fosse costituita anche a Mirandola una associazione con fini di solidarietà e aiuto ai degenti e ai sofferenti; si dimostrava inoltre disponibile a concedere l'uso della sala riunioni dell'Ospedale di Mirandola per il Corso di preparazione dei volontari e a concordare con la Presidente i tempi e i modi del contributo dell'AVO per l'assistenza sanitaria nei reparti. Il 17 Ottobre 1981 iniziava il Primo Corso di Formazione per i volontari, costituito da 12 lezioni settimanali e aperto da una relazione della dott.ssa Caterina Orrù Longhini alla presenza di più di cinquanta aspiranti volontari; gli interventi successivi furono attuati da personale medico e sanitario, tra cui ricordiamo il prof. Santambrogio, primario di Medicina, e il prof. Martinelli, primario di Chirurgia. Proprio in questi reparti fecero ingresso, il 3 Maggio 1982, circa 50 volontari AVO, organizzati in due turni giornalieri durante tutta la settimana e dotati di uno spogliatoio all'interno dello stesso nosocomio. La prof.ssa Sabattini, nel 1982, divenne Presidente e ricoprì tale carica fino al 1989, quando le subentrò Lara Colombari; nello stesso anno lasciò anche la carica di rappresentante regionale dell'Emilia-Romagna all'interno del Consiglio nazionale, carica assunta da un'altra volontaria dell'AVO Mirandola, Maria Bernasconi Cavalli. In una dispensa per il Corso di preparazione dei volontari del 1982 si legge una sua interessante testimonianza degli inizi del servizio in ospedale: “Noi del Primo Corso abbiamo fatto un'esperienza un po' duretta, perché non avevamo vicino nessuno con esperienza. L'ambiente non era preparato a riceverci e non poteva rendersi conto di quali fossero i nostri compiti da svolgere in silenzio, in punta di piedi, ascoltando molto, intervenendo solo quando fosse opportuno… Noi varcammo la prima soglia timorosi, salutando sottovoce i malati, e, sorridendo, ci avvicinammo ad ogni letto, chiedendo a ognuno se gli occorresse qualcosa, spiegandogli brevemente che eravamo lì per lui, che la nostra opera era gratuita. Dapprima qualcuno ci ricusò, poi, via via, il nostro sorriso e il nostro VOLONTARI OSPEDALIERI TRA PRESENTE E FUTURO / 30 ANNI DI AVO MIRANDOLA

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saluto vennero ricambiati… Quando ci videro all'opera, tutti ci osservarono molto e noi, con la nostra inesperienza, ma con il desiderio di donare la nostra opera, ci aprimmo la via che ci guidava a stare vicino a chi soffriva, ognuno con la nostra personalità, perché ciascuno è irripetibile”. Il ricordo della iniziale diffidenza da parte di tutto l'ambiente ospedaliero nei confronti dei volontari è confermato dalle testimonianze di molti che vissero in prima persona quegli esordi; particolarmente il personale infermieristico, non a caso il più coinvolto nel rapporto diretto e prolungato con il malato, tendeva a considerare la presenza dell'AVO un'ingerenza nelle proprie mansioni. Tuttavia i timori e le ostilità lasciarono, piano piano, il posto alla collaborazione e al riconoscimento della positività dell'opera dei volontari, che bene erano stati educati, in tanti interventi dello stesso prof. Longhini e di altri dottori, a distinguere nettamente le proprie mansioni da quelle dei professionisti medici e paramedici e a instaurare con loro un rapporto di conoscenza, rispetto e stima. La conclusione dello stesso intervento della prof.ssa Sabattini del 1982 può essere letto come un breve testamento spirituale: “Vi raccomando di essere tenaci e convinti di ciò che farete. Auguriamoci che, se non noi, quelli che verranno e i più giovani di noi raccolgano i frutti del seme che oggi gettiamo sul terreno della sofferenza, perché noi oggi seminiamo e non sempre il terreno è ingrato. Albert Schweitzer scriveva: “Quello che tu puoi fare è solo una goccia nell'Oceano, ma è ciò che dà significato alla tua vita”. La goccia di ognuno di noi che, dimentico di se stesso, ascolta fino in fondo colui che soffre, ci induce a meditare sui pensieri di chi ha fiducia in noi e ci apre il suo cuore, ci fa riflettere sui problemi crescenti dell'ospedale, per arricchirci di nuove esperienze che diventeranno cultura per noi e per i nostri amici che servono gli stessi ideali. Ascoltate quanto rilevano gli stessi malati, per confrontarlo con le vostre intime riflessioni, per farne un'esperienza di vita, un arricchimento che domani potrà diventare motivo di sperimentazioni valide, perché maturate in una comunità che ha avuto modo di verificare direttamente e di credere veramente in ciò che ha fatto”. Il 3 Dicembre 1982 il Consiglio della Federazione AVO ratificò l'ammissione al suo interno dell'AVO di Mirandola, che venne realizzata col pagamento della quota associativa di £ 30.000 il 21 Febbraio 1983. La fase di preparazione, fondazione e organizzazione dell'AVO di Mirandola era conclusa. Ora si trattava di far crescere l'associazione, diffonderla e renderla sempre più salda e radicata nel territorio. A tale scopo, ogni anno, si susseguivano i corsi di formazione per i volontari, cui continuavano a dare il loro prezioso contributo i medici dell'Ospedale di Mirandola, tra i quali non si può certo dimenticare il prof. Francesco Scarlini, che aveva preceduto il prof. Santambrogio nel primariato di Medicina. Le sue straordinarie qualità umane, oltre a quelle professionali, e la sua totale dedizione all'impegno in corsia, vissuto come missione, ancora emergono dalle dispense che ne riportano gli interventi davanti agli aspiranti volontari. Vivido e più che mai attuale risulta il ritratto che egli traccia del malato ospedalizzato, che vive la malattia come un totale e improvviso sovvertimento del suo


Prof. Francesco Scarlini

equilibrio fisico e psichico non solo a causa della sofferenza e dello sradicamento dalla famiglia, dal lavoro, da tutto un modo di vivere, ma soprattutto a causa della “spersonalizzazione” connessa al ricovero: egli si sente “un numero di letto”, subordinato al personale medico e paramedico, divenuto oggetto e non soggetto. “Psicologicamente il malato va incontro a una regressione infantile: vede intorno a sé il personale che è attivo, sta bene e non dipende da altri; confronta tutto ciò con la propria condizione di infermo e prova un senso di comprensibile invidia. Osservatelo, ad esempio, quando a lui si avvicina una persona che resta in piedi: tenterà istintivamente di alzarsi dal letto, perché non vuole che ci sia squilibrio, non vuole essere sovrastato da chi è sano”. Qui il prof. Scarlini colloca l'intervento del volontario che si pone sullo stesso piano del malato, capace di empatia perché spinto solo dalla buona volontà e dall'amore. “Il volontariato è il momento di umanizzazione del settore sanitario, in un doppio significato: esso riempie un vuoto, dando attenzione alla persona in tutta la sua ricchezza, ma è anche modello per la stessa struttura sanitaria, perché questa diventi più umana, oltre il perfetto tecnicismo e l'avanzata ricerca scientifica”. Preziosi restano anche i sui consigli in merito all'atteggiamento da tenere con le persone anziane, che sempre più affollano tutti i reparti ospedalieri. “Specialmente di fronte agli anziani non bisogna dimostrare fretta. Ci sono individui, specialmente giovani, nei quali la rapidità è connaturale. Nell'assistenza alle persone in età, invece, non bisogna dimenticare che il ritmo di vita e di qualsiasi attività, anche la più semplice, come il parlare o l'ascoltare, è molto più lento. Quindi, se noi frulliamo intorno al letto del malato, lo confondiamo, mentre bisogna adattarsi ai suoi ritmi”. Il prof. Scarlini chiarisce, inoltre, che il volontario non deve “mai aiutare troppo, bensì stimolare” cervello e muscoli del malato, di fronte al quale non si deve divenire esageratamente protettivi, come la avanzata età potrebbe indurre a fare. Ancora. “Ricordatevi che gli anziani ci vedono poco, ma soprattutto ci sentono poco. Molte volte non ce ne accorgiamo, anche perché tale limitazione è spesso tenuta nascosta. Allora accadono gravi incomprensioni, mentre è fondamentale capirsi. Come fare? Bisogna parlare lentamente, di fronte al volto dell'anziano e poi cercare di rendersi conto se ha capito. Inoltre, se il vecchio si mette in silenzio, rispettiamo questo silenzio: gli si può stare vicino anche senza parlare”. Tutte le preziose testimonianze sin qui riportate dei fondatori e collaboratori dell'AVO possono apparire pure utopie, ma forse uno dei più gravi errori degli uomini, sempre più diffuso nella realtà contemporanea, è proprio smettere di nutrire desideri utopici: solo alimentandoli, possiamo avvicinarci a mete sempre più alte e migliorare sia noi stessi sia la comunità di cui facciamo parte. Anche per questo dobbiamo essere riconoscenti all'AVO. VOLONTARI OSPEDALIERI TRA PRESENTE E FUTURO / 30 ANNI DI AVO MIRANDOLA

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Verso il primo decennale

L'AVO di Mirandola, dopo le fasi di costituzione, preparazione dei volontari e inizio dell'attività in corsia, si estese, grazie all'opera instancabile della prof.ssa Sabattini, all'Ospedale di Concordia, ove era assai sviluppato il reparto di Ortopedia, diretto dal dott. Settimio Racalbuto, all'Ospedale e alla Casa protetta di Finale Emilia, all'Ospedale di San Felice s/P. Il gruppo di Concordia contava inizialmente una trentina di persone, tra cui anche giovani ventenni, e incominciò a operare nel Giugno 1983 con due turni giornalieri (ore 10.30-12.30 e 16.30-18.30 per un totale di oltre 3000 ore annue), ciascuno di 2-3 volontari che offrivano sia assistenza ai pasti ai molti malati immobilizzati a letto, sia disponibilità all'ascolto e all'aiuto di tanti degenti provenienti da tutto il territorio nazionale e quindi spesso privi del sostegno di famigliari o amici. Per sorreggere moralmente i ricoverati fu anche assunta l'iniziativa di predisporre un telefono a gettoni montato su un carrello e quindi trasportabile accanto ai letti: al mattino venivano prese le prenotazioni dai malati che, al pomeriggio, potevano parlare con i propri cari lontani.


Fu assunta anche un'altra iniziativa: l'allestimento, presso la Parrocchia, di una stanza per ospitare i famigliari dei degenti che faticavano a trovare alloggio vicino all'ospedale. Nel 1983 la prof.ssa Sabattini riuscì a costituire anche nell'ospedale di Finale Emilia un gruppo di volontari AVO che da poche unità crebbe fino a superare la decina, operante nei due reparti di Medicina e Chirurgia con un turno giornaliero nell'orario dei pasti e, su specifica richiesta, anche la sera e nelle festività. A iniziare dal 1989 i volontari cominciarono il loro servizio anche presso la Casa protetta sia per dare aiuto agli anziani non autosufficienti durante i pasti sia per offrire la loro compagnia durante il giorno. Nel 1990 questo nucleo, di circa dieci persone, assunse la denominazione “AVO-Gruppo Laura”, in memoria della figlia deceduta in giovane età di una volontaria. La sezione di San Felice s/P si costituì nella primavera del 1983 con l'iscrizione iniziale di quasi quaranta soci, saliti a una cinquantina dopo poco tempo, per poi attestarsi a una trentina circa alla fine del 1991, quando l'Ospedale venne chiuso e l'opera dei volontari si trasferì nella Casa protetta “A. Modena”. Gli alti numeri trovano spiegazione anche nella collaborazione assai stretta tra AVO e UNITALSI: molti volontari di quest'ultima associazione, particolarmente sensibili alle problematiche dei malati e pronti ad offrire il loro aiuto, risposero entusiasti all'appello della prof.ssa Sabattini. Iniziò così un'attività che garantiva circa 2000 ore di assistenza annuali e che fu ben presto coordinata da Lilia Facchini, ancora oggi attiva come referente del gruppo. Sabato 4 Giugno 1988 l'AVO di San Felice ebbe la gioia di incontrare Sua Santità Giovanni Paolo II a Modena: numerosi furono i volontari che, con camice bianco e distintivo, accolsero il Santo Padre davanti all'ospedale S. Agostino. In seguito una nutrita rappresentanza di volontari di Mirandola venne ricevuta da Giovanni Paolo II a Roma, presso la Sala Nervi, il 17 Novembre 1990, insieme alle delegazioni AVO di tutta Italia. In quella circostanza la FEDERAVO fu presentata ufficialmente a sua Santità VOLONTARI OSPEDALIERI TRA PRESENTE E FUTURO / 30 ANNI DI AVO MIRANDOLA

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24.05.1992: primo decennale AVO

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ufficialmente a Sua Santità dal Vescovo Mons. Antonio Riboldi e ricevette dal Papa la

a conferma della bontà della sua missione, nonché l'apprezzamento per l'opera svolta con le seguenti parole: “Abbiate occhi e cuore attenti alla grande lezione della sofferenza. Dai luoghi di cura e di dolore viene un messaggio per la vita di tutti, quale nessuna altra cattedra può impartire. L'uomo che soffre comprende di più il bisogno e il valore del dono divino della redenzione e della fede… La vostra presenza nei luoghi di ricovero e cure garantisce un'assistenza amichevole, calore umano, dialogo fraterno, aiuti concreti per lottare contro il dolore e soprattutto contro la sofferenza morale dell'abbandono e dell'isolamento”. Nell'Ospedale di Mirandola quotidianamente, anche nelle festività, si attuavano due turni, ciascuno svolto da due volontari (ore 10.30-13; 16.30-19) nei reparti di Chirurgia e Medicina. Il 24 Maggio 1992, l'AVO di Mirandola festeggiò i suoi primi dieci anni di attività. La Santa Messa fu celebrata alle ore 10, presso la Chiesa di San Francesco, dal Vicario generale della Diocesi, Don Luigi Benetti; alle ore 11, la Sala Granda del Municipio ospitò autorità, volontari e cittadinanza per i ringraziamenti delle istituzioni, per una breve cronistoria dell'associazione, tracciata dalla Presidente Lara Mantovani, e per la relazione del Presidente nazionale, prof. Longhini, che riconobbe all'AVO di Mirandola la maturità raggiunta per espletare tutte le sue energie. Durante la cerimonia furono più volte ricordati il compianto prof. Santambrogio e la grande animatrice prof.ssa Sabattini, impossibilitata a intervenire di persona, ma presente spiritualmente.


Verso il ventennale

Gli anni '90 vedono diverse trasformazioni di carattere strutturale e sanitario. Nel 1991 venne chiuso, come già ricordato, l'Ospedale di San Felice e l'AVO cominciò a operare nella Casa protetta “A. Modena”; a Mirandola, nel 1994, venne inaugurato il nuovo padiglione dell'ospedale, ora dedicato al prof. Scarlini, con la conseguente ristrutturazione di quasi tutto il nosocomio; il reparto di Ortopedia fu ritrasferito da Concordia a Mirandola, mentre a Finale Emilia fu chiusa la Casa protetta e venne riorganizzato l'ospedale. Tuttavia il cambiamento che forse più incise sull'attività dei volontari riguardò modi e tempi di degenza dei malati. La permanenza in ospedale divenne, infatti, sempre più breve, in sintonia con il progredire della ricerca medica, l'innovazione delle terapie, lo sviluppo degli strumenti diagnostici e le esigenze del sistema sanitario. I volontari, negli anni '80, avevano avuto la possibilità di instaurare rapporti approfonditi con i degenti, di conoscerne carattere, desideri, esigenze attraverso un'assistenza che si protraeva anche per molte settimane e si estendeva talora oltre i turni prefissati, nelle ore notturne e durante le festività, con un conseguente forte coinvolgimento emotivo e impegno di tempo. Nel corso degli anni '90 il contatto tra volontario e malato divenne progressivamente sempre più breve e limitato spesso ad un solo incontro. Alla disponibilità ad operare in qualsiasi momento e prolungatamente si sostituiva così un'altra difficoltà: riuscire a instaurare un rapporto empatico in un tempo brevissimo, a cogliere immediatamente da atteggiamenti, gesti, sguardi le esigenze profonde del malato per potergli offrire aiuto adeguato. Questa capacità di capire dai segnali esterni, espressi dal corpo della persona che si ha di fronte, che cosa accade dentro di lei, quello che le parole non sanno o non vogliono dire, è una delle attitudini che il volontario ha dovuto affinare, per evitare errori che compromettano una buona intesa, ma che sono sempre dietro l'angolo. I volontari AVO di San Felice s/P, davanti alle nuove esigenze degli ospiti della Casa protetta in cui si trovavano ad operare, risposero con entusiasmo e iniziativa, come è testimoniato anche dalla pubblicazione, con frequenza biennale, a partire dal Natale '94, del periodico “Am viin in ment”, in cui venivano raccolti ricordi, usanze, ricette, modi di VOLONTARI OSPEDALIERI TRA PRESENTE E FUTURO / 30 ANNI DI AVO MIRANDOLA

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dire degli anziani assistiti. L'iniziativa si protrasse fino al Natale 2001, a testimonianza dell'attività di animazione e dell'impegno da parte dei volontari di far sentire gli ospiti della Casa protetta ancora protagonisti attivi, non spettatori inerti della società, cui potevano proporre insegnamenti e storie vissute in prima persona. Un'analoga iniziativa venne realizzata anche dal gruppo AVO operante presso la Casa protetta di Finale Emilia con la pubblicazione di un giornalino, “Il Ruglet”, che raccoglieva ricordi e testimonianze degli ospiti della struttura, ove i volontari si dedicavano ormai esclusivamente ad attività di animazione (laboratori di pittura e uncinetto) e di supporto fisico-psicologico agli anziani. Verso la fine degli anni '90, il gruppo, dopo progressive defezioni, cessò la sua attività e l'AVO continuò a operare, con una decina di volontari, solo nell'ospedale, dove nel frattempo era stato chiuso il reparto di Chirurgia e rimaneva attivo quello di Medicina. Proprio sul finire degli anni '90 inizia purtroppo a evidenziarsi sempre più una tendenza che poi diverrà problematica nel decennio successivo e che coinvolge gran parte del mondo del volontariato: la diminuzione dei nuovi volontari e l'uscita dei vecchi per vari motivi personali e famigliari. A San Felice il numero, dalla trentina abbondante di inizio decennio, si attesta poco oltre la ventina; a Mirandola, nel cui ospedale è confluito il gruppo di Concordia, scende progressivamente da oltre l'ottantina ad una settantina; a Finale Emilia si dimezza, riducendosi a poco più di una decina: il calo complessivo, alla fine del decennio, è di oltre le 40 unità. Tuttavia l'impegno e la disponibilità di ciascuno aumentano e riescono, in parte, a sopperire alla diminuzione numerica, come dimostrato dal fatto che, presso l'ospedale di Mirandola, il servizio dell'AVO viene esteso, dai reparti iniziali di Medicina, Chirurgia e Ortopedia, a quelli di Pneumologia e Lungodegenza, con tre turni giornalieri, in concomitanza con la somministrazione della colazione e dei pasti. Al conseguimento di tali risultati concorse anche quello spirito di amicizia tra i volontari che è sempre stato uno dei caratteri fondanti dell'AVO e che fu mantenuto vivo dall'organizzazione di vari momenti di incontro e convivialità, come l'annuale Festa nell'imminenza del Santo Natale, i ritrovi serali in pizzeria e, all'inizio di Giugno, la gita in località di interesse artistico o naturalistico. Sabato 27 Aprile 2002, presso la Sala Granda del Municipio, iniziano le celebrazioni del ventennale dell'AVO di Mirandola con un concerto lirico-vocale, organizzato in collaborazione col Circolo culturale “Amici della musica”. La Domenica successiva, nella Chiesa del Gesù, viene celebrata la Santa Messa da parte di Sua Eccellenza Mons. Vescovo, con la partecipazione della Corale “S. Cecilia” di Concordia s/S; quindi, presso la Sala Granda, seguono il saluto delle autorità e la relazione del Presidente Federavo, dott. Pierluigi Crenna. A testimonianza dell'opera ventennale dell'Associazione, viene realizzata una pubblicazione che riporta memorie personali e interventi di vari volontari e che viene distribuita ai volontari stessi e agli intervenuti ai festeggiamenti. 27.04.2002: Ventennale AVO (a fianco)



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Verso il trentennale

Nell'ultimo decennio, si conferma il calo lento, ma costante del numero dei volontari che ormai si attesta complessivamente sulla novantina; a ciò si deve aggiungere l'aumento dell'età media, a causa del limitato ingresso di nuove forze. E' così accaduto che, prima nell'Ospedale di Finale Emilia e, da questo anno, nella Casa protetta di San Felice s/P, i turni si sono ridotti ad uno solo giornaliero, essendo i volontari poco più di una decina per ogni sede. Tuttavia tali difficoltà hanno spronato molti a dare il massimo, nella ferma volontà di non lasciare senza aiuto malati e anziani che, nell'attuale contesto sociale, lottano sempre più contro la solitudine. Nell'Ospedale di Mirandola si è riusciti, infatti, a mantenere i tre turni giornalieri in tutti i reparti, che, dagli inizi del 2000, comprendono anche Cardiologia e Astanteria per un totale di oltre 10000 ore annuali. Le difficoltà stesse hanno inoltre indotto l'AVO di Mirandola a perseguire con tenacia alcune finalità: intensificare i rapporti con le altre associazioni di volontariato, specie del settore socio-sanitario, per realizzare progetti e manifestazioni rivolte alla cittadinanza; entrare a far parte della Consulta del Volontariato e del Comitato Consultivo Misto, per migliorare la qualità dei servizi sulla base di necessità e richieste rilevate nell’operato quotidiano; collaborare con il Centro Servizi di Volontariato, partecipando a numerosi corsi di formazione e aggiornamento, nonché a diversi progetti. Tra tutte le iniziative, ampiamente pubblicizzate sulla stampa locale, merita di essere ricordata l'annuale “Festa del Volontariato”, che si svolge la prima Domenica di Settembre in Piazza Marconi e che è stata sempre animata da un numeroso gruppo di volontari e giovani AVO, felici di far partecipare tutta la cittadinanza, ma soprattutto i bambini a questa occasione di spensieratezza oltre che di riflessione. Rilevanti si sono anche dimostrati il progetto “Tutti su da terra”, volto alla prevenzione delle cadute degli anziani, e la campagna d'informazione “Teleprenota”. In sintonia con le direttive dell'AVO Regionale e della Federavo, al fine di realizzare quanto il nostro fondatore, prof. Longhini, esortava a fare già nel lontano 1983: “E' indispensabile che i volontari AVO conservino un rapporto con la comunità fuori dall'ospedale attraverso manifestazioni promozionali, culturali e di festa”, il 1° Ottobre 2006 è stata organizzata la “Giornata regionale dell'AVO” con varie iniziative: interventi di autorità e personale dell'Ospedale di Mirandola, un torneo di minibasket, in collaborazione con la Polisportiva “G. PICO”, cui erano state donate magliette col logo della manifestazione, l'esibizione del gruppo teatrale “Le Roncole” e balletti di gruppi locali di volontariato. Dall'Ottobre 2009, inoltre, è stata realizzata la “Giornata nazionale AVO”, al fine di dare

Prima giornata regionale Avo (a fianco)



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visibilità all'associazione, trovare nuovi volontari e migliorare la collaborazione con le istituzioni. In tali occasioni l'AVO di Mirandola ha organizzato, oltre alla celebrazione della Santa Messa e all'allestimento di gazebo, resi accoglienti anche con i cartelloni pubblicitari elaborati dagli alunni delle Scuole Elementari, ove informare la cittadinanza sulla associazione e distribuire gadget, momenti di intrattenimento come il concerto del coro “Città della Mirandola” e l'esecuzione di brani musicali da parte di giovani volontari. Un ulteriore settore di intervento, seguito con particolari impegno e costanza, è stato quello rivolto ai giovani e persino ai bambini delle Scuole elementari. Già nel 1983 il prof. Francesco Scarlini, durante una lezione del Corso di preparazione dei volontari, affermava: “Prendere diretto contatto con la sofferenza è sicuramente un grande insegnamento, un vero arricchimento, un superiore incentivo ad agire con carità”, sottolineando in tal modo la finalità formativa del nostro volontariato. Fin dalle origini, dunque, l'AVO di Mirandola è stata consapevole di tale valore e si è mostrata aperta ai giovani che comunque sono stati costantemente coinvolti soprattutto in questo ultimo decennio, anche su sollecitazione della Federavo. Ricordiamo le parole dell'attuale Presidente, dott. Lodoli: “Ci si deve occupare seriamente dell'AVO giovani… Questi ragazzi sono tutti virtualmente figli nostri e di loro dobbiamo prenderci cura, aiutarli e sostenerli per contribuire alla loro formazione in parallelo alla famiglia e alla scuola. Dobbiamo testimoniare loro come l'AVO sia una organizzazione votata all'impegno civile e alla creazione di capitale umano da donare alla società”.

30.10.2009: prima giornata nazionale AVO


Proprio in una società come quella attuale, in cui prevalgono gli interessi individualisti e sono in crisi i valori morali, non meraviglia che tanti giovani appaiano demotivati nel loro agire e manchino di prospettiva futura. L'AVO e il volontariato, tutto, possono aiutarli a ritrovare il senso della vita, a comprendere la rilevanza degli interessi della collettività, ad assumere la consapevolezza della continuità tra le generazioni attraverso la cultura della solidarietà e il profondo rispetto della dignità di ogni singola persona. Da molti anni, pertanto, l'AVO di Mirandola collabora col Centro Servizi per il Volontariato per realizzare il progetto “Giovani all'arrembaggio”, indirizzato agli studenti del triennio delle Scuole medie superiori, ai quali viene offerta l'opportunità di conoscere le associazioni di volontariato del territorio e di attuare stage presso le stesse, con conseguente riconoscimento di Credito formativo da parte degli Istituti frequentati. Numerosi sono stati i giovani coinvolti (in media, una decina all'anno) per periodi più o meno lunghi, nel servizio a malati e anziani; molti si sono distinti per entusiasmo, dedizione, consapevolezza della delicatezza del loro operato e hanno riconosciuto a tale esperienza una valenza personale e sociale, abbandonandola loro malgrado e con dispiacere per motivi di lavoro o studio. La valenza formativa dell'AVO ha spinto anche l'AGESCI di Mirandola e Medolla a indirizzare alcuni suoi iscritti al servizio in ospedale, sotto la guida di volontari esperti, e la collaborazione si è rivelata sempre proficua e positiva. Grazie all'iniziativa e alla disponibilità delle maestre delle Scuole Elementari di Mirandola, da alcuni anni si è anche realizzato un progetto che ha coinvolto gli alunni delle classi quarte e quinte e si è tradotto in incontri sempre assai partecipati con i volontari, nella entusiastica preparazione di biglietti di auguri natalizi e pasquali per i degenti, nonché di cartelloni e addobbi per diverse occasioni e festività. La collaborazione di giovani e bambini è sempre stata apprezzata dalla dirigenza ospedaliera, ma soprattutto accolta con calore da malati e anziani, per non parlare dello stimolo e delle motivazioni offerte agli stessi volontari. Si è insomma cercato, attraverso queste iniziative, di realizzare quanto auspicato dal nostro fondatore, prof. Longhini, durante un VOLONTARI OSPEDALIERI TRA PRESENTE E FUTURO / 30 ANNI DI AVO MIRANDOLA

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intervento al Corso di preparazione all'AVO di Mirandola del 1983: “Il volontario AVO è espressione, nella struttura in cui opera, della sua comunità.” Il seme dell'AVO, sparso con frutto a Milano, portato a Mirandola e raccolto qui da decine di persone di buona volontà, si spera che possa così continuare a germogliare nel cuore e nella mente di molti adulti, giovani e bambini perché sia coltivato con amore e passione e trasmesso alle generazioni future. Questo è l'augurio che tutti i volontari che si sono succeduti da quel lontano 1982 vorrebbero esprimere, pieni di gratitudine per chi ha fatto loro scoprire tanta ricchezza interiore e tanta profonda letizia. Certo si deve essere disposti ad andare controcorrente rispetto ai modelli proposti da media e pubblicità, a entrare in ambienti, quali ospedali e case di riposo, che incutono timore o, addirittura, si vogliono dimenticare, perché si tende a rimuovere la realtà della malattia e della vecchiaia. Si tratta di mondi che invece hanno tanto da insegnare, in quanto capaci di migliorare la qualità della nostra esistenza. Discrezione, lentezza, riflessione, profondità di relazioni interpersonali, arricchimento emotivo, disponibilità all'ascolto, riscoperta del valore del silenzio, gratuità dell'impegno, capacità di autocritica sono in profondo contrasto con i ritmi frenetici, la superficialità, l'arroganza, l'egocentrismo, la grettezza, il rumore dominanti spesso nell'attuale società. Sarebbe ipocrita negare che il volontariato nell'AVO sia facile, ma è altrettanto vero che è un dono e che, una volta compreso, accettato e sperimentato, diviene irrinunciabile; chi, per serie ragioni, è costretto ad abbandonare il servizio, rimane volontario AVO nel suo profondo, come spesso ho sentito ripetere. Difficile davvero rimanere insensibili a tali sfide e sollecitazioni. Solo dall'impegno nascono, da un lato, una sincera e duratura soddisfazione, dall'altro, un costante miglioramento di sé e della Comunità di cui si fa parte per la costruzione del “Bene Comune”, come tanto spesso ricorda il nostro fondatore, prof. Longhini.

Iniziative dell’AVO con i giovani (a fianco e pagina seguente).




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Ricordo del prof. Sergio Santambrogio

Il prof. S. Santambrogio ha condiviso con me lunghi periodi di vita ospitaliera: dapprima in sede universitaria presso l'Istituto di Patologia medica, successivamente in sede ospitaliera presso l'Ospedale Maggiore di Milano e infine come mio aiuto, quando divenni primario all'Ospedale Città di Sesto San Giovanni. Persona di convinzioni laiche, di onestà, trasparenza e altruismo esemplari. Abbiamo condiviso anche una fruttuosa attività di ricerca in campo pneumologico dove ricordo la sua precisione, la sua dedizione e l'amore per la ricerca finalizzata al bene del malato. Sergio Santambrogio divenne poi meritatamente Primario medico all'Ospedale di Mirandola. Con lui mantenni contatti e reciproche visite. Quando gli comunicai le mie intuizioni sul volontariato ospitaliero, trovai una entusiasta condivisione, che culminò nella fondazione dell'AVO Mirandola. Fui presente con Nuccia, mia moglie, alla nascita di quell'AVO fra le prime, dopo Milano, e ne apprezzai l'entusiasmo e la dedizione. Sergio Santambrogio curò l'esordio e lo sviluppo dell'attività, come guida e collaboratore della prima Presidente professoressa Maria Sabattini di cara memoria. Ho un ricordo di un uomo vero, di grandi capacità cliniche e di grande dedizione, che amo definire uomo di buona volontà. Lo ricordo spesso nelle mie preghiere e lo ringrazio, in cuor mio, anche a nome dell'AVO. Erminio Longhini


Poesia della Preside Maria Sabattini Prima Giornata AVO 8 Dicembre 1982

Passasti come un fiore dal robusto stelo, colpito a pi첫 riprese da possente falce. Dilaniata dal dolore, lo sopportasti con forza che, in certi momenti per chi non ti conosceva, sembrava indifferenza. Ti ho seguita nei momenti della pi첫 grande pena e sofferenza e a te vicini ho visto i figli tuoi stretti al tuo corpo con il padre accanto, come a formar con te una persona sola, in un gruppo fuso dal grande amore e dall'affetto che tu portavi loro. Col cuore chiuso dall'angoscia vi ho contemplati stando sulla soglia della piccola stanza d'ospedale che pur era capace di contenere tanto dolore e tanto amore.

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Testimonianza di Don Carlo Malavasi

Quando gli avvenimenti li ricorda il cuore, solo allora essi diventano indelebili. Ecco perché la nascita dell'AVO di Mirandola resta in me come una pagina di stampa, una fotografia che posso togliere dal cassetto dei ricordi e rileggere con la stessa emozione della prima volta. Siamo alla fine dell'anno 1980. Io alterno le mie giornate di sacerdote fra parrocchia e ospedale. Ambedue le esperienze mi appassionano: aiuta certamente lo slancio della giovane età, le energie in abbondanza. Vorrei dare tutto. Mi sarà facile aggregare attorno altre persone che vogliono dare qualcosa di proprio, come il tempo. Constato le difficoltà dei malati in ospedale: a volte è difficile anche solo raggiungere il bicchiere d'acqua collocato sul comodino, consumare il pasto… Quelle mille situazioni mi interpellano: cosa fare? Leggo su “Città nuova” del prof. Longhini che in un ospedale di Milano ha dato vita ad un'associazione di volontari che, debitamente preparati, possono entrare nelle corsie e offrire quell'assistenza “spicciola, ma indispensabile” che purtroppo già allora (ed oggi ancor più) non si poteva chiedere al personale infermieristico. In ospedale, nel reparto di Medicina, opera il prof. Sergio Santambrogio, che apprezzo per la sua umanità e che viene appunto da Milano. Sì, lui il prof. Longhini lo conosce, può contattarlo facilmente ed anche farlo venire a Mirandola. Insieme prepariamo il terreno all'incontro: non è difficile mettere insieme una dozzina di persone che entrano subito in sintonia di intenti. Nei nomi che riscrivo intendo dire un grazie a tutti i volontari dell'AVO, di allora e di adesso. Al primo posto, per la sua delicata sensibilità, la preside Maria Sabattini; poi la maestra elementare Lara Cavicchioli, sempre pronta ad avventure di valore, la stimata Maria Bianca Ragazzi, che ha visto nell'AVO un ampliarsi del prezioso lavoro della San Vincenzo in un settore delicato e bisognoso come quello della malattia. Mi sostengono con decisione i sacerdoti coi quali vivo: Mons. Ruggero Golinelli, che mi è padre e amico agli inizi della mia esperienza sacerdotale, e Don Aleardo Mantovani, con il quale divido i compiti della parrocchia. Ora mi vengono alla mente altri nomi, solo nomi: Sergio, Arturo. Questi amici e tanti altri, se restano nell'ombra alla mia memoria, non lo sono certo davanti a Dio.


Il notaio dott. Francesco Borellini ci accoglie con entusiasmo nel suo studio di via Curtatone per redigere l'atto costitutivo dell'associazione. Ricordo la figlia Grazia che insieme al papà ci incoraggia continuamente: è il 13 Aprile 1981. In pochissimo tempo la nostra associazione diventa conosciuta e apprezzata. Dopo qualche mese - è l'Agosto dello stesso anno - Mons. Prati mi chiama a Carpi. Per mia scelta non mantengo legami operativi con le iniziative avviate e le persone conosciute, ma l'AVO gode già di una buona, buonissima salute propria ed è sostenuta da persone intelligenti e generose. Se per me rimane un breve, prezioso capitolo di storia, non lo è certamente per tutto l'amore dato. Ricordo che un sacerdote, Don Dario Porta di Parma, del quale si prepara il processo di beatificazione, diceva: “Alla fine della mia vita vorrei poter dire: ho sempre amato, ho sempre amato”. Che altro si può dire dell'AVO nel suo insieme e di ciascuno dei suoi volontari?

1955: S. E. Mons. Artemio Prati Vescovo della Diocesi di Carpi con i medici dell’ospedale di Mirandola

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L'AVO di Mirandola nei ricordi di Don Luciano

Il mio primo incontro con i volontari dell'associazione avvenne nel lontano Novembre 1982. Il Vescovo Mons. Prati, quando mi chiamò a prestare servizio all'Ospedale di Mirandola, tra le altre raccomandazioni mi chiese di collaborare con i fratelli e le sorelle dell'AVO. La prima persona che mi catechizzò sull'associazione fu la prof.ssa Maria Sabattini. Mi ricordo bene l'amore che aveva per tutti i volontari, indipendentemente da cultura, ceto o età. Quante raccomandazioni! Naturalmente come Cappellano stimavo gli Avini, vedevo in loro dei collaboratori preziosi non solo perché li conoscevo tutti, ma perché ammiravo quanto bene facevano al letto degli ammalati. Come cappellano in parrocchia, assistente spirituale nell'Ospedale, abituale visitatore degli ammalati di Vallalta, oltre alla stima e all'affetto, ho sempre dato il mio povero contributo per la crescita spirituale e morale degli associati. Con il Prof. Santambrogio, il Dott. Andrea Caleffi, la Presidente Novella Artioli la collaborazione fu sempre ottima. Incontri, corsi annuali, anniversari, Messe in particolari occasioni mi hanno sempre trovato disponibile. Voglio narrare uno spiacevole, ma significativo equivoco con la Presidente Sabattini, credo nel Dicembre 1983. In un incontro avevo richiamato all'umiltà, alla cordialità, alla pazienza al letto dei degenti: gli anelli vistosi, i braccialetti tintinnanti, le collane dorate non servivano a nulla, anzi indisponevano gli ammalati. Questo però senza alcun riferimento personale. L'osservazione venne all'orecchio della Professoressa che, trattenuta a scuola, non era presente al mio intervento. Dopo due giorni, nel pomeriggio, una volontaria venne a cercarmi, mentre mi trovavo in Chirurgia, perché la Presidente desiderava parlarmi. Tranquillo, dopo aver salutato gli ospiti della camera, mi reco nella sede AVO, adiacente alla sala operatoria del piano terra. Entro, saluto cordialmente e mi trovo la Presidente seduta alla scrivania, con il cappello in testa, rotolando la matita tra le mani come fosse bollente, il volto scuro. Mi saluta bruscamente e poi inizia una di quelle sgridate che solo lei poteva fare ai monellacci della sua scuola, quando li trovava cacciati in corridoio o li beccava per strada a marinare. Si era sentita ferita personalmente dalle mie parole, tanto aveva nel cuore tutti i volontari. “Come si permette di accusare, di giudicare ecc… Le mie associate sono tutte rispettabili ecc… Non si profumano, non hanno gioielli quando sono in servizio”. Continuò a lungo a difendere e lodare tutte le Signore e Signorine dell'AVO come fossero


sue figlie, anzi di più. Finita la tempesta, mi alzo in piedi e dico amareggiato: ”Io non ho detto questo, ho parlato in generale, stimo tutte le Signore e credo di essere buon sacerdote con tutte”. Sappiate che Maria Sabattini venne a scusarsi dopo qualche giorno, pentita di aver dato credito a delle voci riportate, e il nostro rapporto continuò ottimamente come prima. La mia conclusione fu ed è questa: con una fondatrice e presidente così l'AVO non potrà andare male, sarà difesa e amata sempre più anche dai medici, paramedici e da tutto il personale ospedaliero. Crescerà e sarà un fiore all'occhiello per l'Ospedale e la città di Mirandola.

Don Luciano

Ospedale di Mirandola

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Memorie di una volontaria “anziana”

Fu leggendo un articolo del giornalista Giorgio Torelli che conobbi l'AVO. Era un'intervista al prof. Erminio Longhini, fondatore dell'associazione, sul “Giornale” di Montanelli (15 Marzo 1982). L'idea di questo volontariato mi conquistò subito e seppi che a Mirandola solo l'anno prima l'AVO era stata fondata ad opera del prof. Santambrogio, amico del prof. Longhini, e affidata alla presidenza della prof.ssa Maria Sabattini, allora comunemente conosciuta come la “Signorina Preside”. Frequentai il secondo Corso di formazione insieme a molti concordiesi; guidati e sostenuti dalla prof.ssa Sabattini, nel 1983, iniziammo il servizio nell'Ospedale di Concordia, dove all'epoca erano in funzione i reparti di Ortopedia e di Rieducazione funzionale. L'Avo incontrò il favore di tanti. L'ideale di un servizio umile e nascosto, gratuito in ogni possibile accezione faceva presa su chi ne veniva a conoscenza. Un sorriso a uno sconosciuto sofferente! In poco tempo il numero dei volontari operanti a Concordia arrivò a superare la quarantina. Di quegli anni ricordo la mole di lavoro (solo Ortopedia aveva sessanta letti) e l'incredulità dei ricoverati: non era possibile che un servizio tanto gradito e utile, in un ambito così delicato, fosse gratuito. Ricordo l'insistenza con cui molti desideravano contribuire almeno finanziariamente lasciando, al momento delle dimissioni, piccole somme di denaro che noi volontari esitavamo sempre a ricevere e di cui rilasciavamo ricevuta, per evitare che la nostra gratuità apparisse una favola! Intanto l'AVO si andava strutturando. Ogni regione doveva avere un rappresentante presso il Consiglio Nazionale, in modo che ci fosse coordinazione e reciproca conoscenza fra il centro propulsore e la periferia, cioè, nel nostro caso, tra le AVO dell'Emilia-Romagna e di Milano. Così, quando la Preside Sabattini, nel 1989, fu stanca di avere due cariche che le pesavano troppo, pensò di dividerne il peso fra due volontarie: Presidente di Mirandola fu eletta Lara Mantovani, mentre la responsabilità regionale cadde su di me. La portai per ben sette anni, non perché io fossi particolarmente dotata, ma perché nessuno voleva quell'onere. Sentivo forte il vincolo con tutte le persone che avevo conosciuto, la volontà comune di fare e fare bene ed era stimolante rendersi conto di quanta fantasia, di quanta personalità ciascuno metteva nel compiere il medesimo servizio. Portavo al Consiglio Nazionale le soddisfazioni, le gioie e i problemi che vivevo.


Dal 1992 al 1995 fui anche Presidente dell'AVO di Mirandola, carica eccesiva per me, che potei portare a termine solo con l'aiuto di qualcuno che ben incarna lo spirito e i valori dell'associazione. Devo qui fare il nome di Novella Artioli Dalcò. Le cariche non sono onorificenze, sono un servizio al servizio di chi con umiltà serve. Posso dire di aver dato con entusiasmo tutto quello che ero in grado di dare affinché i begli ideali che stanno alla base dell'AVO, l'amicizia fra i volontari e dei volontari verso i malati fossero capiti e portati a conoscenza di molti. Non ho mai smesso il servizio in corsia durante quegli anni di molto impegno. So di aver dato il massimo delle mie possibilità. Non so valutarne l'effetto. Altri saranno giudici.

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Esperienza di una volontaria “della prima ora”

L'incontro con l'AVO avvenne nel 1980, nel salone dell'Oratorio di Mirandola particolarmente gremito di persone invitate da don Carlo Malavasi per ascoltare il prof. Santambrogio che riportava l'esperienza milanese dei volontari ospedalieri. Al termine dell'incontro, assai motivante, si costituì un gruppo di lavoro per promuovere anche nella nostra cittadina un'esperienza simile a quella lombarda. Mi resi disponibile e così feci parte dei fondatori dell'AVO locale. Per quel che mi riguarda, l'adesione e la condivisione degli obiettivi nacquero non da un'esigenza interiore né da un'esperienza diretta in ospedale e nemmeno dalla constatazione di carenze del sistema sanitario, ma dal desiderio e dall'opportunità di riprodurre in corsia la pratica del buon vicinato stando accanto a un ammalato nei lunghi giorni di degenza (a quell'epoca la permanenza presso la struttura era abbastanza lunga in qualsiasi reparto). Non so le motivazioni degli altri aderenti, ma posso affermare che, già all'inizio, eravamo abbastanza numerosi. Non bastava però essere volonterosi e bendisposti. Accostarsi a un paziente comportava una certa preparazione non solo per “saper fare”, ma soprattutto per “non sbagliare”. Per questo istituimmo corsi annuali di preparazione sia medica, sia psicologica. I turni furono organizzati nel reparto di Medicina e, in seguito, di Chirurgia. Sperimentammo anche qualche presenza nel reparto di Pediatria e per alcuni bambini, ricoverati per lunghi periodi, organizzammo momenti di recupero scolastico, compatibilmente con le condizioni di salute. Il contatto con il malato in ospedale, specie se in condizioni gravi, senza dubbio rende tutti molto scoperti. Nel mio caso le esperienze, a volte molto pesanti e senza soluzione, hanno contribuito a dare un certo equilibrio a quella che potrei definire “la sana esuberanza giovanile”, che può essere indipendente dall'età, ma che distorce la realtà. Questa esperienza in AVO, anche in seguito mi ha avvantaggiata nelle mie scelte personali, nella visione oggettiva degli eventi, senza togliermi il gusto del vivere in tutte le sue evoluzioni, gusto che ho ereditato dai miei genitori e che non posso disconoscere. Come amministratore, quale ora sono, in coerenza con la validissima esperienza in AVO, tengo in alta considerazione le associazioni e i volontari che si rivolgono alla persona in difficoltà. Le stimo per due ragioni: la prima, perché si inseriscono nel tessuto sociale più fragile per recarvi benefici; la seconda, perché apportano, con il loro agire improntato a disponibilità e condivisione, tanta serenità, fiducia e consapevolezza che, nelle difficoltà, nessuno è mai solo. Lara Cavicchioli Alcune delle storiche volontarie dell’AVO


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Ricordi di un fondatore dell’AVO di Mirandola

Ero un giovane medico specializzando in Pediatria quando, nel 1982, il prof. Sergio Santambrogio mi contattò per farmi partecipe di un suo progetto. Quando egli lavorava presso il Policlinico di Milano, era iniziata un’attività di assistenza ai malati in corsia da parte di volontari. Nella sua sensibilità alla sofferenza umana, non gli sfuggiva che molti degenti, soprattutto anziani, vivevano il ricovero ospedaliero come un momento di isolamento e solitudine. Anche coloro che avevano parenti disponibili alla visita o all’assistenza necessitavano di un supplemento di solidarietà umana. Si fece quindi promotore fra noi medici, giovani e meno giovani, di uno stimolo alla nascita di una esperienza di questo tipo. Ricordo con precisione un pomeriggio dell’inizio del 1982, quando convocò un’assemblea con medici, personale infermieristico e operatori del volontariato: un suo collega di Milano raccontò come era nata l’AVO presso la sua struttura e il prof. Santambrogio, alla fine della relazione, chiese immediatamente la disponibilità alla formazione di un Consiglio Direttivo Provvisorio per far partire subito l’iniziativa. Venni chiamato a farne parte insieme ad altre persone tra cui ricordo Primo Luppi, il dott. Andrea Caleffi e la preside della scuola media, prof.ssa Maria Sabattini. Ho citato queste persone perché sono purtroppo scomparse e mi sembra giusto riconoscere,se pur in modo postumo, il loro impegno. Le prime riunioni si tennero presso l’abitazione della prof.ssa Sabattini, in piazza Ceretti, e proseguirono per diversi mesi prima dell’inizio dell’attività vera e propria, che coinvolse un numero inaspettato di persone. Inaspettato, perché questo tipo di servizio si prospettava come molto delicato e difficile, anche per la possibile resistenza o diffidenza da parte dei pazienti e del personale ospedaliero. Dopo un periodo di necessario rodaggio e conoscenza, il progetto decollò e tuttora continua grazie alla sensibilità e all’impegno di tante persone. Il mio apporto è stato molto limitato e legato alla parte organizzativa iniziale, ma conservo un dolce ricordo di quegli incontri e la soddisfazione di aver fatto parte, se pure per un breve periodo, di un’iniziativa così importante e lodevole. Marco Paolini


Il buon samaritano: figura dell’Avo Partendo dalla nostra esperienza come cappellano ospedaliero e chiamato in causa per dare la nostra testimonianza sull’AVO di Mirandola, che si appresta a celebrare il suo 30° anniversario di servizio accanto al fratello ammalato, ci è sembrato opportuno richiamare alla memoria la parabola evangelica del “buon samaritano” che, a nostro parere, presenta la chiave di comprensione dell’associazione e mette a fuoco, mutatis mutandis, la sua identità. Nel percorso della sua vita pubblica, Gesù, interrogato da un dottore della legge circa le condizioni per ottenere la vita eterna, lo esortò a rispettare il precetto “Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutta la tua forza, con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso”. Di fronte all’ulteriore domanda su chi fosse questo “prossimo”, narrò la parabola del buon samaritano, l’unico che si avvicinò allo sconosciuto caduto preda dei briganti, l’unico che si occupò di lui, dedicandogli tempo e cure adeguate, a differenza di un sacerdote e di un levita, che ignorarono il poveretto. Siamo di fronte a una profonda espressione d’umanità e di fratellanza in un ambiente in cui diffidenze e scrupoli religiosi condizionavano i rapporti interpersonali. Gli esegeti sono tutti concordi nel vedere nel samaritano la figura di Dio che in Gesù Cristo si candida nostro prossimo, vuol restarci vicino nel nostro male. “Fa il contrario del sacerdote e del levita… il farsi vicino è una decisione del cuore buono” (S. Fausti). Il dialogo tra Gesù e il dottore della legge si conclude con una raccomandazione molto importante: “Va’ e fa’ anche tu la stessa cosa”(Lc 10,37). Senza minimamente forzare le conclusioni ed evitando un’affermazione azzardata che potrebbe ferire la sensibilità “laica”, in considerazione del contesto multireligioso che caratterizza la nostra epoca, si potrebbe comunque dire che l’AVO ha accolto, a modo suo, l’esortazione di Gesù. Infatti il servizio che l’associazione svolge accanto ai fratelli sofferenti si presenta –questo è il nostro parere- come un antidoto contro il morso dell’indifferenza, dell’arroganza e della prepotenza che a volte viziano i rapporti umani e porta con sé tutto il calore che i volontari intendono trasmettere agli assistiti, quasi a dire: Vi siamo vicini… Padre Emmanuel Mukenge Sdp

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Ricordo di una giovane AVO

Sono passati poco più di quattro anni da quando aderii all’AVO di Mirandola, seguendo il progetto “Giovani all’arrembaggio”, e cominciai a recarmi, due volte alla settimana, nei reparti di Medicina e di Chirurgia. Avevo diciassette anni ed ero una studentessa del Liceo scientifico. Assieme ad altri volontari esperti, aiutavo le persone che si trovavano in difficoltà, cercando di garantire loro una presenza sicura nel caso di bisogno: un bisogno che non necessariamente era concreto, come aprire una bottiglia d’acqua o essere imboccati, ma che spesso era quello di una parola di conforto o di un ascolto attento in un momento di dolore. Ogni volta sapevo di dovere andare in ospedale senza pretese, sapevo che non tutti quelli che incontravo mi avrebbero ringraziato, sapevo che non sarebbe stato sempre facile rapportarmi con loro, ma sapevo anche che, ogni volta, sarei tornata a casa con il sorriso, consapevole che la mia presenza non era stata inutile così come poteva sembrare. Alcuni malati mi scambiavano per personale medico e mi chiedevano quando sarebbero stati meglio; altri mi chiedevano che cosa, alla mia giovane età, mi spingesse a fare un servizio tanto impegnativo. Non riuscivo mai a dare una risposta, perché forse neanche io ero pienamente cosciente delle motivazioni più profonde, ma nello stesso tempo sapevo che ero lì per un motivo ben più che valido. E’ stata un’esperienza durata due anni che mi ha aperto orizzonti nuovi, mettendomi a contatto con svariate personalità, sempre ricche di esperienze e sentimenti. Ho imparato molto da tutti loro e ho potuto conoscere una realtà come quella della malattia che mi aveva sempre spaventato, perché molto lontana dalla mia quotidianità. Mi sono ritrovata immersa in un mondo dove domina il bisogno di aiuto, ma dove certo non mancano la speranza e la voglia di rialzarsi. Credo di aver vinto tante mie paure e di aver ricevuto molto più di quel che ho dato. Se potessi, ringrazierei ad una ad una tutte le persone che ho incontrato.

Cecilia Bresciani


Poesia di Martina Rotondo classe V C, Scuola Elementare di Mirandola Natale 2010

Cara Associazione, che ai pazienti regali la quasi guarigione, tu regali tempo prezioso e ogni viso diventa gioioso; nei loro cuori voi siete presenti e li farete sorridenti. I volontari saran leggiadri: loro si devono ogni volta adattare per evitare di litigare. Questa è una cosa davvero speciale che richiede pazienza, conforto e amore. Voi li ascoltate con pazienza, adesso e non vi importa cosa gli sia successo. Siete la cosa più preziosa al mondo e questo rimarrà in ogni cuore con amore profondo.

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Claudio Lodoli* “Pensieri e parabole” Dedicato all'AVO di Mirandola in occasione dei suoi trenta anni.

Qualche giorno fa mi è stato conferito un premio dalla Fratres: una medaglietta d'argento con il logo dell'associazione e l'incisione del mio gruppo sanguigno, applicata sull'attestato delle venticinque donazioni di sangue effettuate. Un'ombra di tristezza ha appannato per un istante il mio sguardo, mentre posavo per la rituale foto ricordo con il collega che mi aveva consegnato il riconoscimento. D'un tratto, infatti, la mente mi aveva sospinto indietro nel tempo, facendo riemergere dagli abissi dei ricordi alcuni frammenti fondamentali della mia esistenza. Ho ripercorso così le lunghe ore dedicate allo studio, intrecciate con le esperienze di una professione tanto impegnativa quanto fascinosa che, insieme alla cura della famiglia, avevano occupato per quasi un quarto di secolo la mia vita. Istintivamente schivo e riservato, avevo condiviso con mia moglie la passione per le arti figurative, la musica, il cinema, il teatro, con il favore della ricca offerta di una città come Roma e del lavoro che per entrambi aveva a che fare con quegli ambienti. Avevo superato abbondantemente i quaranta anni quando mi trovai di fronte al punto di svolta: il trasferimento in Puglia chiamato ad un incarico prestigioso nella Casa editrice Laterza, una malattia muscolare che colpì mia moglie e la costrinse ad una lunghissima degenza al Policlinico Gemelli. Proprio in quell'enorme, straniante ospedale romano, il suo incontro con due volontarie dell'AVO: una vera folgorazione che non si spense dopo il ritorno a casa. Ebbi timore di questa nuova realtà – il volontariato – che da quel momento in poi cominciava ad aggirarsi in casa mia, ma capii che non potevo ignorarla. Non potevo rimuovere d'un colpo la durissima esperienza di mia moglie al "Gemelli”, le sue pesanti sofferenze che pure apparivano ben poca cosa rispetto alle tragedie di alcune vicine di letto, il suo mettersi al servizio di persone che erano in condizioni peggiori delle sue. Inoltre non potevo ignorare la sua promessa fatta alle volontarie dell'AVO: “Se guarisco, porto la vostra Associazione nella cittadina dove ora vivo”. La Fratres in quel tempo stava riorganizzando le fila ad Acquaviva delle Fonti; era il gennaio del '93 e lanciava spesso campagne promozionali che in un paese di ventimila abitanti sono quanto mai efficaci: si fa presto a tappezzare il centro storico di manifesti, a riempire di volantini i negozi, i circoli, le parrocchie. Nessuno può fare finta di non aver visto, nemmeno io. Anzi, colsi l'occasione per dare una risposta alla domanda di impegno che ormai mi cingeva d'assedio. Offrire il braccio per donare mezzo litro di sangue mi parve un modo discreto ed efficace per testimoniare il cambiamento, e mi sentii subito più sereno.


Non bastava e non è bastato: alla soglia dei cinquant'anni con il viatico di quattro o cinque donazioni, la mia esistenza fu travolta dal ciclone AVO; quella piccola, caparbia donna che mi accompagnava dai tempi della giovinezza l'aveva avuta vinta. Il resto della storia è sotto gli occhi di tutti gli amici, i colleghi dell'AVO e non solo: dopo diciotto anni, la presidenza di Federavo ha sancito l'epilogo, segno dell'obbedienza, fondamento della nostra associazione. Un'obbedienza niente affatto passiva che, al contrario, prevede un forte coinvolgimento emotivo, una partecipazione totale, un'offerta quotidiana da porgere con serenità anche quando le circostanze sono avverse e le forze sembrano scemare. Un'esperienza irripetibile ma per me tanto, troppo breve rispetto agli anni della mia vita. Tutto questo ho pensato nei pochi secondi necessari allo scatto di una foto, mentre ero pervaso da un rimpianto: quanto tempo ho lasciato trascorrere prima di accorgermi che il mio sguardo sulle ragioni dell'esistere era stato per mezzo secolo a due dimensioni. Avevo perduto la più importante, la profondità. Così quelle venticinque donazioni che per i limiti dell'età non sarebbero mai potute diventare ventisei, questi diciotto anni di AVO vissuti tanto intensamente, con un ritmo accelerato, quasi a voler inseguire il tempo perduto, mi sono apparsi improvvisamente come il confine ormai prossimo e invalicabile di un percorso straordinario. Il lampo del flash e l'applauso riservato a tutti i premiati mi hanno distolto dai pensieri e riportato nella sala gremita di volti noti, di persone amiche. In quel momento la parabola degli operai nella vigna (Mt. 20, 1 - 16) mi è venuta in soccorso, restituendomi la pace con me stesso: “Fattosi sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: «Chiama i lavoratori e dà loro la paga, cominciando dagli ultimi fino ai primi». Allora vennero quelli dell'undicesima ora e ricevettero un denaro ciascuno. Venuti i primi, pensavano di ricever di più; ma ebbero anch'essi un denaro per ciascuno. Perciò, nel riceverlo, mormoravano contro il padrone di casa dicendo: «Questi ultimi hanno fatto un'ora sola e tu li hai trattati come noi che abbiamo sopportato il peso della giornata e sofferto il caldo». Ma egli, rispondendo a uno di loro, disse: «Amico, non ti faccio alcun torto; non ti sei accordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare a quest'ultimo quanto a te. Non mi è lecito fare del mio ciò che voglio? O vedi tu di mal occhio che io sia buono? »” In conclusione, cari amici di Mirandola, godete tutti insieme del trentesimo compleanno della vostra AVO, Soci fondatori, volontari e tirocinanti, con lo stesso spirito di letizia e con pari intensità. Coloro che oggi si affacciano nell'Associazione siano i benvenuti, perché toccherà a loro onorare nel tempo che verrà il patto siglato dalle persone che con tanto sacrificio le hanno dato la vita, e rinnovato negli anni da quanti si sono impegnati perché questa AVO diventasse adulta. Toccherà a loro raccogliere il testimone e condurla nel cammino di una storia che è ancora tutta da scrivere. Nella condivisione del comune ideale, ciascuno darà ciò di cui sarà capace, per il tempo VOLONTARI OSPEDALIERI TRA PRESENTE E FUTURO / 30 ANNI DI AVO MIRANDOLA

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che potrà o che gli sarà concesso, sapendo in cuor suo – anche se nessuno glielo dirà – che quel tempo, breve o lungo che sia, è un dono prezioso per le persone che nell'immediato ne beneficiano, per la Comunità, per la Società, ma anche per chi generosamente decide di offrirlo.

* Presidente Nazionale FEDERAVO


Preghiera del volontario

Tu ci hai insegnato che l'amore più grande è dare la vita per i propri amici. Aiutaci a scoprire nel volontariato l'opportunità di incontrare non solo la sofferenza umana, ma di vivere l'amore. Apri le nostre menti a valorizzare l'unicità di ogni persona, con la sua storia e cultura. Apri i nostri orecchi ad accogliere con gentilezza le voci che chiedono ascolto. Apri i nostri cuori a offrire speranza dove c'è paura, solidarietà dove c'è solitudine, conforto dove c'è tristezza. Aiutaci, o Signore, a testimoniare il Vangelo con un sorriso, una parola, un gesto di affetto. Donaci l'umiltà di riconoscere che noi non siamo la luce, ma strumenti della Tua luce, non siamo l'amore, ma espressioni del Tuo amore.

VOLONTARI OSPEDALIERI TRA PRESENTE E FUTURO / 30 ANNI DI AVO MIRANDOLA

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Successione dei Presidenti dell’AVO di Mirandola

1982 - 1989

Maria Sabattini

1989 - 1992

Lara Colombari

1992 - 1995

Maria Bernasconi

1995 - 2002

Novella Artioli

2002 - 2005

Carla Morselli

2005 - 2011

Annamaria Ragazzi

2012

Carla Molinari


Indice

Introduzione

p. 03

Decalogo del volontario AVO

p. 04

Che cosa è l’AVO

p. 05

Nascita dell’AVO a Mirandola

p. 07

Verso il primo decennale

p. 12

Verso il ventennale

p. 15

Verso il trentennale

p. 18

Ricordo del prof. Sergio Santambrogio

p. 26

Poesia della Preside Maria Sabattini (Prima Giornata AVO - 8 Dicembre 1982)

p. 27

Testimonianza di Don Carlo Malavasi

p. 28

L'AVO di Mirandola nei ricordi di Don Luciano

p. 30

Memorie di una volontaria “anziana”

p. 32

Esperienza di una volontaria “della prima ora”

p. 34

Ricordi di un fondatore dell’AVO di Mirandola

p. 36

Il buon samaritano, figura dell’AVO

p. 37

Ricordo di un giovane AVO

p. 38

Poesia di Martina Rotondo (classe V C, Scuola Elementare di Mirandola Natale 2010)

p. 39

Pensieri e parabole (Claudio Lodoli)

p. 40

Preghiera del volontario

p. 43

Successione dei Presidenti dell’AVO di Mirandola

p. 44

VOLONTARI OSPEDALIERI TRA PRESENTE E FUTURO / 30 ANNI DI AVO MIRANDOLA

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AVO Mirandola Tel: 0535/20022 mail: avomirandola@gmail.com

Con il contributo

Pubblicato nel mese di aprile 2012 Pro manoscritto

Impaginazione: Negrini e Varetto Stampa: Compuservice



Dormivo e sognavo che la vita era gioia; mi svegliai e vidi che la vita era servizio; volli servire e vidi che servire era gioia.

(Tagore)


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