Volti di un esodo: racconti e testimonianze degli esuli istriani, giuliani e dalmati in Trentino

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rivate in Trentino con la famiglia, esuli; la terza, la signora Myriam Komjanc Brumat, di madre italoslovena e padre italiano, è invece nata e vissuta a Gorizia1. Particolare è la scrittura della signora Keller, che ha visto la luce durante la direzione del Comitato provinciale dell’Associazione nazionale Venezia-Giulia e Dalmazia, e che come presidentessa firma in calce la sua memoria. La compresenza dei due ruoli, quello di testimone e quello di rappresentante istituzionale, determina un’autobiografia in cui traspare molta autoconsapevolezza – anche politica – rispetto alle possibili letture, e forte controllo del messaggio che vuole dare attraverso la propria esperienza di vita. Con queste premesse sembrerebbe plausibile aspettarsi dalla lettura una frattura, un contrasto, tra i due versanti della memoria, quello italiano e quello slavo, ma così non è: le tre memorie femminili raccontano soprattutto l’intimità violata della famiglia, i riflessi della guerra sulla tranquillità precedente, la povertà che si abbatte sulle loro giovani vite, e presentano forti similitudini nel dipingere un’infanzia bruscamente interrotta, la paura provata, l’insicurezza patita.

Rispetto all’infanzia vissuta prima della guerra, le differenze emergono nel diverso modo di vivere il fascismo, che per una bambina italiana «era l’epoca delle parate di regime, della Befana Fascista»; la dannazione della madre era la «M» (Mussolini), una specie di spillone che veniva agganciato a certe bandoliere bianche della divisa di figlia della lupa», mentre per Brumat rappresenta la negazione della propria cultura («Durante la mia infanzia [lo zio] veniva d’estate a Gorizia e si dedicava molto a me, leggendomi le fiabe slovene dai libri che portava dalla Slovenia e introvabili da noi, lo sloveno era ormai bandito, chiuse le librerie e le case editrici slovene, sciolte tutte le associazioni»), l’inizio di una guerra sotterranea fatta di gesti un tempo banali e che assumevano un significato politico, come quello di andare all’alba all’unica messa celebrata in sloveno. Tre memorie che parlano di bambine che sembrano cogliere soprattutto l’assurdità della guerra e un nemico difficile da individuare: può essere tedesco, partigiano, possono essere anche le bombe sganciate dagli aerei anglo-americani. Infanzie turbate dalla paura di presenze misteriose e pericolose: «cominciarono a circolare voci di sacerdoti uc-

Diversamente dalle altre memorie raccolte grazie alla preziosa collaborazione del Comitato provinciale dell’Associazione nazionale Venezia-Giulia e Dalmazia, la memoria della signora Brumat è pervenuta al Museo per gentile segnalazione del dott. Carlo Carlucci, collaboratore della rivista «Archivio Trentino». 1

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22/07/2005, 12.40


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