Marcellina hd

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Marcellina (2015) Una performance di | A performance by Humberto Duque A cura di | Curated by Michela Alessandrini



Nota del curatore | Curator’s statement Sono nata in questa vallata, pregna di storia e baciata dal sole. Schiacciata tra il Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili e la Valle dell’Aniene, alle porte della Capitale, Marcellina mi è sempre apparsa come un nido – caldo, familiare e stretto, troppo stretto. Fortunatamente, dai nidi ci si emancipa e dalla consuetudine ci si affranca. A me è successo nell’estate 2014, e credo sia successo a molti. La situazione era, tutto a un tratto, differente: il mondo era arrivato da noi, senza che noi ci spostassimo. Dal 2013, l’Italia è stata teatro di sbarchi quotidiani e massicci di migranti che partono dalle coste libiche per approdare su quelle siciliane, europee. Da sempre terra di arrivi e partenze, l’Italia ha accolto i nuovi arrivati in centri d’accoglienza sparsi sul suo territorio - spesso con drammatica, voluta disorganizzazione. Uno di questi si trovava a Marcellina, piccolo paesino chiuso alla novità e tradizionalmente ostile allo straniero. Non a caso, uno dei detti folkloristici più conosciuti in paese recitava “Marcellina: passa e cammina”. Contro ogni aspettativa, gli autoctoni si sono pian piano abituati alla distante presenza dei migranti, dimostrando di essere curiosi verso l’altro. Malgrado queste nuove figure non siano mai state veramente integrate nel paesaggio locale, non è falso dire che l’hanno marcato profondamente. Se loro sono stati successivamente trasferiti altrove chissà dove - le tracce del loro passaggio sono rimaste: quelle sì. La camminata lenta e quotidiana che, dalla residenza in via San Polo dei Cavalieri, li portava ogni giorno al centro di Marcellina e, di qui, a Roma in autobus, ha scavato un sentiero, ha marcato il paesaggio. Si è creata una scorciatoia sulla penisola di terra che si trova di fronte ad una rovina, quella delle ex cave CI.DI, ormai in disuso da decenni - imponenti e fatiscenti. Pietre immobili di un paesaggio inalterato, fino all’arrivo di quei piedi venuti d’Africa. Durante la lunga estate 2014, li ho visti andare a venire, ogni giorno, lentamente. Mi sono sembrati più autoctoni di quanto pensassi, perché capaci di modificare un paesaggio statico, al quale tutti ci eravamo abituati. Come un animale che sonda il terreno, che lo riconosce e lo sente, lo segna – così, questi immigrati migranti hanno attraversato la nostra terra, come noi non sappiamo più fare, vivendola. Una tappa sulla loro spedizione incerta verso una libertà tanto agognata quanto illusoria. All’improvviso, tutt’un altro senso per il “passa e cammina”!


Questo è il contesto in cui si è iscritto il mio invito all’artista messicano Humberto Duque: una chiamata alla riflessione su questo territorio e i suoi segni, le sue contraddizioni e la sua eternità. Il progetto che mi ha proposto mi è sembrato armonizzarsi al mio sentire, in maniera sorprendentemente naturale. Omaggio a questa terra, a lui sconosciuta e da me amata, Marcellina si appropria di un luogo e dei suoi strumenti per parlarci in un linguaggio universale, quello dell’arte: del passaggio della vita, dell’armonia delle coincidenze, dell’uomo, della terra e della Terra. Michela Alessandrini Marcellina, Italia Giugno 2015 I was born in this valley, filled with history and kissed by the sun. Lying between the Parco Naturale Regionale of Monti Lucretili and the Aniene’s Valley, at Rome’s door, Marcellina always looked to me like a nest – warm, familiar and tight, too tight. Luckily, one emancipates from its nest and frees himself/herself from customs. That happened to me during Summer 2014, and I do believe that it happened to a lot of people in my village. The situation was different, suddenly: the world came to us, without that we had to go out and search for it. Since 2013, Italy has been the stage of tragic landings, for it is the principal destination for migrants arrived from North Africa to Sicily, Europe’s door. Having always been a land of departures and arrivals, the country has welcomed them in provisional shelters held everywhere from South to North – often dramatically witnessing an on purpose disorganization. One of these centres was in Marcellina indeed, traditionally a small village impermeable to what’s new and hostile to foreigners. It is not a coincidence that one of the most traditional folkloristic ways of saying was “Marcellina: passa e cammina”, meaning “Marcellina: pass by and don’t stop”. Against every expectation, the locals got used to the distant presence of the immigrants, showing a kind of curiosity towards “the others”. Even though these figures have never been integrated in the local landscape, it’s not false to state that they have marked it profoundly. Even if afterwards they have been moved away – somewhere – the marks of their transit has stayed. The slow and constant walk from their residency on the road to San Polo dei Cavalieri to the centre of Marcellina till Rome by bus, has left a path, has marked the landscape. A shortcut has been created by footprints in the piece of land in front of a majestic abandoned


ruin, the former CI.DI factory, out of service since decades.Frozen stones, part of an unaltered landscape, until the arrival of those African feet. During the long summer 2014, I have seen them going up and down, slowly. They appeared way more native than I thought, for they have been able to modify a static landscape, that everybody of us locals was no more able to see. Like an animal, exploring the ground, recognizing and feeling it, marking it – the migrant immigrants have crossed and lived our land in a way that we have lost. A leg on their uncertain march towards freedom: so dreamt, so illusory! All of a sudden, another meaning for “passa e cammina”! This is the context of my invitation to Mexican artist Humberto Duque: a call for reflection about this territory and its signs, its contradictions and eternity. The project that he has proposed to me got on extremely well with my feelings, in an incredible natural way. Homage to this territory – which is unknown by him and loved by me - Marcellina appropriates a place and its tools to eventually speak in an universal language, that one of art: of life passing, of coincidences’ harmony, of land and Earth. Michela Alessandrini Marcellina, Italy June 2015


Nota dell’artista | Artist’s statement Ho avuto questa canzone in testa per anni. È una breve ma ipnotica ballata chiamata Havalina, l’ultima traccia dell’album Bossanova de The Pixies, la famosa rock band americana. Solo quando la curatrice Michela Alessandrini mi ha invitato a realizzare un’opera nello spazio pubblico vicino la vecchia cementeria nella sua città natale in Italia, Marcellina, questo progetto ha cominciato a prendere forma. Quando, d’abitudine, uscivo per lunghe passeggiate, questa canzone mi veniva sempre in mente. Dopo aver parlato con Michela, mi sono inavvertitamente ritrovato a sostituire “Havalina” con “Marcellina”. Tutto è cominciato come un gioco ridicolo e penso ancora che sia piuttosto assurdo, ma alla fine si è sviluppato in qualcosa di molto più complesso. C’è più che una coincidenza fonetica tra le parole. Marcellina è stata, ed è ancora, un rifugio provvisorio per i migranti: come tanti altri posti in Italia, continua ad ospitare persone che, venute dall’Africa, hanno attraversato il Mediterraneo nel disperato tentativo di arrivare in Europa. Nella canzone Havalina, The Pixies parlano di un paesaggio in Arizona, in mezzo alle aride colline del Sud Ovest Americano, là dove abitano i pècari, o javelinas in spagnolo. Questa creatura indigena si sposta su questa terra arida e, nella canzone, si dice che si muova svelta nell’afa del torrido deserto. Questa parte del mondo è la prima destinazione per molti immigrati dal Messico e dall’America Centrale che cercano una vita migliore in un paese nuovo. Come artista, lavoro spesso con elementi della cultura pop in situazioni contraddittorie, sperando di poterle scuotere e rimettere in questione il mio pubblico e il loro modo di vedere le cose. La musica è sempre stata una mia ossessione e la uso per far sorgere panorami artificiali in cui l’incertezza gioca un ruolo fondamentale. L’idea, qui, è di radunare la banda di Marcellina vicino l’ex cava e fargli reinterpretare questa canzone, con parole tradotte dall’inglese all’ italiano* e adattate al differente scenario. La maggior parte degli abitanti non si ferma in questo posto desolato, limitandosi a passare sulla strada adiacente, indifferente alla sua struttura massiccia e alla natura intorno. Nonostante ciò, il movimento costante dei migranti che erano ospitati in un centro di permanenza temporanea lì vicino, ha lasciato delle tracce sul terreno, sentieri silenziosi in differenti direzioni che hanno prevalso e sono ancora visibili, anche se i migranti non vivono più lì. Il mio progetto Marcellina intende riunire la comunità e trasformare questo posto abbandonato in un punto di riferimento per la città. Magari,


quest’interpretazione resterà e si svilupperà in un nuovo particolare inno per questo piccolo paesino. For many years I’ve had a song lodged in the back of my head. It’s a short but hypnotic ballad called Havalina, the last track in the celebrated album Bossanova by the popular American rock band The Pixies. It was not until curator Michela Alessandrini spoke to me about an idea for a public artwork near an abandoned factory in her hometown Marcellina in Italy that things started to fall into place. I would go out for long walks and this tune would pop right into my mind. This time around though, I found myself almost inadvertently replacing the part that says “Havalina” for “Marcellina”. It started out as a silly game, and I still think it’s pretty absurd, but eventually it developed into something more complex. There’s a lot more than just a phonetic coincidence with the words. Marcellina had been up until recently a provisional refuge to migrants, just as many other places in Italy continue to host people from Africa that cross the Mediterranean in a desperate attempt to get into Europe. In Havalina The Pixies talk about a landscape in Arizona, in the midst of the arid hills of the American Southwest, home to Javelinas or Peccaries. This endemic creature wanders around this barren land, and in the song we can hear its name rustling hastily into the hot desert air. This part of the world is also the first destination for many migrants from Mexico and Central America in search for a better life in a new country. I often work with elements of pop culture in contradictory situations in an effort to shake things up and pull the audience out of its frame of mind. Music has been a particular obsession of mine and I use it to incite artificial landscapes where uncertainty plays a crucial role. The idea here is to have the official band of Marcellina gather near the factory and reinterpret this song, with new lyrics that will be adapted to the Italian* to describe a very different kind of scenery. Most of the locals don't really stop by this desolate place; almost everybody flashes right through it, indifferent to its massive concrete structure and to the nature that surrounds it. Nevertheless, the constant movement of the migrants that were hosted in a shelter nearby has left traces on the ground, silent paths in different directions that have prevailed and are still visible, even after they no longer live there. My project Marcellina intends to bring the community together and transform this forsaken area into a landmark of the village. Hopefully, this rendition will live on and develop into a new and peculiar hymn for this quaint little town.


* HAVALINA WALKING IN THE BREEZE ON THE PLAINS OF OLD SEDONA ARIZONA AMONG THE TREES HAVALINA

MARCELLINA IO CAMMINO QUI SULLA STRADA PER SAN POLO VERSO ROMA PASSO DI QUI MARCELLINA

Cliccare per ascoltare il brano “Havalina” di The Pixies | Click to listen “Havalina” by The Pixies https://www.youtube.com/watch?v=400ZEgJOVp8


Biografie | Biographies Michela Alessandrini è nata a Tivoli nel 1987 ed è titolare di una Laurea Magistrale in Storia dell’Arte Contemporanea all’Università Sapienza di Roma e all’Univerisità Paris I Panthéon-Sorbonne nel 2011. Ha partecipato alla Sessione 22 dell’ École du Magasin, Programma Internazionale per le Pratiche Curatoriali. Da allora, ha collaborato con associazioni no-profit (FKSE, Studio of Young Artists Association a Budapest, FUTURA a Praga), riviste specializzate (Flash Art, Drome, Droste Effect Magazine) e artisti. È stata curatrice in residenza al Labor Guest Space 2012 a Budapest, alla Galleria dell’ERG a Bruxelles nel 2013 e all’EoFA di Ginevra nel 2014. È membro di CEA (Commissaires d’Exposition Associés), co-fondatrice di The Voyerist e ricercatrice indipendente sull’archivio polifonico di Hans Ulrich Obrist. Dal 2015 è project consultant e giornalista per Radicate.eu Michela Alessandrini was born in Tivoli in 1987. She earned a Master’s Degree in Contemporary Art History at La Sapienza University in Rome and at the Université Paris I Panthéon-Sorbonne in 2011. She participated in the 22nd Session of the International Curatorial Program at the École du Magasin in Grenoble 2012-2013. Since then she has worked on several collaborations with non-profit organizations (FKSE, Studio of Young Artists Association in Budapest, FUTURA in Prague), publications (Flash Art,Drome, Droste Effect Magazine) and artists. She has been a resident curator at Labor Guest Space 2012 in Budapest, ERG Gallery in Brussels in 2013 and EoFA in Geneva in 2014. She is a member of CEA (Commissaires d’Exposition Associés), co-funder of The Voyerist, and independent researcher of Hans Ulrich Obrist’s polyphonic archive. Since 2015 she is a project consultant and journalist at Radicate.eu.


Humberto Duque è nato a Città del Messico nel 1978. Le sue opere si relazionano con elementi di finzione che spaziano dal linguaggio alla musica, dall’architettura e allo sport. In questo processo, la cultura popolare incontra direttamente momenti divergenti di fantasia: quindi incidenti che si schiudono, incidenti di un tempo che non possiamo definire nostro. Humberto Duque ha studiato al Centro Nacional de las Artes a Città del Messico, alla Staatliche Akademie der Bildenden Künste Karlsruhe in Germania e al CCA Kitakyushu Research Program in Giappone. È stato artista in residenza allo ISCP di New York; al National Art Studio Changdong di Seoul; all’Embassy of Foreign Artists di Ginevra, etc. Gli sono state commissionate opere nello spazio pubblico dell’Aeroporto Internazionale di Denver e del Lademoen Kunstnerverksteder in Norvegia. Il suo lavoro è stato ed è esposto internazionalmente.

Humberto Duque was born in Mexico City in 1978. His work features elements of fiction that navigate through language, music, architecture, and sports. In this process, popular culture meets head-on with divergent moments of fantasy, hence unfolding incidents of a time that is not ours to call our own. Humberto Duque’s art education includes the Centro Nacional de las Artes in Mexico City, the Staatliche Akademie der Bildenden Künste Karlsruhe in Germany, and the CCA Kitakyushu Research Program in Japan. He has been a resident artist at the ISCP in New York City; National Art Studio Changdong in Seoul; Embassy of Foreign Artists in Geneva, and several other programs. He has been commissioned public art projects by the Denver International Airport and the Lademoen Kunstnerverksteder in Norway. His work has been shown in exhibitions around the world.

www.humbertoduque.com


Ringraziamenti | Credits Comune di Marcellina Banda Musicale di Marcellina Il Maestro Fioravante Santaniello Galeria DesirĂŠ Saint Phalle, Mexico City Thierry DesirĂŠ Andrea Cecchetti Mario Cecchetti Raffaele Alessandrini Gabriele Salvatori Embassy of Foreign Artists, Ginevra


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