Metropolitan
magazine
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VIRTUALE È REALE BLA
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Girls support girls Come ci si può P R OT E G G E R E d a u n f i u m e che non sappiamo DOVE S FOCIA?
Metropolita SOMMARIO N.2 FEBBRAIO 2022
Direttore responsabile ROSSELLA PAPA Editore ALESSIA SPENSIERATO
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LETTERATURA Bullismo e sofferenza attraverso i versi di Giacomo Leopardi di STELLA GRILLO
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CINEMA Dai turbamenti del giovane Torless al nichilismo di Bully di ANDREA AVVENENGO
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METRONERD Il bullismo nella storia dei classici Disney
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ATTUALITÀ Decadenza morale e cyberbullismo di BENEDETTA CASARINI
di ELISA SCAGLIA
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ATTUALITÀ Cyberbullismo: la prepotenza del mondo virtuale
METRONERD Di Karate Kid, Cobra Kai e il bullismo
di ROSSELLA PAPA
di ELEONORA CHIONNI
editoriale
Se nella violenza, anche il virtuale è reale D I R O S S E L L A PA PA
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ispetto al 2020, il fenomeno del cyberbullismo è aumentato del 40 percento, anche a causa del Covid. È la viralità della violenza a renderlo un problema sociale più complesso da combattere. È il suo spazio normativo che lo rende un reato agghiacciante. Ciò che virtuale è anche reale, in questi casi. Eppure, la rete è capace anche di superare la realtà: diventa infinita, ripetuta, marchiata, perseguitata, incontrollabile. La diffusione capillare della rete auto-alimenta la violenza stessa, svilendo ogni vittima dal proprio controllo e dalla difesa. Come ci si può proteggere da un fiume che non sappiamo dove sfocia? Mm
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L E T T E R AT U R A
Giacomo Leopardi
Bullismo e sofferenza attraverso i versi: Il passero solitario D I ST E L L A G R I L LO
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oeta dalla personalità schiva, Giacomo Leopardi sviluppa un atteggiamento ritirato in seguito a episodi di bullismo dovuti al suo aspetto fisico trascorrendo la sua giovinezza rifugiandosi nello ‘’studio matto e disperatissimo’’. Non di rado, infatti, capitava che in giro per Recanati lo schernissero ; il poeta testimonia quegli episodi di bullismo attraverso i suoi versi: non tralasciando, tuttavia, l’importanza della solidarietà umana
e del godimento dell’età giovanile nonostante le avversità.
GIACOMO LEOPARDI, IL BULLISMO E IL DOLORE COME STRUMENTO DI CONOSCENZA E RIFLESSIONE
Giacomo Leopardi è spesso considerato nell’immaginario comune come poeta triste, non considerando il bullismo psicologico che, nel tempo, ha dovuto subire. Il poeta è associato al termine pessimismo come simbolo di tristezza;
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L E T T E R AT U R A
eppure, in una delle sue più note poesie La Ginestra, o il fiore del deserto sgretola questo mito che lo vuole perennemente in angoscia per partito preso. Sottolinea l’eroismo e la lotta della ginestra, nonostante il suo destino, esortando gli uomini alla solidarietà e alla creazione di legami; unico mezzo di difesa contro la debolezza del tempo presente. Il malessere di Giacomo Leopardi, e il successivo bullismo, iniziano nel 1815 circa; il giovane Giacomo riscontra i primi problemi fisici di tipo reumatico. L’esordio della malattia si presenta con affezione polmonare che, in seguito, gli causa deviazione delle spina dorsale; crescita lenta, malattia di Crohn, disturbi agli arti. La patologia di Leopardi non ha, per quell’epoca, un’origine chiara tanto che lo stesso Giacomo ne Le ricordanze la definisce ‘’cieco malor’’. L’ipotesi conclamata resta la malattia di Pott una sorta di tubercolosi ossea. Questa condizione di salute precaria è motivo di dolore e isolamento, nonché di bullismo poiché oggetto di derisione. Tuttavia, il patimento sperimentato non rimane sedimentato in una bolla di avvilimento statico, ma diventa motivo di riflessione nonché origine di tutta la filosofia poetica di Leopardi, le tre fasi del pessimismo leopardiano: individuale, storico e cosmico. In Canto notturno di un pastore errante nell’Asia dirà: «O forse erra dal vero, / mirando all’altrui sorte, il mio pensiero: / forse in qual forma, in quale / stato che sia, dentro covile o cuna, / è funesto a chi nasce il dì natale.»
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GIACOMO LEOPARDI, IL BULLISMO E LA PERCEZIONE DI SOLITUDINE: IL PASSERO SOLITARIO
Il Passero solitario è il testamento dell’anima giovanile di Leopardi. Composto nel 1831, questo componimento è un vero e proprio canto di solitudine; Leopardi si sente escluso dalla società per via della sua condizione fisica. Il bullismo subito da Giacomo Leopardi a causa del suo aspetto, induce il giovane di Recanati all’autoesclusione dalla vita sociale della città. Nei versi de Il passero solitario il poeta crea un parallelismo sulla sua condizione di solitudine e quella del passero che, in primavera, è solito cantare da solo. Traspare da questi versi un senso di esclusione esistenziale e di rimpianto per una gioventù che fugge. La lirica si apre con la descrizione di una paesaggio bucolico e con l’immagine di un passero e dei suoi gorgheggi armoniosi. La primavera è ormai al suo culmine, e i suoi doni si rispecchiano per i campi rigogliosi e per l’aria ormai tiepida.
PARALLELISMO FRA IL PASSERO SOLITARIO E LA VITA DEL POETA
Dal quadro arcadico, però, emerge il contrasto con il passero che immerso nei suoi pensieri osserva tutto da lontano; in disparte, non partecipa alla felicità degli altri volatili, ma canta appartato finché non discende la sera. Nella strofa centrale
della poesia si realizza la metafora: il parallelismo fra il passero e la vita del poeta. Tuttavia, se il riserbo del volatile è donato da predisposizione naturale, osservare in disparte la vita che si rinnova in primavera, metafora riferita alla giovinezza, è per Leopardi un’imposizione. Quasi fuggo lontano; Quasi romito, e strano Al mio loco natio, Passo del viver mio la primavera. Leopardi è cosciente, percepisce questo innaturale senso che lo porta a isolarsi; non gli pare comprensibile questa ambivalenza di desideri: il rimpianto di un allontanamento che si impone e, nel frattempo, questa brama di fuggir lontano dal luogo natio. Non comprende il perché la sua anima rifiuti le gioie giovanili, e proprio questa mancanza di comprensione delle sue stesse azioni lo porta a pensare che questo sia il suo personale destino. Successivamente, si mette a confronto con la gioventù del luogo: Tutta vestita a festa La gioventù del loco Lascia le case, e per le vie si spande; E mira ed è mirata, e in cor s’allegra Io solitario in questa Rimota parte alla campagna uscendo. L’intensa malinconia leopardiana, in questi versi, è scandita dall’uso di due verbi: la gioventù che si prepara ai festeggiamenti mira ed è mirata. Un passaggio importante quello sottolineato dal poeta, ammirato per le vie di Recanati solo con aria di derisione. Giacomo
vorrebbe essere apprezzato come gli altri; ma la sua differenza fisica lo pone in una situazione di svantaggio, lo porta a celarsi per non sentir bisbigliare e ridergli dietro quei giovani che, spensierati, possono godere la loro età dorata.
L’ESORTAZIONE A GODERE LA GIOVENTÙ NONOSTANTE LE AVVERSITÀ
Al tramonto del sole, Giacomo torna alla realtà e all’ennesimo paragone con il passero solitario; il volatile non rimpiangerà la sua vita appartata, poiché connaturata alla sua natura. Mentre il poeta, in futuro, si pentirà di questo tempo sprecato e perduto. Una raccomandazione che Leopardi sente di dover fare nel Sabato del Villaggio dove la struggente malinconia dell’attesa della festa, si disperde in noia e tristezza; ma, nonostante tutto, il Leopardi pessimista esorta a vivere: perché vero che, come diceva Ovidio, Tempora labuntur e gli uomini fuggono insieme al tempo, ma bisogna godere dell’età fiorita quando è il momento, senza sciuparla nell’attesa nonostante gli accadimenti. Garzoncello scherzoso, cotesta etá fiorita è come un giorno d’allegrezza pieno, giorno chiaro, sereno, che precorre alla festa di tua vita. Godi, fanciullo mio; stato soave, stagion lieta è cotesta. Altro dirti non vo’; ma la tua festa ch’anco tardi a venir non ti sia grave. Mm
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BULLISMO AL CINEMA
Dai turbamenti del giovane Torless al nichilismo di Bully D I A N D R E A AV V E N E N G O
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ell’anno del Signore 2022 il bullismo è una problematica ormai riconosciuta e accettata, quando non effettivamente affrontata con le opportune metodologie correttive. Istituzionalizzato, se vogliamo. Un recente, faticoso riconoscimento ufficiale conquistato, come per gran parte di quanto riguardi le questioni psicologiche, sociali e sociologiche che attanagliano l’uomo moderno, più da una pressioni più o meno indirette dal basso di cinema, letteratura e cronaca che da un’accettazione politica in senso lato. Una presa di coscienza culturale, perché il problema è culturale e perché è stata la cultura a porlo come non più ignorabile. In questo anche il cinema ha avuto la propria parte, proponendo la tematica ex novo o riprendendola da contesti meno popolari e ricucinandola per il grande pubblico.
IL BULLISMO AL CINEMA: LA PRIMA AVANGUARDIA
In questo senso “I turbamenti del giovane Torless”, adattamento del 1966 del romanzo d’esordio di Robert Musil di sessant’anni prima, è la classica mosca bianca. Pur nelle vesti di vero e proprio romanzo di formazione ambientato all’interno di un rigido collegio militare austro-ungarico, ha gran parte della propria ossatura costituita dagli elementi di sottomissione virile, bullismo e prevaricazione tipici degli ambienti militari. Una declinazione senza dubbio avanguardistica rispetto ai
tempi, ma che il contesto specifico riduce inevitabilmente a un mondo elitario e limitato. Passeranno altri dieci anni prima che il cinema torni a toccare certi argomenti. E lo faccia nella quotidianità dell’uomo qualunque, non all’interno delle spesse e omertose pareti di un’accademia militare. Dopo anni di rifiuti, Stephen King riesce a veder pubblicato il proprio romanzo d’esordio, “Carrie”, nel 1974. Visto il successo commerciale del romanzo, quasi subito le case cinematografiche si interessarono ad una versione per il grande schermo. A spuntarla è Paul Monash, che ne affida la regia a Brian de Palma. Il film rappresenterà il caposaldo nell’affrontare un certo tipo di tematiche. Carrie è una ragazza trascurata e introversa, soffocata da una madre nevrotica e cristianamente medievale, un intero universo muto costretto in un corpicino esile. Non la miglior condizione per sopravvivere a quella giungla per adolescenti che è il liceo americano del midwest. L’arrivo del menarca nelle docce scolastiche e la sua totale inconsapevolezza delle dinamiche del proprio corpo sono la goccia che fa traboccare il vaso. “Metti il tappo!” diventa l’urlo derisorio che inizia ad accompagnarla quotidianamente tra i corridoi scolastici.
IL BULLISMO NEL CINEMA: CARRIE INDICA LA STRADA
Nel tentativo di limitare l’abisso che la divide dai compagni, i responsabili dell’istituto fanno in modo che passi più tempo con loro in vista del ballo scolastico di fine anno. Ma l’ennesimo, crudele
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CINEMA scherzo nella notte più importante dell’anno corrisponderà anche alla presa di coscienza da parte di Carrie dei propri poteri paranormali. In un climax di frustrazione e umiliazione si scaglieranno senza pietà contro chiunque ne sia a tiro. Dal romanzo sono stati tratti più adattamenti. Il primo, con Sissy Spacek nei panni di Carrie, solido e per certi versi destabilizzante per tematiche – il bullismo declinato in prospettiva femminile – e la loro esposizioni in salsa horror; un trascurabile, primo remake del 2002 per un’ipotetica serie tv mai decollata; il remake firmato da Kimberly Pierce nel 2013 che attualizza il concetto di base 12 Metropolitanmagazine n. 2
e lo arricchisce di ulteriori venature psicologiche. Scossa l’impasse, si deve aspettare fino al 1984 perché la tematica entri davvero nell’immaginario popolare. Con Karate Kid, il John Avildsen di “Rocky” racconta una storia all american di oppressione e riscatto, facendo ricorso alla grammatica immediata e favolistica che lo contraddistingue. Arti marziali, retorica contrapposizione di bene vs male, esoticità d’effetto. Il film è un successo planetario e contribuisce alla fondazione filmica dell’ archetipo filmico del bullo moderno, su cui il cinema più popolare costruisce migliaia di pellicole negli anni a seguire.
GLI EPIGONI MODERNI
Bisogna aspettare gli anni dieci perché nei confronti della tematica venga assunto un approccio meno fumettistico e più realista. “Bully” di Larry Clark, tratto dal romanzo “Bully: a true story of high school revenge” di Jim Schutze è uno spaventoso tuffo nel puro nichilismo, dove la vessazione come esercizio di potere si evolve in qualcosa che ha più a che vedere con l’oscena proiezione di un totale vuoto interiore piuttosto che con le convenzionali storture di formazione e socializzazione. “Mean Creek” (2004) di Jacob Aaron Estes recupera lo scheletro narrativo di “Stand
by me” (Rob Reiner, 1986) e ne ribalta i presupposti. Le sue sono dinamiche che trasformano il romanzo adolescenziale di formazione e transito all’età adulta in un sanguinoso rito di passaggio e di inevitabile patto col diavolo. “A girl like her” (Amy S. Weber, 2015) cavalca le ultime onde del mockumentary e mette in scena il classico found footage su una quindicenne e sul suo tentato suicidio dopo mesi di vessazioni da parte delle compagne. Discusso e non apprezzato all’unanimità, rappresenta di fatto un efficace esempio di quelle che sono le più moderne soluzioni narrative scelte per affrontare il tema. Mm Metropolitanmagazine n. 2
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Il bullismo nella storia dei
classici Disney D I E L I SA S CAG L I A
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ognatore, creativo, visionario, Walt Disney è spesso descritto in questo modo per la sua voglia di realizzare qualcosa di mai visto prima. Con lui prendono piede i lungometraggi d’animazione, partendo dal grande progetto di Biancaneve e i sette nani del 1937, la sua eredità continua ancora oggi. Sono ben 60 i Classici Disney realizzati e per ognuno il punto di partenza è sempre lo stesso: ideare un conflitto per sviluppare la storia. Partendo da protagonista contro antagonista, con aggiunta di spalle, magia e insegnamenti, abbiamo una buona collezione di esempi di bullismo nel corso della storia dei Classici Disney. Il bullismo esiste da tantissimo tempo e nelle forme più varie: dai bulli che credono di scherzare a quelli più meschini e calcolatori. Pensando ad un bullo ci viene in mente un personaggio arrogante, violento e negativo che spesso associamo all’antagonista. Da spettatori è subito chiaro l’aspetto negativo del personaggio nel ruolo del bullo, ma molto spesso gli altri personaggi all’interno della storia non se ne rendono conto. Tra i classici Disney abbiamo l’esempio de La carica dei 101 (1961) in cui la cattiva Crudelia De Mon si rivolge ai suoi tirapiedi Gaspare e Orazio con aggressività. In questo caso assistiamo al bullo che abusa della sua posizione di leadership. Un altro esempio lo abbiamo ne Le avventure di Ichabod e Mr Toad (1949) nell’episodio La leggenda della
valle addormentata. Infatti, il narratore presenta Brom Bones proprio come il bullo della città che, nonostante i suoi scherzi, è particolarmente amato in tutto il paese.
IL BULLISMO CONTRO IL DIVERSO
La diversità è uno tra gli elementi che più spesso fanno scattare episodi di bullismo. Sia che si tratti di una caratteristica fisica, sia che si tratti di una personalità fuori dal comune: il più piccolo dettaglio che rende diversi è il primo appiglio del bullo. Uno dei primi esempi di bullismo per una caratteristica fisica diversa lo vediamo in Dumbo (1941). Qui, l’elefantino viene deriso ed escluso per le sue orecchie più grandi del normale. Diventando fonte di risate per gli ospiti del circo e una vergogna per gli altri elefanti. La classica situazione di bullismo tra bambini la vediamo in Lilo & Stitch (2002), in cui Lilo viene esclusa e considerata strana dal resto del gruppo solamente a causa della sua personalità eccentrica. Tra le ragioni per cui il bullo agisce contro chi è diverso, può essere presente una gelosia di fondo. Il bullo potrebbe invidiare una caratteristica fisica o caratteriale della sua vittima e, geloso di non possederla, se la prende con il malcapitato. Un chiaro esempio nei Classici Disney lo abbiamo in Biancaneve e i sette nani
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(1937), infatti la regina vuole eliminare la protagonista solo perché è più bella di lei. Una situazione analoga la rivediamo anche in Cenerentola (1950), sempre trattata male dalle sorellastre, perché considerata inferiore. Abbiamo il culmine del loro comportamento da bulle quando le strappano il vestito prima di andare al ballo. Quando siamo di fronte a qualcosa di nuovo, le reazioni più comuni e opposte sono due: abituarsi e accettare oppure non concepire la novità. Quasi come se piegare le proprie abitudini fosse un costo esorbitante, il bullo si affeziona alle etichette. Zootropolis (2016) è un buon esempio che mostra come un’etichetta stia alla base di pregiudizi e bullismo. Nel film abbiamo chiara fin dall’inizio la distinzione tra gli animali che erano prede e quelli che erano predatori. Nonostante il progresso raccontato nel film, questa distinzione di base è la causa per cui i grandi sogni della coniglietta Judy di diventare poliziotta siano spesso derisi. Anche in Chicken Little (2005) sono presenti evidenti atteggiamenti di bullismo nei confronti del protagonista. Anche questo viene etichettato per un ingenuo errore fatto in passato che nessuno sembra disposto a dimenticare.
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IL BULLISMO PER TORNACONTO
Tra le altre motivazioni che sono alla base del bullismo può esserci un ragionato vantaggio da parte del bullo. Questo comportamento meschino mira ad aggirare la vittima inculcandole credenze errate in modo da imbrogliarla e sfavorirla. L’esempio più famoso è quello raccontato in Pinocchio (1940), in particolare quando i personaggi approfittano dell’ingenuità del burattino. Lo vediamo prima con il Gatto e la Volpe, che gli dicono di lasciar perdere la scuola e poi di nuovo con Mangiafuoco che finisce per metterlo in gabbia. Tra i bulli che agiscono per tornaconto ci sono quelli che pianificano per bene come imbrogliare la vittima. Con una tale meschinità si fingono alleati del malcapitato e fingono di agire nel loro interesse. Abbiamo un esempio ne Il gobbo di Notre Dame (1996) in cui Frollo fa credere a Quasimodo che, visto il suo aspetto, la cosa migliore sia nascondersi. Il protagonista passa quindi anni rinchiuso a Notre Dame,
convinto di essere un mostro. Una situazione analoga la vediamo anche in Rapunzel (2010) in cui Madre Gothel fa credere a Rapunzel che il mondo sia un posto spaventoso e che la cosa più sicura sia rimanere nella torre. Così, la ragazza, passa anni lontana da tutto, con la sola compagnia del falso affetto di Gothel. Parlando sempre di azioni e comportamenti determinati dall’egoismo, esistono situazioni in cui il bullo non si rende conto dei danni che sta facendo. Abbiamo un esempio ne Le follie dell’imperatore (2000), qui il protagonista giustifica le sue azioni credendo che, vista la sua posizione di comando, tutto sia lecito. Solamente trovandosi in una posizione sfavorevole, riuscirà a comprendere il punto di vista opposto. Un altro comportamento negativo inconsapevole lo abbiamo visto nel recentissimo Encanto (2021). Qui, la nonna della famiglia impone limitazioni spinta dalla necessità di autoconservazione, non accorgendosi della tensione che crea in famiglia.
L’ANTIDOTO AL BULLISMO PROPOSTO NEI CLASSICI DISNEY
Disney, oltre a mostrare le scene e i tipi di bullismo, utilizza anche approcci diversi a seconda della necessità. Nella maggior parte dei casi in cui il bullo coincide con l’antagonista, la storia si conclude facendogli fare una brutta fine. Garantendo così una sorta di finale felice destinato solo agli eroi, spiegando che il bullo, alla lunga, non rimarrà dalla parte dei favoriti. Nei lavori più recenti, il bullo si accorge delle conseguenze delle sue azioni e inizia un percorso di crescita personale sviscerando la causa e trovando la soluzione. In questo caso, quindi, tutti sono invitati a fare un’auto analisi sul proprio comportamento mettendosi nei panni degli altri. Nel caso di bullismo contro chi è diverso, Disney insegna che non si può piacere a tutti. Chi osa sognare in grande sa già che qualcuno storcerà il naso, ma, proprio come Walt Disney che all’inizio era considerato folle per i suoi progetti spropositati, bisogna proseguire senza farsi influenzare, scegliendo le persone giuste da avere al proprio fianco. Mm
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Cyberbullismo
La prepotenza del mondo virtuale D I R O S S E L L A PA PA
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uello che spaventa è la condizione stessa del rischio, che oggi comporta il sistema digitale contemporaneo, con cui pensiamo di esserci evoluti. E, in effetti, il digitale la vita ce l’ha migliorata. Rinnegare gli effetti benefici dell’avanguardia e degli sviluppi del settore tecnologico, o quale esso sia, non è la strategia per condannare quelli negativi. Lo stesso processo che si fa per il linguaggio: non è la parola da censurare, ma come noi la usiamo, in che contesto la scegliamo, con
quale tono la pronunciamo. In poche parole, qual è la nostra intenzione? Allo stesso modo, non è abolendo strumenti digitali che limiteremmo il cyberbullismo, ma è educandoci al loro utilizzo che eviteremmo il fenomeno. “Bullismo in internet” quando l’offesa avviene tramite la rete, configurati come una violazione del Codice civile e del Codice penale, oltre che della Legge sulla Privacy (196/2003). La prepotenza della violenza, con il digitale, è allo stesso modo reale. A decretarne la realtà sono le conseguenze del fenomeno
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in crescita, in particolare tra i più giovani. Il cyberbullismo trasferisce la violenza su un canale indiretto, ma che non soltanto non sminuisce il reato: lo amplifica, esattamente come fa il virtuale. Perché se c’è una cosa che è un grande vantaggio, quando è bene, e un grande rischio, quando è un male: è la viralità, la velocità, la facilità con cui si propaga un messaggio, un contenuto, una critica. E anche una violenza.
SE NELLA VIOLENZA, ANCHE IL VIRTUALE È REALE
A preoccupare non è soltanto l’ascesa del cyberbullismo ma la constatazione del suo sviluppo inversamente proporzionale all’entità di chi lo subisce: più sono giovani le vittime e maggiore è la ferocia. Secondo il Ministero della Salute, infatti, il fenomeno è denunciato maggiormente a 11 anni (10,1%) che non a 13 (8,5%) o a 15 (7%), indipendentemente dal genere. Rispetto al 2020, il fenomeno è aumentato del 40 percento e sembra spaventare più del bullismo. È la viralità del cyberbullismo a renderlo un problema sociale più complesso da combattere. È il suo spazio normativo che lo rende un reato agghiacciante. Ciò che virtuale è anche reale, in questi casi. Eppure, la rete è capace anche di superare la realtà: diventa infinita, ripetuta, marchiata,
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perseguitata. La diffusione capillare della rete auto-alimenta la violenza stessa, svilendo ogni vittima dal proprio controllo e dalla difesa. Come ci si può proteggere da un fiume che non sappiamo dove sfocia? Se da un lato la rete nasce anche per evitare l’isolamento sociale, il cyberbullismo sembra invece conseguirlo. L’appropriazione indebita della vita altrui, l’offesa e la violenza tramite la rete: c’è una legge che ci protegge? Valida la L.71/2017 (c.d. Legge Ferrara), entrata in vigore il 18 giugno 2017 con l’obiettivo di “contrastare il fenomeno del cyberbullismo in tutte le sue manifestazioni, con azioni a carattere preventivo e con una strategia di attenzione, tutela ed educazione nei confronti dei minori coinvolti, sia nella posizione di vittime sia in quella di responsabili di illeciti, assicurando l’attuazione degli interventi senza distinzione di età nell’ambito delle istituzioni scolastiche”. Perché, allora, il tavolo tecnico né il piano di contrasto, né il codice di co-regolamentazione e né il sistema di monitoraggio hanno ancora visto la luce? Più un fenomeno si dilaga velocemente più la protezione diventa non soltanto uno strumento di protezione ma la prima forma di contrasto alla violenza. Necessaria e urgente, mentre aspettiamo che molte battaglie trovano voce: e per non toglierla più a nessuno. Mm
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di episodi di cyberbullismo rispetto al 2020
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Decadenza morale E CYBERBULLISMO
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La nostra società assiste e partecipa ormai da anni all’uso indiscriminato del linguaggio dell’odio volta alla esibizione orgogliosa della cattiveria e al disprezzo nei confronti degli altri. Si vive in una realtà in cui è
persa la distinzione tra conoscenza e ignoranza e, allo stesso modo, è persa la misura e il peso della parola e del gesto. Il risultato è l’accrescere di sentimenti come l’indifferenza; le parole perdono la loro importanza, sono scollegate dal concetto di responsabilità e si tingono di cinismo.
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CHE COS’È IL CYBERBULLISMO?
Il termine bullismo deriva dall’inglese bullying, termine usato per indicare tutta quella serie di comportamenti caratterizzati da intenti violenti e persecutori tenuti da soggetti nei confronti di altri. Cyber indica la realtà virtuale in cui siamo immersi quotidianamente e che ha conosciuto maggiore sviluppo negli ultimi 20 anni. Il cyberbullo sfoga la sua rabbia e il bisogno di dominio sugli altri attraverso piattaforme digitali. I ricercatori hanno iniziato a interrogarsi sulle motivazioni che sostengono determinati atteggiamenti discriminatori. Si è scoperto che l’anonimato e l’effetto di disinibizione giocano un ruolo molto importante. La non identificabilità, infatti, contribuisce in modo significativo alla disinibizione tossica: le informazioni più personali come la professione, il genere o l’etnia possono rimanere oscurati.
IL RUOLO DEI SOCIAL NETWORK
Il web ha connesso in modo telematico tutto il mondo. Le informazioni sono alla portata di tutti e velocemente raggiungono chiunque ovunque si trovi. Ora possiamo chattare online con una
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persona della Cina o dell’America e conoscere nuove abitudini o punti di vista. I social network hanno arricchito significativamente la nostra esistenza... ma non sono una realtà perfetta! Infatti è bene conoscerne i rischi, per capire come evitarli e sfruttare così il positivo della digitalizzazione. I social network si impegnano a migliorare le app con aggiornamenti che tutelino tutti limitando la spazio di azione dei bulli. Per esempio, Instagram ha sviluppato una Intelligenza Artificiale per rilevare atteggiamenti di cyberbullismo e chiedere all’autore se è davvero sicuro di voler pubblicare il commento così come è scritto. Questo si potrebbe definire come un “incentivo a riflettere” su quello che si sta facendo. Un’altro sistema di difesa presente in Instagram si chiama Restrict. Questa funzione offre la possibilità all’utente che si sente leso di limitare la visibilità dei commenti in questione e di aumentare le restrizioni nei confronti del bullo. In questo modo si permette alla vittima di cyberbullismo di privare almeno in parte il bullo di un pubblico che lo osserva e da cui si potrebbe sentire incentivato. I Social Network non vanno evitati, vanno evitati i bulli e gli atteggiamenti violenti. Mm
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Di Karate Kid Cobra Kai e il bullismo DI ELEONORA CHIONNI
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ays of Wonder, uno degli studi di Asmodee e casa editrice del fortunato gioco da tavolo Ticket to Ride, e Breast Cancer Research Foundation (BCRF) annunciano in anteprima mondiale la loro partnership, con un’operazione inedita nell’industria del gioco da tavolo: l’uscita di un esclusivo set di vagoni a tema con il classico colore rosa associato da tempo alla causa del tumore al seno.
Ciò che mancava nella storia narrata in Karate Kid è quel caos che regna nella nostra vita. Nella realtà non esistono buoni e cattivi, non esistono eroi e bulli. Esistono persone che vengono spinte da una parte o dall’altra, e che a volte si ritrovano ad essere sia vittime di alcuni che carnefici di altri. Cobra Kai esplora questo aspetto che, seppur a volte sopra le righe, rende bene sullo schermo il vento di azioni, reazioni e scelte in cui ognuno di noi deve navigare.
Era il 1984 quando John G. Avildsen ci regalò un film che presto sarebbe diventato un cult del cinema pop. Karate Kid – Per vincere domani non solo riaccese l’interesse del pubblico per i film sulle arti marziali, che negli anni ‘70 avevano visto un boom grazie a Bruce Lee, ma portò sullo schermo, in modo più o meno diretto, lo scottante tema del bullismo.
IL DUALISMO IN COBRA KAI
IL BULLISMO SOFT DI KARATE KID
Karate Kid presenta la tipica struttura dicotomica tra buoni e cattivi, sottolineata dalla presenza di un protagonista positivo, Daniel, e di un antagonista bullo, Johnny. Tramite questa storia, il maestro Miyagi ci ha insegnato che per vincere domani si deve mettere la cera e togliere la cera oggi. Che i bulli perdono e che l’happy ending arriva per chi se lo merita. Una bella lezione di vita, ma purtroppo è una lezione lasciata a metà. E a risolvere il problema ecco che arriva, una trentina di anni dopo, Cobra Kai.
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Tutti i personaggi che incontriamo in Cobra Kai hanno un dualismo intrinseco che, a seconda di come vengono influenzati, li fa risultare agli occhi degli spettatori come eroi o come bulli. E spesso quando cambia l’influenza cambia anche la percezione del personaggio. Daniel LaRusso stesso, eroe indiscusso dei primi tre film, è qui ritratto come una persona con un lato oscuro che a volte ci fa mettere in discussione la sua completa positività nei film. Mentre ritroviamo il bullo Johnny Lawrence e lo scopriamo a sua volta vittima di forme di bullismo più complesse e strutturate. L’esempio forse più evidente di questo dualismo è Eli Moscowitz. Nelle prime puntate della prima stagione ci viene presentato come un ragazzo insicuro, tormentato dai suoi compagni a causa della sua deformazione al labbro (labbro leporino), una vittima. E quando Miguel lo convince a partecipare ad una lezione
di prova nel nuovo dojo Cobra Kai del sensei Lawrence si ritrova ad essere vessato anche da lui. Eli esce dal dojo quasi in lacrime, per poi ripresentarsi alla lezione successiva con un taglio mohawk blu, il tatuaggio di un falco sulla schiena ed improvvisamente sicuro di sé.
COLPISCI FORTE, COLPISCI PER PRIMO, NESSUNA PIETÀ
Eli mette in pratica una lezione di Johnny: colpisce per primo, capovolge la sceneggiatura della sua storia. Sceglie di concentrare l’attenzione degli altri su particolari che lo fanno sentire sicuro di sé, e in questo modo il suo labbro perde importanza anche agli occhi dei bulli. Accecato dalle ingiustizie che ha subito per anni, e influenzato poi negativamente da altri personaggi, Eli arriva però quasi a rinnegare il suo nome facendosi chiamare Falco e lentamente a trasformarsi lui stesso in un bullo. Il motto del dojo Cobra Kai, “colpisci forte, colpisci per primo, nessuna pietà” è un insegnamento cruento che se messo in pratica in modo corretto può parzialmente aiutare, ma che deve essere contestualizzato e non seguito alla lettera. Qui diventa chiaro come non solo il messaggio sia importante, ma di come sia fondamentale la figura del messaggero, o meglio in questo caso del maestro. Uno stesso concetto espresso e spiegato da due persone diverse può portare ad influenze e risultati completamente opposti.
DI BULLISMO, CYBERBULLISMO E BODY SHAMING
Cobra Kai vuole portare alla luce tutte le forme di bullismo attraverso le storie dei personaggi. C’è chi, come Johnny Lawrence, è stato maltrattato dal padre adottivo. Chi come Miguel e Demetri subisce il classico bullismo fatto di spintoni, prese in giro e zaini buttati nel cesto dell’immondizia. Eli e Aisha vengono vessati per il loro fisico, uno a causa di una deformazione congenita e l’altra perché vista dalle compagne come grassa. Sam si ritrova a dover affrontare catene di cyberbullismo sui social in seguito ad una falsa voce messa in giro dall’exragazzo. Sempre con lei si sfiora anche la differenza di trattamento e percezione tra femmine e maschi, “è diverso per una ragazza. Anche se vinci non pensano che tu sia tosta, ti credono pazza”. Restando sul tema ci si spinge fino ad un accenno di molestie sessuali con una Tory costretta a dover prendere in considerazione una certa proposta del proprietario di casa quando non riesce a pagare l’affitto in tempo. Addirittura John Kreese ha un background che spiega il suo modo di pensare e agire. Ogni personaggio naviga nel buio confine tra vittima e carnefice, impersonando l’uno e l’altro in base alle proprie scelte. Se Karate Kid ci ha insegnato che tutti possiamo diventare campioni della nostra storia, Cobra Kai sta cercando di insegnarci come farlo nel modo moralmente corretto. Mm
Metropolitanmagazine n. 2
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