Messaggero 2013-24 Ott-Dic

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Domande a don Sandro Vitalini 1. Perché l’uomo comune quando sente parlare di Chiesa pensa immediatamente alla gerarchia? Nel linguaggio classico da secoli per “Chiesa” si è intesa la “gerarchia”, l’autorità. Come in un regno esiste una piramide (re, ministri, sudditi) così si è immaginato che anche per la Chiesa ci sarebbe stata analoga struttura: c’è chi comanda e c’è chi obbedisce. Anche se il Cristo ha cercato di far capire in tutti i modi (si pensi alla lavanda dei piedi in Giovanni 13) che lui e i dodici erano i servi di tutti, pronti a dare anche la vita per il gregge, con l’età costantiniana questo non lo si è più capito e la “gerarchia” della Chiesa ha imitato quella politica, creando una monarchia assoluta con alla testa il re-papa. Bonifacio VIII ha messo in capo al papa tre corone (triregno) per affermare il suo potere assoluto, che trascendeva tutti gli altri. Solo Paolo VI ha definitivamente abbandonato la tiara. La Chiesa è famiglia e chi la serve (vescovi, presbiteri, diaconi) è chiamato a dare la vita per i fratelli. Il termine “gerarchia” va abolito e sostituito con quello di “gerodulia”, di servizio sacro. Con Papa Francesco abbiamo oggi un recupero di questo valore, anche se andrà approfondito ancora di molto. Non dimentichiamo la parola di Gesù: “Voi siete tutti fratelli” (Matteo 23, 8). I paludamenti regali, le gemme e gli ori fanno a pugni con l’insegnamento incarnato di colui che per trono ha una croce. 2. Nella prima parte della Gaudium et Spes si parla della vocazione dell’uomo d’oggi: quali sono secondo lei gli interventi che la Chiesa dovrebbe fare per salvaguardare maggiormente la dignità umana? Un segno che indica che la Chiesa risponde alla sua vocazione è la sua persecuzione. Siamo chiamati a denunciare tutte le forme di corruzione, di asservimento, di schiavitù che opprimono l’uomo. Il Vangelo (si pensi a Luca 4) è annuncio di liberazione nel senso più globale della parola. Ispirandosi al Vangelo, la Chiesa mira a fare di ogni popolo una sola famiglia. Cadono le frontiere, le differenziazioni sociali, ci si riconosce di fatto fratelli. Il modello della Confederazione svizzera può servire per ispirare la costituzione di un’unica confederazione di stati. Gli eserciti scompaiono, sostituiti da una polizia internazionale, cresce l’equità sociale, spariscono i paradisi fiscali. Il pensiero evangelico, se lo vogliamo connotare politicamente, si pone all’estrema sinistra, mentre ancor oggi il cristiano è

visto piuttosto come uomo di destra, come un conservatore, quando il Signore è il primo e il più radicale dei rivoluzionari. Il lievito cristiano deve far fermentare tutta la massa umana e portarla non solo alla condivisione ideale, indicata dalla mitica manna (uguaglianza assoluta davanti a Dio), ma anche a quella applicata dalla comunità primitiva dove tutti i cristiani si consideravano di fatto fratelli e mettevano tutto in comune (Atti 2, 44). Anche se l’ideale ci sembra lontanissimo, dobbiamo almeno muoverci in questa linea. La Chiesa del Concilio, di Papa Francesco, deve tornare ad essere sale e lievito per tutta l’umanità. 3. Nella seconda parte del documento si parla del matrimonio e della famiglia, ma dopo il Concilio assistiamo ad un aumento dei divorzi: cosa dovrebbe fare la Chiesa per arginare questa piaga? L’ideale propugnato per la famiglia dal Nuovo Testamento e del Vaticano II è oggi ripudiato? Non credo. Noi, minoranza cristiana in una società pagana, riviviamo il clima delle comunità primitive. La famiglia cristiana si è proposta ad un mondo largamente corrotto e non pochi uomini di buona volontà si sono fatti battezzare. È essenziale che anche un modesto numero di coppie viva l’ideale evangelico nella sua affascinante bellezza. Non opponiamo a comportamen-


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