Voceaigiovani

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sabato 8 giugno 2013

Narrativa È giusto che un amministratore pubblico sia di assoluta fede circa il rispetto dell'etica sociale e politica di Giuseppe Aprile

La corriera non faceva mai tardi... 247

È giusto che un amministratore pubblico sia di assoluta fede circa il rispetto dell’etica sociale e politica. Nel dubbio deve dimettersi; almeno in attesa di un infallibile giudizio. Cugino Pasquale diceva: «Una volta si aveva paura nell’amministrare la cosa pubblica, il denaro dei cittadini. Si poteva anche sbagliare qualche volta, ma quando uno sbagliava piangeva e si disperava per l’errore. Oggi sbagliano tutti e sempre. Vanno al comune o alla regione proprio con lo scopo di fregare il prossimo. Oggi si vuole diventare amministratori proprio per rubare e imbrogliare gli elettori. Non c’è più ritegno, sono rari i giusti e gli onesti. Come si sono capovolte le cose con questa politica d’oggi! Come siamo diventati?»

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Come maturavano i chicchi di uva alla pergola dell’orto, Franco se li mangiava. Lo zio Vincenzo sbottava sempre. «Non lascia niente questo mangione» diceva. «Per provare l’uva bella matura, dobbiamo chiudere il cancello dell’orto e non fare entrare nessuno» sentenziava.

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La corriera non faceva mai ritardo. Una volta vicina al paese, suonava insistentemente. Per Peppe era un calvario sentirla. Voleva continuare a dormire. Il dovere lo chiamava e, con grande sforzo, si alzava e si preparava a partire. Teneva per molto, ancora, gli occhi chiusi dal sonno.

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Andava a scuola, ogni mattina, con la bicicletta. Sulla strada in terra battuta, quando era piccolo e non c’erano le strade bitumate, soprattutto nella discesa che portava alla marina, andava come il vento. Nei tre chilometri di fortissima discesa, con tre curve pericolosissime e altre due di media entità, premeva i freni due sole volte. Per tutta la vita lo ricorda agli amici. Per vanto.

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A volte andavamo fino alla stazione, alla marina, con la bicicletta, poi proseguivamo prendendo la littorina. Da Locri a S.Ilario era meglio andare con la littorina. Era comoda anche per la coincidenza di orari, facevamo meno fatica che se andassimo in bici. Tra S.Ilario e Locri c’erano otto chilometri di strada. Meglio farne solo metà con la bici -S.Ilario Superiore-S.Ilario marina- e il resto in treno, anche perché la parte tra la stazione di S.Ilario marina e quella di Locri era sempre trafficata e correvano a velocità pericolosa le auto che transitavano sulla nazionale. Si trattava, per noi, sia di fare meno sforzi, sia di guardarci dal pericolo della strada nazionale, un nastro di asfalto non molto largo da lasciarci tranquilli. Erano così più contente le nostre madri che ci raccomandavano di lasciare le biciclette da don Filippo, un amico bottegaio della marina che possedeva un ampio orto come retrobottega, posto proprio appena ci immettevamo sulla nazionale dove non stavamo più al sicuro dal traffico. Lì, da don Filippo, stavano al sicuro, nessuno ce le poteva rubare. E loro, le nostre mamme, ma anche i nostri padri che, per quanto più coraggiosi, erano sempre in ansia per la nostra incolumità, stavano più tranquille.

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Non dimentico mai la fermata che facevo, tornando dalla scuola di Locri, per mangiare le nespole a Cardesi o le more e le arance al

Cugino Pasquale diceva: «Una volta si aveva paura nell’amministrare la cosa pubblica, il denaro dei cittadini Si poteva anche sbagliare qualche volta, ma quando uno sbagliava piangeva e si disperava»

Bollo. Tardavo, pertanto, l’arrivo a casa per una o due ore, ma i miei sapevano di questo mio piacere e non temevano alcunché. Anzi, quando qualcuno domandava quando sarei tornato dalla scuola, dicevano «a seconda se si ferma per la strada a mangiare frutta o per godersi, comunque, la campagna».

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M’incamminai in direzione di quella specie di spuntone di roccia, da dove mi sarebbe apparso tutto il caseggiato di Portigliola con il campanile della sua chiesetta gialla. Erano due le chiesette che ci apparivano, dentro il centro del paese. Una rossa e una gialla. Da grande, non sono mai entrato in quelle chiesette. Le ricordo sempre viste da quel posto, alla stessa stregua. Solita immagine! Non erano altro che quello che da lì apparivano. Il resto non mi ha mai interessato. Luogo di culto? Mbu!...Solo case più grandi, in evidenza per la larghezza delle pareti, del paese ! I campanili indicavano che si trattava chiese.

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Ho sentito guaire due levrieri nel campo di avena alta. Pensavo pure alle serpi che sarebbero potute sgusciare verso di me. Mi allontanai per sicurezza. Aspettai mio padre che nell’intanto aveva sistemato il cavallo e si sarebbe messo al lavoro, non lontano da me. Molti uccelli svolazzavano nella vallata dominata dalla timpa rossa. Erano quelli che mangiavano i fichi, a volte senza lasciarne tanti.

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Quando è morta mia nonna, mia madre piangeva che si sentiva dalla piazza vicina. Io non riuscivo a sentirla e stavo lontano assai. Ero piccolo, non partecipavo al lutto. I ragazzini venivamo lasciati fuori dal lutto, quando moriva uno della famiglia. Proprio per non farci prendere dal dolore e vedere quello spettacolo di pianti e disperazioni, tra una miriade di donne vestite in nero! Da grandi non avremmo dovuto ricordare quello strazio.


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