Antonio Moresco Piccola fiaba

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Il Quaderno quadrone di Antonio Moresco con illustrazioni di Gianluca Folì Introduzione di Sandra Petrignani

piccola fiaba un po’ da ridere e un po’ da piangere



Il Quaderno quadrone di Antonio Moresco con illustrazioni di Gianluca Folì Introduzione di Sandra Petrignani

piccola fiaba un po’ da ridere e un po’ da piangere


sulla scala di luce che porta alla luna Ho letto questa favola con grande divertimento. Ma poi l’ho detto all’autore e ho visto i suoi occhi spalancarsi dentro gli occhiali: «Come sarebbe? È una fiaba dolorosa!» Un po’ dolorosa e un po’ allegra. Non lo dice anche il titolo? Non sono sempre un pochino così le fiabe? Da piccola mi mettevo a piangere quando il cacciatore, per risparmiare Biancaneve, uccideva un cinghiale cui strappava fegato e polmoni da portare alla matrigna per dimostrare che davvero Biancaneve era morta. Non potevano i fratelli Grimm risparmiare il cinghiale? E che fa la Matrigna? Imbandisce un rito cannibalico mangiando soddisfatta quelle interiora che crede essere della figliastra. Sì, le fiabe sono crudeli. Le fiabe fingono soluzioni consolatorie (… e vissero felici e contenti…) e intanto dicono verità tremende sui rapporti umani: sulle relazioni fra madre e figlia, per esempio. O su quelle fra compagni di scuola che si fanno del male innamorandosi sempre dell’amico sbagliato, quello che intanto si è innamorato di qualcun altro, come ci racconta in questa storia Antonio Moresco. E allora perché ho riso e sorriso tanto, leggendo? Perché questa è anche una favola moderna con molto senso dell’umorismo. È una di quelle favole in cui l’autore assume una logica infantile e quindi ribalda, così ribalda da capovolgere gli accadimenti, la loro interpretazione, il loro equilibrio verticale, così ribalda da rimescolare le parole, le personalità. Ve l’aspettavate da una bidella, una grigia bidella qualunque, che si offendesse a morte perché i bambini la chiamano Budella? E che fosse, sotto sotto, una strega? Anche un

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po’ fata però. Basta cambiarsi la parrucca e il gioco è fatto. Basta un elenco di nomi, e via con la magia. Magia della scrittura in questo caso, perché se chiami una bambina Merdolina e un bambino Cacarello, se evochi calzini maleodoranti e scarpe che sanno di formaggino e puzze e puzzette di varia intensità, ecco che per incantesimo entri di colpo nel mondo infantile. Cioè: ci rientri, perché tutti ci siamo già stati un po’ di tempo fa, anche noi adulti. Moresco lo sa e col linguaggio ci sa fare, è maestro di capitomboli verbali, non teme le parole cariche di “schifezze”, quelle che subito fanno ridere i bambini e arrossire i grandi. Eppure, eppure, spunta una lacrima. Sonnambulino è triste, si sente tradito e solo. È l’unico a non tradire il suo sogno. Accidenti, come si fa? Via, tutti sulla scala di luce che porta alla luna! Non vorrete mica lasciarlo solo davvero, nevvero? Sandra Petrignani

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piccola fiaba un po’ da ridere e un po’ da piangere

C’

era una volta una scuola dove i bambini erano diventati tristi.

«Perché erano diventati tristi?»

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Perché, da quando il mangiare non veniva più cucinato dalla cuoca bidella nel suo pentolone ma arrivava già pronto nei contenitori, non trovavano più i soliti scarafaggi nella minestra, e neppure i soliti capelli nel purè, i soliti capperi del naso nella pizza, i calli nella frittata, le unghie del ditone del piede della bidella nella pastasciutta... «Che vita è questa?» si dicevano «Senza più quegli scarafaggi da scambiare con le figurine, senza più quelle unghie con lo smalto rosso coi brillantini da scambiare con le merendine. Non ci sono più sorprese, non possiamo più fare la gara a chi trova più capelli nel purè, oppure più calli nella frittata, oppure più unghie nella pastasciutta…» I bambini di una delle classi di questa scuola, in particolare, non si davano pace da quando non trovavano più le solite schifezze nel mangiare, e anzi protestavano con la bidella quando portava i piatti in tavola. «Noi cerchiamo, cerchiamo ma non troviamo più gli scarafaggi nella minestra!» le gridavano per farsi sentire nel baccano che c’è sempre nelle mense delle scuole. «Perché non c’è più nel menù la frittata di calli?» «Perché non c’è più la pizza con i capperi del naso?»


Qualcuno la prendeva anche in giro e la offendeva, la chiamava Budella invece che Bidella. Finché un giorno la bidella perse la pazienza. «Ah, sì, mi chiamano Budella?» si disse «Gliela farò vedere io a quegli stronzetti!» Dovete sapere – ma se non volete saperlo non importa – che questa bidella era anche una strega. A dire tutta la verità era anche una fata, era un po’ una strega e un po’ una fata. Certe volte aveva voglia di essere una strega, certe volte di essere una fata. E certe volte era una strega che sembrava una fata, altre volte era una fata che sembrava una strega. «E allora io gli farò una maledizione!» si disse questa strega (o questa fata) «Gli procurerò la più grande disgrazia che può capitare al mondo: li farò innamorare! Li farò innamorare come succede ai grandi, anche se sono ancora piccoli. E non una sola volta, ma tante volte. Li farò innamorare del primo bambino e persino della prima cosa che incontreranno. Li renderò volubili, incostanti. Tra di loro non ci sarà più amicizia. Non potranno più fidarsi gli uni degli altri. Li farò soffrire. Come quando un bambino sale sulla giostra e guarda giù dall’elefantino o dall’aeroplanino e vede in basso gli altri bambini che aspettano il loro turno per salire e si dice: ‘Ah, come sono contento di stare qui in alto! Che gioia!’ E poi invece suona la campanella e deve subito scendere, e al suo posto sale un altro bambino che quando la giostra riprende a girare guarda in basso tutto contento e si dice anche lui: ‘Ah, com’è bello stare qui in alto!’. Poi però deve scendere perché suona di nuovo la campanella… E la campanella la farò suonare sempre più in fretta, sempre più in fretta, più in fretta, più in fretta, non faranno in tempo a salire che dovranno già scendere, e così per sempre, per sempre, finché diventeranno troppo vecchi per salire con le sedie a rotelle sugli elefantini e sugli aeroplanini.» La Bidella Budella frugò con la mano in una pentola dove teneva le sue parrucche (perché era rimasta pelata da quando era inciampata ed

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era finita a testa in giù in un paiolo pieno di polenta rovente), pescò la parrucca da strega e se la ficcò in testa al posto di quella da bidella. Poi tirò fuori dalla tasca sinistra del grembiule dei grani magici e cominciò a macinarli con il macinino del caffè, finché diventarono una polverina magica. E allora, con due dita, sparse questa polverina sui piatti di purè già pronti da portare in tavola. Ne metteva un po’ sopra ogni piatto e intanto bisbigliava questa formula magica: STRONZETTI STRONZETTI BECCATEVI QUESTI CONFETTI! Poi la Bidella Budella portò in tavola i piatti. I bambini cominciarono a mangiare il purè… E… E a questo punto successe una cosa incredibile: ogni bambina e bambino si innamorò immediatamente di quello seduto di fronte…

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Ma adesso devo per forza dirvi i nomi dei bambini di quella classe, se no non si può andare avanti con il racconto. Allora, cominciamo: Ciambella (perché era bella tonda come una ciambella) Bomboletta (perché girava sempre con una bomboletta di panna montata e ogni tanto se ne schizzava un po’ in bocca) Dolce (perché le piacevano le merendine dolci) Salato (perché gli piacevano le merendine salate) Mortadella (perché andava matto per la mortadella) Pappamolla (perché per tirarlo su ci voleva la gru) Papilla (perché… e che ne so!) Bretella (perché portava le bretelle di elastico e tutti gliele tiravano durante la ricreazione) Fatina (perché veniva dall’India e sembrava una fatina) Sceicco (perché veniva da un paese arabo e sembrava uno sceicco,




anche se in classe non portava il turbante) Prut (avrete già capito il perché…) Formaggino (perché aveva tutti e due i piedini un po’ formaggini) Trecciolina (perché veniva dall’Africa e aveva le treccioline) Mozzarella (perché era pallida e bianca come una mozzarella) Cacarello e Cacarella (perché erano due fratelli un po’ cacarelli) Merdolino e Merdolina (perché erano due gemelli un po’ merdolini) Snif (perché gli puzzavano le orecchie) Snaf (perché gli puzzavano gli occhi) «Eh… gli puzzavano gli occhi? Ma com’è possibile? E poi come si fa a capire se a uno gli puzzano gli occhi?» «Semplice. Quando li chiude, la puzza non si sente più. Li riapre, e la puzza si sente ancora.» Ma andiamo avanti… Formaggino destro (perché gli puzzava solo il piedino destro) Formaggino sinistro (perché le puzzava solo il piedino sinistro) Snif Snif (perché gli puzzava l’orecchio destro) Snaf Snaf (perché le puzzava l’orecchio sinistro) Snif Snaf (perché gli puzzava il naso destro) Snaf Snif (perché le puzzava il naso sinistro) Però adesso basta con queste sciocchezze! Andiamo avanti… Insomma è successo che, non appena i bambini si misero in bocca le prime forchettate di quel purè magico, ecco che cominciarono subito a guardare con occhi da pesce lesso il bambino o la bambina seduti di fronte. Si facevano dei sorrisi, sospiravano. «Che cos’hai?» chiedeva il bambino o la bambina di fronte. «Mah… non lo so. Non mi ero mai sentito così, non mi era mai successo prima…»

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E allora, tanto per cominciare, Formaggino destro si innamorò di Ciambella, Formaggino sinistro di Mortadella, Merdolina di Cacarello, Merdolino di Cacarella, Mozzarella di Snif, Bomboletta di Trecciolina, Snif Snif di Dolce, Snaf Snaf di Salato, Prut di Fatina… E se, durante il pranzo, i bambini si scambiavano di posto, ecco che allora Formaggino sinistro si innamorava di Bretella, e Ciambella di Cacarello, Sceicco di Dolce, Pappamolla di Fatina, Papilla di Salato, Snaf Snif di Prut, Bomboletta di Snif invece che di Snaf, Merdolino di Mortadella invece che di Cacarella, eccetera eccetera… E anche quando tornarono in classe, e poi anche i giorni dopo, continuavano a farsi gli occhi dolci e a sospirare. Innamoramenti continui, lacrime, gelosie, se nel frattempo qualcuno o qualcuna si innamorava di un bambino o di una bambina diversa, se una bambina o un bambino amati fino a un momento prima si innamorava di un’altra o di un altro solo perché era passato vicino... La maestra di quella classe era disperata perché questa storia incredibile andava avanti da giorni e nessuno ascoltava la lezione e lei non riusciva più a svolgere il programma. «Come si chiamava quella maestra?» «Slurp Slurp.» «Perché si chiamava Slurp Slurp?» «Adesso lo capirete.»

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Dovete sapere – ma se non volete saperlo fa lo stesso – che questa maestra si chiamava così perché aveva una lingua molto lunga, così lunga che riusciva a grattarsi con la sua punta rossa anche un sopracciglio o un orecchio, se le faceva prurito. Così lunga che, se la tirava fuori proprio tutta, arrivava fino in fondo alla classe. E se uno dei bambini era incantato e non seguiva la lezione, gliela spennellava sulla faccia o sopra le orecchie oppure sul naso per disincantarlo. E certe


volte, quando era molto arrabbiata per via di tutta quella giostra di innamoramenti e di occhi dolci e di gemiti e di sospiri e di lacrime che le impedivano di svolgere la lezione, la tirava fuori così tanto e la faceva girare così tante volte qua e là per richiamare i bambini che stavano negli ultimi banchi che la lingua si attorcigliava e si annodava, e poi lei non riusciva più a sciogliere il nodo e a rimetterla dentro la bocca. Allora i bambini si riprendevano per qualche istante dal loro incantamento e si offrivano di aiutarla a sciogliere il nodo. «Io! Io!» gridavano da vari punti della classe «Io sono bravo, io sono brava a sciogliere i nodi!» E allora andavano vicino alla cattedra e, con le loro manine, con molta pazienza, a poco a poco, riuscivano a sciogliere il nodo. Così tra l’altro, per alcuni istanti, si distraevano e dimenticavano le loro pene d’amore… Alla fine la maestra riusciva a rimettersi la lingua in bocca, spingendola dentro con tutte e due le mani per farcela stare tutta. Ma, quando rialzava gli occhi sulla classe, i bambini erano di nuovo incantati. E capitava anche che uno stesso bambino si innamorasse di due o tre bambini diversi contemporaneamente, a seconda di chi si vedeva davanti, e che, per esempio, Merdolino si innamorasse di Mozzarella, che però nel frattempo non lo amava più perché si era innamorata di Mortadella e di Formaggino, il quale a sua volta non amava più Mozzarella perché si era innamorato di Cacarella e di Formaggino sinistro, la quale però nel frattempo si era innamorata di Sceicco e anche di Cacarello, il quale a sua volta si era innamorato di Trecciolina, che però amava Prut, eccetera eccetera… E così, oltre a tutto il resto, dovevano anche soffrire di gelosia. Per non parlare di quando i bambini cominciarono a innamorarsi anche di altre cose che incontravano nelle loro case oppure a scuola. 12


Per esempio: una padella uno scolapasta un calzino puzzolente e bucato una ciabatta scalcagnata una gruccia per appendere i vestiti un ombrello con le stecche fuori un innaffiatoio una supposta una scarpa da ginnastica un po’ formaggina una cravatta verde a pallini bianchi una cravatta bianca a pallini verdi una gomma per cancellare rosicchiata una penna biro rosicchiata uno spazzolino da denti rosicchiato una scarpa da ginnastica rosicchiata un osso di gomma del cane rosicchiato un fazzoletto sporco di moccio che scricchiolava quando lo aprivi un rotolo di carta igienica (perché al cuore non si comanda) uno scopino del gabinetto (perché quando ti innamori della prima cosa che incontri quello che capita capita) un foruncolo giallo un foruncolo rosso… «Perché uno giallo e uno rosso?» «Uno è giallo perché non è stato ancora schiacciato, l’altro è rosso perché è già stato schiacciato.»

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E l’innamoramento era così forte che qualche bambina o bambino non ce la faceva a staccarsi dall’oggetto del suo amore, e così andavano anche a scuola e giravano per i corridoi e anche in classe tenendo abbracciati una padella, una gruccia per appendere i vestiti, una




ciabatta scalcagnata, una scarpa da ginnastica un po’ formaggina, uno scopino del gabinetto, un fazzoletto sporco di moccio… E intanto altri bambini soffrivano perché uno, per esempio, era ancora innamorato di Fatina mentre lei si era intanto innamorata di uno scolapasta, oppure di Ciambella, mentre lei si era intanto innamorata della supposta (e non faceva che piangere perché a poco a poco la supposta le si stava sciogliendo tra le dita), oppure perché un altro era ancora innamorato di Papilla mentre lei si era nel frattempo innamorata di un innaffiatoio, e poi dello scopino del gabinetto, o al contrario era Bomboletta, oppure Mortadella, oppure Bretella che si erano innamorati di scarpe da ginnastica un po’ formaggine, spazzolini da denti rosicchiati, ossi di gomma rosicchiati, e allora non corrispondevano più l’amore di Formaggino sinistro, Merdolina oppure Mozzarella, che a loro volta stavano facendo soffrire Bomboletta oppure Pappamolla oppure Merdolino oppure Formaggino o Sceicco perché le bambine amate non riuscivano a decidersi e a scegliere tra chi amavano di più, come Ciambella che non sapeva decidersi tra Formaggino e la padella e lo scopino del gabinetto, o non sapeva scegliere tra la cravatta verde a pallini bianchi e quella bianca a pallini verdi, oppure tra il foruncolo giallo e quello rosso… E poteva anche capitare che in due si innamorassero dello stesso calzino puzzolente e bucato e questo li faceva soffrire per l’amore non corrisposto e la gelosia. Insomma, tutta la mensa e i corridoi e la classe risuonavano di sospiri, singhiozzi, dichiarazioni d’amore, quando un bambino o una bambina voleva conquistare l’oggetto del suo amore oppure cercava di trattenerlo e di non farlo andare via verso un nuovo amore. Adesso vi faccio qualche esempio di queste dichiarazioni. Solo tre o quattro perché sarebbe una barba dirvele tutte. DICHIARAZIONE D’AMORE DI MERDOLINA ALLA SUA SUPPOSTINA Oh, suppostina, suppostina bella, mi sono innamorata di te e non di

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