Lo spazio. Tra metafora, fisicità e disseminazione 51
ed evenemenziale, dunque mobile e comunicante. Non è un modo per designare positivamente la singolarità individuale, piuttosto per specificare come, rispetto agli individui formati e distinti, essa designi la singolarità preindividuale e individuante, che non cessa di comunicare con le altre32. Dunque il CsO, «affettivo, intensivo, anarchico che comporta solo zone, poli, soglie»33, è il luogo della radicale immanenza, che sfugge alle striature organizzative del potere molare, per designare uno spazio dai bordi fluidi e mai determinati, aperto all’esterno e alla contingente evenienza che li può far interagire. Il motore della sua infinita mobilità, del suo incessante divenire è la sua straripante affettività desiderante. Il desiderio, nel discorso deleuziano, non ha nulla di psicoanalitico, né è concepito in termini di mancanza, piuttosto i suoi flussi esprimono una riserva di produttività sempre pronta a generare nuove connessioni, a rivoluzionare l’esistente in nome di un corpo ancora da fare e sempre a venire. Il desiderio non è la rappresentazione sfocata delle passioni, bensì è potenza ontologica, un modo dell’essere in movimento, indiscernibile dai corpi intesi come spazi divenienti, composti intensivi e metamorfici di forze. È chiara qui la distanza da Foucault che, pur considerando il corpo un luogo di resistenza al potere, tuttavia lo vede anche come ciò che è ad esso assoggettato. È Herkunft, è campo di iscrizioni socioculturali: il corpo è reso docile e asseconda le pratiche discorsive che lo oggettivizzano. È questa una delle ragioni per le quali egli non affronta mai esplicitamente il tema del desiderio, preferendogli il concetto di piacere o quello di sessualità – intesa come dispositivo che piega la sessualità sul sesso – e difficilmente considererebbe «il potere un’affezione del desiderio»34, poiché Cfr. F. Zourabichvili, Deleuze. Une philosophie de l’événement, PUF, Paris 1994; trad. it. Deleuze. Una filosofia dell’evento, Ombre Corte, Verona 1998. 33 G. Deleuze, Critique et clinique, Éditions de Minuit, Paris 1993; trad. it. Critica e clinica, Raffaello Cortina, Milano 1996, p. 171. 34 Cfr. G. Deleuze, Desiderio e piacere, con presentazione di F. Ewald, originariamente apparso in «Futuro anteriore», vol. I, 1995, pp. 23-34, ora in G. Deleuze, Divenire molteplice. Nietzsche, Foucault ed altri intercessori, Ombre Corte, Verona 1999, pp. 74-87. È interessante notare come Guattari affermi: «Quando Foucault parla di desiderio […] lo fa in un’accezione molto più ristretta di quella che Gilles Deleuze ed io abbiamo assegnato a questo termine». Si tratta, per usare un’espressione di Guattari, di problemi di «inquadrature di campo»: il potere per Foucault non si esplica esclusivamente in divieti, ma investe i soggetti e ne “sollecita” i desideri. Questi non costituiscono un’istanza affermativa, una riserva illimitata e libera di potenziale delle singolarità, piuttosto sono indotti e strutturati dalla rete dei saperi-poteri. F. Guattari, Microfisica dei poteri e micropolitica dei desideri, in AA. VV., Effetto Foucault, a cura di P.A. Rovatti, Feltrinelli, Milano 1986, p. 197. 32