Apologia poetarum estratto per blog

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Figura a fondo d’oro

di tutte le linee; era l’elicottero. Quindi s’era appostato là. Questa la scena. E l’esercito angelico. Questo era distribuito dalla montagna al mare con un’attività di lancieri biondi e cerulei e di bocchine e piccole infantili mani, grandioso nel suo essere ordinato a battaglia, come se non intendessero rimbecchi, bambini accolti – come quelli che una volta si dicevano “di Gerusalemme” – con lance e aste, alabarde e spontoni, mazze asce scuri visi intelligenti e allegri a coorti, con spade corte da agguato, lupe e storte, magli daghe e altri orridi attrezzi, ma a testa scoperta, con capelli lunghi al vento, cotte fiorite, loriche e cosciali, amichevoli, ogni cosa amichevole, armi bianche per tutte le facce-teste allineate e decise, per sempre, spergiuri ma devoti, ogni sguardo è devoto e le labbra sono strette per il prossimo urto, e celestiali gli occhi rapiti, le bùccine, a raccolta, come rammassando la pula con un solo soffio, e dietro i bassi e le arpe d’accompagnamento, flauti e tamburi, tutti schierati a battaglia, avvolti nel candore, schema cartesiano con un punto d’origine, ascisse e ordinate di falangi, pullulare di infimi e di sconosciuti che non saranno mai ricordati se non per quest’attimo, scelta di parrucche bionde come un grande campo di giugno, regno delle allodole e delle falci. Poi un grido solista, uno solo, di avvertimento, di paperca, ma così raccapricciante da ammutolire ognuno – rapido intorno e attraverso l’esercito muto, vergognoso, nel biancheggiare degli occhi il luccichio degli scudi e della calca degli elmi. Solo il frusciare secco degli sterpi, delle canne – come a Maratona – ora: le sfere cristalline dei loro occhi, la bellezza dei loro sputi. Tutto questo apocalittico, barbuto e fanciullesco esercito, gli effetti di acclamazioni e di preghiere in ginocchio. A questo modo si vede che c’entrino i denti con l’attesa: spettri in attesa, fanciulli brutali con piccole zanne ricurve; qui c’è da dire infine palude; pilastri, pali armati, corazze nere e lucide. Il cielo è così gremito di voci, tale il tumulto che Roquadro è schiacciato nei rifiuti, con le latte e le bottiglie spezzate che gli s’incastrano nel ventre, nelle viscere – mangiato dalle mosche, e vengono fuori solo il suo cocuzzolo arruffato e le mani annerite, con le bende della mano sinistra più lerce di uno straccio da latrina. Ma quest’uomo è perfettamente esperto, allenato e intimamente salvo, dato che qui non può esserci errore, soprattutto non l’errore del rimorso di quando ciò che si sperava accadesse non è accaduto; da un certo punto non c’è più niente che sfugga: tutto è dato con esattezza – neppure un alito di vento è perso: le care ginocchia sono combinazioni matematiche e le mani capolavori meccanici. Osservare la casa appena cento metri più avanti: dell’intero spazio terracqueo è questa la sua culla: tra tutti i posti questo è il suo supremo, luogo che conserva


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