Catalogo Selvatico 14 | 2019 | Atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti

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camere e forse, ora, venti giorni più tardi, questi ambienti avvolti nell’ombra, con tagli di luce su ragnatele e polvere, e le poche cose sparse a terra abbandonate, sembrano improvvisamente e quasi miracolosamente poter andare al loro posto e rappresentare una possibile e valida alternativa alle nostre mancanze e ricerche e paurosi giri a vuoto della mente. Li ricontattiamo, sembra esserci disponibilità all’accordo, nonostante i tempi strettissimi; serve però subito un altra visita, più mirata, per capire esattamente cosa c’è da fare e quale tipo di mostra provare a costruire dentro. Forse già domani, al mio ritorno, visiteremo di nuovo questi spazi e mi immaginerò la mostra, fantasticandola ancora una volta; misureremo pareti, lunghezze, larghezze e altezze, apriremo finestre, toccheremo i muri; disegnerò planimetrie sghembe e imperfette, le ripasserò poi cercando di renderle più accettabili e comprensibili, e ci metterò dentro i nomi e i dipinti e le opere che mi popolano la testa e il cervello in questo periodo, lasciando poco spazio ad altro. E cancellerò molto, questo già lo so, in attesa della mappa vincente ed esatta. Avrei potuto attendere ancora qualche giorno e scrivere un nuovo testo adattando un poco il precedente, tenendo conto dei nuovi spazi, degli spostamenti necessari e degli equilibri e nuove relazioni venutesi a creare, ma ho deciso di lasciare visibile nella scrittura questa sfasatura e frattura avvenuta, questa incertezza, scivolamento e inciampo netto. Come se davvero

anche questo scarto, paura e disorientamento fossero anch’essi un pezzo di mostra e un ragionare intorno a questo imprendibile atlante che schiaccia e contiene. Per questo ho lasciato intatta e presente la descrizione e racconto del percorso espositivo, anche quella che entra dentro al palazzo fantasma, a incontrare una cosa che, in fin dei conti, non cè mai stata se non nella nostra testa. Una crepa non occultata, una rottura visibile come in certi restauri, un errore che potrebbe diventare memoria del processo, stratificazione geologica, meccanismo visibile e sipario strappato, testimonianza preziosa dei ripensamenti e del tempo e dei suoi segni, ma soprattutto accelerazione vitale e pulsante a innervare ancora di più questa mostra, scuotendola e scuotendoci, costringendoci a essere ancora più decisi e uniti. Ecco allora che la scrittura può farsi e diventare membrana che assorbe anche questa spezzatura e sperdimento labirintico, superficie e pagina su cui si incide e imprime la caduta. E anche il successivo tentativo di rialzarsi. Una mostra faticosa e sofferta questa, ma probabilmente c’era da aspettarselo nell’ultima sua edizione. Ma ancora più bella credo, anche e proprio in queste difficoltà, e nell’opportunità felice, bella e violenta offerta da questo disagio, qualcosa che non so bene se chiamare crisi, ma che mi sento in qualche modo di festeggiare. Una buona visione.

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