Identità 2.0

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IDENTITA’ 2.0 Il concetto di identità nell’era dei social network


Accademia di Belle Arti di Carrara Corso di Laurea Triennale in Arti Multimediali Tesi di Laurea: IDENTITA’ 2.0 Il concetto di identità nell’era dei social network di Marianna Passani Relatore: Prof. Enrico Bisenzi Tutor Elaborato: Prof. Clemente Pestelli A.A. 2014/2015 2


IDENTITA’ 2.0 Il concetto di identità nell’era dei social network

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“…perché bastò muovere in me appena appena, così per giuoco, la volontà di rappresentarmi diverso a uno dei centomila in cui vivevo, perché s’alterassero in centomila modi diversi tutte le altre mie realtà.” Luigi Pirandello, Uno, nessuno e centomila, Feltrinelli Editore, Milano 1994, p.92.

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Indice Introduzione 1. Concetti chiave dell’identità nella storia

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1.1. Le origini della riflessione

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1.2. Il sé riflesso

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1.3. La modernità liquida

26

2. Internet: storia e tecnologia

31

2.1. La nascita di internet

31

2.2. Motori di ricerca

34

2.3. Dal www al Web 2.0

38

2.4. Identità virtuale

44

2.4.1. Second Life 2.5. Strategie di identità: le personas 3. I social network: caratteristiche della nuova Rete 3.1. I principali social network: le origini 3.1.1. Fenomeno Facebook 3.1.2. Instagram: una finestra aperta sul mondo

6

8

52 64 67 67 74 78

3.2. I numeri dei social network

81

3.3. Il palcoscenico delle identità

84

3.4. Selfie: confessioni di identità

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4. Net.art e identità 4.1. Net.art: le origini dell’ultima avanguardia artistica del Novecento 4.1.1. Proteste hacktiviste 4.2. Pratiche identitarie in rete 4.2.1. Identità condivise 4.2.2. Condivisione delle identità 4.3. Social net.art 4.3.1. Suicidio virtuale 4.3.2. Anti-social network L’elaborato multimediale: MySelfInTheMirror

95 95 102 109 109 121 136 138 143 154

L’ispirazione

154

Le API di Facebook

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Il progetto

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Conclusioni

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Riferimenti Biblografici

160

Bibliografia

160

Linkografia articoli

170

Linkografia

178

Fonti delle immagini

194

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Introduzione Questo lavoro di ricerca si propone di riflettere sulle diverse sfaccettature che il concetto di identità ha assunto con l’avvento e l’evolversi della Rete. Nella prima parte dell’elaborato saranno esaminate le radici del significato di identità. Saranno approfonditi i significati di sé e di identità dal punto di vista sociologico facendo riferimento ai contributi di Locke, Hume, Cooley, Mead, Goffman e Bauman. L’identità è il risultato che deriva dalla continua interazione tra noi stessi e il contesto in cui viviamo e solamente dopo aver affrontato le origini del concetto d’identità sarà possibile esaminare la questione che lega identità e reti telematiche. Nel secondo capitolo sarà dedicato uno spazio alla nascita e agli sviluppi di internet. Il percorso sarà costituito da un excursus storico che analizzerà le evoluzioni delle reti nel mondo della comunicazione digitale. Evoluzioni tecniche ma soprattutto sociali: il nuovo modo di percepire e usare la Rete ha reso l’utente il vero “prosumer”, allo stesso tempo produttore e consumatore e non più solo semplice e passivo fruitore di contenuti. Questo capitolo cercherà inoltre di fornire una panoramica sull’identità digitale,

ponendo

particolare

attenzione

alle

varie

forme

di

virtualizzazione del reale mediante le ipotesi formulate da studiosi come Tomàs Maldonado e Sherry Turkle riguardo gli effetti prodotti dalla tecnologia sulla società. 8


Con l’esplosione del web la presenza online è diventata parte integrante della nostra vita quotidiana. Grazie alla nascita di nuove tecnologie l’individuo è coinvolto in un numero sempre maggiore di relazioni che modificano il modo di percepire la realtà e di vedere la propria identità. L’identità non è più concepita come un’idea univoca, stabile e invariabile bensì fluida, incerta e in continua trasformazione. Nel terzo capitolo verranno descritte le origini e gli sviluppi delle reti sociali focalizzando l’attenzione sulle relazioni esistenti tra identità e social network. In questa parte saranno presi in considerazione i maggiori social network e delineate le principali caratteristiche. Sui social network il corpo scompare sostituito da immagini, pensieri, informazioni e frammenti di quotidianità che formano un autoritratto, ciò che di noi vogliamo condividere con la società. L’ultimo capitolo tende ad avvicinarsi alle tematiche filosofiche della net.art cercando di trovare una connessione tra identità, arte e nuove tecnologie. Verranno esplorate ed individuate le maggiori opere performative spesso ironiche e sovversive che appartengono al mondo della tecnologia e del web. Quest’analisi vuole essere un tentativo d’indagine sugli aspetti sociali ed etici legati all’identità e ai nuovi universi sintetici. Il significato e il valore di questa ricerca è racchiuso nel tentativo di dare una risposta a diversi interrogativi: qual è il significato che oggi attribuiamo alla parola identità? 9


Come avviene la costruzione dell’identità su internet? Quanto i nuovi media sono in grado di modificare il nostro modo di vivere? Online e offline non possono più essere considerati due mondi distinti bensì due realtà che si sovrappongono e le nuove tecnologie ci stanno conducendo alla fusione queste due realtà.

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Figura 1.1 RenĂŠ Magritte, Il falso specchio, 1928. http://www.helvetika.it/assets/portfolio/newsletter%200/4%20rene_magritte_004_falso_s pecchio_1928-ok.jpg 28/12/2014 !

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1. Concetti chiave dell’identità nella storia 1.1. Le origini della riflessione Il termine identità si mostra apparentemente come un termine banale poiché tutti pensiamo di conoscerne il significato. La prima concezione dell’identità nasce dalle più antiche discussioni socratiche circa la natura del giudizio, partendo dal presupposto che una cosa, se è, non può essere se non quella che è.1 Nel pensiero orientale l’inizio è addirittura precedente, testi sulla coscienza come le Upanishad e il Tao Te Ching risalgono tra il VII e il VI secolo a.C.2 Pur essendo note sin da Platone le discussioni connesse all’identità, è con la filosofia greca e con Aristotele, intorno al IV secolo a.C., che il pensiero occidentale cerca di dare per la prima volta una veste concettuale all’identità umana.3 Aristotele considera l’identità un concetto unitario e inerente la sostanza, in base alla quale le cose sono identiche solo se è identica la definizione della loro sostanza.4 La sostanza permette ad una cosa di rimanere uguale a se stessa sia nell’evolversi del tempo che nel mutare delle condizioni. 1

Cfr. Guido Calogero, Identità, in l’Enciclopedia Italiana, Treccani, Roma 1993. http://www.treccani.it/enciclopedia/identita_(Enciclopedia-Italiana)/ 28/12/2014 2 Cfr. Alessandra Talamo, Fabio Roma (a cura di), La pluralità inevitabile. Identità in gioco nella vita quotidiana, Apogeo Editore, Milano 2007, p.9. 3 Cfr. Livia Profeti, L’identità umana. Nati uguali per diventare diversi, L’asino d’oro Edizioni, Roma 2010, p.15. 4 Cfr. Paola Canestrari, Consumi e identità. Dal consumo di immagini al consumo di valori, Edizioni Nuova Cultura, Roma 2013, p.21.

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La parola identità deriva dal tardo latino identitas–atis, derivazione di idem ed indica l’essere identico, la perfetta uguaglianza, l’essere quello e non un altro.5 In Grecia ogni individuo possiede una doppia identità, una personale contraddistinta dal nome che indica la discendenza paterna e una comunitaria che lo collega alla stirpe, al popolo, alla nazione.6 Nella Grecia antica il concetto d’identità è rafforzato dall’utilizzo delle maschere. Nel teatro greco la maschera ha il compito di intensificare il carattere del personaggio e aiutare lo spettatore nel seguire meglio la trama dello spettacolo. Consultando il vocabolario, alla voce “persona”, possiamo notare che il termine,

di

probabile

origine

etrusca

(phersu),

significa

proprio

“maschera teatrale” per poi prendere successivamente il valore di “individuo di sesso non specificato” e di “corpo”.7 I latini chiamano persona (da per-sonàr, risuonare a traverso) la maschera di legno portata sulla scena dagli attori nell’antica Grecia, nella quale i tratti del viso sono enfatizzati per essere più facilmente compresi dagli spettatori e la bocca è fatta in modo da amplificare (ut personaret) il suono della voce. Il vocabolo viene in seguito utilizzato per esprimere l’individuo rappresentato

sulla

scena

che

oggi

comunemente

chiamiamo

“personaggio”.8 5

Ad vocem Identità, in l’Enciclopedia Italiana Treccani.it, Vocabolario on line, Roma 2014. http://www.treccani.it/vocabolario/identita/ 28/12/2014 6 Cfr. Alain de Benoist, Identità e comunità, Alfredo Guida Editore, Napoli 2005, p.10. 7 Ad vocem Persona, in l’Enciclopedia Italiana Treccani.it, Vocabolario on line, Roma 2014. http://www.treccani.it/vocabolario/persona/ 28/12/2014 8 Ad vocem Persona, in Dizionario Etimologico Online.

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Nel Medioevo il valore che prevale è quello della lealtà, l’identità non è sapere chi sono ma nei confronti di chi devo essere leale, a chi devo essere fedele.9 Con Cartesio intorno alla prima metà del 1600 inizia l’attività della messa in discussione di tutte le certezze. Cartesio ci pone di fronte ad un concetto di Io come colui che pensa, giungendo alla conclusione che solo chi è in grado di pensare esiste e può dubitare.10 In filosofia il principio logico asserisce l’identità di una cosa con se stessa (A è A) ed esclude l’identità con altro separando identità e alterità (A non è A).11 I primi filosofi che affrontano l’argomento sono John Locke e David Hume. Locke è il primo, nel 1689 con il Saggio sull’intelletto umano, ad usare il termine “identità personale”.12 Il filosofo britannico definisce il significato della parola “persona” come un essere pensante intelligente, dotato di ragione e riflessione, che può

http://www.etimo.it/?term=persona 28/12/2014 9 Cfr. Alain de Benoist, Identità e comunità, Alfredo Guida Editore, Napoli 2005, p.101. 10 Cfr. Renè Descartes, Discorso sul metodo [1637], Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1993, p.90. 11 Ad vocem Identità, in l’Enciclopedia Italiana Treccani.it, Vocabolario on line, Roma 2014. http://www.treccani.it/vocabolario/identita/ 28/12/2014 12 Cfr. Remo Bodei, Che cos’è l’identità, in Rai Cultura Filosofia, Roma 2000. http://www.filosofia.rai.it/articoli/remo-bodei-che-cos%C3%A8lidentit%C3%A0/5314/default.aspx 06/01/2015

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considerare se stesso come la stessa cosa pensante, in diversi tempi e luoghi, mediante quella coscienza che è inseparabile dal pensare.13 Con Locke l’identità coincide con la coscienza, una riflessione su se stessi che si estende anche al passato attraverso i ricordi. L’identità è un meccanismo basato sulla capacità della memoria di ricostruire le impressioni e i pensieri, fondamentale per costituire l’identità

personale

e

garantire

la

continuità

nel

tempo

della

consapevolezza del sé. “Solo per mezzo della coscienza che ha dei propri pensieri e azioni presenti, l’io è ora un io per se stesso, e così sarà lo stesso finché la stessa coscienza può estendersi ad azioni passate o a venire.” John Locke, Saggio sull’intelletto umano (1689), De Agostini Libri, Novara 2013, Libro II, Capitolo XXVII, par.12.

Hume effettua le sue ricerche nel Trattato della natura umana nel 1739, sostenendo che l’io è soltanto la collezione di diverse percezioni che si susseguono, che originano l’esperienza della coscienza.14 A differenza di Locke, Hume cerca di sottolineare la discontinuità della memoria, riducendo l’Io ad un fascio di sensazioni e accentuando la fragilità dell’identità.15 L’identità è quasi un’illusione a cui non possiamo attribuire un significato concreto.

13

Cfr. John Locke, Saggio sull’intelletto umano (1689), De Agostini Libri, Novara 2013, Libro II, Capitolo XXVII, par.11. 14 Cfr. David Hume, Le opere, Volume Primo, Trattato sulla natura umana (1738), Editori Laterza, Bari 1978, p.264-265. 15 Cfr. Remo Bodei, Che cos’è l’identità, in Rai Cultura Filosofia, Roma 2000. http://www.filosofia.rai.it/articoli/remo-bodei-che-cos%C3%A8lidentit%C3%A0/5314/default.aspx 06/01/2015

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“Noi non siamo altro che fasci o collezioni di differenti percezioni che si susseguono con una inconcepibile rapidità, in un perpetuo flusso e movimento. I nostri occhi non possono girare nelle loro orbite senza variare le nostre percezioni. Il nostro pensiero è ancora più variabile della nostra vista, e tutti gli altri sensi e facoltà contribuiscono a questo cambiamento; né esiste forse un solo potere dell’anima che resti identico, senza alterazione, un momento. La mente è una specie di teatro, dove le diverse percezioni fanno la loro apparizione, passano e ripassano, scivolano e si mescolano con un’infinita varietà di atteggiamenti e di situazioni. Né c’è, propriamente, in essa nessuna semplicità in un dato tempo, né identità in tempi differenti, qualunque sia l’inclinazione naturale che abbiamo ad immaginare quella semplicità e identità. E non si fraintenda il paragone del teatro: a costituire la mente non c’è altro che le percezioni successive: noi non abbiamo la più lontana nozione del posto dove queste scene vengono rappresentate, o del materiale di cui è composta.” David Hume, Le opere, Volume Primo, Trattato sulla natura umana (1738), Editori Laterza, Bari 1978, p.264-265.

Il tema dell’identità è molto complesso poiché sono molteplici le discipline che lo coinvolgono: la psicanalisi, la psicologia, la sociologia, l’antropologia ma anche l’economia, la matematica e l’informatica. In psicologia l’identità indica il senso del proprio essere continuo attraverso il tempo e distinto come entità dalle altre 16 , l’insieme delle caratteristiche psichiche della persona che formano la coscienza. Il primo studioso che offre un significato del concetto di identità in psicologia è William James, che nel 1890 in Principi di psicologia dedica uno dei suoi capitoli alla Coscienza del sé. Probabilmente è uno dei primi a sottolineare l’importanza dello studio del sé per la comprensione del comportamento umano. James distingue l’identità personale in tre aspetti fondamentali: il “sé materiale” che costituisce le nostre caratteristiche fisiche, le persone e le cose che ci circondano, il “sé spirituale” che rappresenta il nostro 16

Ad vocem Identità, in Enciclopedia Garzanti Linguistica, Dizionario on line, Milano 2014. http://www.garzantilinguistica.it/ricerca/?q=identit%C3%A0 28/12/2014

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aspetto interiore e la nostra soggettività, e il “sé sociale” mediante il quale ci mostriamo agli altri e otteniamo riconoscimento. “Alcuni direbbero che si tratta di una sostanza semplice attiva, della quale essi sono in tal modo coscienti; altri che non è altro che una finzione, l’essere immaginario che viene indicato dal pronome Io, e tra questi due estremi si possono trovare tutti i tipi di posizioni intermedie.” Trad. It. da William James, The principles of psychology (1890), Volume One, Henry Holt & Co, New York 1890, p.298.

Le scienze sociali iniziano ad interessarsi al concetto di identità a partire dalla seconda metà degli anni ’50 considerandolo il complesso degli elementi e dei processi relativi all’individuazione di una persona da parte di sé o da parte degli altri.17 La sociologia si concentra sull’aspetto relazionale analizzando i fattori d’interazione. Se nella filosofia classica l’identità è collegata all’essere, in sociologia è collegata al fare, al rappresentare, al fingere.18

17

Ad vocem Identità, in l’Enciclopedia Italiana Treccani.it, Enciclopedie on line, Roma 2014. http://www.treccani.it/enciclopedia/identita/ 28/12/2014 18 Cfr. Francesco Remotti, Identità, in L’Enciclopedia Italiana Treccani.it, Roma 2013. http://www.treccani.it/scuola/dossier/2013/parole/identita.html 28/12/2014

18


1.2. Il sé riflesso Agli inizi del 1900 viene introdotto un nuovo approccio volto ad esplorare la capacità di autoriflessione dell’individuo che converte l’identità in sé. Charles Horton Cooley con il suo studio Human Nature and the Social Order pubblicato per la prima volta nel 1902, introduce la teoria del Looking-Glass Self secondo la quale ogni individuo crea l’immagine di sé attraverso il riflesso visto nell’opinione degli altri. L’io riflesso si costituisce attraverso l’immaginazione di come la propria identità possa essere compresa dal prossimo. Ci vediamo riflessi nello sguardo dell’altro, come se chi ci sta di fronte fosse uno specchio in cui riconosciamo la nostra immagine ed è nell’opinione degli altri che l’immagine del nostro Io viene costruita, elaborata e conservata. “Ciascuno è specchio dell'altro e riflette chi passa.” Trad. It. da Charles Horton Cooley, Human nature and the social order, Charles Scribner’s Sons, New York 1902, p.184.

L’identità si forma con il confronto e l’uomo non riesce a fare a meno della

presenza

dell’altro,

ha

bisogno

di

essere

costantemente

riconosciuto e apprezzato. L’alterità, tutto ciò che vorremmo poter escludere e che sentiamo estraneo, non è solo intorno a noi ma anche dentro di noi.19

19

Cfr. Carlo Pancera, Le maschere e gli specchi. Identità e differenze tra omologazione, eterogeneità, osmosi e complessità, Franco Angeli Editore, Milano 2011, p.63.

19


“SOCRATE Hai notato che quando guarda nell’occhio il volto si riflette nello sguardo di chi si trova di fronte come in uno specchio, cosa che chiamiamo anche pupilla, dato che è come un’immagine di chi guarda? ALCIBIADE Quel che dici è vero. SOCRATE Dunque quando un occhio osserva un occhio e guarda in esso ciò che appunto esso ha di più bello, e con cui vede, in tal caso potrebbe vedere se stesso. ALCIBIADE È evidente. SOCRATE Ma se un occhio volesse guardare a un’altra delle parti dell’uomo o a qualche altro oggetto, se non ciò a cui casualmente sia simile, non vedrà se stesso. ALCIBIADE Quel che dici è vero. SOCRATE Se dunque un occhio ha intenzione di guardare se stesso, deve guardare in un occhio e in quel punto dell’occhio nel quale si trova a risiedere la virtù propria dell’occhio: e questa non è la vista? ALCIBIADE È così. SOCRATE Dunque, caro Alcibiade, anche l’anima, se vuole conoscere se stessa, deve guardare a un’altra anima, e in particolar modo in quella sua parte nella quale risiede la virtù propria dell’anima, la saggezza, o a qualcos’altro a cui questa parte possa risultare simile. ALCIBIADE A me pare così, Socrate.” Enrico V. Maltese (a cura di), Platone, Alcibiade [395 a.C.] in Platone. Tutte le opere, Volume 2, Newton Compton Editori, Roma 1997, p.587589.

L’identità non è quindi un concetto predefinito e statico ma si sviluppa di continuo, forse senza mai arrivare ad un punto di arrivo. Anche secondo il sociologo Émile Durkheim l’identità è il traguardo raggiunto dopo uno sforzo, frutto di un complesso processo di elaborazione, continuamente messo in discussione. Il filosofo comportamentista e sociologo George Herbert Mead, concentra tutta la sua riflessione attorno all’uomo, alla sua natura sociale e ai rapporti con l’ambiente che lo circonda. Mead pone l’accento sulla capacità dell’individuo di riflettere su se stesso attraverso gli occhi degli altri, attraverso le immagini che gli altri hanno creato per lui, cercando di soddisfare tutte le loro aspettative. 20


L’individuo acquista esperienza di se stesso solo in modo indiretto, cioè attraverso le opinioni degli altri appartenenti al suo gruppo sociale.20 Mead distingue il Sé in “Io” e “Me”. L’Io è la parte più vera e intima della persona, l’istinto, l’originalità, ciò che lo differenzia dagli altri e che lo rende unico. Il Me è la componente sociale del sé, i comportamenti, i ruoli e le esperienze. Il Me di Mead non è più l’Io spontaneo, bensì i molteplici Me dell’individuo, l’insieme delle esperienze e dei ruoli interpretati. Il Sé è sociale in quanto sono le relazioni in cui il soggetto è coinvolto a permettergli di autorappresentarsi. Il sociologo è convinto che l’identità non esista dalla nascita ma che si sviluppi attraverso l’interazione con gli altri e nel tentativo di adattarsi all’ambiente circostante. L’ambito del gioco ricopre una notevole importanza ed esistono due fasi dello sviluppo del sé: una del gioco libero denominata “play” e una del gioco organizzato denominata “game”. Nella prima fase il bambino interpreta ruoli di persone o animali che sono entrati a far parte della sua vita costruendosi dei Sé parziali. Nella seconda invece riesce a racchiudere

in

le

caratteristiche

di

tutti

gli

altri

giocatori,

generalizzando l’atteggiamento dell’assunzione dei ruoli altrui.21 Da qui il concetto di “altro generalizzato”, secondo il quale l’individuo diventa un essere sociale quando si abitua all’astrazione dal proprio ruolo. L’”altro generalizzato” è lo specchio sociale nel quale l’uomo guarda per scorgere le opinioni altrui nei propri confronti.

20

Cfr. George Herbert Mead, La filosofia del presente [1932], Alfredo Guida Editore, Napoli 1986, p.13. 21 Cfr. George Herbert Mead, Mente, sé e società [1934], Giunti Editore, Firenze 2010, p.24.

21


È l’assunzione degli atteggiamenti dell’intera comunità.22 Nel momento in cui l’individuo riesce ad assumere il ruolo dell’altro e diventa capace di integrare tutti i vari Me in un unico Sé è veramente in grado di guardare se stesso. “Nella misura in cui ci è possibile assumere il ruolo degli altri, siamo in grado, per così dire, di guardarci (di risponderci) da quella prospettiva e di diventare perciò oggetto a noi stessi.” George Herbert Mead, Mente, sé e società [1934], Giunti Editore, Firenze 2010, p.24.

In quanto animali umani osserviamo nei nostri atteggiamenti, nelle nostre immagini, nei nostri pensieri e nelle nostre emozioni aspetti di noi stessi che non ci è possibile osservare con altrettanta completezza negli altri.23 Con l’espressione ànthropos zoon politikon anche Aristotele afferma che l’uomo è un essere politico e portato naturalmente alla vita in società24, quindi un essere socievole25così come Seneca, qualche secolo più tardi, considera l’uomo come un animale sociale nato per il bene comune.26 A differenza di quanto asserito dalle prime teorie filosofiche, con la sociologia ci troviamo di fronte ad un Io che non è più l’esordio per le nostre relazioni ma il risultato delle interazioni con gli altri. 22

Cfr. Loredana Sciolla, Identità personale e collettiva, in Enciclopedia delle scienze sociali, Treccani, Roma 1994. http://www.treccani.it/enciclopedia/identita-personale-ecollettiva_%28Enciclopedia_delle_scienze_sociali%29/ 28/12/2014 23 Cfr. George Herbert Mead, Mente, sé e società [1934], Giunti Editore, Firenze 2010, p.15. 24 Cfr. Aristotele, Volume Secondo, Etica Nicomachea [350 a.C.], (“I classici del pensiero”, 4), Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2008, Libro IX, Cap.9, 1169b, p.243. 25 Cfr. Aristotele, Volume Secondo, Politica [350 a.C.], (“I classici del pensiero”, 4), Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2008, Libro I, Cap. 2, 1253a, p.478. 26 Cfr. Lucio Anneo Seneca, De Clementia [55 a.C.], Parte Terza, cap.1, par.2.

22


“Come quando vogliamo vedere la nostra faccia, la vediamo guardandoci nello specchio, similmente quando vogliamo conoscere noi stessi, potremo conoscerci guardando nell’amico. Infatti l’amico è, come abbiamo detto, un altro noi stessi.” Aristotele, Volume Secondo, Grande etica [350 a.C.), (“I classici del pensiero”, 4), Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2008, Libro II, Cap.15, 1213a, p.366.

Secondo il filosofo e sociologo austriaco Alfred Schütz l’identità non è una proprietà fissa ma intersoggettiva, il risultato delle rappresentazioni e delle interazioni dei membri della società stessa. L’identità è uno dei temi centrali anche della poetica di Luigi Pirandello. L’individuo che si trasforma in personaggio indossando molteplici maschere è l’elemento che accomuna tutte le sue opere. Nella sua opera del 1926 Uno, nessuno e centomila descrive la crisi d’identità del protagonista, che non riuscendo a riconoscersi nelle diverse immagini di se stesso proiettate negli occhi degli altri, arriva a rifiutare la sua identità, frantumandola in mille pezzi. “Perché una realtà non ci fu data e non c'è; ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere; e non sarà mai una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile.” Luigi Pirandello, Uno, nessuno e centomila (1926), Feltrinelli Editore, Milano 1994.

Talcott Parsons nell’opera La struttura dell’azione sociale del 1937 rifiuta l’identità sia come il risultato delle interazioni dell’individuo che come autocostruzione. Secondo il sociologo l’identità dovrebbe essere pensata come un equilibrio tra componenti sociali e componenti personali dell’individuo. L’identità non è mai del tutto definita ma continuamente soggetta a cambiamenti e messe in discussione. 23


Il filosofo francese Paul Ricœur distingue il concetto d’identità in due accezioni diverse: l’identità come medesimezza (dal latino idem, lo stesso) e l’identità come ipseità (dal latino ipse, se stesso).27 L’idem risponde alla domanda “Che cosa sono io?” e indica la continuità e la permanenza dell’identità nel tempo, l’uguaglianza di un individuo rispetto a se stesso e agli altri, le relazioni che lo costituiscono. L’ipse risponde alla domanda “Chi sono io?” e indica la singolarità dell’individuo, l’essere come azione soggetto a continue trasformazioni.28 Nel 1959 il sociologo Ervin Goffman pubblica il testo dal titolo La vita quotidiana come rappresentazione in cui la vita viene descritta con una metafora teatrale. La sua ricerca pone particolare attenzione al comportamento sociale delle persone e alla loro immagine pubblica. A differenza di Mead che divide il Sé in Io e Me, per Goffman l’individuo è scisso in due componenti: l’”attore” e il “personaggio”. Come attore il soggetto è impegnato a presentare immagini convincenti di sé cercando di soddisfare il suo pubblico e adattandosi ai vari palcoscenici. Il personaggio è invece quello che appare del soggetto nelle situazioni sociali, che viene descritto come un “self locale” (un sé situato), una maschera.29

27

Cfr. Paul Ricœur, Sé come un altro, Editoriale Jaca Book, Milano 1993, p.204. Cfr. Marialuisa Pulito, Identità come processo ermeneutico. Paul Ricœur e l'analisi transazionale, Armando Editore, Roma 2003, p.166. 29 Cfr. Paola Parmiggiani, Consumo e identità nella società contemporanea, Franco Angeli Editore, Milano 1997, p.44. 28

24


Per Goffman la vita è un insieme di palcoscenici dove siamo chiamati a rappresentare noi stessi in modi diversi a seconda della scena, in cambio di accettazione sociale da parte del pubblico. “L’individuo è stato considerato come attore, un affaticato fabbricante di impressioni, immerso nel fin troppo umano compito di mettere in scena una rappresentazione ed è stato considerato come personaggio, una figura per definizione dotata di carattere positivo il cui spirito, forza ed altre qualità eccezionali debbano essere evocate nella rappresentazione.” Ervin Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino, Bologna 1995, p.288.

25


1.3. La modernità liquida “Modernità liquida” è l’espressione che Zygmunt Bauman utilizza per descrivere la società odierna, un’epoca in cui tutto scorre e si modifica velocemente. La modernità solida caratterizzata da rigidità, ripetizioni ma anche da sicurezze è ormai alle nostre spalle.30 Oggi ci troviamo in un mondo in cui tutto è più fluido, più sfuggente, tutto si trasforma con più facilità e l’individuo è costretto ad adattarsi, ad essere versatile e dinamico. Siamo passati dalla parte “solida” alla parte “liquida” della modernità: i “fluidi” sono definiti tali perché non riescono a mantenere a lungo una forma, anzi si plasmano continuamente sotto l’influenza di ogni minima forza.31 L’identità non ha più una struttura propria, i suoi contorni diventano sempre meno nitidi e subisce continue trasformazioni in base al contesto in cui si trova. Molte sono le immagini che Bauman utilizza per raccontarci il mondo attuale. Per descrivere la pervasività del nuovo mondo sociale Bauman utilizza la metafora del pellegrino e del turista. In passato la vita era paragonabile ad un pellegrinaggio, un percorso definito, oggi al contrario ci muoviamo come turisti da una meta all’altra, talvolta senza neanche una destinazione. 30

Cfr. Zygmunt Bauman, Una nuova condizione umana, Vita e Pensiero Editrice, Milano 2003, p.14. 31 Cfr. Zygmunt Bauman, Intervista sull’identità, Editori Laterza, Roma 2003, p.59.

26


Così facendo ci sentiamo forse più liberi ma allo stesso tempo molto più esposti e fragili.32 Bauman definisce la nostra era come l’età dell’identità, piena di urla e di furore 33 , probabilmente per sottolineare la confusione creatasi nella società sotto la spinta della globalizzazione. Oggi l’identità diventa un gioco liberamente scelto, una presentazione teatrale del sé.34 “Si diventa consapevoli che l’appartenenza e l’identità non sono scolpite nella roccia, non sono assicurate da una garanzia a vita, che sono in larga misura negoziabili e revocabili; e che i fattori cruciali per entrambe sono le proprie decisioni, i passi che s’intraprendono, il modo in cui si agisce e la determinazione a tener fede a tutto ciò.” Zygmunt Bauman, Intervista sull’identità, Editori Laterza, Roma 2003, p.6.

Nelle “comunità guardaroba”, le identità prendono corpo quando si appendono i cappotti ed hanno vita breve, scompaiono non appena gli spettatori ritirano i cappotti appesi nel guardaroba.35 Le identità sono anche vestiti che indossiamo e mostriamo agli altri ogni giorno.36 Se si dovesse paragonare l’identità ad un oggetto sarebbe più simile ad un vestito che alla pelle: intercambiabile, facilmente rimpiazzabile e soggetta a veloci sostituzioni.37

32

Ivi, p.18. Cfr. Zygmunt Bauman, La società individualizzata. Come cambia la nostra esperienza, Il Mulino, Bologna 2010, p.191. 34 Cfr. Zygmunt Bauman, La società dell’incertezza, Il Mulino, Bologna 1990, pag.30. 35 Cfr. Zygmunt Bauman, Intervista sull’identità, Editori Laterza, Roma 2003, p.33. 36 Ivi, p.87. 37 Cfr. Maria Grazia Simone, Consumo, identità, educazione, Armando Editore, Roma 2009, p.17. 33

27


Lo

psicologo

Kenneth

Gergen

ha

rinominato

la

personalità

dell’individuo odierno come “pastiche personality”, ossia come un camaleonte sociale che prende costantemente in prestito frammenti di identità da qualsiasi fonte disponibile per combinarli e adattarli alla situazione in cui si trova.38 Ogni individuo è immerso quotidianamente in quello che Gergen chiama “saturazione sociale”: il sovraccarico di relazioni e stimoli imposto dalla società che rende il sé scomposto e frammentato.39 “Non è il singolo individuo a creare le relazioni, ma sono le relazioni a creare il sentimento dell’Io, allora l’Io cessa di essere il centro del successo o del fallimento, colui che è valutato bene o male, e così via. Piuttosto, io sono me stesso in virtù della particolare posizione che occupo in una relazione.” Trad. It. da Kenneth Gergen, The saturated self. Dilemmas of identity in contemporary life, Basic Books, New York 1991, p.157.

Dal punto di vista formale potremmo dire che identità significa essere perfettamente uguali a noi stessi, ma un individuo uguale a se stesso per tutta la vita non esiste. Siamo caratterizzati dal continuo divenire, sia dal punto di vista fisico che mentale, eppure inizialmente l’identità è considerata come un elemento eterno, immutabile e senza relazioni. L’identità è l’essere presente a noi stessi e agli altri, il nostro riconoscerci, il nostro agire, le nostre particolarità ma rappresenta anche le nostre tradizioni, le nostre abitudini, il modo in cui ci uniamo agli altri e il modo in cui ci distinguiamo dagli altri.

38

Cfr. Kenneth Gergen, The saturated self. Dilemmas of identity in contemporary life, Basic Books, New York 1991, p.150. 39 Cfr. Alessandra Talamo, Fabio Roma (a cura di), La pluralità inevitabile. Identità in gioco nella vita quotidiana, Apogeo Editore, Milano 2007, p.3.

28


Chi sono io? Una domanda che molto spesso ci poniamo proprio perché non siamo sicuri di potervi fornire una risposta. La risposta è formata dai legami instaurati con l’altro, dalla fiducia che riponiamo in essi e dalla loro stabilità.40 Siamo legati a situazioni, ambienti, esperienze e nessuno è pienamente se stesso se completamente solo.

40

Cfr. Zygmunt Bauman, Intervista sull’identità, Editori Laterza, Roma 2003, p.111.

29


Figura 2.1. Tim Berners Lee, The ARPANET in December 1969, 2014. http://www.vox.com/a/internet-maps 11/05/2015

30


2. Internet: storia e tecnologia 2.1. La nascita di internet La storia di internet risale alla Guerra Fredda ed alle reti di comunicazione sviluppate dagli Stati Uniti in risposta al lancio del satellite Sputnik, il primo oggetto realizzato dall’uomo ad aver mai orbitato intorno alla terra, da parte della Russia nel 1957.41 L’obiettivo era accrescere e sviluppare la ricerca, realizzando una rete di comunicazione capace di funzionare anche in seguito alla distruzione di gran parte dei suoi componenti.42 Agli inizi degli anni ’60 viene definita la struttura di un network digitale distribuito e nel 1966 viene varato il progetto della prima rete di computer, ARPANET (Advanced Research Project Agency Network).43 ARPANET fonda le sue radici in un sogno scientifico di cambiare il mondo attraverso la comunicazione tra computer.44 L’immagine di copertina mostra come ARPANET nel dicembre del 1969 collegasse solo quattro nodi: l’Università dello Utah (UTAH), l’Università della California a Los Angeles (UCLA),

l’Università della California a

Santa Barbara (UCSB) e il Stanford Research Institute (SRI) per poi espandersi e diventare Internet. Inizialmente l’utilizzo maggiormente diffuso della Rete è la posta elettronica, applicazione sviluppata nel 1970.45 41

Cfr. Tom Chatfield, 50 grandi idee digitali, Edizioni Dedalo, Bari 2012, p.4. Ibidem. 43 Cfr. Tommaso Detti, Giuseppe Lauricella, Le origini di Internet, Bruno Mondadori Editore, Milano 2013. 44 Cfr. Manuel Castells, Galassia internet, Feltrinelli Editore, Milano 2002, p.30. 42

31


Nel 1971 viene utilizzato per la prima volta il simbolo @, per indicare dove si trova il mittente o il destinatario del messaggio. L’anno dopo viene progettato il primo programma per la gestione completa delle e-mail, capace di leggere i messaggi in maniera automatica, rispondere e archiviarli.46 Sebbene

nel

1990

ARPANET,

ormai

obsoleta,

abbia

cessato

ufficialmente di esistere, Internet è sopravvissuta. 47 Tuttavia ARPANET non è stata l’unica fonte di internet. L’attuale forma di internet è anche il prodotto di una tradizione di comunicazione di base tra computer. Una componente di questa tradizione sono i sistemi di bacheca elettronica noti come BBS (Bulletin Board System), un movimento sorto dalla comunicazione tra computer negli anni ’60 che consentiva ai pc di archiviare e trasmettere i messaggi. Nel 1990 l’editor/browser WorldWideWeb inizia a funzionare sul computer di Tim-Berners Lee.48 “Io considero il web come un tutto potenzialmente collegato a tutto, come un’utopia che ci regala una libertà mai vista prima e ci consente di crescere in modo più veloce di quanto non fosse possibile quando restavamo impelagati nei sistemi gerarchici di classificazione. Tutti i nostri precedenti metodi di lavoro diventano solo uno strumento come tanti, le nostre paure del futuro un contesto fra tanti, e ciò rende i meccanismi della società più simili ai meccanismi della nostra mente.” Tim Berners-Lee, L' architettura del nuovo web. Dall'inventore della rete il progetto di una comunicazione democratica, interattiva e intercreativa, (“Interzone”), Feltrinelli Editore, Milano 2001, p.15-16. 45

Ivi, p.29. Cfr. Tom Chatfield, 50 grandi idee digitali, Edizioni Dedalo, Bari 2012, p.17. 47 Cfr. Ray Horak, Sistemi di comunicazione e reti, Apogeo Editore, Milano 2000. p.453. 48 Cfr. Tim Berners-Lee, L' architettura del nuovo web. Dall'inventore della rete il progetto di una comunicazione democratica, interattiva e intercreativa, (“Interzone”), Feltrinelli Editore, Milano 2001, p.40. 46

32


Nello stesso anno Tim Berners-Lee definisce l’HTTP (HyperText Transfer Protocol), un protocollo da lui definito piuttosto semplice, capace di ottenere una pagina web abbastanza velocemente da permettere di sfogliare l’ipertesto.49 “Una volta che un pezzo d’informazione dentro questo spazio fosse stato etichettato con un indirizzo, avrei potuto ordinare al mio computer di trovarlo. Essendo in grado di fare riferimento a ogni cosa con altrettanta facilità, il calcolatore avrebbe creato associazioni tra cose che sembravano scollegate ma che, nella pratica, avevano qualche rapporto. Si sarebbe così formata una rete di informazioni.” Tim Berners-Lee, L'architettura del nuovo web. Dall'inventore della rete il progetto di una comunicazione democratica, interattiva e intercreativa, (“Interzone”), Feltrinelli Editore, Milano 2001, p.18

Esisteva già un’intera famiglia di linguaggi mark-up standard in grado di operare in differenti modi e su differenti piattaforme, l’SGML (Standard Generalized Markup Language), e Tim Berners-Lee sviluppa un linguaggio di markup per ipertesti, l’HTML (HyperText Markup Language), in modo che sembrasse un membro di quella famiglia. Nonostante non avesse previsto che il codice sorgente fosse visibile agli utenti, molte persone prendono subito confidenza con il linguaggio, iniziando a scrivere i propri documenti in HTML.50 La cosa più importante sta nel fatto che le persone iniziano a vedere le potenzialità

illimitate

di

internet,

installando

il

server,

postando

informazioni e diffondendo il web in tutto il mondo.51

49 50 51

Ivi, p.46. Ivi, p.48-49. Ivi, p.53.

33


2.2. Motori di ricerca La nascita dei primi browser, i programmi che permettono all’utente di interagire con i contenuti del web, mette internet alla portata di tutti, ma senza la possibilità di compiere ricerche nella sempre maggiore quantità di informazioni disponibili, internet avrebbe avuto un’utilità limitata.52 Nel 1990 viene realizzato il primo schedatore denominato Archie, il cui nome deriva da “archivio”, in grado di cercare documenti all’interno di database basati sulla tecnologia FTP (File Transfer Protocol), protocolli che permettono la trasmissione dei file. Nello stesso periodo nasce Veronica (Very Easy Rodent-Oriented Netwide Index to Computerized Archives) che alla lettera significa semplicissimo indice diffuso orientato ai roditori verso gli archivi informatici, basato sul protocollo di rete Gopher, che in inglese indica appunto il nome di un piccolo roditore.53 Più che motori di ricerca erano indicizzatori e non permettevano l’accesso ai contenuti delle pagine ma solo ai loro titoli. Nel frattempo grazie anche alla nascita di internet nel 1993 prende vita ALIWEB (Archi Like Indexing for the WEB), il primo motore di ricerca che si avvicina di più a quelli che conosciamo oggi. ALIWEB era in grado di includere nei risultati di ricerca le pagine web, di aggiungere le descrizioni della pagina e le parole chiave scritte dall'utente.54

52

Cfr. Tom Chatfield, 50 grandi idee digitali, Edizioni Dedalo, Bari 2012, p.36. Ad vocem Veronica (motore di ricerca), in Wikipedia. http://it.wikipedia.org/wiki/Veronica_(motore_di_ricerca) 06/05/2015 54 Ad vocem Aliweb, in Wikipedia,. 53

34


Nel 1994 nasce Excite55che da motore di ricerca si trasforma ben presto in portale offrendo una vasta gamma di servizi come posta elettronica, chat, news, meteo e oroscopo. Nel solito anno viene lanciato Lycos56che indicizzando più di 60 milioni di pagine web supera gli altri motori di ricerca. Dalla sua nascita ha subito molte evoluzioni fino a diventare perlopiù un fornitore di servizi hosting, mail, chat e contenuti informativi. Yahoo! 57 inizia la sua attività nel 1995 come un hobby studentesco, nascendo dall’idea di due studenti americani di creare un sistema in grado di ordinare una raccolta dei loro siti preferiti. Grazie alla catalogazione dei contenuti Yahoo! diventa il motore di ricerca più utilizzato ma anche il sito internet più visitato del mondo, trasformandosi in una struttura di erogazione di servizi e informazioni. Sempre nel 1995 nasce Altavista58, il primo motore di ricerca multilingua della rete. E’ stato per molti anni il più veloce e popolare, rispetto agli altri era in grado di classificare anche immagini, musica e video. Purtroppo a causa di scelte strategiche sbagliate diventa prima il fornitore delle ricerche di Yahoo!, in seguito un portale, fino a trasformarsi in un’interfaccia alternativa di Yahoo! Search.

http://it.wikipedia.org/wiki/Aliweb 06/05/2015 55 http://www.excite.com/ 06/05/2015 56 http://www.lycos.it/ 06/05/2015 57 https://it.yahoo.com/ 06/05/2015 58 https://search.yahoo.com/?fr=altavista 06/05/2015

35


Nel 1996 il portale Libero59noto anche come Iol (Italia On Line) lancia il motore di ricerca Arianna 60, che diventa un punto di riferimento delle ricerche web in lingua italiana in competizione perenne con Virgilio61, altro motore di ricerca italiano nato nello stesso anno. Nel corso di questi anni Arianna passa tra le mani dei vari proprietari di Iol, perdendo la sua autonomia nel 2003 e limitandosi a riproporre i risultati di Google sotto il marchio di Libero Ricerca.62 Nel 1998 viene lanciato per la prima volta MSN Search il motore di ricerca di Microsoft basato sui risultati della tecnologia Inktomi, rimpiazzato prima nel 2006 da Live Search63e successivamente nel 2009 da Bing64. Nel 1998 nasce Google 65 l’azienda più famosa tra tutte quelle che hanno fatto della ricerca di informazioni su internet la propria attività principale.66 L’idea di trovare una corrispondenza tra alcune parole chiave e un insieme di siti web non è che una piccola parte dei motori di ricerca.

59

http://www.libero.it/ 06/05/2015 60 http://arianna.libero.it/ 06/05/2015 61 http://www.virgilio.it/ 06/05/2015 62 Ad vocem Arianna (motore di ricerca), in Wikipedia. http://it.wikipedia.org/wiki/Arianna_(motore_di_ricerca) 06/05/2015 63 http://search.live.com/ 06/05/2015 64 http://www.bing.com/?cc=it 06/05/2015 65 https://www.google.it/ 11/05/2015 66 Cfr. Tom Chatfield, 50 grandi idee digitali, Edizioni Dedalo, Bari 2012, p.36.

36


La cosa più importante è restituire risultati accurati ma anche utili all’utente.67 Ma l’innovazione più rivoluzionaria si verifica nel 1996 con PageRank. Misurare

l’importanza

di

un

determinato

sito

web

anziché

semplicemente le caratteristiche e ricercare automaticamente il numero di siti web collegati costituiscono il punto di partenza di Google.68 A creare l’algoritmo che ha fatto la fortuna di Google è il ricercatore italiano Massimo Marchiori 69 , professore dell’Università di Padova che qualche anno prima sviluppa HyperSearch, il primo motore di ricerca hyper al mondo70, che basava i risultati non soltanto sui punteggi delle singole pagine, ma anche sulla relazione che lega la singola pagina col resto del web.71

67

Ivi, p.38. Ivi, p.39. 69 Cfr. Enrico Bisenzi, Motori di ricerca in Infoaccessibile, 2015. http://www.infoaccessibile.com/lab-motori.htm 03/05/2015 70 Cfr. Massimo Marchiori, Biografia in Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Matematica, 2015. http://www.math.unipd.it/~massimo/bio-it.html 03/05/2015 71 Ad vocem Massimo Marchiori, in Wikipedia, 2015. http://it.wikipedia.org/wiki/Massimo_Marchiori 03/05/2015 68

37


2.3. Dal www al Web 2.0 Il Web 2.0. non si riferisce ad una versione più evoluta della tecnologia ma ad un mutamento generale degli approcci, dei modi e delle ragioni che portano gli individui ad interagire online. Durante i suoi primi dieci anni di vita il web è uno strumento che permette di trovare e condividere informazioni. Con il Web 2.0 internet diventa il luogo dove creare, collaborare, condividere e socializzare.72 Si racconta che nel 2004 i due “pionieri” del web, Tim O’Reilly e Dale Dougherty, rispettivamente fondatore e vicepresidente della casa editrice

internazionale

O’Reilly

Media,

specializzata

in

testi

di

informatica, stessero lavorando al titolo di una conferenza dedicata ai nuovi trend del web.73 Le discussioni sono state sintetizzate in un articolo dal titolo “What is Web 2.0: Design Patterns and Business Models for the Next Generation of Software”.74 Tuttavia l’espressione Web 2.0 non ha mai avuto una definizione chiara e univoca, ma ha preso forma nel tempo mediante le conferenze promosse dai due fondatori.75

72

Cfr. Tom Chatfield, 50 grandi idee digitali, Edizioni Dedalo, Bari 2012, p.40. Cfr. Riccardo Di Bari, L’era della web communication. Il futuro è adesso, Tangram Edizioni Scientifiche, Trento, 2010, p.42. 74 Cfr. Trad. It da Tim O’Reilly, What Is Web 2.0. Design Patterns and Business Models for the Next Generation of Software, 2005. http://www.oreilly.com/pub/a/web2/archive/what-is-web-20.html 11/03/2015 75 Cfr. Pier Giuseppe Rossi, Tecnologia e costruzione di mondi. Post-costruttivismo, linguaggi e ambienti di apprendimento, Armando Editore, Roma 2009, p.135. 73

38


La prima rivoluzione citata nell’articolo consiste nel vedere il web come una piattaforma. Dai software installati sui computer alle applicazioni disponibili online. “Il Web 2.0 è la rivoluzione del business dei computer causata dal passaggio a Internet come piattaforma e dal tentativo di capire le regole per il successo su questa nuova piattaforma. La principale di queste regole è costruire applicazioni in grado di sfruttare gli effetti di rete per ottenere il maggior numero di persone che le utilizzano.” Trad. It da Tim O’Reilly, Web 2.0 Compact Definition: Trying Again, 2006. http://radar.oreilly.com/2006/12/web-20-compact-definition-tryi.html 11/03/2015

L’articolo si concentra successivamente sui motori di ricerca.

Il

paragone è tra Netscape e Google. Google inizia la sua attività come un’applicazione web nativa, non in vendita ma fornita come servizio soggetto a miglioramenti continui, a differenza di Netscape che si propone come applicazione desktop. Google non è un insieme di strumenti di software, non è un browser, ma un database dinamico e specializzato. Si trova nello spazio tra il browser e il motore di ricerca, come intermediario tra l’utilizzatore e la sua esperienza online.76 Le innovazioni riguardano inoltre le strategie di marketing e advertising online che puntano con il Web 2.0 a partecipare più che a pubblicare inserzioni.77

76

Cfr. Trad. It da Tim O’Reilly, What Is Web 2.0. Design Patterns and Business Models for the Next Generation of Software, 2005. http://www.oreilly.com/pub/a/web2/archive/what-is-web-20.html 11/03/2015 77 Cfr. Riccardo Di Bari, L’era della web communication. Il futuro è adesso, Tangram Edizioni Scientifiche, Trento, 2010, p.44.

39


Un’ottimizzazione dell’attività dei motori di ricerca che consente il posizionamento delle pubblicità su qualsiasi pagina web, permettendo un instradamento dell’utente verso l’inserzione che si rivela molto più mirata e proficua in termini di risultati. Anche l’aspetto grafico e contenutistico delle pubblicità cambia: non più banner e popup che obbligano all’apertura non richiesta di finestre, bensì semplici inserzioni testuali poco invadenti ed estremamente mirate.78 Non a caso Tim O’Reilly parla di customer self service: l’utente Web 2.0. possiede gli strumenti per cercare e trovare da solo ciò a cui è interessato.79 Anche BitTorrent, servizio che consente la condivisione di file, si rivela un’applicazione chiave del Web 2.0 nell’utilizzo del peer-to-peer. L’avvento delle reti telematiche ha reso possibile la comunicazione interattiva paritetica, da pari a pari (peer-to-peer), in un’architettura di rete che opera allo stesso livello stabilendo un contatto tra utenti.80 Nel peer-to-peer ogni client è anche un server, i file sono frazionati per permettere l’accesso a più postazioni e più i file diventano popolari più velocemente saranno disponibili. Ancora una volta l’utente è al centro del servizio che migliora con l’aumentare delle adesioni, sfruttando la potenza degli utilizzatori stessi.81

78

Ivi, p.45. Ivi, p.46. 80 Cfr. Tomàs Maldonado, Critica della ragione informatica, Feltrinelli Editore, Milano 1997, p.19-20. 81 Cfr. Trad. It da Tim O’Reilly, What Is Web 2.0. Design Patterns and Business Models for the Next Generation of Software, 2005. http://www.oreilly.com/pub/a/web2/archive/what-is-web-20.html?page=2 11/03/2015 79

40


Un’altra profonda rivoluzione nelle dinamiche delle creazioni di contenuti sta nell’ideazione dell’enciclopedia online Wikipedia82. Nata nel 2001 per mano di Jimmy Wales e Larry Sanger rappresenta una delle più tipiche forme di approccio Web 2.0. Il perché di questa affermazione possiamo trovarlo nella definizione che Wikipedia fornisce di se stessa.83 È online, i suoi contenuti sono liberamente disponibili, utilizzabili e modificabili secondo un sistema aperto accessibile a chiunque e si sviluppa in modo collaborativo tramite il lavoro di volontari.84 L’utente legge, scrive, modifica, e diffonde. In una sola parola partecipa.85 Infatti un altro aspetto fondamentale del Web 2.0 è l’User Generated Content, tutto ciò che è online è creato dagli utenti. Anche l’avvento dei blog cambia l’approccio alla Rete.

Ognuno può

gestire da solo i propri contenuti online a prescindere dal livello delle sue competenze informatiche.86 L’estrema facilità d’uso permette a chiunque di mettere in scena se stesso, raccontarsi, confrontarsi con altri sé.87

82

http://it.wikipedia.org/ 11/03/2015 83 Ad vocem Wikipedia in Wikipedia, 2015. http://it.wikipedia.org/wiki/Wikipedia 11/03/2015 84 Cfr. Riccardo Di Bari, L’era della web communication. Il futuro è adesso, Tangram Edizioni Scientifiche, Trento, 2010, p.48. 85 Ivi, p.52. 86 Ivi, p.54. 87 Cfr. Francesco Gusmano, Dimensione wireless. Internet, agire comunicativo e cosmologie del quotidiano, Uniservice, Trento 2008, p.34.

41


Il sito web tende ad essere statico e istituzionale mentre il blog è dinamico

e

informale

e

soprattutto

può

essere

continuamente

modificato.88 La figura dell’utente si trasforma da semplice consumatore a produttore di contenuti: il prosumer 89, voce coniata da Alvin Toffler che fonde le due tipologie di soggetto. Come Wikipedia anche il blog sfrutta l’intelligenza collettiva, quello che James Surowiecki chiama la “saggezza della folla”, una specie di cervello globale a disposizione della collettività.90 Un’altra delle cose che ha fatto la differenza è una tecnologia denominata RSS (Rich Site Summary). Mediante questo formato l’utente non si collega solo ad una pagina ma può “abbonarsi” ad essa, ricevendo un avviso ogni volta che la pagina viene modificata.91 L’RSS viene utilizzato non solo per spingere i nuovi inserimenti sui blog ma anche per tutti gli aggiornamenti dei dati come quotazioni azionarie, meteo e foto.92 Con il Web 2.0 anche il concetto di tag si evolve. I tag permettono di salvare, organizzare e pubblicare un particolare contenuto espresso mediante una parola chiave 93 . Il sistema dei tag

88

Ivi, p.55. Ivi, p.67. 90 Cfr. Trad. It da Tim O’Reilly, What Is Web 2.0. Design Patterns and Business Models for the Next Generation of Software, 2005. http://www.oreilly.com/pub/a/web2/archive/what-is-web-20.html?page=3 11/03/2015 91 Ibidem. 92 Ibidem. 93 Cfr. Riccardo Di Bari, L’era della web communication. Il futuro è adesso, Tangram Edizioni Scientifiche, Trento, 2010, p.68. 89

42


segue quello della “tassonomia” (dal greco taxis, ordine e nomos, regole), disciplina che si occupa della classificazione degli elementi.94 Con l’intento di rendere il senso dell’evoluzione Web 2.0 dello schema tassonomico, Thomas Vander Wal conia il termine “folksonomy” (neologismo che deriva dall’unione delle parole folks, gente e taxonomy, tassonomia).95 Per folksonomia s’intende una classificazione creata dagli utilizzatori che attribuiscono una parola chiave, il tag, ad una risorsa web al fine di condividerla. I tag rappresentano un nuovo modo di classificazione sociale non più riservata ad una determinata categoria professionale ma a disposizione di tutti.96 Folksonomia è sinonimo di classificazione rapida e distribuita che rende più facile il reperimento delle informazioni, una sorta di scorciatoia nell’accesso ai contenuti.97 Un ulteriore aspetto del Web 2.0 è il potere della diffusione virale, processo che non sarebbe stato possibile senza la nascita di piattaforme sociali come i social network, tematica che verrà affrontata nel capitolo successivo. Riassumendo,

il

Web

2.0

è

un

ambiente

che

racchiude

la

consapevolezza di poter sfruttare la partecipazione attiva degli utenti nella creazione e nella condivisione delle informazioni. 94

Ad vocem Tassonomia, in l’Enciclopedia Italiana Treccani.it, Vocabolario on line, Roma 2014. http://www.treccani.it/vocabolario/tassonomia/ 11/03/2015 95 Cfr. Riccardo Di Bari, L’era della web communication. Il futuro è adesso, Tangram Edizioni Scientifiche, Trento, 2010, p.70. 96 Ivi, p.71. 97 Ivi, p.72-73.

43


2.4. Identità virtuale Agli inizi del XVIII secolo, il termine “virtuale” è utilizzato per descrivere l’immagine riflessa di un oggetto. Qualcosa che non è l’oggetto ma che appare come tale alla nostra percezione.98 L’etimologia della parola “virtuale” ci riconduce al termine latino medievale virtualis (da virtus, sinonimo di facoltà, forza, potenza) e designa proprio ciò che è in stato di potenza, ciò che ha la potenzialità di divenire.99 Quello che rende speciale questo concetto di virtualità è proprio questo senso di potenza. Non ha un luogo fisico di esistenza, eppure contiene il dinamismo che le permette di esistere.100 “La parola virtuale proviene dal latino medievale virtualis, derivato, a sua volta, da virtus, forza, potenza. Nella filosofia scolastica virtuale è ciò che esiste in potenza e non in atto. Il virtuale tende ad attualizzarsi, senza essere tuttavia passato a una concretizzazione effettiva o formale.” Pierre Lévy, Il virtuale, Raffaello Cortina Editore, Milano 1997, p.5.

Il virtuale prende sostanza attraverso i suoi utilizzatori e la prima delle virtualizzazioni è rintracciabile nel corpo stesso dell’uomo.101 Ed è proprio attraverso il corpo che l’uomo si moltiplica, si trasforma, presenta un altro “Io” e inventa altre identità.

98

Cfr. Luca Giuliano, I padroni della menzogna. Il gioco delle identità e dei mondi virtuali, Meltemi Editore, Roma 1997, p.12. 99 Ad vocem Virtuale, in l’Enciclopedia Italiana Treccani.it, Vocabolario on line, Roma 2014. http://www.treccani.it/vocabolario/virtuale/ 08/03/2015 100 Cfr. Luca Giuliano, I padroni della menzogna. Il gioco delle identità e dei mondi virtuali, Meltemi Editore, Roma 1997, p.16. 101 Ivi, p.17.

44


Per i filosofi il mondo è uno solo e non ammette alternative: non può essere che così, com’è stato creato.102 Il mondo di oggi ci concede al contrario una nuova realtà. La tecnologia ci ha offerto la possibilità di confrontarci con la nostra immagine

che

vediamo

riflessa

nello

specchio

del

computer,

permettendoci di vederci in modo diverso. Fin dai tempi più remoti l’uomo sa che alcune superfici riflettenti sono in grado di fornire immagini atte a raddoppiare la realtà.103 “Sono io che mi osservo allo specchio, oppure è la mia immagine che mi osserva?” Tomàs Maldonado, Reale e virtuale, Feltrinelli Editore, Milano 2005, p.41.

Con il passare del tempo il computer è diventato qualcosa di più di uno specchio: adesso siamo in grado di entrare in quella superficie riflettente.104 Nel computer è possibile vedere se stessi e la macchina sembra un secondo sé.105 “Si entra nel mondo dentro lo schermo come Alice passava attraverso lo specchio.” Sherry Turkle, La vita sullo schermo. Nuove identità e relazioni sociali nell'epoca di Internet, Apogeo Editore, Milano 2005, p.27.

Nel mondo attuale esiste una realtà concreta e una virtuale, che non è fisica anche se siamo in grado di vederla.106 102

Cfr. Vittorino Andreoli, La vita digitale, Bur Rizzoli, Milano 2008, p.7. Cfr. Tomàs Maldonado, Reale e virtuale, Feltrinelli Editore, Milano 2005, p.39. 104 Cfr. Sherry Turkle, La vita sullo schermo. Nuove identità e relazioni sociali nell'epoca di Internet, Apogeo Editore, Milano 2005, p.1. 105 Ivi, p.27. 103

45


Il confine tra reale e virtuale è estremamente labile, tutti i media hanno reso la differenza sempre più sottile e impalpabile.107 Il virtuale inteso ai giorni nostri non rimanda ad un effetto di “sospensione della realtà”, ma alla presenza di un’altra realtà, come valore di potenziamento.108 “Il virtuale non si contrappone al reale ma all’attuale: virtualità e attualità sono solo due diversi modi di essere.” Pierre Lévy, Il virtuale, Raffaello Cortina Editore, Milano 1997, p.5.

Possiamo considerare il virtuale come una nuova forma di realtà, un nuovo mondo che ci permette di accrescere le nostre capacità di comprendere il reale.109 Le attuali tecnologie sono finestre attraverso le quali possiamo guardare il mondo, espandere i nostri sensi e senza le quali il mondo contemporaneo difficilmente sarebbe visibile.110 Il senso della presenza del computer nella vita delle persone sta assumendo sembianze diverse rispetto a quanto si era immaginato alla fine degli anni ’70. Nella cultura popolare di quel periodo le persone iniziano ad abituarsi all’idea che il computer potesse estendere l’intelletto di un individuo.

106

Cfr. Vittorino Andreoli, La vita digitale, Bur Rizzoli, Milano 2008, p.8. Cfr. Gaia Moretti, Virtualmente insieme. Comunità virtuali, nuove tecnologie, apprendimento, pratiche, Edizioni Polimata, Roma 2012, p.26. 108 Cfr. Laura Fedeli, Embodiment e mondi virtuali. Implicazioni didattiche, Franco Angeli Editore, Milano 2013, p.19. 109 Cfr. Philippe Queau, Tra reale e virtuale, in Rai Mediamente, Roma 1998. http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/q/queau04.htm 01/10/2014 110 Cfr. Gaia Moretti, Virtualmente insieme. Comunità virtuali, nuove tecnologie, apprendimento, pratiche, Edizioni Polimata, Roma 2012, p.27. 107

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Oggi pensiamo che la tecnologia sia in grado di estendere la presenza fisica di una persona.111 Prima della diffusione di internet la realizzazione di finestre per l’interfaccia dei computer è stata un’innovazione motivata dalla necessità e dal desiderio di potersi muovere più velocemente e con più efficacia tra le varie applicazioni, ma nelle pratiche quotidiane, le finestre sono diventate metafore per pensare al proprio sé come un sistema multiplo distribuito. Un sé decentrato che esiste in molti mondi e impersona ruoli diversi nello stesso momento.112 “La vita reale non è altro che una finestra in più, e in genere nemmeno la migliore.” Sherry Turkle, La vita sullo schermo. Nuove identità e relazioni sociali nell'epoca di Internet, Apogeo Editore, Milano 2005, p.7.

Con la tecnologia i concetti di spazio, tempo, territorio e incontro sono stati sottoposti ad una notevole trasformazione. La tecnologia è entrata in noi condizionando il nostro modo di essere, rendendoci diversi e modificando il nostro modo di concepire lo spazio e il tempo.113 Due dimensioni in cui s’intrecciano i rapporti interpersonali, in cui il soggetto costruisce e sperimenta la propria identità.114 Inizialmente le tecnologie di connessione hanno promesso di fornirci più tempo, adesso gli istanti a nostra disposizione per pensare con 111

Cfr. Sherry Turkle, La vita sullo schermo. Nuove identità e relazioni sociali nell'epoca di Internet, Apogeo Editore, Milano 2005, p.14-15. 112 Ivi, p.7. 113 Cfr. Franco Di Maria, Stefania Cannizzaro (a cura di), Reti telematiche e trame psicologiche. Nodi, attraversamenti e frontiere di internet, Franco Angeli Editore, Milano 2001, p.7. 114 Cfr. Michele Bonazzi, La digitalizzazione della vita quotidiana, Franco Angeli Editore, Milano 2014, p.39.

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tranquillità sono diminuiti, comunichiamo in modi che ci richiedono risposte istantanee senza tempo per riflettere.115 Ciò che accade in tempo reale richiede troppo tempo ed essendo sempre collegati alla tecnologia ci sentiamo scossi quando il mondo reale non dà soddisfazioni, ci sembra quasi che non abbia significato.116 “Una volta ho definito il computer come un secondo io, uno specchio della mente, ma ormai questa metafora non basta più. I nostri nuovi dispositivi offrono lo spazio per la nascita di un nuovo stato del sé (self), un Itself diviso tra lo schermo e la realtà fisica, generato dal cablaggio reso possibile dalla tecnologia.” Sherry Turkle, Insieme ma soli. Perché ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri, Codice Edizioni, Torino 2012, p.61.

Fin dalla nascita le tecnologie ideate per la condivisione di informazioni si sono tramutate in tecnologie di relazione. Con l’avvento dei primi mondi sociali negli anni ’90 le persone hanno iniziato a crearsi un avatar, un sé virtuale, un’identità parallela. Sedendosi davanti ad un computer si era in grado di dare vita ad una personæ online.117 Nuovi corpi, nuove personalità, nuove rappresentazioni di identità, in relazione con altre, che possono sembrare l’identità stessa.118 Relazioni esistenti non tra due realtà immutabili e semplici, ma tra due realtà mutevoli e composite, che si plasmano reciprocamente.119

115

Cfr. Sherry Turkle, Insieme ma soli. Perché ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri, Codice Edizioni, Torino 2012, p.391. 116 Ivi, p.50. 117 Ivi, p.373. 118 Ivi p.50-51. 119 Cfr. Tomàs Maldonado, Critica della ragione informatica, Feltrinelli Editore, Milano 1997, p.55.

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Quello che viviamo oggi è un miscuglio esistenziale, della vita online e della vita offline, siamo passati dal multi-tasking al multi-lifing. Oggi la connessione non dipende dalla distanza che ci separa gli uni dagli altri ma dal fatto che si disponga o meno di una tecnologia per le comunicazioni.120 Fino a poco tempo fa era necessario un computer per collegarci alla Rete, mentre oggi i dispositivi mobili ci forniscono lo specchio per entrare nei nuovi tipi di spazio mentre siamo in movimento, rendendoci più facile la gestione dei nostri avatar.121 Luoghi in cui le persone si recano per essere loro stessi, ritrovarsi, perdersi o esplorare i vari aspetti di sé.122 “Lungo la nostra vita non smettiamo mai di lavorare sulla nostra identità; semplicemente, la rielaboriamo con il materiale a disposizione.” Sherry Turkle, Insieme ma soli. Perché ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri, Codice Edizioni, Torino 2012, p.374.

Le nuove tecnologie ci permettono di ridurre il contatto umano, di diluirne la natura e l’entità.123 L’ampio e rapido sviluppo delle tecnologie rappresenta il fenomeno sociale che caratterizza l’epoca attuale, la crescita imponente della sua

120

Cfr. Sherry Turkle, Insieme ma soli. Perché ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri, Codice Edizioni, Torino 2012, p.378-379. 121 Ivi, p.373. 122 Ivi, p.481. 123 Ivi, p.57.

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diffusione e utilizzazione è talmente veloce che supera nettamente la nostra capacità di definire, comprendere e valutarne gli effetti.124 Internet è una realtà virtuale ricca di informazioni, fenomeni e eventi. Ci spinge a riflettere sul rapporto esistente tra mente e virtualità della Rete e sulle relazioni che s’instaurano al suo interno. La Rete diventa il contenitore dove diversi aspetti del sé trovano spazio ed espressione.125 Attraverso internet il sé viene ridefinito alla luce del nuovo ambiente di interazione.126 Lo sviluppo del web ha prodotto identità che in connessione tra loro si confrontano, s’informano, fanno sentire la loro voce creando più visioni del mondo.127 In rete è possibile scegliere di essere ciò che si vuole essere, si possono nascondere alcuni aspetti della propria personalità e amplificarne altri, descriversi in modo diverso da come si è realmente.128 L’arena digitale è un luogo in cui costruire attraverso i rapporti sociali, il proprio essere per sé e il proprio essere per gli altri, in cui comporre una propria identità reale e/o virtuale.129

124

Cfr. Franco Di Maria, Stefania Cannizzaro (a cura di), Reti telematiche e trame psicologiche. Nodi, attraversamenti e frontiere di internet, Franco Angeli Editore, Milano 2001, p.43. 125 Ivi, p.20. 126 Ivi, p.26. 127 Cfr. Michele Bonazzi, La digitalizzazione della vita quotidiana, Franco Angeli Editore, Milano 2014. 128 Cfr. Franco Di Maria, Stefania Cannizzaro (a cura di), Reti telematiche e trame psicologiche. Nodi, attraversamenti e frontiere di internet, Franco Angeli Editore, Milano 2001, p.23. 129 Cfr. Michele Bonazzi, La digitalizzazione della vita quotidiana, Franco Angeli Editore, Milano 2014, p.75-76.

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“Un movimento generale di virtualizzazione investe oggi non solo l’ambito dell’informazione e della comunicazione ma anche il corpo, il sistema economico, i parametri collettivi della sensibilità e l’esercizio dell’intelligenza. La virtualizzazione si estende persino alle modalità della convivenza, alla costituzione della collettività, del “noi”: comunità virtuali imprese virtuali, democrazia virtuale.” Pierre Levy, Il virtuale, Raffaello Cortina Editore, Milano 2003, p.1.

La mancanza di confini spazio-temporali, l’assenza del corpo, la possibilità di rivestire identità diverse sono le componenti che influiscono nella delineazione di un mondo in cui le relazioni subiscono rapide modificazioni.130 La “rappresentazione del sé” è un problema antico. Chi sono io? Quale consapevolezza ho della mia esistenza come persona? Viviamo in una perenne sospensione tra l’essere e l’apparire. Ciascuno di noi percepisce la sua unicità nell’insieme dei desideri, delle scelte, dei valori che lo contraddistinguono. Nello stesso tempo ciascuno di noi esibisce apparenze momentanee e molteplici.131 Internet non è forse lo specchio distorto della realtà?132 Tutto questo ci invita a chiederci se la nostra identità, il nostro modo di essere è cambiato diventando più reale o più virtuale. Parlare delle

130

Cfr. Franco Di Maria, Stefania Cannizzaro (a cura di), Reti telematiche e trame psicologiche. Nodi, attraversamenti e frontiere di internet, Franco Angeli Editore, Milano 2001, p.26. 131 Cfr. Luca Giuliano, I padroni della menzogna. Il gioco delle identità e dei mondi virtuali, Meltemi Editore, Roma 1997, p.24. 132 Cfr. Franco Di Maria, Stefania Cannizzaro (a cura di), Reti telematiche e trame psicologiche. Nodi, attraversamenti e frontiere di internet, Franco Angeli Editore, Milano 2001, p.19.

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nuove tecnologie è un modo interessante per capire come può essere cambiata la nostra identità ed il nostro modo di vederci.133

2.4.1. Second Life Second Life134è un mondo virtuale in 3D fondato da Philip Rosedale e lanciato il 23 Giugno 2003 dalla società americana Linden Lab. È un mondo difficile da definire poiché può apparire come un videogioco ma non prevede situazioni di vittoria o sconfitta, missioni o livelli da superare.135 È uno spazio aperto e personalizzabile in cui le persone possono costruirsi una seconda vita 136 e rappresenta un tentativo del trasloco dell’umanità nel cyberspazio.137 Second Life fa parte del panorama dei mondi virtuali denominati MUVE (Multi-User Virtual Environment), ambienti virtuali accessibili da più utenti simultaneamente.138 Questo tipo di mondi virtuali è stato definito come un “successore” delle tecnologie del Web 2.0, una nuova frontiera del web.139

133

Cfr. Pasquale Romeo, L’uomo windows (“Uroboros”), Armando Editore, Roma 2011, p.69. http://secondlife.com/ 23/03/2015 135 Cfr. Mario Gerosa, Second Life, Meltemi Editore, Roma, 2007, p.7. 136 Ivi, p.7. 137 Ivi, p26. 138 Cfr. Giuseppe Alessandri, Dal desktop a Second Life. Tecnologie nella didattica, Morlacchi Editore, Perugia 2008, p.367. 139 Cfr. Gaia Moretti, Virtualmente insieme. Comunità virtuali, nuove tecnologie, apprendimento, pratiche, Edizioni Polimata, Roma 2012, p.14-15. 134

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Con Second Life abbiamo assistito ad un salto generazionale del www che dalle pagine web ci ha catapultato in un mondo esplorabile a tre dimensioni.140 Second Life è un multiuniverso, un mondo che racchiude altri mondi al suo interno. Ogni luogo ha una sua comunità di riferimento e sono le persone che vi abitano a determinare il tipo di ambiente che si viene a creare.141 È un mezzo di aggregazione, un luogo in cui costruire un’altra realtà, parallela, uno spazio di cui si è proprietari, un territorio da plasmare a proprio piacimento.142 “Second Life è un mondo in 3D in cui le persone che vedi sono vere e ogni luogo che visiti è costruito da gente come te.” http://secondlife.com/whatis/?lang=it-IT 23/03/2015

L’ambiente di Second Life si estende in migliaia di zone, isole fra loro interconnesse denominate “sims”. L’ingresso a questa nuova vita è gratuito, ma una residenza stabile e la conservazione delle cose create nel mondo sintetico richiedono il pagamento di una tassa variabile.143 Per accedere è sufficiente scaricare il programma gratuitamente e registrarsi.

140

Cfr. Mario Gerosa, Giampiero Moioli, Brera Academy Virtual Lab. Un viaggio dai mondi virtuali alla realtà aumentata nel segno dell'Open source, Franco Angeli Editore, Milano 2010, p.83. 141 Cfr. Gaia Moretti, Virtualmente insieme. Comunità virtuali, nuove tecnologie, apprendimento, pratiche, Edizioni Polimata, Roma 2012, p.79. 142 Ivi, p.109. 143 Cfr. Mario Gerosa, Second Life, Meltemi Editore, Roma, 2007, p.8.

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Il passo successivo è la creazione dell’avatar, la propria controparte virtuale. 144 Un involucro sintetico che ogni utente si costruisce per proiettare un ruolo verso se stesso e verso gli altri, che diventa il proprio biglietto da visita.145 Il potere dell’avatar in Second Life non è quello di nascondere l’identità ma quello di rivelarne ed esaltarne ogni lato nascosto.146

Figura 2.2 Second Life, 2015. http://secondlife.com/?lang=it-IT 22/03/2015

In Second Life l’apparenza predomina su tutte le altre caratteristiche, tutte le identità sono costruite per essere visibili.147 144

Ivi, p.27. Cfr. Mario Gerosa, Giampiero Moioli, Brera Academy Virtual Lab. Un viaggio dai mondi virtuali alla realtà aumentata nel segno dell'Open source, Franco Angeli Editore, Milano 2010, p.35-55. 146 Cfr. Adriano Fabris (a cura di), Etica del virtuale, Vita e Pensiero Editrice, Milano 2007, p.166. 145

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Questa piattaforma è popolata da proiezioni di sé, generalmente dal proprio ideale dell’io, e gli avatar consentono nuove presentazioni di sé in cui gli individui si raffigurano. Questo strumento ha consentito il libero sfogo di tali proiezioni, ci si può nascondere o presentare come nella vita reale non si potrebbe o non si oserebbe fare.148 Cerchiamo quindi di identificarci con quella parte di noi che meglio risponde alla nostra autorappresentazione.149 Pur essendo immateriale, l’avatar è percepibile, il suo proprietario lo indossa come una seconda pelle150e contribuisce a fornire all’utente una spiccata sensazione di corporeità e quindi di presenza.151 La virtualità e la possibilità di agire mediante una rappresentazione digitale di sé stimola l’individuo non solo ad interagire con personalità diverse, ma con più aspetti della propria personalità che assume il carattere di un’entità multipla152, sperimentando una nuova vita.153 In Second Life gli avatar possono muoversi camminando, volando o teletrasportandosi da un punto all’altro della rete di isole.154 I canali comunicativi proposti dalla piattaforma sono molteplici: gli utenti possono interagire tra loro tramite la chat, conversazioni vocali o Instant Message.155 147

Cfr. Gaia Moretti, Virtualmente insieme. Comunità virtuali, nuove tecnologie, apprendimento, pratiche, Edizioni Polimata, Roma 2012, p.80. 148 Cfr. Carlo Pancera, Le maschere e gli specchi. Identità e differenze tra omologazione, eterogeneità, osmosi e complessità, Franco Angeli Editore, Milano 2011, p.191. 149 Ivi, p.193. 150 Cfr. Marina D’Amato, Finzione e mondi possibili. Per una sociologia dell’immaginario, Libreriauniversitaria.it Edizioni, Padova, 2012, p.158. 151 Cfr. Giuseppe Alessandri, Dal desktop a Second Life. Tecnologie nella didattica, Morlacchi Editore, Perugia 2008, p.383. 152 Ivi, p.374. 153 Ivi, p.377. 154 Cfr. Mario Gerosa, Giampiero Moioli, Brera Academy Virtual Lab. Un viaggio dai mondi virtuali alla realtà aumentata nel segno dell'Open source, Franco Angeli Editore, Milano 2010, p.83.

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I residenti sono allo stesso tempo architetti, visitatori e consumatori di un universo sintetico che incoraggia la socializzazione e l’interazione sociale.156 Gli utenti condividono ed investono liberamente tempo, risorse, conoscenze e competenze tecniche nel far crescere questo spazio digitale.157 Infatti i principi ispiratori di Second Life sono la filosofia open source e il modello delle creative commons, finalizzati alla libera condivisione delle informazioni.158 Il suo successo dipende dall’attività dei suoi fruitori, che non sono i semplici consumatori ma creatori attivi di questo mondo.159 All’interno di Second Life è possibile farsi una cultura, fondare un’azienda, acquistare terreni, dare vita e rendere interattivi oggetti tridimensionali, costruire e arredare una casa e persino guadagnare soldi. Infatti in Second Life esiste una vera e propria economia, con valuta locale, i Linden Dollars (L$), convertibili in dollari.160 Sono molte le attività possibili in Second Life e la vita sociale è molto vivace: ci sono eventi, conferenze, feste e concerti.161 La maggior parte degli utenti considerano Second Life un luogo di residenza a tutti gli effetti, uno spazio sintetico ibrido.162

155

Cfr. Giuseppe Alessandri, Dal desktop a Second Life. Tecnologie nella didattica, Morlacchi Editore, Perugia 2008, p.378. 156 Cfr. Mario Gerosa, Second Life, Meltemi Editore, Roma, 2007, p.17. 157 Ivi, p.9-12. 158 Ivi, p.9. 159 Ivi, p.15. 160 Cfr. Sherry Turkle, Insieme ma soli. Perché ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri, Codice Edizioni, Torino 2012, p.375. 161 Ivi, p.31. 162 Cfr. Mario Gerosa, Second Life, Meltemi Editore, Roma, 2007, p.10.

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Second Life è anche un luogo in cui praticare arte163e in cui gli artisti tendono a presentare come opere d’arte anche se stessi.164 Il gruppo 0100101110101101.org 165 , le cui pratiche verranno descritte nell’ultimo capitolo di questa tesi, noto per essersi nascosto dietro all’interpretazione e alla costruzione di identità fittizie, nel mondo di Second Life si presenta per la prima volta con i nomi di Eva e Franco Mattes.166 In un mondo in cui potrebbero essere chiunque e qualunque cosa, loro decidono di essere se stessi.167 Con Second Life la coppia inizia ad intuire l'enorme potere dei mondi virtuali e la loro capacità di rendere reali le maschere.168 A partire dal 2006 spostano la loro attività artistica su Second Life realizzando ritratti in 3D e rimettendo in scena attraverso i loro avatar alcune celebri performance di famosi artisti degli anni ’60 e ’70.169 Sono molti gli artisti, i critici e i curatori che si riuniscono nel mondo di Second Life anche solo per creare scompiglio.170

163

Cfr. Trad. It da Domenico Quaranta, Remediations. Art in Second Life, in Hz Journal, 2007. http://www.hz-journal.org/n11/quaranta.html 23/03/2015 164 Cfr. Domenico Quaranta, Arte ”nativa” in Second Life, in Artext, 2008. http://www.artext.it/Domenico-Quaranta.html 23/03/2015 165 http://0100101110101101.org/ 23/03/2015 166 Cfr. Domenico Quaranta, Arte ”nativa” in Second Life, 2008. http://www.artext.it/Domenico-Quaranta.html 23/03/2015 167 Cfr. Domenico Quaranta, The Artist as Artwork in Virtual Worlds, 2007. http://domenicoquaranta.com/public/LECTURES/2007_12_RTFPecci.pdf 23/03/2015 168 Ibidem. 169 Cfr. Domenico Quaranta, Rinascimento Virtuale, 2008. http://domenicoquaranta.com/public/CATALOGUES/2008_11_rinascimento_virtuale.pdf 23/03/2015 170 Cfr. Domenico Quaranta, Second_Life. Virtual Fluxus, in Exibart, 2007.

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Un artista attivo in Second Life è Man Michinaga, che corrisponde nella realtà a Patrick Lichty, artista, curatore e critico americano. Nel 2006 fonda Second Front 171 , come estensione online di Western Front, un collettivo che ripropone la logica degli eventi Fluxus attraverso performance spesso non annunciate, realizzate in spazi pubblici che prevedono un forte coinvolgimento del pubblico.172 Una delle più memorabili è stata Last Supper del 2007, una rievocazione dell’Ultima Cena di Leonardo in chiave punk.

2.3 Second Front, Last Supper, 2007. http://www.hz-journal.org/n11/quaranta.html 23/03/2015 !

http://www.exibart.com/notizia.asp/IDNotizia/19662/IDCategoria/231 23/03/2015 171 http://www.secondfront.org/ 23/03/2015 172 Cfr. Trad. It da Domenico Quaranta, Remediations. Art in Second Life, in Hz Journal, 2007. http://www.hz-journal.org/n11/quaranta.html 23/03/2015

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DC Spensley nella vita reale è autore di opere di cyberart, elaborazioni digitali, frattali, software di elaborazione tridimensionale.173 Il suo corrispettivo nell’universo sintetico porta il nome di Dancoyote Antonelli 174 e, piuttosto che un universo sociale con cui entrare in relazione, considera Second Life come un software da sfruttare in tutte le sue potenzialità.175 Il suo Museum of Hyperformalism è una vera e propria installazione virtuale dove il visitatore può immergersi fluttuando nell’aria attraverso le opere presenti grazie ad un grande cubo rosso che funge da mezzo di trasporto. L’artista Juria Yoshikawa in Second Life produce installazioni ambientali che smaterializzano gli spazi 3D in agglomerati di luci colorate in cui si perde totalmente il senso dello spazio.176Juria Yoshikawa è in realtà un artista digitale di nome Lance Shields. Probabilmente l'artista più nota e stimata di Second Life e uno dei casi più riusciti di costruzione identitaria è Gazira Babeli.177 È un’identità costruita ma, diversamente dagli altri utenti di Second Life, Gazira non è una proiezione virtuale di un io reale.178

173

Cfr. Domenico Quaranta, The Artist as Artwork in Virtual Worlds, 2007. http://domenicoquaranta.com/public/LECTURES/2007_12_RTFPecci.pdf 23/03/2015 174 http://www.dancoyote.com/ 23/03/2015 175 Cfr. Domenico Quaranta, The Artist as Artwork in Virtual Worlds, 2007. http://domenicoquaranta.com/public/LECTURES/2007_12_RTFPecci.pdf 23/03/2015 176 Ibidem. 177 Ibidem 178 Cfr. Domenico Quaranta, Second Life/Real Life, 2006. http://domenicoquaranta.com/public/CATALOGUES/2006_12_peam2k6.pdf 23/03/2015

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Vive e opera esclusivamente nel software attraverso un avatar, in un universo generato da chilometri di linee di codice, abitato e vissuto da milioni di persone ogni giorno.179 Manipolando e attivando quello stesso codice dal quale prende vita, crea performance provocatorie che esplorano questioni che riguardano il corpo, lo spazio e l’identità nel mondo virtuale.180

2.4 Gazira Babeli, Second Soup, 2006. http://www.gazirababeli.com/secondsoup.php 23/03/2015

Le sue performance sono dei piccoli cataclismi che sconvolgono l’ambiente. Nelle sue azioni fa comparire grandi punti interrogativi che affollano l’orizzonte, imprigiona il suo stesso avatar in lattine di

179

Cfr. Domenico Quaranta, Yves Bernard, Holy fire. Art of the digital age, Link Editions, Brescia 2011, p.8. 180 Ibidem.

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Campbell’s Soup, fa volteggiare al ritmo di “O’ sole mio” flussi di pizze volanti e inserisce gli avatar di altri utenti nelle tele di pittori famosi.181 Nella performance Come To Heaven182del 2006 riesce a lanciare in aria gli avatar a folle velocità sfidando la forza di gravità e soprattutto la capacità della scheda grafica del computer. A seconda del computer utilizzato i corpi si deformano, si scompongono o si moltiplicano.183 Gazira Babeli parla di noi e delle nostre identità multiple, dei nostri modi di rappresentarci, delle nostre vite di fronte ad uno schermo.184 Il suo lavoro esplora le contraddizioni e le convenzioni di questo mondo attraverso i concetti di corpo, spazio e tempo.185 Ma l’opera principale di Gazira Babeli è la creazione di se stessa, la manipolazione cosciente della sua leggenda.186 Come accade in molte opere di net.art queste azioni non sono dannose ma esplorano i limiti della tecnologia sperimentandone nuovi utilizzi non previsti. I mondi online e i giochi di ruolo ci chiedono di immaginare, costruire, correggere e interpretare un sé.187 Quando recitiamo una vita virtuale abbiamo l’opportunità di vedere cosa desideriamo e che cosa ci manca.188 181

Cfr. Valentina Tanni, Gazira Babeli e la magia del codice, 2008. http://www.valentinatanni.com/portfolio/gazira-babeli-e-la-magia-del-codice/ 23/03/2015 182 http://www.gazirababeli.com/cometoheaven.php 23/03/2015 183 Cfr. Valentina Tanni, Gazira Babeli e la magia del codice, 2008. http://www.valentinatanni.com/portfolio/gazira-babeli-e-la-magia-del-codice/ 23/03/2015 184 Cfr. Domenico Quaranta, Yves Bernard, Holy fire. Art of the digital age, Link Editions, Brescia 2011, p.8. 185 Ibidem. 186 Ibidem. 187 Cfr. Sherry Turkle, Insieme ma soli. Perché ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri, Codice Edizioni, Torino 2012, p.491.

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Il claim di Second Life è proprio “Your world, your Imagination”.189

Figura 2.5 Second Life, 2015. http://secondlife.com/ 22/03/2015

L’antropologo Victor Turner scrive che siamo molto più liberi di esplorare la nostra identità nei luoghi che non fanno parte della nostra vita quotidiana, luoghi che definisce liminali, dal latino limen, soglia, confine.190 “Entra in un mondo con possibilità infinite e vivi una vita senza confini, seguendo solo la tua immaginazione.” http://secondlife.com/whatis/?lang=it-IT 22/03/2015

188

Ibidem. Cfr. Mario Gerosa, Second Life, Meltemi Editore, Roma, 2007, p.27. 190 Cfr. Sherry Turkle, Insieme ma soli. Perché ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri, Codice Edizioni, Torino 2012, p.492-493. 189

62


In Second Life i confini tra gioco e specchio di una vita possibile sono fluttuanti, è un mondo virtuale che rappresenta un vero gioco di specchi dove si trova tutto e il contrario di tutto.191

191

Cfr. Mario Gerosa, Second Life, Meltemi Editore, Roma, 2007, p.43-46.

63


2.5. Strategie di identità: le personas Con l’evoluzione e lo sviluppo sempre maggiore di ambiti come la comunicazione e il marketing nel web si ridefiniscono continuamente le strategie da adottare per capire il cliente e per realizzare progetti o servizi che si adattino perfettamente alle sue esigenze. Comprendere i bisogni dell’utente è infatti uno dei fattori più rilevanti e critici per il successo di un progetto. Prima di sviluppare un qualsiasi progetto digitale è di fondamentale importanza definire il proprio target di riferimento. Per target si intende la segmentazione di mercato in singole unità secondo alcune variabili che possono essere geografiche, sociodemografiche, psicografiche e comportamentali. Ci sono molti modi per identificare le caratteristiche e le richieste degli utenti: interviste, test di usabilità, questionari, e sondaggi. Ma una tecnica divenuta molto popolare è la creazione di profili di utenti fittizi denominati personas. Le personas sono la personificazione dei segmenti di mercato che aiutano ad individuare i potenziali utenti della piattaforma e ad identificare le loro tendenze e i loro comportamenti. Non sono utenti reali ma archetipi specifici di persone che agiscono come tali facilitando la comprensione degli obiettivi, dei desideri e delle richieste di un determinato target di individui. Ritratti di utenti astratti ma rappresentati in modo realistico, poiché basati sulla conoscenza di utenti esistenti. 64


Le personas vengono delineate in seguito ad una serie di ricerche condotte su gruppi di utenti reali con motivazioni e comportamenti affini ed appartenenti ad un determinato target di riferimento. Le informazioni ricavate per ciascuna persona vengono formalizzate in una scheda che riassume la tipologia dell’utente individuato. Nel modello viene inserita una fotografia rappresentativa ed informazioni riguardo l’età, l’occupazione, le abitudini, i comportamenti, le abilità e le necessita dell’utente. Le personas non sono quindi basate su intuizioni ma su informazioni reperite da persone esistenti e sul loro modo di approcciarsi ad ambienti online. Le personas non rappresentano un utente medio ma l’insieme delle caratteristiche precise di potenziali gruppi di utenti. Creare

personas

significa

focalizzare

l’attenzione

sul

target

di

riferimento, acquisire una panoramica sulle diverse tipologie di utenti destinatari e creare contenuti mirati ed allineati ai bisogni effettivi degli utenti. Le personas portano in vita utenti astratti, consentendo di dare un’identità

all’insieme

di

informazioni

raccolte

che

altrimenti

rimarrebbero isolate. Sono inoltre un metodo efficace per identificare le opportunità e le criticità di una piattaforma. Le personas sono un valido aiuto per avvicinarsi alla mentalità degli utenti e permettono ai designers di proiettare i bisogni e i desideri degli utilizzatori nel progetto finale.

65


Figura 3.1 VincosBlog, World Map of Social Network, 2014. http://vincos.it/2015/02/04/la-mappa-dei-social-network-nel-mondo-dicembre-2014/ 11/03/2015

66


3. I social network: caratteristiche della nuova Rete 3.1. I principali social network: le origini Fin dalle origini gli utenti di internet hanno amato indossare un’identità parallela, sovrapposta e non necessariamente coincidente con quella reale.192 Nel “primo” World Wide Web si accedeva alla Rete con uno pseudonimo, un nickname, arbitrario e caratterizzante, ma non sempre riconducibile all’identità offline.193 I social network hanno quasi interamente annullato la linea di confine fra la vita online e la vita offline,194cambiando la nostra realtà in modo quasi invisibile ma sostanziale.195 La Rete si è riempita di nuovi abitanti, nuove identità, ognuna con il proprio nome e cognome, la propria foto, i propri contatti.196 I social network sono forme di aggregazione sociali create per mettere in connessione tra loro persone accomunate da un interesse, una 192

Cfr. Enrico Giammarco, L’uomo digitale. Oltre il dualismo tecnologico Frenico Self Publishing, Verona 2013. 193 Cfr. Alessandro Caliandro, Uno sguardo sociologico sulla costruzione dell’identità online, in Etnografia Digitale, 2011. http://www.etnografiadigitale.it/2011/01/uno-sguardo-sociologico-sulla-costruzionedellidentita-online/ 08/04/2015 194 Ibidem. 195 Cfr. Stefano Voltan, Quanto rivela della vostra personalità il profilo Facebook?, in Wired, 2014. http://www.wired.it/internet/social-network/2014/07/07/quanto-rivela-della-vostra-personalitail-profilo-facebook/ 08/04/2015 196 Cfr. Enrico Giammarco, L’uomo digitale. Oltre il dualismo tecnologico, Frenico Self Publishing, Verona 2013.

67


passione, un legame o altri fattori come la propria posizione geografica, il proprio lavoro, la propria cerchia di amici.197 Il primo spazio web che prova a sperimentare le reti sociali è Classmates 198 , nato nel 1995, destinato ad un utilizzo scolastico e pensato per mettere in contatto gli studenti senza il bisogno di creare liste di contatti interne.199 Tuttavia il primo sito riconducibile alle attuali forme di social network e riconosciuto unanimemente come tale200è SixDegrees, lanciato due anni più tardi, che offre alle persone la possibilità di costruirsi la propria rete sociale online ed esplorare quella degli altri stringendo nuove relazioni.201 La logica del suo funzionamento si ispira all’esperimento del sociologo statunitense Stanley Milgram, “Sei gradi di separazione”, secondo il quale una persona può mettersi in contatto con qualsiasi altra persona che non conosce tramite un numero massimo di cinque intermediari. SixDegrees ha raccolto per la prima volta molte delle caratteristiche distintive di un qualsiasi social network odierno: la creazione di un proprio profilo personale, la costruzione di una lista di amici, la possibilità di visita e interazione con i profili di amici.202 A SixDegrees si deve anche l’invenzione della bacheca: ogni utente iscritto aveva a disposizione un luogo virtuale dove pubblicare i propri 197

Cfr. Marco Massarotto, Social Network. Costruire e comunicare identità in rete, Apogeo Editore, Milano 2011. 198 http://www.classmates.com/ 15/04/2015 199 Cfr. Carlo Mazzucchelli, La solitudine dei social networker, Delos Digital, Milano 2014. 200 Cfr. Francesco Tissoni, Social network. Comunicazione e marketing, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna 2014, p.87. 201 Cfr. Marco Massarotto, Social Network. Costruire e comunicare identità in rete, Apogeo Editore, Milano 2011. 202 Ibidem.

68


post e leggere quelli degli utenti che formavano la sua cerchia di relazioni.203 Ăˆ stato il pioniere che ha aperto la strada ai grandi social network che nasceranno negli anni a seguire, 204 ma a causa di un mancato ritorno sugli investimenti il suo progetto è terminato nel 2001.205 Contemporaneamente a SixDegrees e Classmates durante la fine degli anni novanta nascono numerosi progetti internazionali di social networking come AsianAve206, BlackPlanet207, Cyworld208 e MiGente209. Tutte applicazioni che permettono la creazione di un profilo e la sua condivisione per motivi personali, professionali e di conoscenza.210 A partire dai primi anni 2000 nascono applicazioni finalizzate alla creazione di reti professionali come Ryze211, Bebo212, Tribe213. Nel 2002 nasce Friendster214, basato su un concetto simile a quello di SixDegrees e concepito inizialmente come sito di incontri online, attualmente molto popolare in Asia e nelle Filippine.215

203

Cfr. Francesco Tissoni, Social network. Comunicazione e marketing, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna 2014, p.89. 204 Cfr. Marco Massarotto, Social Network. Costruire e comunicare identitĂ in rete, Apogeo Editore, Milano 2011. 205 Cfr. Carlo Mazzucchelli, La solitudine dei social networker, Delos Digital, Milano 2014. 206 http://www.asianave.com/ 15/04/2015 207 http://www.blackplanet.com/ 15/04/2015 208 http://www.cyworld.com/ 15/04/2015 209 http://www.migente.com/ 15/04/2015 210 Cfr. Carlo Mazzucchelli, La solitudine dei social networker, Delos Digital, Milano 2014. 211 http://www.ryze.com/ 15/04/2015 212 http://www.bebo.com/ 15/04/2015 213 http://www.tribe.net/ 15/04/2015 214 http://www.friendster.com/

69


Nello stesso anno sorge Last.fm 216 , un social network dedicato alla condivisione della musica. Il sistema permette la creazione di un profilo dettagliato per ogni utente con le canzoni e gli artisti preferiti. Nel 2003 viene lanciato LinkedIn 217 con un approccio rivolto alle professioni, divenuto oggi il caposaldo dei social network dedicati al mondo professionale e di business. Mediante l’uso di determinate parole chiave è possibile cercare all’interno della propria rete di contatti soggetti che abbiano competenze specifiche e ben definite.218 A partire dal 2003 tutti i social network puntano sul ruolo del profilo individuale come elemento catalizzatore della vita sociale online.219 La nuova generazione dei social network inizia nel 2003 con MySpace220, un luogo di espressione e relazione artistica online rivolto al mondo della musica.221 MySpace è il primo social network a permettere la personalizzazione della propria pagina dove l’utente può crearsi un proprio spazio e inserire foto, musica e commenti al fine di costruire un profilo attraverso il quale interagire con la comunità di utenti.222

15/04/2015 215 Cfr. Marco Massarotto, Social Network. Costruire e comunicare identità in rete, Editore, Milano 2011. 216 http://www.lastfm.it/ 15/04/2015 217 http://www.linkedin.com/ 15/04/2015 218 Cfr. Gabriele Falistocco, Marco Giacomello, Fiorenzo Pilla, Io digitale. Dai social al diritto all'oblio i mille volti della nostra identità in rete, Ledizioni, Milano 2014. 219 Cfr. Carlo Mazzucchelli, La solitudine dei social networker, Delos Digital, Milano 220 http://myspace.com/ 15/04/2015 221 Cfr. Marco Massarotto, Social Network. Costruire e comunicare identità in rete, Editore, Milano 2011. 222 Cfr. Carlo Mazzucchelli, La solitudine dei social networker, Delos Digital, Milano

70

Apogeo

network 2014.

Apogeo 2014.


Il servizio ha favorito la creazione di un universo artistico nel quale si incontrano cantanti, band, fans e case discografiche.223 Sempre nel 2003 nasce Flickr

224

, dove qualunque utente può

raccogliere le proprie foto, condividerle e organizzarle in gruppi, navigare tra gli scatti degli altri utenti commentando ed entrando in contatto con loro.225 Dal 2004 in poi si è assistito alla proliferazione di nuove applicazioni di social

network

a

livello

internazionale:

Orkut

226

in

Brasile,

LunarStorm227in Svezia, Hyves228in Olanda e Grono229in Polonia.230 Il 2004 è soprattutto l’anno di Facebook conosciuto oggi come social network dominante del pianeta.231 Nel 2005 nasce YouTube232, piattaforma specializzata nella diffusione di video diventato il punto di riferimento del video online.233 Il 2006 vede l’avvio di Twitter 234 , un servizio di microblogging molto minimalista. Twitter fornisce ad ogni suo utente una pagina da

223

Cfr. Luigi Centenaro, Tommaso Sorchiotti, Personal Branding. L’arte di promuovere e vendere se stessi online, Ulrico Hoepli Editore, Milano 2010, p.180. 224 http://www.flickr.com 15/04/2015 225 Cfr. Luigi Centenaro, Tommaso Sorchiotti, Personal Branding. L’arte di promuovere e vendere se stessi online, Ulrico Hoepli Editore, Milano 2010, p.182. 226 http://orkut.google.com/ 15/04/2015 227 http://www.lunarstorm.se/ 15/04/2015 228 http://hyvesgames.nl/ 15/04/2015 229 http://www.grono.net/ 15/04/2015 230 Cfr. Carlo Mazzucchelli, La solitudine dei social networker, Delos Digital, Milano 2014. 231 Cfr. Marco Massarotto, Social Network. Costruire e comunicare identità in rete, Apogeo Editore, Milano 2011. 232 http://www.youtube.com/ 15/04/2015 233 Cfr. Luigi Centenaro, Tommaso Sorchiotti, Personal Branding. L’arte di promuovere e vendere se stessi online, Ulrico Hoepli Editore, Milano 2010, p.180.

71


personalizzare mediante l’inserimento di tweet (cinguettii), brevissimi aggiornamenti di stato composti al massimo da 140 caratteri in tutto. Con Twitter l’interscambio è molto veloce e dinamico. Il 2006 vede la nascita anche di Anobii235, un servizio di social network creato in Cina che ha trovato diffusione in molti paesi. Il servizio permette agli utenti di creare la propria libreria virtuale ed entrare in contatto con persone con gusti simili.

236

È possibile condividere

commenti, recensioni, segnalazioni e creare liste di desideri sui prossimi oggetti di lettura.237 Nel 2007 sorge FriendFeed238, un servizio che sta a metà tra un social network e un aggregatore. FriendFeed offre la possibilità di creare il proprio

lifestream,

ossia

il

flusso

delle

proprie

attività

online,

raccogliendo in un unico spazio tutte le attività compiute sui social network.239 Nello stesso anno viene ideato Tumblr

240

, una piattaforma di

microblogging che si avvicina molto ad un blog dove l’utente può scrivere, inserire link e caricare foto o video. Nel 2009 nasce Foursquare241forse il più popolare dei servizi di social network basati sul principio della geolocalizzazione. Permette ai suoi 234

http://twitter.com/ 15/04/2015 235 http://www.anobii.com/ 15/04/2015 236 Cfr. Luigi Centenaro, Tommaso Sorchiotti, vendere se stessi online, Ulrico Hoepli Editore, 237 Ibidem. 238 http://friendfeed.com/ 15/04/2015 239 Cfr. Luigi Centenaro, Tommaso Sorchiotti, vendere se stessi online, Ulrico Hoepli Editore, 240 http://www.tumblr.com/ 15/04/2015 241 http://www.foursquare.com/

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Personal Branding. L’arte di promuovere e Milano 2010, p.185.

Personal Branding. L’arte di promuovere e Milano 2010, p.197.


utenti di effettuare un check-in, registrando la loro presenza in un luogo per comunicarla a tutta la propria cerchia di amici.242 Nonostante non sia ufficialmente un social network è doveroso citare Whatsapp243, la app di messaggistica istantanea più utilizzata al mondo nata nel 2009 ed acquistata dal team di Facebook all’inizio del 2014. Sfruttando la connessione ad internet è possibile inviare gratuitamente messaggi di testo, fotografie, video, suoni, creare gruppi e da poco è stata introdotta la possibilità di effettuare chiamate vocali. Gli ultimi numeri parlano di 800 milioni di utenti attivi al mese e di una crescita pari ad un milione di utenti ogni giorno. Nell’ottobre 2010 viene lanciata la prima versione di Instagram come una semplice app di fotografia. Instagram permette agli utenti di scattare foto e registrare video, applicare filtri alle immagini e condividere i contenuti anche su altri social network. Sempre nel 2010 viene fondato Pinterest244, social network dedicato alla condivisione di immagini, fotografie e video. Nel 2011 Google lancia il suo social network, Google Plus

245

,

integrandolo con tutte le funzioni del motore di ricerca per permettere agli utenti di condividere, ordinare e gestire foto, video e amici.

15/04/2015 242 Cfr. Francesco Tissoni, Social network. Comunicazione e marketing, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna 2014, p.127. 243 http://www.whatsapp.com/?l=it 15/04/2015 244 http://pinterest.com/ 15/04/2015 245 http://plus.google.com/ 15/04/2015

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Nel corso di poco più di un decennio i social network si sono affermati, moltiplicati e diffusi creando nuove abitudini, stili di comunicazione e tendenze.246

3.1.1. Fenomeno Facebook La leggenda narra che Facebook sia nato l’11 gennaio 2004 in una stanza di uno studente della Harvard University chiamato Mark Zuckerberg.247 Uno studente che già qualche anno prima era riuscito a creare quello che sarebbe stato il predecessore di Facebook, uno dei primi esperimenti di social hacking della storia: Facemash.

Una piattaforma

che metteva a confronto due foto di studenti dello stesso sesso ed invitava l’utente a sceglierne il più attraente. Un’idea apparentemente innocente se non per il fatto che Zuckerberg fosse riuscito a violare l’archivio della Harvard University per riversare i ritratti di tutti gli studenti sul sito.248 Il 4 febbraio 2004 viene effettuata la registrazione del dominio di Thefacebook.com,

la

versione

online

dell’annuario

di

Harvard,

accessibile ai soli studenti dell’università. Il layout si presenta semplice, minimalista ed essenziale, simile ad un libro.

246

Cfr. Fausto Colombo, Il potere socievole. Storia e critica dei social network, Bruno Mondadori Editore, Milano 2013. 247 Cfr. Lorenzo Mannella, Storybook. I primi dieci anni di Facebook, GoWare Edizioni, Firenze 2014. 248 Ibidem.

74


È fin da subito un fenomeno virale, tutti ne parlano e tutti vogliono avere un profilo. Inizialmente le interazioni virtuali sono molto limitate, ma il suo utilizzo viene gradualmente esteso ad altre università fino a raggiungere nel giro di poco tempo tutti i college statunitensi e canadesi. La fama del social network cresce a dismisura, da zero ad un milione di utenti in dieci mesi. Nel 2004 diventa una società per azioni e trasferisce la sua sede operativa a Palo Alto, in California.249 Zuckerberg decide di allargare l’accesso anche a studenti di scuole superiori e introduce la possibilità di caricare foto e creare album dotati di tag. Dal 2005 cambia nome diventando semplicemente Facebook 250 e nel 2006 viene reso finalmente accessibile a tutte le persone dai tredici anni in su. Nel maggio 2007 Zuckerberg e il suo staff lanciano la “Piattaforma Facebook”. Vengono rese pubbliche le API (Application Programming Interface), interfacce di programmazione che permettono a sviluppatori esterni di scrivere applicazioni integrabili con il sito. In breve tempo nascono migliaia di programmi a cui ogni utente può accedere attraverso il proprio profilo. Diventa così un enorme contenitore a cui possono essere aggiunti svariati programmi.251

249

Cfr. Federico Guerrini, Facebook reloaded, Ulrico Hoepli Editore, Milano 2010, p.4. http://www.facebook.com/ 22/04/2015 251 Cfr. Federico Guerrini, Facebook reloaded, Ulrico Hoepli Editore, Milano 2010, p.4. 250

75


Facebook non è un fenomeno che passa inosservato, non esiste un altro sito web che nella storia recente sia riuscito ad incidere così profondamente nelle abitudini e nella comunicazione di centinaia di milioni di persone di ogni angolo del pianeta.252 Nessun social network era mai riuscito a travasare tutta la vita privata delle persone in un unico luogo virtuale, 253 per la prima volta un sito internet rispecchia fedelmente una comunità di persone reali.254 Con Facebook ogni utente utilizza la propria email e compila il proprio profilo. Tutto per rimanere connesso ai propri amici.255 “Facebook ti aiuta a connetterti e rimanere in contatto con le persone della tua vita.” http://www.facebook.com/

Facebook non permette solo di comunicare con gli altri, ma di comunicare qualcosa di sè, rassicurarsi di esistere in quanto visti, riconosciuti e taggati.256 Facebook sembra rispondere alla necessità di molte persone di rispecchiarsi, quasi a trovare nello sguardo degli altri la conferma della propria esistenza.257 Si rivela come un dispositivo specchio che crea effetti di somiglianza con il reale, consentendo di guardarsi nello schermo del computer.258

252

Ivi, p.XV. Cfr. Lorenzo Mannella, Storybook. I primi dieci anni di Facebook, GoWare Edizioni, Firenze 2014. 254 Cfr. Katherine Losse, Dentro Facebook. Quello che non vi hanno mai raccontato, Fazi Editore, Roma 2012. 255 Cfr. Lorenzo Mannella, Storybook. I primi dieci anni di Facebook, GoWare Edizioni, Firenze 2014. 256 Cfr. Renata Borgato, Ferruccio Capelli, Mauro Ferraresi (a cura di), Facebook come. Le nuove relazioni virtuali, Franco Angeli Editore, Milano 2009, p.15. 257 Ivi, p.14. 253

76


Facebook è quindi essenzialmente un racconto di se stessi attraverso gli altri. 259Infatti, il diario, la propria pagina personale, è il più delle volte un’autonarrazione260che può trasformarsi in un vero e proprio museo nel quale viene messa in scena la propria biografia privata.261 In termini assoluti Facebook risulta l’ambiente più popoloso tra tutti i social network con più di 1,2 miliardi di utenti attivi.262 Se Facebook fosse un Paese, scrive la rivista Time, sarebbe il terzo più popolato del mondo, subito dopo Cina e India. Gli italiani appaiono il popolo che passa più tempo connesso a Facebook. Le statistiche parlano di circa di 20 milioni di utenti che visitano il social network ogni giorno.263 Probabilmente Facebook non è più una moda ma una dipendenza, una Second Life neanche troppo immaginaria.264

258

Cfr. Carlo Formenti (a cura di), Web 2.0. Un nuovo racconto e i suoi dispositivi, Il Saggiatore Edizioni, Milano 2010, p.115. 259 Ivi, p.155. 260 Cfr. Massimo Airoldi, Facebook, Google Earth e l’identità (tra rete e realtà), in Centro Studi Etnografia Digitale, 2012. http://www.etnografiadigitale.it/2012/04/facebook-google-earth-e-lidentita-tra-rete-e-realta/ 15/04/2015 261 Cfr. Vanni Codeluppi, L’era dello schermo. Convivere con l'invadenza mediatica, Franco Angeli Editore, Milano 2013, p.20. 262 Cfr. Vincenzo Cosenza, Social Media nel mondo (Gennaio 2014), in Vincos Blog, 2014. http://vincos.it/2014/01/16/social-media-nel-mondo/ 09/04/2015 263 Cfr. Vincenzo Cosenza, Facebook in Italia: 25 milioni al mese, 20 milioni al giorno, 21 da mobile, in Vincos Blog, 2015. http://vincos.it/2015/02/20/facebook-in-italia-25-milioni-al-mese-20-milioni-al-giorno-21-damobile/ 09/04/2015 264 Cfr. Marika Borrelli, Januaria Piromallo, Come pesci nella rete. Trappole, tentacoli e tentazioni del web, Armando Editore, Roma 2011, p.17.

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3.1.2. Instagram: una finestra aperta sul mondo Instagram265è un social network nato da un’applicazione mobile gratuita creata da Kevin Systrome e Mike Krieger e lanciata nell’ottobre 2010 sullo store Apple. Consente di pubblicare fotografie in forma quadrata, in omaggio a quello che era il vecchio formato delle antiche polaroid ed anche il suo stesso logo si ispira alle vecchie fotocamere Polaroid.266 Una tra le più importanti caratteristiche di questo social network sono i filtri, che permettono di dare diverse tonalità di colore ed effetti alle fotografie. Punto di forza di Instagram sono anche le didascalie, utili per descrivere le foto, coinvolgere altri utenti e creare legami.267 Instagram come Twitter si basa sul meccanismo del follow. I followers sono coloro che seguono gli aggiornamenti e i post pubblicati e i following sono gli utenti seguiti. A differenza di Facebook dove entrambi gli utenti devono essere amici per poter interagire fra loro, Instagram non prevede la caratteristica della reciprocità. Dopo solo due mesi dal suo lancio, Instagram raggiunge il traguardo del primo milione di utenti iscritti.

265

http://instagram.com/ 15/04/2015 266 Cfr. Marko Morciano, Nel mondo di Instagram. Consigli, strumenti, casi di studio per aziende e privati, p.5. http://www.markomorciano.com/3725/articoli/social-media-marketing-2/ebook-instagramgratuito-marko-morciano/ 24/04/2015 267 Ivi, p.17.

78


Nel 2011 viene inserita la possibilità di aggiungere hashtag alle foto, parole precedute dal simbolo cancelletto (#), utilizzate per incanalare le immagini in una specie di contenitore e per renderle ricercabili, tecnica ormai diffusa in tutti i social network. Sono molti gli utenti, soprattutto aziende, che utilizzano gli hashtag per dare vita a concorsi, contest e coinvolgere gli altri utenti attraverso la pubblicazione di fotografie. Nel 2012 viene rilasciata la versione per i device con sistema operativo Android. La vera popolarità di Instagram arriva nell’aprile 2012 quando viene acquisita da Facebook per un miliardo di dollari. In meno di due anni dal suo lancio supera i 100 milioni di utenti registrando un incremento molto rapido di utenza rispetto ad altri social network. Nel 2013 viene aggiunta la funzione per registrare e condividere video di una durata massima di 15 secondi. La sua grande potenza mediatica ha consentito la nascita di molte applicazioni ad esso correlate, utili per monitorare e organizzare il proprio account, per fornire classifiche sulle foto con più like, statistiche sugli utenti più seguiti e sugli hashtag più quotati.268 Sono persino nate vere e proprie comunità di appassionati di Instagram, gli Instagramers269. Instagramers Italia270vanta più di cinquanta community di gruppi locali di igers (InstantGramers) che, organizzando eventi e attività fotografiche 268

Ivi, p.5. http://instagramers.com/ 26/04/2015 269

79


di gruppo (instameet e instawalk), promuovono le proprie realtà locali e stimolano gli utenti ad incontrarsi di persona per creare una vera community esistente anche offline. Instagram ha trasformato la fotografia in un’attività sociale e di condivisione. Ad oggi è il secondo social network con più utenti dopo Facebook e conta più di 300 milioni di utenti attivi mensilmente ed è in costante crescita. Siamo sempre più inclini alla condivisione immediata di fotografie ed immagini che si rivelano uno strumento potentissimo per comunicare un’idea, una sensazione, un’emozione, un’esperienza.271 Lo stimolo costante che si ha nel condividere attimi di vita e luoghi visitati rende Instagram una finestra aperta sul mondo. Instagram è passata nel giro di qualche anno da una semplice applicazione ad un potente strumento di comunicazione.272 La sua semplicità d’uso e la potenza di condivisione delle immagini ha fatto in modo che divenisse il social network dedicato alla fotografia di maggior successo.

270

http://instagramersitalia.it/ 26/04/2015 271 Cfr. Ilaria Barbotti, Instagram Marketing. Immagini, brand, community, relazioni per turismo, eventi, Ulrico Hoepli Editore, Milano 2015. 272 Cfr. Marko Morciano, Nel mondo di Instagram. Consigli, strumenti, casi di studio per aziende e privati, p.28. http://www.markomorciano.com/3725/articoli/social-media-marketing-2/ebook-instagramgratuito-marko-morciano/ 24/04/2015

80


3.2. I numeri dei social network In Italia oltre il 60% della popolazione accede regolarmente ad internet e gli account attivi sui social network sono oggi circa 28 milioni. Ogni italiano trascorre in media due ore e mezzo al giorno sui siti social e Facebook risulta il dominatore assoluto, sia per numero di iscritti (28 milioni) che per numero di utenti attivi mensilmente (25 milioni), utilizzato in particolar modo da utenti tra i 36 e i 45 anni. Pur rimanendo il social network più utilizzato, secondo il report 2015 di We Are Social273, Facebook è stato raggiunto e superato in termini di utenti attivi dall’applicazione di messaggistica più in voga del momento, WhatsApp.

Figura 3.2 Vincos Blog, FACEBOOK IN ITALIA: 25 MILIONI AL MESE, 20 MILIONI AL GIORNO, 21 DA MOBILE, 2015. http://vincos.it/2015/02/20/facebook-in-italia-25-milioni-al-mese-20-milioni-al-giorno21-da-mobile/ 27/04/2015

Tra gli utenti attivi italiani spicca una penetrazione del 25% di WhatsApp sul totale della popolazione in grado di precedere il 17% di Facebook Messenger.

273

http://wearesocial.net/blog/2015/01/digital-social-mobile-worldwide-2015/ 27/04/2015

81


Figura 3.3 We are social, Top active social platforms, 2015. http://wearesocial.net/blog/2015/01/digital-social-mobile-worldwide-2015/ 27/04/2015

YouTube, la piattaforma di video-sharing piÚ famosa al mondo, registra in Italia 24 milioni di utenti attivi. LinkedIn, il social network che regola l’incontro tra domande e offerte di lavoro, conta 7 milioni di utenti registrati in Italia. Twitter pur mantenendosi ad alti livelli con quasi 5 milioni di utenti sembra limitato a determinate categorie di utilizzatori come giornalisti, politici, personaggi famosi e loro fan. Le statistiche che riguardano Google Plus riportano 11,7 milioni di utenti registrati e 3,8 milioni di utenti attivi, rivelando un tempo di permanenza degli utenti molto basso e quindi non comparabile con altre piattaforme social come Facebook o Twitter. 82


Il primato per la crescita più rapida spetta ad Instagram, utilizzato da ben 3 milioni di utenti italiani, la cui maggioranza ha tra i 18 e i 24 anni. Flickr

e

Pinterest

negli

ultimi

anni

hanno

registrato

un

calo,

collocandosi tra i social network di nicchia, frequentati maggiormente dai professionisti della fotografia. Gli utenti più giovani continuano a visitare i social network ma vi interagiscono meno preferendo i servizi di instant messaging. Tra i giovanissimi in Italia il più gettonato è senza dubbio WhatsApp, utilizzato a tutti gli effetti come un potente social network. A seguire troviamo Facebook e il suo sistema di messaggistica Facebook Messenger, Instagram, Tumblr, ask.fm e Twitter, il meno frequentato dagli adolescenti. Le piattaforme con gli utenti più adulti sono Facebook e LinkedIn, infatti solo poco più della metà degli iscritti a entrambi i network appartiene alla fascia d’età tra i 16 e i 34 anni. In particolar modo LinkedIn attira soprattutto gli over 35, che costituiscono quasi il 70% dei suoi visitatori, dato che riflette probabilmente l’età da cui si comincia a cercare lavoro. Secondo il Censis

274

sono sempre meno le persone anziane che

utilizzano i social network e internet in generale, vista la scarsa comprensione dei sistemi e la limitata manualità con cui muoversi in questi nuovi mondi.

274

http://www.censis.it/ 27/04/2015

83


3.3. Il palcoscenico delle identità L’invasione della vita digitale nei confronti di quella reale ci ha sedotti con la possibilità di dissimulare noi stessi, 275 offrendoci l’opportunità di formare la nostra identità in modo più libero, profondo e completo.276 Nel momento in cui ci iscriviamo ad un social network e iniziamo a costruire il nostro profilo inseriamo i nostri dati anagrafici, la descrizione di noi stessi e la nostra immagine. Un’immagine che funge da involucro per la nostra identità, un’icona che racchiude la nostra presenza e che interagisce per noi molto spesso trasformandoci.277 Il profilo creato sui social network è la combinazione degli interessi, delle abitudini e delle relazioni sociali che rivelano diversi aspetti della nostra stessa identità.278 Le relazioni della vita reale, le attività svolte, i successi ottenuti possono essere documentati online contribuendo al rafforzamento dell’immagine che si vuole costruire.279 La maggior parte dei profili presenti sui social network non giocano nascondendo la propria identità bensì manifestandola. L’apertura

di

un

profilo

su

un

social

network

consente

la

pubblicizzazione del sé, la promozione della propria identità.280

275

Cfr. Enrico Giammarco, L’uomo digitale. Oltre il dualismo tecnologico, Frenico Self Publishing, Verona 2013. 276 Cfr. Howard Gardner, Katie Davis, Generazione app. La testa dei giovani e il nuovo mondo digitale, Feltrinelli Editore, Milano 2014. 277 Cfr. Carlo Formenti (a cura di), Web 2.0. Un nuovo racconto e i suoi dispositivi, Il Saggiatore Edizioni, Milano 2010, p.121. 278 Cfr. Howard Gardner, Katie Davis, Generazione app. La testa dei giovani e il nuovo mondo digitale, Feltrinelli Editore, Milano 2014. 279 Cfr. Renata Borgato, Ferruccio Capelli, Mauro Ferraresi (a cura di), Facebook come. Le nuove relazioni virtuali, Franco Angeli Editore, Milano 2009, p.20.

84


Ognuno confeziona il proprio sé in modo da offrire sempre un’immagine desiderabile e positiva.281 I nostri profili sono la personificazione di ciò che vorremmo essere e con i quali ci presentiamo, interagendo con persone che usano i loro profili come lo facciamo noi.282 Un’esibizione identitaria, un mettersi in vetrina con la convinzione che questa identità venga visualizzata e apprezzata.283 Vediamo il mondo attraverso un display-specchio in cui riflettiamo noi stessi e la nostra vanità284e ci guardiamo con gli occhi di un possibile pubblico; “leggiamo” le nostre identità nelle tracce che produciamo online.285 Come

già

affrontato

nel

primo

capitolo,

l’identità

non

è

una

caratteristica individuale bensì un prodotto sociale, il risultato delle relazioni che l’individuo instaura con le persone che incontra in un determinato contesto.

280

Cfr. Carlo Formenti (a cura di), Web 2.0. Un nuovo racconto e i suoi dispositivi, Il Saggiatore Edizioni, Milano 2010, p.118. 281 Cfr. Howard Gardner, Katie Davis, Generazione app. La testa dei giovani e il nuovo mondo digitale, Feltrinelli Editore, Milano 2014. 282 Cfr. Carlo Mazzucchelli, Nei labirinti della tecnologia, Delos Digital, Milano 2014. 283 Cfr. Massimo Airoldi, Facebook, Google Earth e l’identità (tra rete e realtà), in Centro Studi Etnografia Digitale, 2012. http://www.etnografiadigitale.it/2012/04/facebook-google-earth-e-lidentita-tra-rete-e-realta/ 15/04/2015 284 Cfr. Carlo Mazzucchelli, Nei labirinti della tecnologia, Delos Digital, Milano 2014. 285 Cfr. Giovanni Boccia Artieri, Proiessenza: la narrazione di sé nei social network, in I media-mondo, 2012. http://mediamondo.wordpress.com/2012/04/14/proiessenza-la-narrazione-di-se-nei-socialnetwork/ 15/04/2015

85


Ed è proprio in relazione alle caratteristiche del contesto sociale che l’individuo decide di manifestare diversi aspetti della propria identità, che il contesto tenderà a rinforzare o contrastare.286 Luciano Floridi, Professore di Filosofia dell’Informazione alla University of Hertfordshire, col suo articolo “The construction of personal identities online” ci fornisce le coordinate per riflettere sulla nostra identità nel mondo del web 2.0. Secondo Floridi la nostra identità è composta da un Sé ontologico (chi siamo) e un Sé epistemologico (chi pensiamo di essere). A fare da collegamento tra questi due poli è appunto il Sé sociale, ovvero il contesto sociale che entra nella nostra identità definendone le forme.287 Attraverso i social network si modificano le condizioni sociali in cui ci troviamo, variano le reti di relazioni e i flussi di informazioni, vengono ridefinite le azioni che determinano la rappresentazione di noi stessi così da rinnovare il nostro sé sociale e rideterminare la nostra identità personale. Viviamo in una generazione in cui ogni cosa può contribuire alla costruzione della nostra identità: le nostre informazioni, i nostri gusti, i nostri punti di vista, le nostre esperienze.288 Diventa molto facile manipolare l’immagine di noi stessi, assemblare presentazioni di sé strategiche, decidendo quali informazioni mettere in luce, quali minimizzare e quali accentuare.289

286

Cfr. Renata Borgato, Ferruccio Capelli, Mauro Ferraresi (a cura di), Facebook come. Le nuove relazioni virtuali, Franco Angeli Editore, Milano 2009, p.50. 287 Cfr. Alex Giordano, La costruzione dell’identità personale in rete, in Centro Studi Etnografia Digitale, 2011. http://www.etnografiadigitale.it/2011/01/la-costruzione-dell%E2%80%99identita-personale-inrete/ 22/04/2015 288 Ibidem. 289 Cfr. Howard Gardner, Katie Davis, Generazione app. La testa dei giovani e il nuovo mondo digitale, Feltrinelli Editore, Milano 2014.

86


La nostra identità sui social network finisce quindi per diventare molto sfaccettata,

altamente

personalizzata

e

personalizzabile,

rivolta

all’esterno.290 I social network hanno introdotto inoltre un effetto di omologazione di massa, riducendo l’unicità di una persona a poche informazioni e inducendo gli utenti a comportamenti automatici e modalità di interazione e di autonarrazione standard rendendo tutti seriali e simili.291 Anche l’aggiornamento di stato, mediante il quale Facebook domanda “Cosa pensi in questo momento?” permette che l’identità venga articolata in modo standard, univoco, semplice e in qualche modo omologata.292 La struttura stessa dei social network sembra sia stata costruita appositamente per enfatizzare il ruolo dell’Io dell’utente. Al centro troviamo sempre il profilo che ciascun individuo si costruisce.293 Nei social network gli individui sono ridotti a profili.294 Siamo liberi di interpretare l’identità che meglio aderisce al nostro ideale e se le aspettative non sono soddisfatte basta disconnettersi e magari ricominciare da capo.295 L’universo dei social network ha permesso di convertire la nostra vita in stringhe di codice,296ma non è più possibile mentire così facilmente sulla 290

Ibidem. Cfr. Carlo Formenti (a cura di), Web 2.0. Un nuovo racconto e i suoi dispositivi, Il Saggiatore Edizioni, Milano 2010, p.115. 292 Ivi, p.123. 293 Cfr. Vanni Codeluppi, L’era dello schermo. Convivere con l'invadenza mediatica, Franco Angeli Editore, Milano 2013, p.56. 294 Cfr. Sherry Turkle, Insieme ma soli. Perché ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri, Codice Edizioni, Torino 2012, p.65. 295 Cfr. Gabriele Falistocco, Marco Giacomello, Fiorenzo Pilla, Io digitale. Dai social network al diritto all'oblio i mille volti della nostra identità in rete, CreateSpace 2014. 291

87


propria identità come faceva credere il noto fumetto di Peter Steiner, pubblicato sul New Yorker il 5 Luglio 1993.

Figura 3.4 Peter Steiner, On the Internet, nobody knows you're a dog, 1993. http://upload.wikimedia.org/wikipedia/en/f/f8/Internet_dog.jpg 22/04/2015

Oggi se sei un cane, Facebook probabilmente lo sa. Non puoi mentire ma puoi sicuramente fare del tuo meglio per mostrare agli altri chi potresti o desideri diventare raccontando una parte diversa di te che, a lungo andare, forse influenzerà anche te stesso.297

296

Cfr. Katherine Losse, Dentro Facebook. Quello che non vi hanno mai raccontato, Fazi Editore, Roma 2012. 297 Cfr. Alex Giordano, La costruzione dell’identità personale in rete, in Centro Studi Etnografia Digitale, 2011.

88


3.4. Selfie: confessioni di identità Il termine selfie, coniato solo nel 2005 e riconosciuta come parola dell’anno 2015 dal vocabolario Zanichelli 298 , affonda le sue radici nell’autoscatto fotografico. Regalarsi autoscatti è un must che non conosce limiti di età e luogo, ma il selfie è diventato qualcosa di più. Oltre ad essere una fotografia che una persona scatta a se stesso con uno smartphone, è un mezzo di condivisione di identità in tempo reale.299 I social network hanno soddisfatto la necessità di veicolare la propria immagine attraverso autoritratti. Necessità di autoritrarsi come risposta ad una volontà d’apparire, ma anche come sintomo di un’esigenza di rinarrare la propria identità partendo dall’immagine del proprio corpo.300 La funzione del selfie permette di vedersi nel momento dello scatto ed soddisfa il bisogno di un continuo monitoraggio della propria persona rendendola appetibile, o apparentemente tale, ai propri amici virtuali.301 Il selfie è capace di immortalare attimi, momenti e sensazioni creando esperienze da condividere online.302

http://www.etnografiadigitale.it/2011/01/la-costruzione-dell%E2%80%99identita-personale-inrete/ 22/04/2015 298 Ad vocem Selfie, in Dizionario Zanichelli, Dizionari Più, Bologna 2014. http://dizionaripiu.zanichelli.it/wordwatch/2014/10/29/selfie/ 13/04/2015 299 Cfr. Fabio Pariante, Fatti un selfie e ti dirò chi sei. Twitta la tua… myselfstory, in Wired, 2014. http://www.wired.it/play/cultura/2014/05/29/selfie-arte/ 13/04/2015 300 Cfr. Andrea Tinterrri, Ritratto/Autoritratto sociale, in D’Ars Magazine, 2013. http://www.darsmagazine.it/ritrattoautoritratto-sociale/ 13/04/2015 301 Ibidem. 302 Cfr. Trentoblog, SELFIE: l’autocelebrazione dell’Io, 2015.

89


Figura 3.5 Focus, Selfie Gioconda, 2014. http://www.focus.it/cultura/arte/selfie-art-quando-le-opere-darte-si-fannolautoscatto?gimg=53524&gpath=#img53524 13/04/2015

Ognuno può diventare per un attimo il produttore dell’immagine di sé, e quindi di una sfumatura della propria identità.303

http://www.trentoblog.it/selfie-lautocelebrazione-dellio/ 13/04/2015 303 Cfr. Maurizio Giuffredi, Preliminari a una psicologia dell’autoritratto fotografico, in Psicoart, 2014. http://psicoart.unibo.it/article/view/4216/3673 13/04/2015

90


Un individuo non potrà mai vedersi come lo vedono gli altri, ma attraverso i selfie può mostrarsi al mondo nel modo in cui vuole essere visto, costruendo precisamente una percezione di sé il più possibile corrispondente al suo desiderio di identità condivisa.304 Probabilmente la condivisione continua di autoscatti rappresenta il sintomo di una forte tendenza narcisistica che ha sostituito l’acqua della fonte di Narciso con lo smartphone ed altri surrogati.305 Scattiamo selfie per comunicare la nostra presenza, per essere visti, per ricordare, per ricevere complimenti, sentirci appagati ed elevare il nostro grado di autostima.306

Figura 3.6 Time, The Selfiest cities in the world, 2014. http://time.com/selfies-cities-world-rankings/ 13/04/2015 304

Cfr. Wired, Selfie, la cultura dell’autoscatto che racconta una generazione, 2014. http://www.wired.it/play/cultura/2014/11/20/se-selfie-diventa-racconto/ 13/04/2015 305 Cfr. Trentoblog, SELFIE: l’autocelebrazione dell’Io, 2015. http://www.trentoblog.it/selfie-lautocelebrazione-dellio/ 13/04/2015 306 Cfr. Wired, Selfie, la cultura dell’autoscatto che racconta una generazione, 2014. http://www.wired.it/play/cultura/2014/11/20/se-selfie-diventa-racconto/ 13/04/2015

91


I selfie si sono affermati come pratica culturale diffusa tanto da suscitare una riflessione del Time che ha pubblicato una mappa interattiva dei luoghi del pianeta dove vengono condivisi pi첫 autoscatti.

92


93


Figura 4.1 Jodi, 1995. Screenshot da http://wwwwwwwww.jodi.org/ 22/02/2015

94


4. Net.art e identità 4.1. Net.art: le origini dell’ultima avanguardia artistica del Novecento Tra la metà e la fine degli anni ’90 la Rete si apre a nuovi utilizzi e consumi sociali smettendo di essere ad uso esclusivo di ingegneri ed informatici.307 Con internet i nuovi artisti si trovano a disposizione uno strumento che mette in diretto collegamento emittente e destinatario, capace di raggiungere e manipolare facilmente il pubblico.308 Internet somiglia a molte cose: uno specchio, una macchina del tempo, una biblioteca, un altro sé. È anche un enigma, che sollecita un artista a riassemblare,

ricombinare

e

ricontestualizzare

le

sue

tessere,

apparentemente infinite.309 Gli artisti iniziano a mostrare interesse verso i meccanismi nascosti del web interpretandoli in modi alternativi rispetto alle loro consuete rappresentazioni. Il coinvolgimento degli artisti nei confronti delle reti dà vita all’ultima delle avanguardie artistiche del Novecento: la net.art.310

307

Cfr. Luca Lampo (a cura di), Comitato scientifico 0100101110101101.ORG, Marco Deseriis, Domenico Quaranta, Connessioni leggendarie. Net.art 1995-2005, Studio Editoriale ReadyMade, Milano 2005, p.7. 308 Ibidem. 309 Cfr. Domenico Quaranta, Collect the WWWorld, The Artist as Archivist in the Internet Age, Link Editions, Brescia 2011, p.40. 310 Cfr. Luca Lampo (a cura di), Comitato scientifico 0100101110101101.ORG, Marco Deseriis, Domenico Quaranta, Connessioni leggendarie. Net.art 1995-2005, Studio Editoriale ReadyMade, Milano 2005, p.7.

95


Nonostante gli strumenti e le tecniche espositive siano lontane dalle pratiche artistiche tradizionali, la net.art si fonda sulle stesse motivazioni che stanno alla base delle avanguardie storiche: ideologia, desiderio, voglia di sperimentare, comunicare, interagire, criticare e distruggere.311 Con il Cubismo, il Futurismo, il Dadaismo e il Surrealismo entra in scena una

tendenza

volta

a

destrutturare

l’opera

d’arte

tradizionale,

inserendola in luoghi non destinati al suo utilizzo, un’arte che non desidera rappresentare la realtà ma comunicare con essa, criticarla e dissacrarla. La net.art è molto legata all’artista Marcel Duchamp e alle avanguardie storiche, esperienze che contribuiscono a spostare le pratiche artistiche lontano dalle forme tradizionali della rappresentazione pittorica.312 Qualsiasi oggetto può essere caricato di un valore concettuale estetico a seconda di come viene presentato.313 Una delle sfide più onerose per l’arte contemporanea consiste nel riuscire ad offrire un punto di vista insolito sulla quotidianità, mostrare le cose sotto una nuova luce dando la possibilità di rivalutarle completamente.314 Facendo riferimento al ready-made e ad un modo rovesciato di concepire l’arte, il mito che fonda la net.art rivela che gli artisti della Rete gettano un ponte verso le avanguardie artistiche, rivendicando una certa autonomia e autoreferenzialità per la propria pratica.315

311

Cfr. Rachel Greene, Internet Art, Thames & Hudson, Londra 2004, p.9. Ivi, p.15. 313 Cfr. Domenico Quaranta, Collect the WWWorld, The Artist as Archivist in the Internet Age, Link Editions, Brescia 2011, p.100. 314 Ibidem. 315 Cfr. Marco Deseriis, Giuseppe Marano, Net.Art. L’arte della connessione, Shake Edizioni, Milano 2008, p.5. 312

96


La leggenda vuole che il termine net.art sia nato nel dicembre 1995, quando l’artista sloveno Vuk Cosic aprendo un messaggio di posta elettronica illeggibile, scritto da un mittente anonimo probabilmente con un software incompatibile con il suo, riesce a distinguere all’interno di una sequenza di codice ascii solo un frammento costituito da sei lettere separate da un punto.316 “[...] J8?g#|\;Net. Art{-^s1 [...]” Trad. It. da Alexei Shulgin, Net.Art - the origin, messaggio inviato a “Nettime” il 18 Marzo 1997. http://www.nettime.org/Lists-Archives/nettime-l-9703/msg00094.html 22/02/2015

Il termine net.art nasce quindi dalle viscere stesse della Rete.317 Come sostiene il net.artista russo Alexei Shulgin, il termine si è autocreato come un ready-made prodotto da una macchina senza neanche il bisogno di un artista.318 “Net.art è un termine autoreferenziale creato da un pezzo di software malfunzionante utilizzato originariamente per descrivere un’attività estetica e comunicativa su Internet.” Trad. It. da Alexei Shulgin e Natalie Bookchin, Introduzione alla net.art (1994-1999). http://www.easylife.org/netart/ 22/02/2015

Vuk Cosic inizia fin da subito a divulgare il nuovo termine con entusiasmo.

316

Cfr. Luca Lampo (a cura di), Comitato scientifico 0100101110101101.ORG, Marco Deseriis, Domenico Quaranta, Connessioni leggendarie. Net.art 1995-2005, Studio Editoriale ReadyMade, Milano 2005, p.9. 317 Cfr. Tatiana Bazzicchelli, Networking: la rete come arte. I turbamenti dell’arte, Costa & Nolan, Milano 2006, p.190. 318 Cfr. Marco Deseriis, Giuseppe Marano, Net.Art. L’arte della connessione, Shake Edizioni, Milano 2008, p.20.

97


Dopo alcuni mesi un amico di Cosic, Igor Markovic riesce a decodificare il contenuto del messaggio che si rivela una sorta di manifesto contro le istituzioni artistiche tradizionali, proclamando la libertà d’espressione degli artisti in Rete.319 “La rete diede a Vuk Cosic un nome per l’attività in cui era coinvolto! Egli iniziò immediatamente a usare questo termine. Dopo pochi mesi, inoltrò il misterioso messaggio a Igor Markovic, che decise di decifrarlo correttamente. Il testo appariva piuttosto controverso e un vago manifesto nel quale l’autore attaccava istituzioni d’arte tradizionali [...] e dichiarava libertà d’espressione e indipendenza per l’artista in Internet. La parte del testo contenente il frammento menzionato trasformato così stranamente dal software di Vuk era: ‘Tutto questo diviene possibile solo con l’emergere della Rete. L’arte come nozione diviene obsoleta…’” Trad. It. da Alexei Shulgin, Net.Art - the origin, messaggio inviato a “Nettime” il 18 Marzo 1997. http://www.nettime.org/Lists-Archives/nettime-l-9703/msg00094.html 22/02/2015

Ovviamente questa storia non è altro che una leggenda che gli artisti decidono di tramandare. “Mi piace molto questa strana storia, perché illustra perfettamente come il mondo in cui viviamo sia molto più ricco di tutte le nostre idee su di esso.” Trad. It. da Alexei Shulgin, Net.Art - the origin, messaggio inviato a “Nettime” il 18 Marzo 1997. http://www.nettime.org/Lists-Archives/nettime-l-9703/msg00094.html 22/02/2015

In questo ambiente tecnologico gli artisti creano nuovi contesti di scambio e relazione che possono essere modificati da altre persone.320

319

Ibidem. Cfr. Luca Lampo (a cura di), Comitato scientifico 0100101110101101.ORG, Marco Deseriis, Domenico Quaranta, Connessioni leggendarie. Net.art 1995-2005, Studio Editoriale ReadyMade, Milano 2005, p.12. 320

98


“Con l’avvento della Rete sta emergendo qualcosa di nuovo, che timidamente si fa chiamare net.art e cerca di definirsi sperimentando la sua diversità da altre forme di attività creativa. I problemi dell’attuale periodo della net.art, per come li vedo io, sono strettamente legati alla determinazione sociale delle nozioni di ‘arte’ e di ‘artista’. Saremo in grado di superare il nostro ego abbandonando le idee obsolete di rappresentazione e manipolazione? Salteremo a piè pari nel reame della pura comunicazione? Ci chiameremo ancora artisti?” Trad. It. da Alexei Shulgin, Art, Power and Communication, messaggio inviato a “Nettime” il 7 Ottobre 1996. http://nettime.org/Lists-Archives/nettime-l-9610/msg00029.html 22/02/2015

È possibile parlare di net.art solo quando la Rete diventa il mezzo, la tecnica e il luogo di presentazione delle ricerche creative.321 Jodi.org322, a cui ho dedicato l’immagine di copertina di questo capitolo, è forse il progetto più originale e noto tra i primissimi lavori fruibili online. Non appena l’utente si collega al sito avverte una sensazione di spaesamento, ha di fronte una pagina costituita da una serie di codici incomprensibili. Il lavoro di Jodi non crea problemi al browser ma ci dà l’impressione di farlo. Jodi non si introduce solo nei nostri computer ma anche nelle nostre menti.323

321

Cfr. Valentina Tanni, Random. Navigando contromano, alla scoperta dell'arte in rete. Dieci anni dopo, il meglio di un sito che ha fatto la storia dell'editoria d'arte in Italia, Link Editions, Brescia 2011, p.7. 322 http://wwwwwwwww.jodi.org/ 22/02/2015 323 Cfr. Domenico Quaranta, Net art 1994-1998. La vicenda di Ada’web, Vita e Pensiero, Milano 2004, p.40.

99


“Il computer si presenta come un desktop, con un cestino sulla destra, i menu a comparsa e tutto il sistema delle icone. Noi esploriamo il computer da dentro e ne mostriamo il funzionamento sulla rete. Quando l’utente guarda il nostro lavoro, noi siamo dentro al suo computer. C’è uno slogan degli hacker: “We love your computer”. Noi entriamo nel computer delle persone. E ne siamo onorati. Sei molto vicino a una persona quando sei sul suo desktop. Credo che il computer sia un dispositivo per entrare nella mente di qualcuno. Noi sostituiamo questa nozione mitologica della società virtuale sulla rete con il nostro lavoro. Mettiamo le nostre personalità online.” Trad It. da Tilman Baumgaertel, Interview with jodi, messaggio inviato a “Nettime” il 28 Agosto 1997. http://www.nettime.org/Lists-Archives/nettime-l-9708/msg00112.html 22/02/2015

La net.art gioca con le caratteristiche dei network elettronici, con i suoi protocolli sfruttando le sue potenzialità ma anche i suoi errori. “Quello che mi piace tanto del rapporto arte e nuovi media e net.art è il fatto che non se ne è ancora trovata una definizione.” Trad It. da Josephine Bosma, net.art and art on the net, messaggio inviato a “Nettime” il 16 Marzo 1997. http://www.nettime.org/Lists-Archives/nettime-l-9703/msg00089.html 22/02/2015

Internet non è solo il medium in cui si fonda la net.art: è il suo luogo di distribuzione, la cultura a cui attinge, il tessuto sociale ed umano su cui si fonda e spesso anche l’oggetto della sua riflessione, è il network, nel senso più completo del termine.324 “La net art è effimera, temporanea, fluida, ibrida, molteplice, performativa: un progetto in rete può essere aggiornato giorno dopo giorno, oppure trasformato radicalmente dall’intervento del pubblico, è dinamico, legato a doppio filo alla rete e pertanto coinvolto nell’inevitabile processo di degrado digitale che la caratterizza.” Gianni Romano, Artscape. Panorama dell’arte in rete, Costa & Nolan, Ancona 2000, p.143.

324

Ivi, p.17.

100


Il termine net è ambivalente, indica contemporaneamente internet e network, qualunque rete che permette connessione e comunicazione. La Rete funziona e si sviluppa attraverso una densa stratificazione di protocolli e applicazioni, la sua sostanza è composta dal codice che determina il modo in cui le informazioni si collegano tra loro.325 I net.artisti non intervengono solo sul codice agendo come hacker o programmatori, il loro scopo è confondere codice e contenuto, programmazione

e

linguaggio,

scaturendo

errori

e

paradossi,

trasformando tutto.326 “Quando si parla di net.art dobbiamo prendere in considerazione due aspetti: le reti e le arti. Le reti sono ben più che semplici connessioni tra computer. E le arti non vengono definite esclusivamente dagli artisti o dalle loro opere. [...] Internet non supporta solo le strutture di comunicazione digitalizzata o i circuiti di informazione automatizzata, ma ci aiuta anche ad apprendere e riconoscerci come utenti di un ambiente condiviso, non solo di computer interconnessi. Inoltre, ci costringe anche a lavorare insieme: senza cooperazione queste reti non potrebbero esistere.” Trad It. da Walter van der Cruijsen, on.net.art, messaggio inviato a “Nettime” il 6 Maggio 1997. http://nettime.org/Lists-Archives/nettime-l-9705/msg00022.html 22/02/2015

Facendo proprie una serie di nuove pratiche del fare arte, la net.art è riuscita ad imporsi in brevissimo tempo nel panorama artistico internazionale

grazie

all'azione

congiunta

di

istituzioni,

meeting,

mostre.327 Nel giugno del 1995, in occasione della Biennale di Venezia, un gruppo di artisti e intellettuali di tutta Europa viene invitato a gestire 325

Cfr. Marco Deseriis, Giuseppe Marano, Net.Art. L’arte della connessione, Shake Edizioni, Milano 2008, p.7. 326 Ibidem. 327 Cfr. Arturo Di Corinto, Tommaso Tozzi, Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete, Manifestolibri, Roma 2002, p.218-219.

101


uno spazio per tre giorni. Tale incontro segna la nascita della mailing list internazionale Nettime328tra i cui principali promotori vi sono Geert Lovink e Pit Schultz. Tra gli italiani invitati vi sono Tommaso Tozzi e Alessandro Ludovico.329

4.1.1. Proteste hacktiviste Il termine “hack” ha un'origine lontana e non legata all'informatica, mentre il significato che ci interessa di questo termine è legato alla storia dell'”hacking”, iniziata alla fine degli anni '50 e sviluppatasi fino ad oggi attraverso un utilizzo non convenzionale del computer, finalizzato al miglioramento di situazioni con implicazioni sociali, politiche o culturali.330 Attraverso la Rete ha preso corpo una nuova forma di protesta sociale e politica, una “disobbedienza civile elettronica” definita “hacktivism”.331 Il termine “hacktivism” deriva dall'unione delle parole “hacking” e “activism”. L'hacking è l’attuazione di una particolare predisposizione verso le macchine informatiche e la condivisione del sapere che ne deriva, per concedere a tutti un accesso illimitato alla conoscenza di sistemi software o hardware.332 328

http://www.nettime.org/ 22/02/2015 329 Cfr. Arturo Di Corinto, Tommaso Tozzi, Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete, Manifestolibri, Roma 2002, p.218-219. 330 Ivi, p.1. 331 Cfr. Maria Maddalena Mapelli, Roberto Lo Jacono (a cura di), Pratiche collaborative in rete, Mimesis Edizioni, Milano 2008. 332 Cfr. Arturo Di Corinto, Tommaso Tozzi, Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete, Manifestolibri, Roma 2002, p.6-7.

102


L’activism è il termine americano utilizzato per indicare le modalità dell'organizzazione e della propaganda tipiche dei movimenti politici di base e in particolare, indica le forme dell'azione diretta come i sit-in, i cortei, l'occupazione di stabili e di strade e l'autogestione degli spazi.333 Il termine hacktivism indica l’attivismo che opera all’interno delle reti telematiche e che degli hacker assume l’etica, le competenze tecniche e alcune tattiche di combattimento.334 Nel 1989 l’artista e hacktivista italiano Tommaso Tozzi utilizza per la prima volta il termine “hacker art”. L’idea è quella fondata sull’etica hacker, basata sul libero scambio comunicativo online e offline, sulla creazione di comunità, su pratiche di attivismo normalmente esterne anche se non contro al sistema dell’arte.335

Figura 4.2 Tommaso Tozzi, Hacker Art, 1989. Screenshot da http://www.hackerart.org/ 22/05/2015

333

Ivi, p.7. Cfr. Domenico Quaranta, Net art 1994-1998. La vicenda di Ada’web, Vita e Pensiero, Milano 2004, p.40. 335 Ivi, p.15. 334

103


Gli artisti vanno oltre la semplice assunzione di strategie hacker, arrivando ad affermare che anche gli hacker sono artisti.336 “Se si dà un’occhiata più da vicino al termine "hack", si scopre molto facilmente che l'hacking è un modo artistico di utilizzare un computer. Quindi, in realtà, gli hacker sono artisti, e può accadere che alcuni artisti siano hacker.” Trad. It. da Cornelia Sollfrank, FemExt.1, messaggio inviato a “Nettime” il 22 Settembre 1998. http://nettime.org/Lists-Archives/nettime-l-9809/msg00089.html 22/02/2015

In Italia una delle pratiche più efficaci e interessanti dell’hacktivism inscenata con la collaborazione degli hackers è il Netstrike 337 , una particolare forma d’arte e di protesta partecipativa in rete.338

Figura 4.3 Tommaso Tozzi, StranoNetwork, 1993. Screenshot da http://www.tommasotozzi.it/index.php?title=S trano_Network_maggio_-_giugno_(1993) 22/02/2015 336 337

Ivi, p.40. http://web.archive.org/web/20010201081900/http://www.netstrike.it/

22/02/2015 338

Cfr. Arturo Di Corinto, Tommaso Tozzi, Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete, Manifestolibri, Roma 2002, p.11.

104


Il termine “netstrike”, che va tradotto come “corteo telematico” e non letteralmente

come

“sciopero

telematico”,

339

nasce

nel

1995

dall'associazione culturale StranoNetwork 340 , un collettivo di artisti già attivi sulle reti BBS prima della diffusione di internet, fondato nel 1993 dall’artista Tommaso Tozzi. La tecnica utilizzata dal Netstrike è quella delle richieste multiple, ripetute e simultanee ad un server web che ne determinano un rallentamento nell’accesso al sito stesso e talvolta un temporaneo collasso

per

mezzo

della

saturazione

della

linea

internet

o

dell’esaurimento della capacità di calcolo della macchina presa di mira.341 Il netstrike nasce quando l’attivismo si rende conto che il potere sta migrando dalle strade ai media.342 Ispirandosi alla logica del sit-in, che ha lo scopo di rallentare il traffico, il Netstrike invita e raccoglie migliaia di persone davanti all’ingresso di un sito web, realizzando l’idea del virtual sit-in. 343 L’intento del Netstrike non è danneggiare la struttura fisica di un server, ma rallentarne le procedure e destare l’attenzione dei media provocando un disturbo che consente di percepire e intravedere qualcos’altro.344

339

Ivi, p.92. http://strano.net/ 22/02/2015 341 Cfr. Arturo Di Corinto, Tommaso Tozzi, Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete, Manifestolibri, Roma 2002, p.11. 342 Cfr. Luca Lampo (a cura di), Comitato scientifico 0100101110101101.ORG, Marco Deseriis, Domenico Quaranta, Connessioni leggendarie. Net.art 1995-2005, Studio Editoriale ReadyMade, Milano 2005, p.84. 343 Ibidem. 344 Cfr. Marco Deseriis, Giuseppe Marano, Net.Art. L’arte della connessione, Shake Edizioni, Milano 2008, p.159. 340

105


Figura 4.4 StranoNetwork, Netstrike, 1995. Screenshot da http://web.archive.org/ web/20010201081900/ http://www.netstrike.it/ 22/02/2015

Usata per attrarre l'attenzione su casi di censura e di malgoverno, questa pratica è servita a esprimere l'opposizione agli esperimenti nucleari francesi all’atollo di Mururoa, alla pena di morte, all'invasione del Chiapas da parte dell'esercito messicano.345 Il Netstrike è un atto simbolico e non ha nessun valore il fatto che il sito venga effettivamente bloccato. Ciò che ha valore è la presa di coscienza da parte del maggior numero di persone possibile intorno a questioni cruciali. È essenziale che vi sia partecipazione.346

345

Cfr. Arturo Di Corinto, Tommaso Tozzi, Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete, Manifestolibri, Roma 2002, p.11. 346 Ivi, p.91.

106


“Il Netstrike è una manifestazione di massa di dissenso civile pienamente legittima e legale! È un'azione assolutamente legale perché metaforicamente è come se un giornale, una radio o una televisione andassero in tilt perché non sono in grado di soddisfare un improvviso aumento di richieste della propria utenza; nessuno mette in atto alcun sistema di boicottaggio ma tutt'insieme, sommando l'azione legittima e legale di navigare sullo stesso sito alla stessa ora, rendono visibile un'espressione di dissenso.” Arturo Di Corinto, Tommaso Tozzi, Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete, Manifestolibri, Roma 2002, p.92.

È fondamentale che la notizia sia divulgata nel circuito dei media affinché siano costretti a presentarla e discuterla.347

Figura 4.5 Tommaso Tozzi, StranoNetwork, 1993. Screenshot da http://strano.net/ 22/02/2015

Dalla nascita del Netstrike, il corteo telematico è divenuta una delle principali pratiche di attivismo messe a disposizione dalla rete. Numerose associazioni lo utilizzano come forma di mobilitazione per gli obiettivi più disparati, non solo in Italia ma in tutto il mondo.348 Un’evoluzione del Netstrike è il Floodnet349, uno degli strumenti più noti sviluppati dall'Electronic Disturbance Theater

350

, un software che

automatizza il processo del sit-in virtuale, scritto appositamente per rallentare la capacità di risposta dei server web senza provocare

347

Ibidem. Ivi, p.93. 349 http://www.thing.net/~rdom/ecd/floodnet.html 22/02/2015 350 http://www.thing.net/~rdom/ecd/EDTECD.html 22/02/2015 348

107


danno,

ma

semplicemente

inondando

il

server

di

richieste

di

collegamento.351 Come nel Netstrike, anche nell'uso del Floodnet il blocco totale del sito è solo un effetto collaterale della protesta, che ha invece come primo obiettivo diffondere in rete un problema ignorato o distorto dagli organi di informazione

ufficiali. Quello

che

conta

maggiormente

è

la

comunicazione delle cause e degli scopi della protesta, affinché le persone possano essere consapevoli di fatti gravi come la violazione dei diritti nel proprio paese o all'altro capo del mondo.352 “Il Floodnet è stato creato da un gruppo di artisti digitali ed ha primariamente un significato concettuale. Tutti i giorni milioni di persone si connettono da tutto il mondo; la differenza è che noi decidiamo di farlo insieme, in un momento prestabilito, e lo dichiariamo apertamente. Credo che sia questo a spaventare i controllori del cyberspazio, molto più dell’eventualità che possiamo crashare un sistema, che è del tutto inesistente.” Marco Deseriis, Giuseppe Marano, Net.Art. L’arte della connessione, Shake Edizioni, Milano 2008, p.158.

Le comunità virtuali sono luoghi dove l'individuo costruisce la sua identità personale, e al tempo stesso sono lo strumento dove si crea un confronto tra singole identità. Un confronto che produce un accordo intorno a un riferimento comune che può essere definito un'identità collettiva.353

351

Cfr. Luca Lampo (a cura di), Comitato scientifico 0100101110101101.ORG, Marco Deseriis, Domenico Quaranta, Connessioni leggendarie. Net.art 1995-2005, Studio Editoriale ReadyMade, Milano 2005, p.91. 352 Ibidem. 353 Ivi, p.44.

108


4.2. Pratiche identitarie in rete 4.2.1. Identità condivise Moltissimi net.artisti si celano all’interno di gruppi ormai divenuti la forma di autorialità più caratteristica di queste pratiche artistiche. Molti sono identità singole o collettivi che utilizzano pseudonimi per mantenere l’anonimato, alcuni utilizzano identità anonime per creare identità mai esistite, molti artisti condividono la stessa identità, altri invece assumono le identità di grandi corporation per produrre un effetto di straniamento sul pubblico. A partire dal 1994 centinaia di artisti e attivisti europei iniziano a condividere la stessa identità attraverso il Luther Blissett Project354, un progetto basato sui principi di anonimia e collettività, tramite il quale firmano le loro opere contribuendo alla creazione di un profilo del personaggio di Luther Blissett. Un agglomerato di sperimentazione, uso di identità multiple e pseudonimi, discussione su temi come originalità e identità. Luther Blissett non è nessuno ma allo stesso tempo può essere chiunque. Per ragioni sconosciute il nome appartiene realmente ad un calciatore di origini afrocaraibiche e per assonanza può voler significare “predatore felice” (looter=predatore) (bliss=felicità perfetta).

354

http://www.lutherblissett.net/ 22/02/2015

109


L’utilizzo di questo nome inizia in Italia per poi diffondersi anche all’estero tra il 1994 e il 1999 diventando un fenomeno veramente popolare e sviluppando svariate esperienze mediatiche.

Figura 4.6 Luther Blissett, 1994. Screenshot da http://www.lutherblissett.net// 22/02/2015 “Basta rinunciare alla propria identità, con tutti i vantaggi che questo comporta. Tuffati nell'onda dei sentimenti di rabbia e gioia che senti fluire intorno a te, rielaborala, senza apporre il tuo marchio, la tua firma. Perché di un lavoro firmato i tuoi simili non sanno che farsene: è qualcosa di finito, di cui tu hai decretato la fine e a cui nessuno potrà aggiungere nulla di nuovo. La non identità del condividuo va di pari passo con l'incompletezza.” Luther Blissett, Il mito del sé. http://www.lutherblissett.net/archive/145_it.html 22/02/2015

110


Uno tra i primi progetti che utilizza un’identità fasulla come tecnica di comunicazione è Darko Maver 355 , realizzato tra il 1998 e il 1999 dai 0100101110101101.org356e dal collettivo Luther Blissett.357 Tra il 1997 e il 1999 i due gruppi diffondono online la biografia e le attività di Darko Maver, un artista di origini serbe autore di opere ritenute antipatriottiche, perseguitato e in seguito rinchiuso in carcere nel 1997. Opere fasulle che sono in realtà foto di violenza prelevate online e mostre mai esistite documentate da falsi articoli pubblicati in rete.

Figura 4.7 0100101110101101.org e Luther Blissett, Darko Maver, 1998-1999. Screenshot da http://0100101110101101.org/darko-maver/ 22/02/2015

355

http://0100101110101101.org/darko-maver/ 22/02/2015 356 http://0100101110101101.org/ 22/02/2015 357 http://www.lutherblissett.net/ 22/02/2015

111


Il volto dell’artista appartiene realmente ad un membro del Luther Blissett Project e il nome ad un noto criminologo sloveno. La vicenda suscita molta solidarietà in Italia soprattutto dopo la notizia della sua morte in una prigione del Kosovo nel 1999.358 Ma Darko Maver non è mai esistito, è una leggenda mediatica, un’azione dimostrativa creata per evidenziare la difficoltà di verificare qualsiasi verità concreta in un mare di dati.359 Uno dei personaggi più misteriosi della net.art è una multiartista conosciuta nel corso degli anni con una serie di sigle diverse e criptiche: Antiorp 360 , integer, m9ndfuck 361 , f1f0, cw4t7abs, a9ff e da ultima Netochka Nezvanova oppure nn, pseudonimo preso in prestito da un romanzo di Dostoevskij che significa appunto anonimo nessuno.362 Date le scarse informazioni lasciate trapelare potrebbe trattarsi di una singola artista danese o neozelandese, di un collettivo di artisti e programmatori, di un’azienda di net.economy o addirittura di una cospirazione collettiva.363 La definizione che Netochka Nezvanova dà della sua opera è maschin3nkunst, "arte della macchina": fare progressivamente il vuoto, svuotare

358

qualsiasi

significato

attraverso

la

radicalizzazione

dei

Cfr. Tatiana Bazzicchelli, Networking: la rete come arte. I turbamenti dell’arte, Costa & Nolan, Milano 2006, p.212. 359 Cfr. Rachel Greene, Internet Art, Thames & Hudson, Londra 2004, p.46. 360 http://everything2.com/title/antiorp 22/02/2015 361 http://www.m9ndfukc.org/ 22/02/2015 362 Cfr. Marco Deseriis, Giuseppe Marano, Net.Art. L’arte della connessione, Shake Edizioni, Milano 2008, p.83. 363 Ibidem.

112


significanti, abolire l'io narrante, l'individualità, a vantaggio di una sorta di antinarrazione totale, spersonalizzata, macchinica.364 Uno dei suoi lavori è 242.055.pathogen365, un programma che una volta installato si mostra come apparentemente inutile, mentre dopo un periodo di tempo crea un numero spropositato di cartelle vuote sull’hard disk, ognuna caratterizzata da una sua denominazione alfanumerica, riproducendo la sua identità nella macchina esattamente come nella rete.366 Nel 1997 Cornelia Sollfrank promuove Female Extension 367 , nato in reazione ad Extension, il primo concorso di net.art promosso da un corpo istituzionale, con il quale l’artista decide di partecipare con l’intento di mettere in discussione l’autorevolezza e la competenza della giuria, iscrivendo al concorso duecento donne dalle identità fittizie provenienti da tutto il mondo. Attraverso un software denominato Net.art Generator 368 , in grado di raccogliere in rete frammenti di html e di ricombinarli automaticamente in nuovi siti web, riesce a produrre in poco tempo i duecento progetti. Nonostante i duecento lavori fossero privi di senso e la partecipazione femminile fosse pari ai due terzi del totale, la giuria valuta regolarmente tutte le opere assegnando i premi solo ad artisti di sesso maschile.369 364

Ivi, p.84. http://web.archive.org/web/20010421143241/http://www.eusocial.com/nato.0+55+3d/gm/242. 055.pathogen.sit.bin 22/02/2015 366 Cfr. Marco Deseriis, Giuseppe Marano, Net.Art. L’arte della connessione, Shake Edizioni, Milano 2008, p.88. 367 http://artwarez.org/projects/femext/ 22/02/2015 368 http://www.obn.org/generator/ 22/02/2015 369 Cfr. Marco Deseriis, Giuseppe Marano, Net.Art. L’arte della connessione, Shake Edizioni, Milano 2008, p.66-67. 365

113


Figura 4.8 Cornelia Sollfrank, Female Extension, 1997. Screenshot da http://www.artwarez.org/femext/ 22/02/2015

Dietro alla stringa di codice 0100101110101101 370 , che fa riferimento alla lettera “k” nel codice binario, si nasconde probabilmente la più grande realtà della net.art italiana, un gruppo di artisti bolognesi nato nel 1998 che gioca con il furto, l’appropriazione e la condivisione dell’identità in rete. Inizialmente il gruppo decide di operare nell’assoluto anonimato per poi far trapelare la sua identità umana riconoscendosi nei nomi fittizi di Eva e Franco Mattes. 370

http://0100101110101101.org/ 22/02/2015

114


La coppia indaga le logiche della comunicazione cercando di plasmare, manipolare e creare una nuova realtà attraverso la tecnologia. Nel

1998

il

duo

acquisisce

l’identità

pubblica

del

Vaticano371acquistando il dominio www.vaticano.org che rimarrà in loro possesso per un anno.

Figura 4.9 0100101110101101.org, Vaticano.org, 1998. Screenshot da http://0100101110101101.org/vaticano-org/ 22/02/2015

Un sito che in apparenza può essere facilmente scambiato per quello originale, ma che presenta contenuti fortemente diversi come scritti eretici, testi di canzoni, informazioni turistiche sbagliate, dichiarazioni a

371

http://0100101110101101.org/vaticano-org/ 22/02/2015

115


favore dell’aborto e dell’uso delle droghe, riuscendo ad ingannare migliaia di navigatori. Nel 2003 il gruppo agisce nuovamente prendendo in prestito l’identità della Nike Corporation. L’operazione denominata Nike Ground 372 si materializza nello spazio pubblico con un’installazione ambientale nella città di Vienna e si completa con il sito www.nikeground.com373identico all’originale.

Figura 4.10 0100101110101101.org, Nike Ground, 2003. Screenshot da http://0100101110101101.org/nike-ground/ 22/02/2015

La proposta è quella di sostituire il nome di diverse piazze con la voce “Nike” e il monumento con lo “Swoosh”, il famoso logo della corporation.

372

http://0100101110101101.org/nike-ground/ 22/02/2015 373 http://web.archive.org/web/20031010024329/http://www.nikeground.com/ 22/02/2015

116


Il progetto mira a suscitare una riflessione sull’invadenza dei simboli della cultura di massa negli spazi urbani, appropriandosi di un’identità altrui. La campagna provoca la reazione del pubblico e della corporation che nega ogni coinvolgimento e intraprende una battaglia legale. Un altro gruppo che gioca a rappresentarsi in rete sacrificando la propria identità personale è Etoy374. Fondato nel 1994 da artisti europei inzialmente attivi intorno a Zurigo, nel 1999 il gruppo inizia la campagna che li renderà popolari: Toywar375. La lunga battaglia legale e mediatica nasce quando la corporation americana eToys, leader nella vendita online di giocattoli, scopre l’esistenza di un dominio molto simile al suo.

Figura 4.11 Etoy, Toywar Timeline, 1999. Screenshot da http://toywar.etoy.com/timeline.html 22/02/2015

374

http://www.etoy.com/ 22/02/2015 375 http://www.etoy.com/projects/toywar/ 22/02/2015

117


Di fronte all’ennesimo rifiuto da parte degli artisti ai vari tentativi di acquisto del dominio, l’azienda li cita in giudizio per “violazione del copyright e concorrenza sleale”. Nel 1999 il giudice della contea di Los Angeles ordina il blocco del dominio www.etoy.com, nonostante sia stato registrato nel 1994, cioè due anni prima della nascita di eToys. Il gruppo chiama in aiuto altri net.artisti come ®TMark, The Thing, Rhizome,

Nettime,

Electronic

Disturbance

Theater,

Hell.com

per

riconquistare il dominio tramite azioni di disturbo e trovate imbarazzanti. Nel mese di dicembre viene registrato il sito www.toywar.com che simula un vero e proprio wargame virtuale e inizia l’azione The Twelve Days of Christmas. Tramite l’uso di tutte le armi messe a disposizione dalla Rete prende vita una nuova campagna volta a rovinare la reputazione del colosso commerciale, proprio nel periodo dell’anno più proficuo. I risultati sono drammatici: le azioni subiscono un calo di più del 40%, il sito web rimane intasato per un periodo e la Toywar ottiene un’enorme pubblicità. Nel 2001 dopo la risoluzione del processo contro Etoy, la corporation dichiara bancarotta e sul dominio etoy inizia una mesta e sarcastica celebrazione con tanto di epitaffio e marcia funebre.376 Un altro gruppo che utilizza l’identità delle corporation come spunto per i suoi progetti è ®TMark377. 376

Cfr. Valentina Tanni, Random. Navigando contromano, alla scoperta dell'arte in rete. Dieci anni dopo, il meglio di un sito che ha fatto la storia dell'editoria d'arte in Italia, Link Editions, Brescia 2011, p.12. 377 http://www.rtmark.com/ 22/02/2015

118


Fondata nel 1992 in California, ®Tmark (il cui nome si pronucia art mark) è un’agenzia che finanzia progetti per il sabotaggio creativo dei nuovi miti dell’era digitale ai danni delle corporation mutazionali. Dalla sua nascita il gruppo è riuscito a correggere l’identità di vari prodotti attraverso performance pubbliche. Una tattica che li contraddistingue è che i suoi rappresentanti si presentano generalmente con nomi falsi e istituzionali dichiarando ciò che fanno come “non arte”. I loro progetti sono tra le beffe artistiche più pubblicizzate dell’ultimo decennio.378 Attraverso i Mutual Funds 379 , progetto del 1998, vengono raccolte le idee di possibili sovversioni, inserite nella lista dei progetti e sovvenzionate da donatori anonimi.380 Nel 1993 con Barbie Liberation Organisation 381 invertono i dispositivi vocali delle Barbie con quelle dei soldati, le bambole con voce maschile pronunciano frasi come “gli uomini morti non dicono bugie” e vengono messe in vendita negli scaffali dei negozi di tutto il mondo. Anche il gruppo The Yes Men382realizza parodie di società e delle loro politiche aziendali attraverso operazioni di correzione dell’identità

378

Cfr. Rachel Greene, Internet Art, Thames & Hudson, Londra 2004, p.45. http://www.rtmark.com/funds.html 22/02/2015 380 Cfr. Luca Lampo (a cura di), Comitato scientifico 0100101110101101.ORG, Marco Deseriis, Domenico Quaranta, Connessioni leggendarie. Net.art 1995-2005, Studio Editoriale ReadyMade, Milano 2005, p.88. 381 http://www.rtmark.com/blo.html 22/02/2015 382 http://theyesmen.org/ 22/02/2015 379

119


(identity correction), presentandosi come false figure aziendali per mezzo di campagne denigratorie per ristabilire la verità dei fatti.383 Sebbene

potenzialmente

credibili,

tramite

le

loro

dichiarazioni

esagerate, trasformano in caricatura il personaggio che interpretano e allo stesso tempo sovvertono la credibilità delle istituzioni che fingono di rappresentare. Un caso rivelatore dell'attività dei The Yes Men risale al 3 dicembre del 2004, quando Andy Bichlbaum, uno dei due leader del gruppo, appare di fronte alle telecamere della BBC World assumendo l'identità di Jude Finisterra,

fittizio

portavoce

della

Dow

Chemical,

multinazionale

responsabile del disastro chimico avvenuto a Bhopal nel 1984.384

Figura 4.12 The Yes Men, Dow does the right thing, 2004. Screenshot da http://www.youtube.com/watch?v=LiWlvBro9el 22/02/2015

383

Cfr. Salvatore Iaconesi, Oriana Persico, Luca Simeone, Federico Ruberti (a cura di), REFF, RomaEuropa FakeFactory, La reinvenzione del reale attraverso pratiche critiche di remix, mashup, ricontestualizzazione, reenactment, DeriveApprodi, 2010 Roma, p.37-38. 384 http://theyesmen.org/hijinks/bbcbhopal 22/02/2015

120


Nell'intervista in diretta con la BBC, il finto portavoce annuncia che la Dow Chemical si assume la piena responsabilità della tragedia, concedendo un’indennità ai familiari delle vittime e bonificando i terreni e le falde acquifere ancora inquinate. Nonostante l'azienda si fosse subito affrettata a smentire queste dichiarazioni, nei venti minuti successivi all'intervista le azioni della Dow Chemical perdono il 4% del proprio valore. Inoltre tramite questa azione il disastro di Bhopal riesce a tornare un fatto di attualità e a riguadagnare l'attenzione dell'opinione pubblica. Le performace dei The Yes Men e di tutti gli altri artisti menzionati non intendono svelare una verità, ma infiltrandosi nella realtà mirano a mostrare la non attendibilità delle informazioni, rendendo confuso il confine tra vero e non vero.

4.2.2. Condivisione delle identità

Identità è un concetto attraverso il quale alcune opere sfidano l’utente ad una messa in discussione di se stesso. Tutti gli artisti citati decidono di unire le loro competenze per creare attraverso la net.art performance volte a suscitare riflessioni e critiche. Nel gennaio del 2000 gli 0100101110101101.org creano Glasnost, un progetto che parla di identità, spazio, tempo e del rapporto tra uomo e macchina. Il lavoro è diviso in due parti: Life Sharing e Vopos. 121


Con questo progetto gli artisti creano un canale dedicato alla trasmissione dei loro dati personali cercando di rendere l’idea della quantità di informazioni che è possibile raccogliere su internet per creare profili identitari. La performance Life Sharing385consente a tutti gli utenti web l’accesso ai file del computer privato del gruppo per due anni.

Figura 4.13 0100101110101101.org, Life Sharing, 2000-2003. Screenshot da http://0100101110101101.org/life-sharing/ 22/02/2015

385

http://0100101110101101.org/life-sharing/ 22/02/2015

122


Life Sharing può essere tradotto come condivisione della vita ed è l’anagramma di file sharing, che rimanda ai sistemi di condivisione di dati peer-to-peer in uso online. Il loro computer diventa un sistema di condivisione aperto e chiunque ha il potere di entrare nell’hard disk senza nessuna censura o limitazione. Il gruppo, noto per l’oscuramento della sua identità, in questo progetto mette a nudo tutti i propri segreti rendendo la propria identità accessibile ma anche duplicabile e quindi vulnerabile. L’ipotesi del gruppo suggerisce che la mente, l’esperienza e il corpo dell’uomo possano essere riflessi, almeno in parte, dai dati e che in realtà siano essi stessi aggregazione di dati.386 “Con un computer puoi condividere il tempo, lo spazio, la memoria e i progetti, ma soprattutto puoi condividere le tue relazioni personali. Ottenere libero accesso al computer di qualcuno equivale ad ottenere l’accesso alla sua cultura. Non ci interessa che un utente possa studiare la personalità di 0100101110101101.ORG; piuttosto, ci interessa la condivisione delle risorse: è una questione di politica più che di psicologia. […] L’utente può servirsi di tutto ciò che trova nel nostro computer. Non solo documenti e software, ma anche i meccanismi che regolano e mantengono 0100101110101101.ORG: le relazioni con la rete; le strategie; le tattiche e i trucchi; i contatti con le istituzioni; l’accesso ai fondi; il flusso di soldi che entrano ed escono. Tutto deve essere condiviso in modo tale che l’utente abbia sempre un precedente da cui imparare. Ciò che si impara, la conoscenza concreta – normalmente considerata ‘privata’ – può essere trasformata in un’arma, in uno strumento che si presta a essere riutilizzato.” Rachel Greene, Internet Art, Thames & Hudson, Londra 2004, p.59.

Il titolo della seconda parte del progetto è Vopos, in russo significa pubblicità nel senso di pubblico dominio, e prende il nome dalle guardie di frontiera che sorvegliavano il muro di Berlino.

386

Cfr. Rachel Greene, Internet Art, Thames & Hudson, Londra 2004, p.58.

123


Figura 4.14 0100101110101101.org, Vopos, 2002. Screenshot da http://www.medienkunstnetz.de/works/vopos/ 22/02/2015

Il gruppo si sottopone al controllo satellitare tramite trasmettitori GPS che registrano tutti i loro movimenti e le loro conversazioni telefoniche per un anno, condividendo i dati sul loro sito web. Vopos cerca di evidenziare quanto il controllo esercitato dalle corporazioni sia più dettagliato rispetto ai servizi segreti del passato. Dal 2006 in poi gli 0100101110101101.org trasferiscono le loro attività su Second Life, una vita sintetica dove gli utenti partecipano con alterego di se stessi. Nascono così i Portraits

387

, ritratti digitali stampati su tela che

immortalano avatar dei membri di Second Life, rappresentando l’altra realtà possibile in rete. 387

http://0100101110101101.org/portraits/

124


L’immagine che l’utente ha deciso di adottare ha preso il sopravvento su quella reale.

Figura 4.15 0100101110101101.org, Portraits, 2006-2007. Screenshot da http://0100101110101101.org/portraits/ 22/02/2015

In seguito realizzano Synthetic Performances 388 riproduzioni virtuali di performance storiche di artisti come Marina Abramovic, Vito Acconci, Gilbert&George. Un altro progetto che esplora la condivisione delle identità attraverso la tecnologia è DeskSwap389dell’artista americano Mark Daggett.

22/02/2015 388 http://0100101110101101.org/synthetic-performances/ 22/02/2015 389 Mark Daggett, DeskSwap, in Rhizome, 2001. http://rhizome.org/artbase/artwork/2901/ 22/02/2015

125


Figura 4.16 Mark Daggett, DeskSwap, 2001. Screenshot da http://rhizome.org/artbase/artwork/2901/ 22/02/2015

Un semplice screensaver che permette di condividere il desktop del proprio computer. Quando lo screensaver entra in funzione, l’utente che ha installato DeskSwap, può visualizzare le scrivanie degli altri utenti collegati e mettere a disposizione la sua. “I show you mine, you'll show me yours” è l’emblematico sottotitolo del software.390 Nel 2004 con il progetto Trails #1 #2 391 , l’artista statunitense Edward Tang dimostra come la tecnologia possa essere interpretata come uno specchio in grado di riflettere alcuni aspetti dell’identità. 390

Cfr. Marco Deseriis, Giuseppe Marano, Net.Art. L’arte della connessione, Shake Edizioni, Milano 2008, p.111. 391 http://www.antiexperience.com/edtang/works/trailz.html 22/02/2015

126


L’artista vuole evidenziare il lag, l’errore tipico presente nelle interazioni in rete, ovvero quel ritardo tra input e output che caratterizza le comunicazioni online, sottolineando che in rete nulla rimane fisso.392

Figura 4.17 Edward Tang, Trails #1 #2, 2004. http://www.antiexperience.com/edtang/images/vidz/trailz2_1.jpg 22/02/2015

Tramite una webcam che cattura la figura dell’utente che si sottopone all’esperimento e grazie ad un software denominato “3D Video Sculpture” l’artista ci restituisce un’immagine mappata in tanti cubi tridimensionali, offrendoci uno spazio virtuale sullo schermo.

392

Cfr. Neural, Trails, il lag dell’immagine in rete, 2004 http://neural.it/it/2004/01/trails-the-lag-of-the-image-over-the-network/ 22/02/2015

127


Con il progetto del 2006 Ethereal Self 393 , l’artista olandese Harm van den Dorpel, ci offre l’immagine di ciò che potrebbe essere la nostra identità in rete.

Figura 4.18 Harm van den Dorpel, Ethereal Self, 2006. Screenshot da http://etherealself.com/ 22/02/2015

Non appena il visitatore si collega al sito si trova di fronte all’immagine di un grande diamante sfaccettato, accettando l’attivazione della webcam lo schermo si trasformerà in uno specchio e restituirà all’utente la propria immagine scomposta in mille pezzi a conferma dell’idea che la propria identità in rete non è mai unica e stabile.

393

http://etherealself.com/ 22/02/2015

128


Ad insaputa dell’utente il progetto prosegue su Ethereal Others394 , un altro dominio dove vengono raccolti e archiviati in una sorta di mosaico tutti gli screenshot effettuati tramite il diamante.

Figura 4.19 Harm van den Dorpel, Ethereal Others, 2006. Screenshot da http://www.etherealothers.com/ 22/02/2015

Centinaia di persone guarderanno la loro identità nello schermo del pc che è sia uno specchio che una finestra.395 Nel 2003 Matteo Peterlini crea Iotualtro 396 , un’applicazione web che gioca con le identità individuali assemblando casualmente immagini in formato fototessera.

394

http://etherealothers.com/ 22/02/2015 395 Cfr. Valentina Tanni, Random. Navigando contromano, alla scoperta dell'arte in rete. Dieci anni dopo, il meglio di un sito che ha fatto la storia dell'editoria d'arte in Italia, Link Editions, Brescia 2011, p.95. 396 http://www.matteopeterlini.it/iotualtro/iotualtro.html 22/02/2015 http://www.matteopeterlini.it/iotualtro/meyouother.html 22/02/2015

129


Da ogni immagine viene estratto un pixel che sovrapponendo e combinando caratteristiche somatiche, andrà a comporre l’immagine finale generando un’identità ibrida.

Figura 4.20 Matteo Peterlini, Iotualtro, 2003. Screenshot da http://www.matteopeterlini.it/ iotualtro/iotualtro.html 22/02/2015

Anche nel caso di M_M (Mirror Myth)397del 2005 l’identità è al centro del progetto, mescolando i volti di spettatori comuni con riconoscibili profili del mondo del cinema. Uno specchio che concede al partecipante la possibilità di addentrarsi nel mito eliminando i confini tra quotidianità e immortalità.

397

http://www.matteopeterlini.it/m_m_/m_m_.html 22/02/2015

130


Figura 4.21 Matteo Peterlini, M_M, 2005. Screenshot da http://www.asquare.org/networkresearch/tag/art/page/19 22/02/2015

Con Summer GIF 398 nel 2013 Olia Lialina produce un’animazione che ritrae una donna su un’altalena, composta da vari fotogrammi, ognuno ospitato su un server diverso.

Figura 4.22 Olia Lialina, Summer GIF, 2013. Screenshot da http://rhizome.org/editorial/2013/aug/8/olialialina-summer-2013/ 22/02/2015 398

http://art.teleportacia.org/olia/summer/ 22/02/2015

131


L’animazione vuole rappresentare una metafora dell’identità costituita dai rapporti sociali e dalle persone connesse. Nel 1999 Heath Bunting con l’aiuto dell’artista Olia Lialina dà origine a Identity Swap Database399, un database attraverso il quale le persone che si sentono oppresse e limitate dai dati che li identificano, possono utilizzare informazioni e frammenti presi dalla rete per consolidare o dissolvere le identità.

Figura 4.23 Heath Bunting e Olia Lialina, Identity Swap Database, 1999. Screenshot da http://www.teleportacia.org/swap 22/02/2015

Nel 2004 Heath Bunting genera The Status Project 400 un progetto in continua espansione iniziato nel 2004 in cui viene studiata la fase di

399

http://www.teleportacia.org/swap/ 22/02/2015 400 http://status.irational.org/

132


costruzione di dati che riguardano la nostra “identità ufficiale”, quello che l’artista descrive come “un sistema esperto per la mutazione di identità”.401 La sua ricerca utilizza le informazioni fornite dagli utenti per illustrare i comportamenti, le relazioni e le scelte negli spazi sociali.402 Un progetto secondo il quale l’identità viene detournata e decodificata, riassunta in una serie di formule algoritmiche ordinate.403

Figura 4.24 Heath Bunting, The Status Project, 2004. Screenshot da http://status.irational.org/visualisation/maps/A1026_being_normal_greyscale.pdf 22/02/2015

22/02/2015 401 Cfr. Salvatore Iaconesi, Oriana Persico, Luca Simeone, Federico Ruberti (a cura di), REFF, RomaEuropa FakeFactory, La reinvenzione del reale attraverso pratiche critiche di remix, mashup, ricontestualizzazione, reenactment, DeriveApprodi, 2010 Roma, p.205. 402 Ivi, p.206. 403 Cfr. Mitra Azar, Transmediale: Hack:ability e identità, in Digicult, 2011. http://www.digicult.it/it/digimag/issue-062/transemediale-hackability-and-identity/ 21/09/2014

133


Tramite questo progetto lanciato in rete, gli utenti sono invitati attraverso un questionario a rispondere ad una serie di domande inerenti la loro identità personale. Scopo finale è quello di accumulare dati per creare un enorme database, in cui i dati si intrecciano per formare e deformare le identità.404 Gli utenti vengono successivamente invitati ad utilizzare le identità come merce di scambio e il circuito innescato si concretizza in una serie di profili identitari creati dall’artista e messi in vendita 405 a 500 euro ciascuno, ironizzando il concetto di identità svenduta sui social network.406 Nel

2001

il

collettivo

Lan

realizza

un

software

denominato

Tracenoizer 407 capace di individuare in rete i dati relativi ad una persona, ricombinarli e restituire un’identità virtuale fatta da associazioni prive di senso.

404

Cfr. Rachel Greene, Internet Art, Thames & Hudson, Londra 2004, p.80. http://status.irational.org/identity_for_sale/ 22/02/2015 406 Cfr. Mitra Azar, Transmediale: Hack:ability e identità, in Digicult, 2011. http://www.digicult.it/it/digimag/issue-062/transemediale-hackability-and-identity/ 21/09/2014 407 http://web.archive.org/web/20011127003034/http://www.tracenoizer.org/ 22/02/2015 405

134


Figura 4.25 Lan, Tracenoizer, 2001. http://www.1go1.net/img/tracenoizer_02.jpg 22/02/2015

135


4.3. Social net.art Con l’avvento dei social network si aggiunge per gli artisti una nuova forma di sperimentazione, relativa alla possibilità di palesare la facilità con cui è possibile “prelevare” in rete le identità altrui e riconvertirle in un nuovo contesto. Nell’esperimento sociale Face to Facebook 408 del 2011, gli artisti Paolo Cirio e Alessandro Ludovico replicano un milione di profili di utenti presenti sul social network e ricombinando le informazioni, reinseriscono le identità nel sito di incontri Lovely Faces409, utilizzando un software di riconoscimento facciale che categorizza uomini e donne secondo criteri personali.

Figura 4.26 Paolo Cirio e Alessandro Ludovico, Face to Facebook,, 2011. http://www.festival-enter.cz/2011/mediafiles//2011/04/facetofacebook2-950x425.jpg 22/02/2015

408

http://www.face-to-facebook.net/ 22/02/2015 409 http://www.lovely-faces.com/ 22/02/2015

136


Figura 4.27 Paolo Cirio e Alessandro Ludovico, Face to Facebook, 2011. Screenshot da http://www.face-to-facebook.net/ 22/02/2015

Una provocazione artistica che mostra quando sia facile utilizzare, riconvertire e ricombinare i dati personali di milioni di persone disponibili tramite i social network. Nel maggio del 2012 l’artista Constant Dullaart

410

durante una

performance al New Museum di New York rende pubblica la password per accedere al suo account di Facebook. Nello stesso anno Tobias Leingruber 411 realizza Social ID Bureau412 , un sito che rappresenta un’autorità fasulla che rilascia carte d’identità personali legate al proprio profilo sui social network.

410

http://www.constantdullaart.com/ 22/02/2015 411 http://tobi-x.com/ 22/02/2015 412 http://socialidbureau.com/ 22/02/2015

137


Nato come Facebook ID Bureau, il progetto ha avuto un tale successo da suscitare la risposta degli uffici legali di Facebook che hanno emesso una lettera di diffida minacciando azioni legali contro presunte violazioni del copyright.

Figura 4.28 Tobias Leingruber, Social ID Bureau, 2012. Screenshot da http://socialidbureau.com/ 22/02/2015

Con questo progetto l’artista dimostra quanto sia in pericolo l’anonimato in rete dopo l’obbligo di utilizzare il vero nome sui social network.

4.3.1. Suicidio virtuale

Non tutti gli utenti iscritti ai social network sono consapevoli che non esiste un pulsante che permette l’eliminazione definitiva del proprio profilo virtuale. 138


Nasce cosÏ l’esigenza di congedarsi dalla vita virtuale, esigenza che i net.artisti cercano di soddisfare attraverso i loro progetti per fare in modo che gli utenti possano disporre come vogliono dei propri dati personali.

Figura 4.29 Cory Arcangel, Friendster Suicide, 2005. Screenshot da http://www.coryarcangel.com/news/2005/12/friendster-suicide-live-inperson-dec-2005/ 22/02/2015

139


L’artista Cory Arcangel nel 2005 annuncia il suo Friendster Suicide 413, comunicando tramite un messaggio a tutti i suoi amici il suicidio della propria identità virtuale sul social network. Nel 2009 il gruppo artistico immaginario Les Liens Invisible414dà vita al progetto Seppukoo415.

Figura 4.30 Les Liens Invisible, Seppukoo, 2009. Screenshot da http://www.seppukoo.com/ 22/02/2015

413

http://www.coryarcangel.com/news/2005/12/friendster-suicide-live-in-person-dec-2005/ 22/02/2015 414 http://www.lesliensinvisibles.org/ 22/02/2015 415 http://www.seppukoo.com/ 22/02/2015

140


Formato da Clemente Pestelli e Gionatan Quintini, il gruppo lavora nel campo della net.art dal 2006 cercando di mettere in luce i “collegamenti invisibili” esistenti tra reale e virtuale, facendo riflettere sull’identità all’interno dei contesti virtuali. Così come il Seppuku, il suicidio rituale dei samurai giapponesi, Seppukoo permette la liberazione della propria identità virtuale dai social network. “Come il Seppuku ripristina l’onore del samurai come un guerriero, allo stesso modo, Seppukoo.com si impegna a liberare il corpo digitale da qualsiasi costrizione dell’identità al fine di aiutare le persone a scoprire cosa succede dopo la loro vita virtuale e per riscoprire l'importanza di essere nessuno, invece di fingere di essere qualcuno.” Trad. It da http://www.seppukoo.com/about 22/02/2015

Inserendo i propri dati di accesso al social network, l’utente ha la possibilità di inviare un ultimo messaggio di addio ai propri amici invitandoli a compiere lo stesso rituale. Anche qui gli uffici legali di Facebook nel dicembre del 2009 inviano la loro “Cease & Desist Letter”, con cui invitano a cessare e desistere il progetto disattivando il sito. Ottenere una lettera “Cease & Desist” è diventata una frontiera estetica da raggiungere per rivendicare la libertà di creare nell’era delle corporation. Ogni artista che ne voglia far parte sceglie un buon avvocato piuttosto che un buon gallerista.416

416

Cfr. Salvatore Iaconesi, Oriana Persico, Luca Simeone, Federico Ruberti (a cura di), REFF, RomaEuropa FakeFactory, La reinvenzione del reale attraverso pratiche critiche di remix, mashup, ricontestualizzazione, reenactment, DeriveApprodi, 2010 Roma, p.30.

141


Tuttavia queste azioni legali forzano Facebook a dichiarare che le foto, i video e le informazioni personali che le persone pubblicano sono proprietà dell’azienda e non delle persone che li hanno forniti.417 L’anno successivo il collettivo Moddr_lab418mette a disposizione Web 2.0 Suicide Machine419, un servizio che permette agli utenti di cancellare il proprio profilo dai social network senza nessuna possibilità di resurrezione.

Figura 4.31 Moddr_lab, Web 2.0 Suicide Machine, 2010. Screenshot da http://suicidemachine.org/ 22/02/2015

Inizialmente l’applicazione è attiva per Facebook, MySpace, LinkedIn e Twitter e non richiede nessuna registrazione. L’utente ha la possibilità di inserire le sue credenziali e le sue ultime parole prima di mettere fine alla propria identità virtuale. Ma anche questa volta gli uffici legali di Facebook non tardano nell’inviare una diffida chiedendo di bloccare il servizio. Cancellare il proprio profilo da Facebook è praticamente impossibile dato che tutto ciò che viene inserito dagli utenti appartiene ai gestori del sito.

417

Ivi, p.31. http://moddr.net/ 22/02/2015 419 http://suicidemachine.org/ 22/02/2015 418

142


Queste operazioni non ci chiedono di non utilizzare i social network ma di riflettere su quanto questi network utilizzino ciò condividiamo delle nostre identità e su quanto il nostro profilo virtuale veramente ci rispecchi.420

4.3.2. Anti-social network Un’altra tendenza che arriva in aiuto agli utenti stanchi di raccontare la propria vita ai social network, alla ricerca di solitudine e privacy è l’anti-social network.

Figura 4.32 Airbagindustries, Introverster, 2002. Screenshot da http://airbagindustries.com/introvertster/ 22/02/2015

420

Cfr. Marco Pucci, Yes, now fake is legal. La net-art al tempo dei social network, in D’Ars Magazine, 2011. http://www.darsmagazine.it/yes-now-fake-is-legal-la-net-art-al-tempo-dei-social-network/ 22/02/2015

143


Nel 2002 il gruppo Airbagindustries produce Introverster 421 , una comunità antisociale che impedisce l’interazione online. Nel 2006 Sean Bonner crea Isolatr422, offrendo all’utente l’opportunità di non essere raggiunto dagli amici.

Figura 4.33 Sean Bonner, Isolatr, 2006. Screenshot da http://web.archive.org/web/20060404225015/http://www.isolatr.com/ 22/02/2015

Un altro esperimento è Hell is other people del newyorkese Scott Gartner. Per utilizzarlo è necessario possedere un account Foursquare e, inserendo

le

credenziali,

l’applicazione

utilizzerà

i

dati

di

geolocalizzazione consentendo di restare il più lontano possibile dagli amici, per non essere costretto a scambiare con loro convenevoli solo per buona educazione.

421

http://airbagindustries.com/introvertster/ 22/02/2015 422 http://web.archive.org/web/20060404225015/http://www.isolatr.com/ 22/02/2015

144


Un’app per iOS molto simile è Cloak 423 pensata dal designer Brian Moore e dal copywriter Chris Baker per dare all’utente la possibilità di nascondersi.

Figura 4.34 Brian More, Cloak, 2014. Screenshot da http://itunes.apple.com/it/app/cloak-social-sense/id830708468?mt=8 22/02/2015

Anche in questo caso sfruttando gli account di Foursquare, Instagram, Facebook e Twitter il programma apre una mappa segnalando la posizione dei propri amici e permettendo quindi all’utente di evitare determinate zone e incontri. Nel 2010 nasce Path424che seguendo la teoria del neozelandese Robin Dunbar, concede ai meno impavidi una vita social più “intima” con al

423

http://itunes.apple.com/it/app/cloak-social-sense/id830708468?mt=8 22/02/2015 424 http://path.com/ 22/02/2015

145


massimo 150 contatti, il numero più alto di amicizie che un individuo sarebbe in grado di mantenere in modo stabile. Esistono inoltre anti-social network con l’obiettivo di riunire le persone con una passione in comune: l’odio. Owen Knapp nel 2004 fonda I Fucking Hate You 425 che permette connettersi con le persone per cui si prova antipatia, odio o rancore.

Figura 4.35 Owen Knapp, I Fucking Hate You, 2004. Screenshot da http://ifuckinghateyou.com/ 22/02/2015 “Il nemico del tuo nemico è tuo amico.” Trad. It da http://ifuckinghateyou.com/ 22/02/2015

Angie Waller nel 2007 lancia Myfrienemies426, che cerca di mettere in contatto gli utenti in base alle loro avversioni, delusioni e fastidi in comune.

425

http://ifuckinghateyou.com/ 22/02/2015 426 http://www.myfrienemies.com/

22/02/2015 146


Figura 4.36 Angie Waller, Myfrienemies, 2007. Screenshot da http://www.myfrienemies.com/ 22/02/2015

Nel giugno 2007 Kevin Matulef crea Enemybook 427 , che progettato specificamente come applicazione Facebook, consente di creare una lista dei nemici specificando il motivo dell’odio, informarli della loro presenza nella lista e diventare amici con i nemici dei propri nemici.

427

http://www.enemybook.info/ 22/02/2015

147


Figura 4.37 Kevin Matulef, Enemybook, 2007. Screenshot da http://enemybook.info/ 22/02/2015

Nello stesso anno Nils Andrei crea Hatebook 428 , l’anti-Facebook per eccellenza creato come luogo per criticare persone, mode e pensieri.

Figura 4.38 Nils Andrei, Hatebook, 2007. Screenshot da http://www.hatebook.org/ 22/02/2015

“Carica bugie di qualcuno o pubblica segreti. Ottieni gli ultimi pettegolezzi dai tuoi nemici e amici. Rivela foto e video sul vostro odio profilo. Tagga tuoi nemici. Entra in un clan dell’odio per sbarazzarti di tutte le cose fastidiose intorno a te. Conquista il mondo.” Trad. It da http://www.hatebook.org/

22/02/2015

Nel 2008 Bryant Choung crea Snubster 429 , con il quale è possibile “snobbare” una serie di cose o persone detestate e insopportabili.

428

http://www.hatebook.org/ 22/02/2015 429 http://web.archive.org/web/20110203003009/http://snubster.com/ 22/02/2015

148


HateWithFriends430 , l’app ideata da Chris Baker, permette di scegliere tra gli amici di Facebook chi si odia assegnando un voto negativo in maniera del tutto anonima. Nel caso in cui il sentimento fosse reciproco il programma recapiterà una notifica di “odio corrisposto” ad entrambi gli utenti consigliando l’eliminazione dell’amicizia o l’invio di un regalo virtuale.

Figura 4.39 Chris Baker, HateWithFriends, 2013. Screenshot da http://www.hatewithfriends.com/ 22/02/2015

Nel 2013 Jake Banks sviluppa l’app Hater431, con la quale prende vita il tasto tanto desiderato da molti utenti Facebook: non mi piace. L’idea è nuovamente quella di condividere tutto ciò che si odia accumulando consensi da parte della comunità.

430

http://www.hatewithfriends.com/ 22/02/2015 431 http://hater-app.com/ 22/02/2015

149


“Nella terra dei social media, puoi solo mettere “Mi piace”. Chi dice che la tua unica opzione è un ‘like’? A chi veramente piace il nuovo partner dell’ex, gli amici che sono sempre in vacanza e soprattutto quello che stanno mangiando! No grazie, adesso puoi odiarlo.”

Trad. It da http://hater-app.com/

22/02/2015

Figura 4.40 Jake Banks, Hater-App, 2013. Screenshot da http://haterapp.com/ 22/02/2015

Un altro filone si dedica alla creazione di programmi capaci di bloccare l’accesso a siti sociali, evitando distrazioni digitali all’utente. 150


A partire dal 2006 il tool Isolator 432 aiuta gli utenti a concentrarsi, isolando il documento di lavoro e coprendo tutte le icone o le applicazioni che potrebbero provocare disattenzione. Nel 2007 nasce LeechBlock433, un estensione per Firefox progettata per impedire la navigazione di determinati siti per periodi di tempo stabiliti. Anche Freedom 434 è un’applicazione per la produttività che blocca l’accesso ad internet fino ad un massimo di otto ore.

Figura 4.41 Fred Stutzman, Anti-Social, 2010. Screenshot da http://anti-social.cc/ 22/02/2015

Fred Stutzman nel 2010 realizza Anti-Social 435 , un’applicazione che consente all’utente di spegnere le parti sociali di internet, limitando 432

http://willmore.eu/software/isolator/ 22/02/2015 433 http://www.proginosko.com/leechblock.html 22/02/2015 434 http://macfreedom.com/ 22/02/2015 435 http://anti-social.cc/ 22/02/2015

151


l’accesso ad oltre 150 piattaforme dedicate al social networking attraverso un solo tasto. Nel 2008 Geoff Cox sviluppa il database Antisocial NotWorking 436 , un’esposizione virtuale che raccoglie tutti i progetti che evidenziano le criticità dei social network.

Figura 4.42 Geoff Cox, Antisocial NotWorking, 2008. Screenshot da http://www.antisocial-notworking.net/ 22/02/2015

436

http://www.antisocial-notworking.net/ 22/02/2015

152


153


L’elaborato multimediale: MySelfInTheMirror L’ispirazione Questo progetto nasce ispirandosi all’opera dell’artista olandese Harm van den Dorpel “Ethereal Self” (http://www.etherealself.com). L’opera consiste in un sito web in cui è presente la sola immagine di un diamante sfaccettato. Non appena il visitatore si collega, il sito richiede di poter utilizzare la fotocamera e solo mediante l’accettazione, la figura del diamante si trasforma in uno specchio, restituendo all’utente la propria immagine riflessa e scomposta in mille pezzi a conferma dell’idea che l’identità rete non è mai unica e stabile. In un’altra pagina indipendente (http://etherealothers.com), ad insaputa degli utenti, l’artista ha raccolto in una sorta di mosaico tutti gli screenshot effettuati attraverso il diamante. Attraverso questo elaborato ho deciso di ricontestualizzare l’opera riadattandola al mondo odierno caratterizzato dai social network. A questo proposito ho pensato di interagire con il social network più famoso e popolato, Facebook, attraverso le sue API.

154


Le API di Facebook

Con il termine API, acronimo di Application Programming Interface, si indica un insieme di strumenti di programmazione che le maggiori industrie del panorama informatico mettono a disposizione degli sviluppatori per facilitare il loro compito nella realizzazione di applicazioni di vario genere. Le API di Facebook sono librerie di funzioni che permettono a programmatori e sviluppatori di interagire con le varie funzionalitĂ di programmi, applicazioni e piattaforme. Rappresentano, quindi, l'interfaccia aperta attraverso la quale realizzare delle applicazioni integrabili nella piattaforma del social network stesso. L'utilizzo di librerie solitamente accessibili esclusivamente al team di sviluppo di Facebook, facilita notevolmente la programmazione di nuove app e funzioni che arricchiscono l'esperienza degli iscritti di Facebook. Non solo interazione con la struttura del social network ma anche estensione delle sue funzioni. Le API permettono di interrogare la piattaforma per accedere a tutte le informazioni e i contenuti pubblici di un utente consentendo, mediante autorizzazione, di tracciare il suo profilo identitario.

155


Il progetto Il

progetto

consiste

nella

realizzazione

del

sito

web

http://myselfinthemirror.altervista.org/. Per la parte grafica ho utilizzato un template modificandolo ed adattandolo ai miei contenuti. Per la parte relativa alla programmazione ho effettuato la registrazione su Facebook come utente sviluppatore, ho creato un’applicazione personale, l’ho configurata inserendo alcune informazioni ed una breve descrizione e collegata al mio sito web. Facebook mi ha restituito un App ID e un App Secret per effettuare l’accesso alle Facebook API. Facebook fornisce agli utenti la libreria JavaScript SDK 2.4 (Software Development Kit – Pacchetto di Sviluppo Applicazioni), che consente di inserire alcuni social plugin, set di estensioni che mi hanno permesso di integrare alcune funzioni di Facebook (come i tasti like, condividi, commenti e segui) all’interno della mia pagina html. Successivamente

l’inserimento

dello

script

getUserMedia()

mi

ha

consentito di accedere alla webcam dell’utente e di scattare una foto. Mediante la libreria PHP SDK 5.0.0 per sono riuscita ad avere l’accesso ai dati personali dell’utente ed in particolar modo alle sue immagini pubbliche di profilo. Una volta ottenute le immagini da utilizzare, ho usato l’estensione di PHP ImageMagick, che permette di creare una composizione grafica formata dalle foto prelevate da Facebook e dalla foto scattata attraverso il sito.

156


Nel momento in cui si effettua l’accesso al sito l’applicazione chiederà di poter accedere alla webcam in modo da consentire all’utente di scattarsi una foto. In seguito l’applicazione di autenticazione Facebook richiederà, tramite una finestra pop-up, il permesso di accedere ai suoi dati personali e quindi alle foto del suo profilo. Solo dopo il consenso dell’utente, il programma sarà in grado di prelevare le immagini caricate nel suo profilo Facebook, ricombinarle tramite il composer con lo screenshot effettuato sul sito restituendo un mosaico. L’immagine ottenuta sarà una commistione di identità che l’utente potrà ovviamente aggiungere al suo profilo e condividere.

157


Conclusioni La realtà in cui viviamo oggi è composta da mille finestre tecnologiche, migliaia di profili, amici, messaggi, aggiornamenti di stato, post e cinguettii. Mille modi in cui abbiamo la possibilità di dare forma alla nostra identità. Usiamo la tecnologia per condividere pensieri, musica, immagini ed esprimere noi stessi. L’individuo moderno online si riscopre libero e autorizzato a modellare la propria identità ed a plasmarne le caratteristiche. La sua stessa natura lo porta a cercare approvazione nell’altro e per questa ragione cerca di fissare immagini di se stesso nel tentativo di potersi raccontare agli altri, farsi riconoscere e ricevere approvazione. Milioni di persone esibiscono il loro profilo, i propri interessi e le proprie relazioni gestendo la propria identità. Il web sociale ci sta dando l’opportunità di capire e amplificare ciò che siamo nella vita “reale”. Pensiamo di usare i social network per presentarci ma spesso finiamo per essere la fantasia di ciò che vorremmo apparire. Online si modifica il modo in cui incontriamo le idee e le informazioni e cambia anche la nostra percezione del mondo, la nostra esistenza e la nostra identità. La penetrazione dei social network nel quotidiano ci ha portato ad immergerci sempre più nel mondo digitale impendendoci di segnare un confine tra online e offline. 158


In conclusione, la nostra identità è in continua metamorfosi e sappiamo di non avere il controllo su noi stessi. Ma qual è il prezzo da pagare per tutto ciò? Non rischiamo forse di perdere la nostra autenticità e di finire in un vortice di omologazione? Le nuove tecnologie condizionano l’idea che abbiamo di noi stessi e di ciò che potremmo diventare ma anche quello che pensiamo di essere e quello che pensiamo di poter diventare, creando un’immagine di noi instabile e densa di sfaccettature.

159


Riferimenti Biblografici Bibliografia

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Alessandro

Ludovico,

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In copertina: Justin Bower, On Earth as it is in Heaven, 2014.

Justin Bower attraverso i suoi dipinti intende riflettere sull’essere instabile dell’identità dell’uomo moderno. I suoi soggetti sono frammentati, incompleti e invasi dal codice e problematizzano il modo in cui l’individuo si definisce in questa era digitale e virtuale, suggerendo l’impossibilità di coglierne una nozione precisa. I suoi ritratti aprono un dialogo sull’effetto destabilizzante che la tecnologia ha sull’individuo contemporaneo e, proprio come gli artisti passati dell’espressionismo astratto, utilizza la pittura come strumento d’inchiesta.

http://www.justinbower.com/About.html 11/05/2015 205


In copertina: Justin Bower, On Earth as it is in Heaven, 2014. http://www.justinbower.com/


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