MADRETERRA NUMERO 25 - GENNAIO 2012

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Per non dimenticare di Chiara Ortuso ome ogni anno il 27 gennaio C ricorre il giorno della memoria e come sempre siamo posti di fronte al dovere di non dimenticare, di non celare la brutalità del massacro di uomini ridotti a cifre, privi di dignità, di diritti, di speranza, equiparati a inutili oggetti da sfruttare e poi distruggere nell’infernale macchina dei lager nazisti. Molti ignorano che delle 6 milioni di vittime della Shoà, circa la metà furono zingari, rumeni, omosessuali, prigionieri politici. Un milione e mezzo di bambini vennero trucidati nella camere a gas appena arrivati nel tristemente noto campo di Auschwitz Birkenau. Altri furono oggetto di terribili esperimenti da parte del dottore Mengele, “il medico della morte”. I deportati più fortunati furono spogliati dei loro abiti, ricoperti di luride casacche a righe,

marchiati come bestie da macello con un numero su un braccio e sottoposti a lavori forzati sotto il gelo invernale e il caldo torrido estivo. Nutriti con una brodaglia e mezzo tozzo di pane, picchiati e torturati dalle SS naziste e dagli stessi ebrei resi dai tedeschi aguzzini del loro popolo in cambio della sopravvivenza o di trattamenti migliori, furono ridotti ad automi il cui unico scopo era quello di arrivare a fine giornata. Molti dei sopravvissuti dai campi di sterminio non riuscirono a trovare una parvenza di normalità, ostili verso il destino che li aveva sottratti a tanto orrore mentre i loro più cari amici e familiari avevano trovato la morte. Alcuni reduci non riuscirono a superare i loro incubi, le loro paure, i loro spettri; preferirono uccidersi per l’impossibilità di una vita ormai negata da un passato terribile e spesso confuso con un presente privo di senso. Altri ancora, impossibilitati a credere in un Dio, in una religione

che non poteva offrire più giustificazioni a tanta cattiveria umana, preferirono inabissarsi nel silenzio e per molti anni si chiusero in un doloroso mutismo. Di fronte a questa terribile pagina di storia è doveroso far parlare i testimoni del massacro, dare voce a chi non ne ha più: Primo Levi e Elie Wiesel, entrambi scampati al massacro di Auschwitz. Nella “Notte” Wiesel così scrive: “Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fato della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata. Mai dimenticherò quel fumo. Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto. Mai dimenticherò quelle fiamme che consumarono per sempre la mia fede. Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere. Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni che presero il volto del deserto. Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto

Dio stesso. Mai”. E mai potremmo dimenticare le toccanti parole che aprono il capolavoro di P. Levi “Se questo è un uomo”: “Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: considerate se questo è un uomo che lavora nel fango, che non conosce pace, che lotta per mezzo pane, che muore per un sì o per un no. Considerate se questa è una donna, senza capelli e senza nome, senza più forza di ricordare, vuoti gli occhi e freddo il grembo come una rana d’inverno. Meditate che questo è stato. Vi comando queste parole, scolpi tele nei vostri cuori, stando in casa, andando per via, coricandovi, alzandovi; ripetetele a vostri figli o vi si sfaccia la casa, la malattia vi impedisca. I vostri nati torcano il viso da voi.” Dov’era Dio ad Auschwitz? Si chiedono la Teologia e l’umanità intera riflettendo sulle atrocità dei campi nazisti. Dovremmo forse chiederci: Dov’era l’uomo? L’uomo aveva perso Dio. Questa è l’unica probabile risposta nell’impossibilità di ogni senso.


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