Dicembre 2014 - Quadrimestre 46 - pagina 39
I miei ricordi di Lussino a Cigale di Marta “Martina” Premuda Ho perso la mamma Paola Gerolimich, dopo un mese dalla mia nascita e sono cresciuta con mia nonna Teresa Cosulich Gerolimich che aveva una villetta, “Villa Hygiea”, con giardino e il proprio bagno privato a Cigale. Avevamo pure due barche, una a vela e una a remi. Vivevamo a Trieste e andavamo a Lussino tutti gli anni durante le vacanze estive. Lì trascorrevo serenamente tutta l’estate in compagnia di molti amici. Il mattino andavo a fare il bagno dalla mia amica Doretta Martinoli, insieme a molti altri bambini. Il pomeriggio lo trascorrevo giocando con i miei amici nel giardino o nella vicina pineta. Dopo l’8 settembre 1943, con l’armistizio, tutto mutò. Avevo undici anni, dovetti rimanere a Lussino forzatamente e a lungo. Arrivarono i cetnici. Molte famiglie cetniche alloggiavano all’Alhambra, l’albergo che era vicino alla mia casa. Feci amicizia con i loro bambini che venivano al mare insieme a me, alcuni di loro venivano anche a giocare nel mio giardino. Mi ricordo di uno di loro che non voleva mai dire il suo nome. Noi insistevamo ma lui continuava a tacere, non sapevamo il perché ma forse dipendeva dal fatto che apparteneva a una delle famiglie fuggite dalla Jugoslavia e per questo gli era stato consigliato di non dire il suo nome. Nel frattempo i tedeschi avevano occupato Trieste e a Lussino non arrivava più niente dalla terraferma. Tutti i negozi di alimentari erano chiusi e a nulla serviva la tessera annonaria. Incominciò allora il periodo della fame. Per poter mangiare qualche pesce, andavamo tutte le sere con la barca a remi a calare le reti in mare. Tutti gli abitanti di Cigale lo facevano per necessità in quella piccola insenatura
perché non si poteva recarsi in mare aperto, dove c’erano le mine. Riuscivamo perciò a prendere solo pochissimi pesci, di solito due tre “scarpunici”. Io remavo e la nonna tirava su le reti e poi le mettevamo ad asciugare su un muretto. In quelle circostanze Omero Cosulich, cugino che era residente a Lussino e che possedeva dei campi ci aiutò molto, dandoci del frumento. La nonna lo portò al mulino a macinare per fare poi il pane in casa con il bicarbonato perché il lievito non si trovava. La quantità era assai limitata, riuscivamo a mangiare solo qualche piccolo pezzo di pane al giorno. Il cugino ci diede anche altri alimenti ma non bastavano e avevo sempre fame. Non mi restava allora che fantasticare e immaginare di aver in bocca un grosso panino e di mangiare a sazietà. La nonna andava a cercare delle uova da famiglie che avevano galline. Non volevano denaro perché non c’era nulla da poter comperare ma chiedevano una maglia o un paio di calze. Dopo i cetnici arrivarono i partigiani slavi e poi i tedeschi e con loro anche i viveri nei negozi. Nel frattempo mia nonna ed io eravamo state obbligate a lasciare la villetta di Cigale e a trasferirci nella casa del nonno paterno che era morto. Il tenente che occupò la nostra villetta, assicurò: “Avremo cura della vostra casa, verrò ad abitarvi solo io con il mio attendente.” Invece, dopo alcuni giorni la casa era piena di soldati e il pianoforte era sparito ma finalmente potemmo partire per Trieste. Con la nave arrivammo a Pola e proseguimmo con il treno fino a Trieste.
Cigale, Villa Hygiea dei Gerolimich