Quadrimestre 45 - pagina 45
Una storia di mare e di “Pirati di Terra” di Antonio Bonaldo Dopo la recente dipartita del caro amico Comandante Vinicio Szalay voglio ricordare e raccontare una storia vera che ci vide coinvolti insieme ad altri due ufficiali di Trieste e che solo per la competenza, cocciutaggine e onestà dell’allora 1°Uff. Szalay e la nostra totale partecipazione si risolse nel modo migliore. Era il settembre del 1958 quando mi trovai ad imbarcare sul piroscafo Sandro Primo, un “Empire inglese” di 6977 t di stazza lorda battente bandiera italiana e iscritto al Compartimento Marittimo di Venezia. Molto importante notare che la nave non batteva bandiera “ombra” ed era una nave italiana a tutti gli effetti. Assistiti da una Agenzia Marittima di Trieste (ancora esistente), partimmo col treno per Flushing (Olanda) dove imbarcammo il 29 settembre 1958. Io come allievo di coperta facente funzioni di 3° Ufficiale, il 1° Uff. di Coperta Vinicio Szalay e altri due ufficiali di Trieste, un 2° di Macchina e il radiotelegrafista. Stranamente salimmo a bordo di sera tardi quando tutti dormivano e al mattino successivo si ebbe solo un tempo minimo per scambiare poche parole con quelli che stavamo sostituendo. Mollammo quindi gli ormeggi con destinazione Kuwait a pieno carico di cemento in sacchi. Appena al largo udimmo le prime voci da parte dell’equipaggio. In poche parole le famiglie a casa non ricevevano la paga già da alcuni mesi. Interpellato, il comandante ci rassicurò che la vertenza era stata risolta, che tutto si stava mettendo a posto e che l’armatore stava predisponendo i pagamenti. Proseguimmo il viaggio. Passammo il Canale di Suez e finalmente a una velocità media di 8- 9 nodi arrivammo in rada a Kuwait dove trovammo una sessantina di carrette, come noi tutte cariche di cemento. Kuwait allora non era niente: no grattacieli, no porto commerciale, no alberghi di lusso ma solo caldo e umidità insopportabili. Niente aria condizionata, niente frigoriferi nelle mense ma solo una ghiacciaia che produceva stanghe di ghiaccio. Per quanto riguarda gli alloggi degli ufficiali dirò solo che non erano dotati di acqua corrente. La mia cabina aveva lo scarico del lavandino tappato col cemento; c ’era un bagno solo in comune che veniva usato anche dall’unico cameriere. Passammo 40 giorni a scaricare il cemento sulle maone in rada e intanto a casa a dispetto di quanto ci aveva assicurato il comandante i soldi non arrivavano. Partimmo per Mormugao (Goa, India) a caricare minerale di ferro e qui cominciò la fase dura dell’avventura. Goa a quel tempo era una sorta di colonia portoghese e quindi la Capitaneria di Porto era retta da un Capitano di quel paese che fu messo al corrente della nostra situazione e gli fu chiesto di intervenire presso le Autorità italiane per risolvere il nostro caso. Bastava che l’armatore avesse dato inizio ai pagamenti alle famiglie e tutto si sarebbe risolto. Invece l’armatore ci abbandonò completamente. Completato il carico andammo in rada in attesa di partire. La tensione a bordo era alle stelle e accadde che il nostromo, persona anziana e per bene, minacciò con il coltello il mozzo
che era un ragazzino di Chioggia il quale terrorizzato andava scappando per tutta la nave, inseguito appunto dal nostromo che era andato come si dice “Fuori di testa”. Il fatto fu riportato subito alle Autorità Marittime locali che essendo già al corrente della nostra situazione disperata, sospese le spedizioni, trattenne i Giornali di bordo e di fatto bloccò la partenza della nave, anche in attesa di qualche risposta dalla Capitaneria di Porto di Venezia o dal Ministero della Marina Mercantile italiano con i quali si era messa in contatto telegraficamente. Dopo circa 15 giorni, non avendo ricevuto alcuna risposta soddisfacente e dietro nostra pressione perché volevamo avvicinarci ai nostri mari, i Portoghesi ci autorizzarono a partire. Voglio precisare che fummo noi il 1° Uff. SZALAY, il sottoscritto e gli altri due ufficiali triestini a prendere tutte le iniziative e i contatti con le Autorità locali, a spedire lettere e telegrammi. Il comandante era completamente assente dall’intraprendere qualsiasi iniziativa volta a recuperare i nostri emolumenti. Anzi durante la sosta a Mormugao mentre noi, i soliti quattro eravamo a terra perché convocati dal Capitano di Porto, fece trapelare tra l’equipaggio la voce che avevamo ricevuto dei soldi di modo che, quando rientrammo a bordo a notte inoltrata, ci trovammo circondati da tutto l’equipaggio che ci chiedeva a muso duro di rendere conto di quanto aveva detto il comandante, minacciando di buttarci a mare. A quel punto avevamo una sola possibilità e fu quella di andare nella cabina del comandante, prelevarlo dal letto e portarlo a forza in coperta in mezzo all’equipaggio dove dovette ammettere che ciò che aveva detto era falso .In quell’occasione, spiace dirlo, il Comandante fu anche un poco malmenato e da quel momento fino allo sbarco perse di fatto ogni autorità, almeno per quanto riguardava noi quattro. Non saliva sul ponte quando c’era il 1° Uff.le di guardia e veniva schivato un po’ da tutti. Finalmente si partì con destinazione Gibuti per bunkeraggio. Arrivati a Gibuti il rifornimento di carburante ci fu negato perché l’armatore aveva debiti pregressi, quindi si rimase in rada ad attendere non si sa bene cosa, visto che sembrava fossimo stati abbandonati e dimenticati sia dalle autorità competenti italiane sia soprattutto dal nostro armatore. In vari tempi furono da noi spediti parecchi telegrammi firmati da tutti e trenta i membri dell’equipaggio al Ministero della Marina Mercantile, alla Capitaneria di Porto di Venezia ma nessuno sembrava volesse o potesse risolvere la nostra tragedia. Solo promesse che puntualmente risultavano false. Non credevamo più a nessuno. Anche il Provveditore era restio a fornirci generi alimentari tanto che intervenne il rappresentante consolare, un muggesano che provvide a mantenerci in vita per tutta la sosta e a cui lasciammo alla partenza, una lancia di salvataggio quale pagamento delle provviste ricevute durante la sosta. Alla fine qualcuno pagò anche il combustibile bastante per arrivare a Suez e così dopo circa 20 giorni di attesa partimmo alla volta di quel porto.