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Il Comandante Claudio Gherbaz, mio fratello di don Roberto Gherbaz Il 18 febbraio 2008 moriva a Monfalcone mio fratello Claudio Gherbaz, lussignano e capitano di lungo corso. È con grande commozione che, nel quinto anniversario della sua scomparsa, mi accingo a scrivere queste scarne righe in suo ricordo per il nostro bel periodico “Lussino”, Foglio della Comunità di Lussinpiccolo. Claudio nacque a Lussinpiccolo il 22 gennaio 1933 da Evaristo (Ito), che faceva il tassista, e da Maria (Mery) Facchini.
Famiglia Gherbaz: Claudio, Mery, Roberto e Ito
Trascorse una serena infanzia, accudito da due splendidi genitori, e frequentò regolarmente la Scuola Elementare, della quale saltò una classe a motivo dei buoni risultati scolastici ottenuti. Nel 1943, all’età di 10 anni, si iscrisse alla Scuola Media, e nel 1946, anno della mia nascita, all’Istituto Nautico “Nazario Sauro”. Nel frattempo, con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, l’entrata in guerra dell’Italia, l’armistizio dell’8 settembre 1943 e le successive varie occupazioni militari, cominciavano ad addensarsi nubi sempre più oscure e inquietanti sul futuro della nostra incantevole e soleggiata isola e dei suoi laboriosi abitanti. La vita di tutte le nostre famiglie diveniva pertanto difficile e incerta. La fine della guerra nell’aprile del 1945, la seconda occupazione titina e la firma del Trattato di Pace di Parigi il 10 febbraio 1947, che assegnava le nostre terre alla Jugoslavia, determinarono poi l’inizio e il proseguimento dell’esodo della nostra gente verso Trieste, l’Italia e l’estero. Nel 1947 anche la mia famiglia fu costretta a prendere una decisione: mio padre e mio fratello Claudio lasciarono Lussino. Fu una decisione dolorosa, ma saggia: infatti dopo poco il papà fu dichiarato ‘nemico del popolo’ dai comunisti locali, che volevano impadronirsi in modo ‘legale’ della sua autovettura, una ‘507 FIAT’, che era ormai ferma da tempo e che doveva servire per scorrazzare attraverso
l’isola e compiere le loro incursioni intimidatorie. Una volta giunti a Trieste, mio padre cominciò a lavorare presso gli armatori lussignani Antonio Tarabocchia e Nicolò Martinoli e Claudio fu invece inviato a Brindisi presso il Collegio Niccolò Tommaseo per i Profughi Giuliani e Dalmati, voluto e realizzato grazie all’interessamento di Padre Flaminio Rocchi nel 1946, per continuare gli studi nautici, iniziati a Lussino. Il Collegio per i giovani profughi era ospitato presso una grande e razionale struttura brindisina, che era stata progettata dall’architetto Gaetano Minucci e inaugurata nel 1937 come sede del Collegio Navale della Gioventù Italiana del Littorio (GIL) e che dal 1943 al 1946 fu la sede provvisoria dell’Accademia Navale di Livorno. Il Collegio, che fu attivo fino al 1951 e che inizialmente era diretto dal professor Pietro Troili di Fiume, ospitava circa 300 giovani ed aveva internamente una sezione dell’Istituto Nautico, una sezione del Liceo Scientifico ed una Scuola Media. C’erano poi alcuni giovani che frequentavano altri istituti scolastici di Brindisi. I collegiali quando uscivano indossavano una divisa simile a quella dei Cadetti di Livorno. Gli anni trascorsi a Brindisi da Claudio furono anni determinanti per la sua formazione umana, intellettuale e professionale, che lo temprarono nel corpo e nello spirito. Il 22 settembre 1949 ottenne la ‘matricola’ e nel 1951, a 18 anni di età, si diplomò presso l’Istituto Tecnico Nautico “F. Caracciolo” di Bari, conseguendo l’abilitazione ad ‘Aspirante al comando di navi mercantili’. Nel frattempo, anche la mamma, che, a causa dell’iniqua accusa di ‘nemico del popolo’ rivolta a nostro padre e della conseguente confisca dei suoi beni, aveva subito delle pesanti angherie, lasciò Lussino. Era il 9 luglio 1948, quando la mamma ed io, piccolino di due anni, arrivammo a Trieste assieme alla sua amica Marì Pogliani Piccini e alla di lei figlia Loretta, un po’ più grandicella di me. Il viaggio in treno da Fiume a Trieste fu per le due mamme alquanto problematico, soprattutto nel superamento della linea di demarcazione a motivo degli ostacoli di varia natura frapposti dai miliziani jugoslavi. Giunti a destinazione, trovammo ospitalità presso parenti, amici e conoscenti. La famiglia era salva ma divisa: la mamma ed io a Trieste, il papà per il mare e Claudio in collegio a Brindisi. La mamma comunque ogni tanto si recava a Brindisi per incontrare Claudio e consegnargli alcuni generi di conforto di cui aveva bisogno, come le passamete (fette di pane biscottato). Nella mia mente affiorano alcuni bei ricordi relativi