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La “mularia” lussignana Monellerie di Roberto e Marco Stuparich di Doretta Martinoli e Cicci Suttora Peinkhofer Abbiamo conosciuto Roberto Stuparich come capitano e comandante di alta levatura morale e di estrema professionalità e coraggio. Ciò non toglie che da ragazzino egli fosse simpaticamente discolo e in sintonia con la normale “mularia” lussignana, come descritto in un bellissimo e spiritoso diario che il fratello Marco ha regalato alla nipote Yoletta (figlia secondogenita di Roberto) in occasione di un suo compleanno, di cui trascriviamo alcuni divertenti episodi.

Yole Stuparich

Foto Piero Marcovich dall’archivio della figlia Elisabetta

La Febbre Lussignana Esiste una febbre spagnola, una febbre asiatica e nel nostro paese infieriva una febbre lussignana: quella di godere e sfruttare le delizie del mare. Noi questa febbre l’avevamo violenta. Appena aperti gli occhi si “stroligava”come si avrebbe potuto “trovar imbarco”. Si escogitava ogni mezzo per andare in mare…. Soltanto Sior Iddio ci favoriva mandando la pioggia. La pioggia era nostra alleata. Dopo la pioggia s’ispezionava la riva. La prima barca che ci capitava a tiro era la Lampuga del vecio Lampo. - Andemo a dirghe che la sua barca xe piena de acqua.- Si andava da lui ch’era sempre in cantina affaccendato a lavorare da tornitore. - ior Morin bongiorno! Semo venudi a avvisarla che la sua barca xe mesa de acqua, i paioi ghe nuda. La vol che l’andemo a secar?- Magari. Ciapè sesola e sponga e andèSi seccava la Lampuga, ma mezza acqua si buttava sulla vicina Ermagora del Cencio Bragato. Bisognava pur

prepararsi il terreno per… l’attacco pomeridiano!! Finita la Lampuga si riportava in cantina sessola e spugna. - Sior Morin gavemo finì. La barca xe suta come un osso e gavemo anche lavado i paioi. Adesso la doveria lassarne che femo una bordada con questo bel maistralin. - Là gavè la vela. Andè.Si partiva. La Lampuga era una carampana. Non perché fossero sbagliate le linee della barca ma perché aveva una vela ricavata da una randa di bastimento che pareva una lamiera e non sentiva la piccola bava. Tutti ci davano strazze. A noi poco ci importava se anche la barca fosse rimasta inchiodata. Eravamo in mare, in libertà, all’aria, alla luce, al sole. Quando si riportava la vela in cantina, gli si diceva: -Sior Morin, che ben che xe andada ogi la barca. Nessun ne ciapava e tutti ne coreva drio… -Bravi, aspetè un momento che ve farò un bel savartalo.- Grazie. - E via noi col savartalo…

Fuoco!!! Simulato Allarme Non so in quale occasione né ricordo per quale festività, noi, sui ceppi della chiesa di Sant’Antonio si faceva il solito “campanon”. In un momento di tregua Roberto mi disse: -Senti, noi poderiimo far un scherzo e sonar anche stanotte le campane.- -Come?- - Ligar el batocio della campana grande e far arivar el spago nel nostro terrazzo. - (la famiglia Stuparich abitava dietro Sant’Antonio ndr.) - Ben, provemo. - Abbiamo legato il battaglio con uno spago esile, sottile, che poi la sera, all’imbrunire, lo abbiamo unito a uno più resistente che partiva dalla terrazza. Alle 9 la mamma ci ha mandato a dormire. Noi invece di andare a letto, salimmo scalzi fino al terrazzo e lì ci mettemmo a tirare la cordicina. Don..don.. rispondeva la campana. L’esperimento va!! Seguitiamo a tirare la cordicina. Altro Don…Don…e sempre don don… La gente si affacciava alle finestre. Si sentiva vociare :fuoco…fuoco!!! Dove…da chi….? La gente abbandonava le case e correva nella piazzetta per sincerarsi di ciò che accadeva. E noi…don…don… Chiasso nella piazzetta. Calò giù il Toni gorizian con due “buioli”. Più tardi capitò el Mattio Sfiraz con una manera.