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Gino Knesich, primo lussignano alla Sidney-Hobart di Rita Cramer Giovannini

Questa coppia sorridente è stata fotografata il 7 maggio 2010 sulla terrazza della Società Triestina della Vela. Sono Gino Knezic (Knesich), di Ciunschi, e la sua simpatica compagna Susan, anglo-australiana.

Sono molto soddisfatti e si sentono a proprio agio in questo ambiente, in quanto sono entrambi appassionati e abili velisti. Lei ha vissuto ben tre anni a bordo di una barca, veleggiando nei mari dell’emisfero australe; lui non ha fatto che mietere vittorie con le sue barche a vela, e nel 1988 è risultato primo niente meno che nella Sidney-Hobart. Avevamo sentito parlare di lui la prima volta dal fratello Antonio (Foglio “Lussino” 31, pag. 14), ed è nata la curiosità di saperne qualcosa di più. Dopo i primi contatti telefonici – Gino abita in Australia – in occasione di una sua visita in Europa ci siamo potuti incontrare qui a Trieste, dove lo abbiamo conosciuto e intervistato. Gino ci ha raccontato la sua storia da quando nel 1955, ragazzo appena ventenne, aveva deciso di lasciare la terra natia. Assieme a due coetanei suoi amici, Bepin D’Angelo, il cui padre curava il giardino della famiglia Martinolich a Zabodaschi, e Corrado Cocora, aveva preparato per la fuga una barca, rifornendola di provviste alimentari

e una riserva d’acqua. I tre ragazzi avevano poi nascosto la barca in una valletta di Artatore, nell’attesa che la bora cessasse: è risaputo che dopo tre giorni di bora, quando torna la calma, si può stare certi che il tempo si mantiene al bello. L’intenzione era di fare rotta verso il monte Ossero, allo scopo di non incrociare la motovedetta jugoslava che era solita pattugliare il mare da Lussino a Sansego alla ricerca di fuggitivi. Qualcuno però fece la spia e la barca venne trovata. Il papà di Bepin, proprietario dell’imbarcazione, disse ai poliziotti di non saperne nulla, e che la barca gli era stata rubata. Interrogati, anche i tre ragazzi negarono di saperne qualcosa. Tuttavia i poliziotti, sospettosi, misero sotto sorveglianza i ragazzi. Anzi, poiché Gino aveva già passato la visita di leva, fecero in modo di accelerare la sua chiamata alle armi, in marina. Per un primo periodo fu di stanza a Pola, dove aveva l’ordine, come tutti i suoi commilitoni, di sparare a chiunque avesse visto navigare in assetto da fuggitivo. A posteriori, Gino venne a sapere che il suo grande amico Corrado, che aveva nuovamente tentato la fuga, essendo stato spinto fuori rotta a Pola, per ben tre giorni aveva aspettato condizioni di tempo migliori per riprendere il mare proprio sotto la scogliera sulla quale c’era la postazione di avvistamento. Per fortuna, né Gino, né altri, si accorsero di lui. Durante i tre anni di leva erano previsti solo due periodi di vacanza a casa, ma Gino, avendo mantenuto sempre un comportamento corretto, poté usufruire di una ulteriore settimana di vacanza. Durante questi giorni – era il 1956 – ebbe modo di assistere alla fuga del fratello Antonio. Finito il periodo di leva, tornò a casa, dove trovò lavoro presso il cantiere di Lussinpiccolo. Il suo chiodo fisso, tuttavia, era sempre la fuga in Italia.