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Le case di un tempo a Puntacroce di Carmen Palazzolo Debianchi
Anticamente le case di Puntacroce avevano una caratteristica cucina circolare, ben osservabile anche dal l’esterno, sopra alla quale, al piano superiore, c’era una terrazzetta, pure circolare, a cui si accedeva dalla stanza da letto padronale. Erano le cosiddette “cucine d’inverno”, perché esse consistevano in un piccolo ambiente circolare, illuminato da una finestrella, e con in mezzo un basso e ampio fogoler in cui ardeva il fuoco per riscaldare e cuocere il cibo appendendo le pentole alla lunga e robusta catena di ferro che pendeva dal soffitto; tutto intorno alla parete circolare della cucinetta correva poi una panca in legno sulla quale si stava seduti assieme, al caldo, nelle lunghe serate invernali ascoltando le storie di folletti e di spiriti dei nonni, che ci facevano rabbrividire dalla paura, mentre le nonne sferruzzavano alacremente le grosse calze di lana, ricavata dalle pecore della famiglia. Ora di codeste case è rimasto solo l’esterno perché all’interno sono state tutte ristrutturate per adattarle alle nuove e diverse esigenze di chi attualmente le occupa. Ogni volta che vado al mio paese mi rammarico del fatto che non sia stata conservata almeno una delle vecchie case con la sua struttura originale - interna ed esterna - a memoria delle usanze e bisogni del passato che esse testimoniano. Finalmente l’estate scorsa Franko Kučić, che è uno degli attenti redattori del “Puntarski fuoj”, mi ha comunicato che intendono recuperare ai suddetti fini una vecchia casa semidiroccata. Io ricordo molto bene queste vecchie case perché abitai in una di esse fino all’esodo e perché la casa dei miei nonni materni - Giovanni Lazzarich detto Bisciga e Maria Zorovich (di Neresine) - che considero la casa della mia famiglia d’origine, era fatta così. È una casa che esiste ancora. È la prima del paese, a sinistra, venendo da Ossero, ma non è quella dei miei ricordi, anche se l’esterno è rimasto più o meno quello
La casa dei nonni
di un tempo. Tanti anni fa essa è stata venduta ad altri, che hanno adattato l’interno, che è la parte in cui si vive, alle loro esigenze. So che è stato fatto ma non so come né mi interessa saperlo o vederlo, perché quella non è più la casa dei miei nonni, che vive dunque solo nel mio ricordo. Oltre alla caratteristica cucina circolare, questa casa aveva due ingressi: uno dalla strada, il pubblico e principale, e uno privato, di servizio, circa a metà casa, per accedere all’orto, al pollaio, al porcile. Dalla porta sulla strada si entrava in una grande stanza, chiamata cucina d’estate perché era usata per cuocere il cibo e soggiornare d’estate, essendo più ampia e aperta di quella d’inverno descritta prima. Essa aveva il pavimento in cemento e, a destra della porta, il fogoler con sopra il forno per cuocere il pane. Di fronte all’ingresso, a sinistra, c’era la scala in legno dipinta in marrone per andare al piano superiore e, sotto alla scala, la parte superiore della cisterna, che stava sotto il pavimento e in cui veniva convogliata, tramite le grondaie, l’acqua piovana del tetto. Questa, attinta con un secchio, veniva impiegata per ogni necessità, dal bere e cucinare alla pulizia personale e della casa. A fianco della cisterna c’era la cameniza (recipiente scavato nella pietra) con l’olio d’oliva ricavato dalle piante della famiglia. Nell’angolo opposto alle scale c’era un tavolo coperto da una tovaglia e qualche sedia. Di solito l’arredamento di questa stanza era completato da una credenza per riporre pentole, piatti e bicchieri ma non ne ho nessun ricordo in questa stanza dei nonni. Nella casa dei miei nonni, fra codesta cucina e quella d’inverno c’era una grande stanza col pavimento in irregolari e grezze lastre di pietra, tutta nera nei miei ricordi perché buia e “affumicata”. Questo locale, chiamato impropriamente “cantina”, era in realtà una dispensa e stanza di lavoro perché in alto erano appesi i prosciutti e magari, in primavera, i formaggi e, a sinistra dell’uscio, c’erano i tini dove veniva fatto fermentare il mosto, e le botti del vino e, a destra, le macine a mano per il frumento e il granoturco. Al piano superiore c’erano due grandi stanze: una aperta, detta andito, a cui si accedeva direttamente dalle scale e che era di solito destinata ai ragazzi della famiglia e una, situata sopra alla cosiddetta cantina, chiudibile con una porta, dove dormivano i genitori, i nonni nel mio ricordo. Dalla “cantina” si accedeva, oltre che alla cucina d’inverno, all’orto, al pollaio e al porcile, che un tempo facevano in certo qual modo parte della casa, perché le