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Quadrimestre 32 - pagina 39

Antonio Stuparich: “Quarant’anni in salamoia” di Giovanna Stuparich Criscione

Il mio caro amico Capitano Gigi Böhm da Trieste, mi ha mandato il libro del Comandante Antonio Stuparich “Quarant’anni in salamoia”. Gli sono molto grata, perché non trovo più la copia con autografo che mi aveva regalato l’Autore. Nella terza pagina c’è una sua foto, a mezzo busto, nella sua veste di Comandante, col berretto: sembra guardarci con occhi bonari, sorridendo un po’ ironicamente. Il libro inizia così: “Da mozzo a Comandante, secondo la tradizione lussignana: quarant’anni fra pericoli e incontri. Ho finito come ho cominciato, sfilando una corda dalla bitta… mi imbarcai da mozzo sulla mia prima nave. Ora vado a Chiavari a riposare con i miei ricordi…”. Chi scrive è, e si sente, un vero lussignano anche se era nato vicino a Ragusa, in Dalmazia. Tullio Stabile, che ha fatto la prefazione del libro, scrive: “se uno scrittore volesse impersonificare la figura dell’autentico “lupo di mare” non c’è dubbio che prenderebbe per campione Toni Stuparich: gentiluomo come sa esserlo colui che ha vissuto fianco a fianco con le peripezie del mare, franco come chi non ha studiato diplomazia, rude fino alla sgarberia, ma infinitamente buono con tutti e specialmente con i suoi marinai che ben sapevano quanto cuore ci fosse dietro i suoi modi bruschi e la sua parlata disadorna. Iniziò la carriera come mozzo, salpando una gomena (non ha voluto chiarirci il perché l’abbia conclusa con la stessa operazione)”. Le ultime parole del libro dette dal Comandante sono queste: “Io sempre III ufficiale coi capelli brizzolati, ma con l’uniforme senza decorazioni, perché non volli richiederle per non essere alla pari con certi imboscatoni di ferro, carichi di nastrini. Poi seppi che in guerra fu concessa qualche medaglia d’oro immeritata! Avevamo ragione durante la guerra di chiamare le decorazioni “chincaglierie” e di farci delle matte risate con il foglio d’ordini della Regia Marina. Nel ’53 divenni II ufficiale di bordo, nel ’57 I ufficiale e nel ’60 Comandante; nel ’70 andai in pensione. Ora vivo in Liguria a Chiavari, con la compagna della mia vita…” Non occorre altro per capire che tipo d’uomo fosse Antonio Stuparich, detto “Toni Pantegana”. I lussignani usano spesso attribuire soprannomi, a volte solo divertenti, a volte feroci come questo: pantegana. Il nome di un brutto ratto grigio il Toni non se lo meritava davvero: basta guardare bene la sua foto! Ai miei tempi, a Lussino, c’erano soprannomi simpatici: le maminche, signore o signorine che davano da mangiare ai poveri, o le furnarize, che nascosero un soldato france-

se nel forno, perché non fosse preso prigioniero. Un mio carissimo amico fu chiamato Fufi Tricheco, perché aveva i denti superiori sporgenti. Quando incontrai, per la prima e ultima volta, Antonio Stuparich egli comandava l’“Appia”, bella motonave che faceva spola fra Catania e Malta. Con mio marito e i miei figli, dopo un congresso a Catania facevamo un piccolo viaggio attraverso il Canale di Sicilia diretti a Malta.. La traversata notturna fu penosa e molto sofferta per il mare assai agitato. Salpata la nave, si sentì dopo cinque minuti dal megafono del ponte di Comando: “Gigi, daghe una fisciada, anche se xe proibì”. Tipicamente lussignana questa trasgressione. Subito dopo la “fisciada”, dallo stesso megafono arrivò una voce chiara e forte: “Se c’è a bordo la Signora o Signorina Stuparich, la prego di venire sul ponte di Comando. Io non posso scendere”. Con ogni probabilità il Comandante aveva esaminato i documenti dei passeggeri e Stuparich è un nome comune a molte famiglie lussignane. Salii sul ponte, la stretta di mano fu robusta, la sua figura fisica era gigantesca al mio confronto, la conversazione fu molto simpatica e concludemmo che le nostre famiglie non avevano alcuna parentela. Ci salutammo e non ebbi più occasione di rivederlo, ma non ho mai dimenticato l’incontro con il Comandante Antonio Stuparich, per quanto breve sia stato, in quella notte di mare agitato.