Lussino29

Page 5

Quadrimestre 29 - pagina 5

Giornata del Ricordo, 10 Febbraio 2009 Lettera aperta di un’esule dalmata a Gianfranco Fini, Presidente della Camera dei Deputati di Federica Haglich

“Presidente, rivogliamo la nostra identità” Sui documenti: “nata in Yugoslavia” una scritta che mi ha ferito più di una pugnalata Onorevole Presidente Gianfranco Fini, mi rivolgo a Lei come persona che oltre a ricoprire un’alta carica istituzione dello Stato, ha sempre dimostrato grande sensibilità nel considerare il problema degli esuli istriano-dalmati, nel riconoscere il loro diritto alla comune appartenenza all’identità culturale, storica, linguistica italiana. Il giorno della memoria, il 10 febbraio, è diventato un simbolo dolente della sofferenza di migliaia di persone che pagarono con la vita o con l’abbandono della propria terra natia il voler continuare ad essere italiani malgrado tutto. Nonostante la mancata solidarietà della Patria italiana al nostro arrivo (solidarietà che ora sento invocare anche per i clandestini extracomunitari) noi abbiamo sempre dimostrato una fede incrollabile verso l’Italia e le sue Istituzioni. Sono nata nell’agosto del 1949 a Lussinpiccolo, un’isola meravigliosa della Dalmazia, due anni dopo la firma del trattato di pace con il quale l’Italia cedeva i territori dell’Istria e della Dalmazia alla ex Yugoslavia come pagamento dei debiti di guerra. I miei genitori, italiani di nascita, hanno frequentato le scuole italiane ed hanno parlato solo la lingua italiana.Nel momento in cui hanno potuto effettuare l’opzione se diventare yugoslavi o restare italiani, hanno scelto di restare italiani pur sapendo quale sarebbe stato l’alto prezzo da pagare per vivere liberi, cioè andare a morire lontano: in esilio. La richiesta di opzione italiana presentata prima della mia nascita fu rifiutata per ben due volte e fu ottenuta solo la terza volta quando ormai io ero già venuta alla luce. E così nel 1951 partimmo da quell’isola meravigliosa con un passaporto di “sola andata”: terribile! Avevamo abbandonato tutto: la casa, la sicurezza economica, gli amici, i parenti, i cari defunti in cimitero, il dialetto, le proprie radici, il vivere quotidiano sulle rive di un mare verde e trasparente come pochi altri mari. Ma eravamo italiani! Io ero italiana grazie alla scelta che mio padre aveva fatto per me! Fiera e con orgoglio ho vissuto il dolore dell’abbandono della mia terra con grande dignità, senza mai voler rinunciare alla mia identità nazionale, senza mai chiedere nulla allo Stato Italiano per ciò che avevamo lasciato. Il ricordo dell’esodo lo porto sempre dentro nel mio cuore, senza bisogno della giornata della memoria per non dimenticare! Per me vedere la scritta del mio comune di nascita sui miei documenti è sempre stato motivo di orgoglio e fonte di grande emozione fino a qualche anno fa, quando improvvisamente mi sono sentita defraudata della mia identità personale ed equiparata a un’extracomunitaria yugoslava. Ora il mio codice fiscale-tessera sanitaria riporta una scritta che non accetto e che mi ferisce più di una pugnalata diretta al cuore: nata in “Yugoslavia”! Non voglio credere che l’istituzione di questa giornata sia stata inutile, e che i grandi discorsi di commemorazione siano finiti o fatti di retorica e di banalità. Non posso pensare che l’Italia voglia per la seconda volta dimenticare la nostra esistenza e calpestare i nostri diritti umani, perché toglierci il nome del luogo di nascita al quale tutti abbiamo diritto equivale a lasciarci morire nel dimenticatoio dell’indifferenza. Gentile Onorevole Gianfranco Fini, e questo è il motivo per cui le scrivo, mi aiuti a difendere la mia identità, proceda, per cortesia, con ogni mezzo a sua disposizione per ripristinare la giusta dicitura nei documenti di tutti gli esuli. Ho già pagato un grande tributo di sofferenza con l’esilio e la perdita di ogni mio avere; un tributo di sangue e di dolore con la morte di mio zio Giovanni Zorovich, ucciso a soli 30 anni, assieme a tre compagni mentre tentava di fuggire da Lussino e ritrovato quarant’anni dopo sul fondo del mare con il cranio trapassato da un proiettile; un tributo di umiliazioni ricevuto dalla gente che mi ha vista usurpatrice del posto di lavoro. La scelta di restare italiana mi è costata troppo, non sopporto quest’ultima offesa morale che mortifica la mia dignità specialmente perché deriva da una legge dello Stato, che almeno dopo sessant’anni avrebbe dovuto tutelare me e tutti gli esuli. Ringraziandola per la Sua attenzione, porgo cordiali saluti. “È vero, va trovata una soluzione” afferma nella sua risposta il Presidente Fini: “Come è noto, il dramma delle genti Giuliane, Istriane, Fiumane e Dalmate mi è particolarmente a cuore e desidero ricordare, peraltro, che in occasione del Giorno del Ricordo la Camera dei deputati ha organizzato una cerimonia ufficiale di commemorazione di tale tragedia nella Sala della Lupa. Nel merito della giusta questione sollevata dalla Signora Haglich, ho scritto personalmente al Presidente del Consiglio e al Ministro dell’Interno affinché possano individuare quanto prima una soluzione legislativa per poter annotare nei documenti di identità degli esuli e dei loro familiari la dizione “italiana” anziché “jugoslava”.