Quadrimestre 29 - pagina 59
Antonio Cappelli, guardiano del faro di Maria Poglianich Benvenuti
Della vita dei miei antenati non mi è sempre stato dato, per complesse vicende, di poter portare più a fondo una esauriente conoscenza. Ciò per non poche ragioni, legate anche all’essermi trovata esule fin dagli annni che hanno fatto seguito alle ulteriori drammatiche situazioni del dopoguerra. Quando raggiungo Lussino, e in particolare maggiormente mi accadeva giungendovi via mare, mi accade immancabilmente di pensare, alla vista degli scogli con i loro fari, quale poteva essere stata la dura vita del mio nonno materno, Antonio Cappelli. Di lui sapevo che aveva trascorso la vita intera sugli scogli del nostro Quarnero, da Galiola a Morter, in quanto guardiano di faro di professione. Con oltre dieci figli allevati su quegli scogli, solo, assieme alla moglie, a superare ogni avversità: era proprio il “fai da te”. Fin da bambina mi perdevo talora a pensare a quelle esistenze votate interamente al sacrificio, creando anche nella mia immaginazione un alone di “mistero”; così come può essere ogni “avventura”. Sapevo dalle mie zie – le sorelle di mia madre – che, per recarsi a scuola, dovevano raggiungere l’approdo di Pogliana a partire da Morter, per portarsi poi a piedi a Lussino; giorno dopo giorno, scirocco o bora permettendo. Era il tempo, quello, in cui alla lingua italiana si aggiungeva quella di Francesco Giuseppe. Quante cose da ricordare! Fosse possibile dar loro l’affetto mai interamente saputo esprimere. Con frequenza mi ritrovo, questo sì, a condividere con mio marito le tante rimembranze lussignane, e istro-dalmate, portandolo a dedicarvi larga parte della sua attività culturale. A quel mio nonno dedico questa breve, ma di certo significativa poesia. Scoglio di Morter Chi mai porterà alloro, in un meriggio di azzurro maestrale, al lanternista Cappelli che a undici figli recise, qui, il cordone ombelicale? Tempo addietro, nel cercare di portare avanti le tante cicliche pratiche burocratiche che non hanno mai mancato di gravare la vita di un’esule, ho trovato un documento che riportava qualcosa riguardante la vita di
mio nonno, e che, quasi un commovente epitaffio, così recitava: “Antonius Cappelli fil. Joannis, assistens lumen portuarium in scopulo Galiola” È anche così che il mio pensiero non può mancare di portarsi a quello scoglio, Galiola, dove Nazario Sauro incontrò il suo tragico destino.
Ricordo di Lussino di Arturo Benvenuti Sempre a lungo s’apre agli occhi il ventaglio delle tue scogliere affilate, i pochi pugni di terra sanguigna e l’argento spento dell’ulivo e quei rovi che a graffiare son lesti come i pensieri tristi l’anima. Mi cresce dentro il cuore la memoria delle ore serene – ahimè così fugaci – lungo i tuoi sentieri difficili che l’unghia sanno dell’armento e il piede oscuro di isolani asciutti. A lungo ho ascoltato i tuoi silenzi intatti, di cicale impazzite il frastuono e la voce del vento tra masiere sconnesse, guardando il sole arrampicarsi tenace per il soffitto di cielo. Da quelle tue balze ho liberato dal petto la pena di antiche ansie, che aggrovigliate affogano ogni moto, quale all’uccello il volo l’ala imbrattata di vischio.