pagina 26 - Quadrimestre 29
Nicolò Chiucchi a Dachau 1944-1945 di Roberto Chiucchi e Alberto Guglia
Nel Giorno della Memoria, il 27 gennaio 2009, presso il Museo della Risiera di San Sabba – Monumento Nazionale - è stato presentato il diario redatto da Nicolò Chiucchi al suo rientro dal campo di prigionia di Dachau. Nato a Lussinpiccolo nel 1905, dopo gli studi ha lavorato al reparto aeronautico del Cantiere di Monfalcone, dove la famiglia si era trasferita nel 1920. Alla fine di maggio del 1944 viene arrestato da una squadra di repubblichini ed SS e avviato al campo di prigionia di Dachau. Ricercarne la motivazione è difficile, non essendo Nicolò schierato in nessuna delle parti politiche dominanti o resistenti; probabilmente si è trattato di una rivalità sul posto di lavoro, sfociata in una delazione priva di contenuti. Il suo diario è caratterizzato da momenti di intensa umanità, alcuni qui citati, sostenuti da una prosa semplice ma molto efficace: il suo pensiero e la sua attenzione sono rivolti verso gli altri. Dopo il carcere del Coroneo, la partenza su carri bestiame da via Flavio Gioia, assieme ad altre 700 persone, costituisce l’inizio di un anno che segnerà per sempre la sua vita. Così racconta un momento del viaggio: “Durante la sosta a Redipuglia, vidi un figlio dodicenne che si affrettava a salutare il padre e la madre, loro pure tra i detenuti; essendo separati, il padre da una parte e la madre dall’altra, il figlio non sapeva dove soddisfare il suo desiderio, ma fu breve il tormento: il treno iniziava la sua corsa. Il figlio, sapendo il padre più sensibile di carattere, aveva il tempo soltanto nella forza delle sue gambe: correndo a fianco del treno già in corsa con le lacrime negli occhi gridava “Coraggio, papà” disperdendo nel frastuono della continuata corsa le sue commosse parole. A questa scena non potei fare a meno di trattenere qualche lacrima”. Molte le considerazioni sulla vita del campo, sulle baracche e sul vitto che la Direzione dei Civici Musei ha voluto porre all’attenzione dei visitatori. Si rende subito conto che essere assegnati ad un lavoro significa ricevere un piccolo, ma fondamentale incremento al poco cibo disponibile. Il primo impatto con il lavoro è scioccante e così lo descrive:
“Attraversando lo spazio che separa la baracca dal magazzino, l’accompagnatore ci disse: ‘Guardate questa terra, è polvere di ebrei’ segno evidente di massicce eliminazioni. Il nostro posto di lavoro era fuori dal primo recinto del campo. Pale, picconi, scope e sacchi: perché tutti questi arnesi e dove andare? Pochi minuti più tardi, sgombero degli indumenti e lavaggio di nove vagoni comuni dove erano già stati estratti da detenuti russi, dotati di maschere antigas, cinquecento cadaveri di francesi. ‘Che cosa è successo’, chiesi a qualcuno. Era la conseguenza di un terribile dramma sofferto nel trasporto forzato di duemila detenuti francesi che sfiniti da patimenti e da sete hanno subito il più terribile delirio con conseguente pazzia seminando morte violenta tra loro, il più diffamatorio processo distruttivo dell’uomo. È testimone dell’arrivo al campo del generale Sissini e dei suoi ufficiali, tutti subito avviati alla baracca n° 30 dalla quale non si faceva ritorno: era prossima ai forni crematori. Nelle bacheche della mostra si possono vedere alcune testimonianze, tra queste le lettere spedite dal campo alla famiglia, scritte in tedesco da un amico per poter superare la censura, all’indirizzo “Ronchi Triest – Küstenland”. Ma il punto focale del pensiero di Nicolò Chiucchi è il “Perché?” domanda che lo seguirà per tutti gli anni che trascorrerà nel lavoro e nella famiglia. “Perché gli uomini possono scostarsi da quello che dovrebbe essere nell’ordine naturale delle cose,
Seconda delle tre cartoline spedite da Dachau alla famiglia (16 ottobre 1944)