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Quadrimestre 28 - pagina 35

Le peripezie di Luigi Böhm, giovane profugo di Maura Lonzari

La famiglia Mayerhofer Böhm era arrivata a Lussino alla fine dell’800, quando Helene Mayerhofer senior, venuta da Vienna in vacanza sull’Isola, se ne innamorò e comprò una casa a Squero, dove aprì una pensione, in seguito assai rinomata per l’ottima cucina e per l’ accurata preparazione di dolci. La signora, infatti, aveva seguito dei corsi di cucina a Vienna e, una volta diplomatasi, prese alle sue dipendenze ben 14 lavoranti. La signora Helene rimase vedova a Lussino, ma doveva occuparsi dell’educazione della sua nipotina Helene, rimasta orfana di madre sin dalla nascita. Helene junior incontrò Karl Böhm a Lussino e si sposarono nel 1917. Dal matrimonio nacquero tre figli: Carli, medaglia di bronzo al valor militare nella II Guerra Mondiale, Luigi (Gigi) e Alfredo. Nel 1919 Lussino divenne italiana e a Carlo I subentrò Vittorio Emanuele III, ai Gendarmi i Carabinieri, alle Corone le Lire italiane. Perciò il personale austriaco della locale centrale elettrica fu rimandato a Vienna e Karl Böhm fu invitato dalle autorità governative, i Carabinieri, a prendere servizio nella centrale elettrica dell’Isola, in qualità di manutentore della medesima. Poiché parlava un fluente tedesco, ma non conosceva l’italiano, veniva aiutato per la parte amministrativa dall’amico e vicino di casa, Ernesto Strukel, titolare dell’unica tipografia di Lussinpiccolo, che fungeva da traduttore per Karl. Alla fine del 1943, la famiglia Böhm fu accusata di collaborazionismo con i Tedeschi e il nuovo esercito di occupazione a Lussino li trasferì di autorità in un campo di concentramento a Karlovac. Lì, fortunatamente, Karl Böhm incontrò un Croato, che era stato imbarcato con lui nella Marina austriaca durante la I Guerra Mondiale e questi si adoperò per farlo liberare. Così Karl e la famiglia ritornarono a Lussino nel gennaio del 1944, ma, vista la situazione particolarmente difficile dell’Isola, lasciarono la loro grande casa di Squero e si trasferirono in Austria a Baden, ospiti della sorella di Karl, e poi, al termine della guerra, definitivamente a Trieste. Il capitano Luigi Böhm, allora solo Gigi, classe ‘24, aveva lasciato Lussino l’11 settembre 1943, dopo avere incontrato in “Riva”, nei pressi dell’hotel Italia, la signora Ida Tarabocchia, che gli chiese di accompagnare due uomini slavi all’isola di Lissa. Gigi, allora

diciannovenne, aveva in custodia un’imbarcazione a vela e a motore, di proprietà di un ricco banchiere svizzero, che il giovane accompagnava a pescare o a conoscere i dintorni dell’isola di Lussino. Tuttavia Luigi aveva consegnato le chiavi del cabinato alla sig. ra Prossen, come gli era stato richiesto dal ricco proprietario. La signora Ida lo rassicurò, dicendogli che si sarebbe occupata lei stessa di recuperare i documenti e le chiavi, e mantenne la parola. Nel frattempo Gigi ritornò a casa e avvisò la madre che si sarebbe assentato per due o tre giorni per andare a pescare. Sembrava annunciarsi una bella gita in barca di fine estate, come se ne facevano tante a Lussino, favorita da un leggero “maestralin” che tiene il tempo. Ami, lenze, “panole”, un capiente secchio per conservare il pescato, erano sistemati ordinatamente sui paglioli, sotto prua. E poi occhieggiava un sacchetto, ben chiuso, di “buzolai” e una bottiglia di vino ben tappata e ben riposta, affinché il mare, spesso ingordo, non se la bevesse senza nessuna pietà per i marinai. Invece, un destino avverso si mise in moto, ingranando una delle sue marce più dolorose e più tragiche, quella che amaramente ti insegna a lasciare “ogni cosa diletta più caramente; e questo è quello strale che l’arco dell’esilio pria saetta”. (Dante, Paradiso, c. XVII, vv. 55-58). Fortunatamente ignaro di quante disavventure e difficoltà avrebbe dovuto sopportare, il nostro giovane, fischiando contento come chi non ha nemici e nulla da temere, si recò a Cigale, al molo dei Dodici Apostoli, dove era ancorato il motorsailer dello Svizzero. Alla sera, al momento della partenza, arrivò un trabaccolo da Fiume/Susak, che portava una cinquantina di profughi italiani e jugoslavi, che fece riflettere il nostro Gigi, ma sicuramente non intimorire, perché la sua giovane età respingeva ogni preoccupazione. Il trabaccolo si incagliò e il cabinato dovette attendere che l’imbarcazione venisse disincagliata, per potere essere rimorchiato, risparmiando, in tal modo, la benzina, già allora scarsa. Finalmente il convoglio poté navigare senza problemi sino all’isola di S. Andrea, al largo di Lissa. Poi i profughi fecero rotta verso Brindisi e attraccarono nei pressi della Capitaneria di Porto. Con Gigi erano partiti anche due suoi amici, Mario