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Livio Dorigo, presidente del Circolo di Cultura Istro-Veneta Istria intervista di Carmen Palazzolo Debianchi
Il Circolo Istria si definisce “Circolo di Cultura” quindi non è un circolo di esuli o sì? Il Circolo Istria è un circolo di istriani, andati e rimasti, quindi anche di esuli, che si occupa di cultura. Per la precisione, i primi soci risiedevano prevalentemente in Borgo S. Mauro, una frazione del Comune di Duino-Aurisina, ma ben presto giunsero adesioni da Trieste, dall’altipiano alle spalle di Trieste, da Muggia, dalla provincia di Gorizia, da tutto il resto d’Italia e anche dall’estero. Quest’anno il Circolo Istria festeggia il trenten nale della sua fondazione, e un sodalizio che vive ed opera da trent’anni merita di essere conosciuto. Vorrei che ce ne parlasse un po’, a partire da chi furono i suoi fondatori. Il Circolo Istria è stato fondato nel gennaio del 1982 da un gruppo di istriani – prevalentemente insegnanti e qualche politico – desiderosi, come lo ero io un tempo, di recuperare la propria identità, perché l’esilio è un’esperienza terribile, che sradica dal proprio ambiente, per cui uno non sa più chi è e qual è la sua vera residenza; una condizione esistenziale che si recupera solo riprendendo il rapporto con la propria terra d’origine. Essi erano inoltre innamorati della propria terra natia, desiderosi di salvaguardarne il patrimonio ambientale e storico e di costruire un avvenire comune a tutti gli istriani, che l’esodo ha diviso. Tutto ci è stato infatti portato via ma non dobbiamo consentire a nessuno di portarci via anche la nostra cultura. Fra i soci fondatori del Circolo – parecchi dei quali non sono più fra noi – ci sono personalità come Mario Brazzafolli, Franco Colombo, Giorgio Depangher, Livio Favento, Mario Fragiacomo, Guido Miglia, Pietro Parentin, Livio Pesante, Rino Prelaz, Stelio Spadaro, Fulvio Tomizza, Liliana Urbani, Marino Vocci e altri. I soci fondatori del Circolo erano tutti esuli? Sì. E i soci, sono sempre tutti esuli? Nel tempo, il Circolo si è allargato anche a persone non esuli, prevalentemente istriani o di origine istriana, e ai membri della minoranza italiana residenti
in Croazia e Slovenia, che riteniamo importantissimo sostenere, per la tutela della nostra cultura, contro il rischio di estinzione ed assimilazione a causa della carenza di giovani, dei matrimoni misti, della pressione della maggioranza. Le finalità dei soci fondatori sono anche quelle che il Circolo persegue attualmente? Sì. Riteniamo che le sofferenze della guerra e del dopoguerra, ancora così vive in alcuni di noi, per le quali abbiamo il massimo rispetto e che non chiediamo a nessuno di dimenticare o di perdonare, appartengono però alla nostra sfera affettiva personale, sono private e tali devono rimanere e non possiamo né dobbiamo farci condizionare da esse. Gli eventi vanno invece consegnati alla storia. Troppo spesso e a lungo le nostre sofferenze sono state strumento d’interessi politici e di altro genere; ora è tempo di superare questo ripiegamento sul passato e di guardare all’avvenire delle nostre terre, cosa che non si può fare che assieme a coloro che sono rimasti sul posto, che hanno sofferto anch’essi, sia pure in modo diverso dagli andati. E l’unico modo per alleviare e superare questa sofferenze è – a nostro avviso – la collaborazione fra andati e rimasti e anche con la maggioranza slovena e croata, a prescindere dai confini politici, in una prospettiva territoriale che, partendo dalla zona che va da Cherso al Carso, si estende all’Europa tutta, come macroregione pluriculturale. Tutto il Circolo condivide questa linea? Assolutamente sì e su questa strada noi siamo stati i precursori, e abbiamo trovato notevoli difficoltà. Ora altre Comunità, Famiglie e Comuni di esuli stanno andando nella medesima direzione. Questo ci conforta e conferma la validità delle nostre scelte. Noi siamo inoltre convinti del fatto che si deve tener conto ed accettare la realtà e che pertanto non si possono stabilire rapporti con la minoranza italiana dei rimasti senza un corretto rapporto con la maggioranza slovena e croata. Questo non significa rinunciare alla propria identità, ai propri principi, alla propria storia ma rispettare identità, principi e storia altrui e pretendere lo stesso rispetto per le nostre.