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Una domenica in Civitas La piera dei zoghi
di Sergio Colombis
La domenica mattina ad Ossero, ben prima dell’inizio della S. Messa, i primi a presidiare la piazza antistante la Cattedrale erano i Neresinotti e gli Ustriniani in ‘visita parenti’. A questi si univano gli abitanti del vllaggio di Tarsic, ‘i montanari’ che, non possedendo una chiesa, per adempiere all’obbligo religioso di assistere alla S. Messa, erano costretti a scendere in città dalle loro case poste a circa mezza via dal monte Ossero. Negli anni settanta, gli ultimi a scendere in Civitas, erano un fratello ed una sorella ciechi che percorrevano sia in discesa che in salita l’impervio tratturo che li avrebbe portati a valle. In determinate ricorrenze, come San Gaudenzio, San Marco e il Corpus Domini, via mare, giungeva una rappresentanza da San Martin in Valle, frazione comunale di Cherso, a bordo del Brigantino della famiglia Linardi, acquistato a Santa Maria di Leuca e motorizzato a Lussino negli anni venti. Molti di questi convenuti, a mezzogiorno si sarebbero fermati a pranzo dai loro parenti osserini. Quelli di Plocatiza, erano i primi tra gli Osserini a giungere in piazza; al suono delle campane annuncianti che di lì a poco sarebbe iniziata la Santa Messa, scendevano trafelati verso la Cattedrale gli abitanti di San Piero, ‘per tradizione’ sempre gli ultimi ad arrivare. Conclusa la funzione religiosa, i partecipanti si raggruppavano sul sagrato della Chiesa in capannelli per qualche ultima ciacola. Senza che qualcuno desse un segnale, terminavano il loro chiacchericcio e si radunavano in gruppi distinti per età. I vecchi più tradizionalisti e conservatori, seguiti dagli anziani più giovanili, sulle cui teste svettava come un miraglio nonno Gaude alto due metri, si avviavano verso la Porta di Terraferma. Qui il primo gruppo si fermava dalla Pasqua, gestrice della Trattoria con Alloggi, per bere un ottavin de bianco e iniziare una partita a briscola, mentre i più giovanili tiravano dritti e, pochi metri più avanti, trovavano l’osteria – birreria di ‘nonno Gasparin’, consuocero di nonno Gaude. ‘Nonno Gasparin’, oltre a vendere birra alla spina di una fabbrica cecoslovacca, in quello che ora è un orto, teneva un campo per il gioco delle Bocce, dove i convenuti a squadre si sarebbero sfidati. Il campo sembrava un velluto, ricoperto con la sabbia scavata a Plotaz, che nonno Gasparin ogni sera ba-
gnava e, con l’ausilio di un rullo di pietra, livellava rendendolo simile a un tavolo da biliardo. Le donne e i giovani, in due gruppi separati, dopo i convenevoli d’uso, si dirigevano verso la Porta di Mare e quindi la Cavanella, e qui si separavano. Le donne giravano al canton di destra del Castello e prendevano la strada in salita ‘drio i muri’, che termina nel campiello davanti le rovine di S. Pietro, da dove si diramano vari vicoli. Qui il gruppo si scioglieva perchè correvano a casa ad accudire le pignatte sul fogolar dove si cucinava il pranzo domenicale per la famiglia e gli ospiti. I giovani giravano a sinistra con ‘aria sprotta’ e gli attrezzi del gioco in tasca, dei sassolini colorati od i pugni chiusi.
La piera dei zoghi attualmente sulla Cavanella
Sotto l’antico frondoso Tiglio ‘Lipa’ di fronte la caserma della Regia Guardia di Finanza li attendeva la piera dei zoghi. Si tratta di una lastra di pietra su cui su un lato è scolpita la tria ‘Mulinello’ sull’altro invece è tutto bianco. I contendenti, a seconda delle specializzazioni, a due a due si posizionavano di fronte al lato con il gioco prescelto, estraevano i pugni dalle tasche e, gli uni, posavano dei sassolini colorati davanti la tria, gli altri sfidanti,