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Come Luigi “Gigi” Böhm, Ottavio Piccini, Claudio Smaldone, Livio Stuparich, Giovanni Ottoli… e tanti altri che hanno descritto le loro vicissitudini, molti han­ no ricevuto le medaglie d’oro di lunga navigazione, tutti sono fieri della loro carriera. E, dei tempi precedenti, non possiamo non ricordare Roberto Stuparich, Anto­ nio Hreglich, Arrigo Gladulich, Mario Gladulich, Ne­ store Martinolich, Marino Scopinich, Antonio Iviani e decine di altri... L’orgoglio e l’onore del comandante in primis, co­ lui che detiene il potere assoluto e la responsabilità tota­ le: un assioma che i lussignani imparavano alla Scuola

Nautica sin dal 1805, quando era scuola privata fondata dal medico Bernardo Capponi e dai sacerdoti don Stefa­ no e don Giovanni Vidulich. Una lunga tradizione del mare che ancora oggi inve­ ste i lussignani nel mondo, pur con attività diversificate: navi, cantieri, forniture navali, ingegneria navale, sono un atavico legame con le radici e le esperienze degli avi. Un episodio degli anni ’50, testimoniato dal co­ mandante Giuseppe de Luyk, è un esempio di prontezza e di cultura marinara che sicuramente non hanno richie­ sto l’intervento dell’armatore, pure lui lussignano, Nico­ lò Martinoli!

Quasi collisione nel Golfo di Trieste di Sergio de Luyk

In una gelida e ventosa giornata del gennaio 1959, con bora ad oltre 100 km/h, nella rada di Trieste si tro­ vavano alcune navi alla fonda, nell’attesa che la bora ca­ lasse per poter entrare in porto. Tra queste c’era la M/N Marco U. Martinoli, al co­ mando di mio padre. Come sempre egli annotava sul suo personale diario di bordo tutti i dati essenziali ri­ guardanti la nave e la navigazione. Quando si trovava alla fonda, non mancava mai la nota: “segue turno di na­ vigazione con guardia attiva e macchine sempre pronte a muovere”. Anche quel giorno era così. Nel primo po­ meriggio, l’ufficiale di guardia sul ponte, si accorse che sopravvento alla Marco U. c’era una nave che aveva ini­ ziato a scarrocciare velocemente: l’ancora dell’imbarca­ zione stava arando e sospinta dalla violenta bora si stava rapidamente avvicinando, in sicura rotta di collisione con la Marco U. senza che sulla nave in questione vi fos­ se alcun apparente segno di reazione all’improvvisa emergenza. Accorso immediatamente mio padre sul ponte, ve­ nivano inviati ripetuti richiami acustici con la sirena, se­ gnali ottici e radio, senza che alcuna risposta venisse data dal cargo greco, una vecchia e malandata “carretta” di nome Antonios Micalos sul cui ponte di comando non pareva esserci nessuno. Le opzioni del Comandante de Luyk non erano molte: non poteva salpare l’ancora e cambiare ormeggio, perché così facendo avrebbe avvici­ nato la sua nave alla “rotta di scarroccio” della Micalos senza governo, rendendo inevitabile la collisione. L’uni­ ca possibilità era quella di filare la maggior quantità pos­ sibile di catena dell’ancora, pronto a “filar per ocio” e sacrificare ancora e catena (con un cospicuo danno eco­

nomico per l’Armatore) al fine di evitare la collisione. Inviata al posto di manovra di prua una squadra con la fiamma ossidrica, pronta a tagliare la catena, veniva fila­ ta tutta la catena per oltre 9 lunghezze, continuando a fischiare ripetuti avvisi al cargo greco. Negli ultimi mi­ nuti apparve qualcuno sul ponte del Micalos che con tar­ diva manovra avviò le macchine, cercando di evitare l’abbordo. Le due navi si mancarono per pochi metri. Senza la tempestiva manovra della Marco U. l’abbordo sarebbe stato inevitabile. Mio padre aveva l’abitudine di documentare tutti gli eventi sul suo giornale di bordo personale, ma essen­ do appassionato di fotografia, aveva sempre con se la sua “Leica III g”, con cui riprese non solo i posti più sperduti ove venne a trovarsi nei suoi viaggi, ma anche le vicende più rilevanti della sua vita professionale, a bordo delle navi da lui comandate. In questa evenienza, dal ponte di comando della Marco U eseguì la sequenza