2 minute read
LE CITTÀ INVISIBILI
Alcune riflessioni sparse sull’opera di Calvino
Nel libro “Le città invisibili” di Italo Calvino personalmente credo che si possano trovare molteplici significati e molteplici conclusioni. Io sono riuscita a trovarne più di uno e credo che, se mi concentrassi, probabilmente potrei trovarne moltissimi altri. L’opera è suddivisa in sezioni: con questo intendo che ogni città descritta appartiene a una serie e una cornice le racchiude tutte; è all’interno di essa che il Gran Khan e Marco Polo parlano. Spesso le città cambiano nel tempo e, anche se vengono abbandonate, non restano esattamente come prima: la natura si appropria di loro e le cambia; in certe città questo aspetto si può notare facilmente, in altre sembra quasi che non ci sia. Un esempio, che considero molto significativo, si ha quando il Gran Khan chiede al viaggiatore veneziano di parlare della sua città nativa e in quel momento Marco Polo risponde: “E di cosa avrei parlato fino ad ora?”. Questa frase mi ha fatto impazzire: ho iniziato a chiedermi cosa significasse: Marco Polo sta solo prendendo in giro il Gran Khan? oppure ogni città che visita gli fa ripensare anche a Venezia o, forse, la verità è che sta descrivendo le città non oggettivamente, ma soggettivamente, inserendo anche i suoi sentimenti?
Advertisement
Il libro aiuta a comprendere che, per capire e parlare seriamente di una città, non sia sufficiente visitarla, ma la si deve vivere ed è proprio quello che Marco Polo fa. A tal proposito è interessante riflettere su come un imperatore riesca a conoscere il suo popolo: non potendo visitare le città di persona, egli si avvale di funzionari che lui stesso invia. Sono i loro occhi i suoi occhi. Un imperatore non riesce a vedere e vivere direttamente il suo Impero, è troppo vasto; per questo motivo può trarre le sue conclusioni solo basandosi su quello che altre persone gli raccontano Nel complesso mi risulta più difficile pensare a cosa Marco Polo abbia imparato e più semplice capire cosa il gran Khan abbia compreso dalla vita: egli, infatti, stimolato dai racconti di Polo, ha iniziato a viaggiare con l’immaginazione e perfino a ipotizzare città. A vederle, finalmente. Marco Polo, invece, parlando con il Gran Khan è riuscito a capire l’importanza della comunicazione, che inizialmente avveniva semplicemente a gesti; solo in seguito, dopo aver appreso la lingua, la narrazione si fa più stimolante e meno simbolica. Andando oltre la cornice, ogni singola città ha, secondo me, un messaggio specifico da trasmettere: per esempio la città di Despina e quella di Fillide fanno capire come le persone vogliano sempre quello che non hanno; la città di Zemrude insegna che certe volte la vita e il mondo visto con gli occhi dei bambini è più gioioso e ricco di emozioni rispetto a quello degli adulti; la città di Moriana, invece, spiega il famosissimo detto “l’apparenza inganna”. Per concludere vorrei parlarvi di Laudomia, la città che in assoluto è la mia preferita: l’idea della clessidra che scorre e del tempo che, prima o poi, finirà è, in un certo senso, eccitante. Un’altra che mi piace molto è Eufemia, la città degli scambi, perché qui la cosa più importante che si scambia sono i ricordi. Zobeide e Leonia, invece, non mi sono piaciute. Zobeide è proprio una brutta città perché costruita da uomini che vollero darle l’aspetto di una trappola, nell’intento di imprigionare una donna sfuggente. Mentre Leonia non mi piace perché, in un certo senso, è il luogo dove l’umanità sta portando la Terra: verso la distruzione. È una città dove domina il consumismo, ma se si continua così si arriverà al collasso: la Terra non può più sopportare ciò che gli uomini le stanno facendo. Credo che questa sia la città peggiore, ma solo perché ci sbatte in faccia la realtà.
Sara Chiarini, 4^A AFM