Quaderno della Ricerca #06

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Per una letteratura delle competenze

quale, contestualmente a Vargas Llosa, porta avanti una riflessione sulla scrittura, cioè sullo strumento di chi scrive, distinguendo tra la scrittura che inventa, la fiction che finge e la scrittura che rappresenta «l’impegno per la verità, ineludibile nel nostro confronto col mondo e con la necessità di mutarlo […]: lo stile, la lingua, sono radicalmente diversi, perché in un caso si tratta di un linguaggio che vuole esplicitamente definire, giudicare, difendere o combattere, mentre nell’altro si tratta di un linguaggio che vuole essenzialmente narrare, far vivere le contraddizioni piuttosto che risolverle o giudicarle. […] Non credo, soprattutto per quel che riguarda lo stile, che si tratti di una scelta deliberata, perché uno scrittore non sceglie […]: è la vicenda, l’oggetto che gli dettano, per così dire, lo stile5.

Come il “linguaggio che vuole narrare” possa promuovere competenza, l’ha spiegato bene Martha Nussbaum: I cittadini non possono relazionarsi bene alla complessità del mondo che li circonda soltanto grazie alla logica e al sapere fattuale. La terza competenza del cittadino, strettamente correlata alle prime due, è ciò che chiamiamo immaginazione narrativa. Vale a dire la capacità di pensarsi nei panni di un’altra persona, di essere un lettore intelligente della sua storia, di comprenderne le emozioni, le aspettative e i desideri. La ricerca di tale empatia è parte essenziale delle migliori concezioni di educazione alla democrazia6.

Tutto questo sembrerebbe balsamo sulle ferite degli insegnanti di letteratura. Quotidianamente rintuzzati in spazi sociali destituiti di credibilità, in quanto docenti di una disciplina che non sarebbe tale perché non immediatamente spendibile, perché sfuggente al rigore delle scienze esatte, questi docenti assurgono al ruolo di mediatori tra l’esperienza di chi scrive e l’esperienza di chi legge, impegnati con le nuove generazioni (verrebbe da dire con “le future umanità”7) nel conseguimento di una competenza forte, ampia, polisemica – interpretativa, argomentativa, narrativa; una competenza capace di coniugare insieme il riconoscimento di sé e dell’altro da sé, il racconto di sé e dell’altro da sé, l’interpretazione di sé e dell’altro da sé, e di puntare dritta al conseguimento di una competenza di cittadinanza (l’esito ultimo di ogni percorso d’insegnamento) intesa non solo come spazio di diritti e doveri giuridicamente sanciti, né solo come dimensione sociale dell’agire personale, ma come dimensione di senso e finalizzazione di scelte anche private, in nome di una avvertita appartenenza ad una comunità più o meno ampia8. 2011, pp. 32-41, trad. nostra. Citton si riferisce alla “postura letteraria” moderna come a quella di «un servitore nell’atto di eludere le vane pretese del proprio padrone di turno» e alle “pratiche letterarie” come «capaci di rivelare le imposture» della modernità. 5. Magris, Vargas Llosa, La letteratura è la mia vendetta, cit., pp. 12-13. 6. M. Nussbaum, Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, il Mulino, Bologna 2011, p. 111. 7. È il titolo di un’opera di Y. Citton, Future umanità. Quale avvenire per gli studi umanistici?, Duepunti, Palermo 2012. 8. «È tale ottica che ci consente di interpretare come competenze per la cittadinanza non solo le cosid-

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