Living is Life - 75

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FOTO donato carone

Nuda giustizia a cura di PAOLO SORU

Ho notato, sia nel mio lavoro sia nella vita di tutti i giorni, come la gente (mi ci metto anche io) si sorprenda sempre di quanto, con i suoi “piccoli errori”, possa ferire gli altri. Questi “piccoli errori”, molte volte, sono come la punta di una minuscola freccia che però può ugualmente entrare in profondità. Ma quando questo succede, ci meravigliamo di come l’altro sia stato così male, perché in fondo – così pensiamo – non abbiamo fatto niente di speciale: solo una parola, solo una piccolezza, una puntura di spillo e niente più. Abbiamo poca consapevolezza per il dolore dato e questa ferisce ancor di più: noi stiamo male e “quello” nemmeno se n’è accorto, continua la sua vita come se niente fosse! Allora, molte volte scatta in noi un desiderio di rivalsa, se non proprio di vendetta: vorremmo che chi ci ha ferito potesse provare anche lui la nostra stessa sofferenza. A nessuno piace ammetterlo, ma spesso auguriamo il male e altrettanto spesso odiamo qualcuno. Non lo ammettiamo volentieri perché questo ci farebbe sentire meschini e cattivi, e allora non ci rimane che negare il nostro sentimento. Ma il rancore che cacciamo dalla porta ricompare a volte dalla finestra e gli diamo il nome di giustizia. In effetti questa pseudo giustizia altro non è che il desiderio che la persona che ci ha fatto del male possa patire ciò che abbiamo sofferto noi. Non ci sentiamo appagati sino a quando non siamo riusciti a infliggere un dolore all’altro e ci sentiamo giustificati e gratificati da quella che per noi è giustizia, ma, in effetti, è solo vendetta mascherata. Il nostro orgoglio è stato calpestato, ci siamo sentiti trattati peggio di quanto meritavamo e non abbiamo fatto altro che riportare la bilancia in pari. Però a volte succede che anche dopo che

il desiderio di vendetta ha raggiunto lo scopo di ripagare con la stessa moneta il “colpevole”, non ci si senta poi così contenti e appagati, anzi! Una delle sensazioni che ci assale quasi a tradimento è proprio quella di sentirsi svuotati, insoddisfatti. Ma come, ci chiediamo, ho fatto giustizia e mi sento peggio di prima? Prima o poi ci accorgiamo che la nostra azione non ha cambiato proprio niente, la situazione è rimasta così com’era e ci sentiamo depressi, con la sensazione tangibile di futilità. Ci vergogniamo di ciò che abbiamo provato o fatto; una sorta di strana angoscia ci assale e ci fa sentire tutta la nostra meschinità. Un po’ quello che devono aver provato i biblici Adamo e Eva, ci scopriamo nudi. Pensavamo di essere vestiti, coperti di buoni sentimenti e di buoni propositi e invece, solo per aver riportato un po’ di giustizia, eccoci qui nudi alla mercé dello sguardo dell’altro che ora ci giudica per la nostra aggressività e per non essere riusciti a controllare i nostri istinti belluini. Ho trovato alcuni pensieri sui quali si dovrebbe riflettere: “L’atrocità della vendetta non è proporzionale all’atrocità dell’offesa, ma all’atrocità di chi si vendica”, e inoltre “È tanto più facile ricambiare l’offesa che il beneficio; perché la gratitudine pesa”. Scopriamo allora quanto sia vero che la sete di vendetta prosciuga l’anima, la consuma, la brucia nel profondo così che dopo non riuscirà mai più a germogliare nulla. Anche se abbiamo ferito l’altro solo con una parola, solo con una puntura di spillo, a volte dobbiamo fare i conti con quella parte di noi che non si dà pace se non vede la sofferenza dell’altro, anche se – come abbiamo visto – potremmo pagare un prezzo decisamente alto. Abbiamo una coscienza e questa, fortunatamente, si fa sentire.

Living Psychology

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