TENTACOLI DI GIUDIZIO
n.2
ANNO XI Dicembre 2017
IS IT JUST ANOTHER BRICK? Caro lettore, stamattina, forse distratto, mentre mangiavi o mentre uscivi dall’aula, qualcuno ti avrà dato in mano questo giornalino che stai per aprire. Noi che l’abbiamo scritto siamo studenti come te. Non abbiamo un gran talento per il giornalismo, ma un forte interesse per il luogo in cui siamo e per tutto quello che accade intorno. Ti capita a volte di uscire dal Poli col buio, sentendoti addosso il peso di una giornata che ti è stata stretta? Tra un’aula e l’altra, tra le slide e gli appunti, i caffè e le corse per i posti, rincorriamo le ore fino al punto che tutto finisce per sembrare un ostacolo. Come se tra l’università e il resto della vita ci fosse una parete incrollabile: un muro che separa lo studio da ciò che ci piace fare, la lezione dalla partita di calcetto, noi stessi
dal prof che ci sta parlando. Tra queste righe invece vogliamo parlarvi di un luogo in cui non c’è spazio per le pareti: quando la mattina entriamo qui, non vogliamo che niente di quello che siamo resti fuori. È per questo che, pensando agli articoli, prima di tutto abbiamo incontrato i professori: per affermare che questo muro può non esserci. Così, per esempio, un argomento talmente critico e delicato come poteva essere lo sciopero dei docenti, è stato il pretesto per capire insieme ad alcuni professori cosa ci aspettiamo che sia la nostra università (2-3). Allo stesso modo, partendo dal desiderio di approfondire alcune novità emergenti nel campo della didattica, si è creato un dialogo concreto e diretto sulla possibilità di valorizzare lo studio come qualcosa che segua i nostri interessi e le nostre
passioni (4-5). Ne è un esempio chiaro “Mani in pasta” (8-9), lo spazio dove alcuni di noi hanno raccontato di come sia possibile che un’esperienza di studio si traduca in un’esperienza di vita. Leggerete poi approfondimenti su tematiche di attualità, arte e altri spunti a cui abbiamo voluto dedicare uno spazio, proprio perché segno di come sia possibile stare in università integralmente, senza che nulla venga escluso. Sfogliando queste pagine troverete un’università così, la nostra: un luogo dove non ci accontentiamo di stare da questa parte del muro.
Buona lettura! il team di Polipo
• DIRETTORI: Letizia Petulicchio e Andrea Sansonetti • CONDIRETTORE: Anna Finotto • CAPIREDATTORI: Antonio Garofalo, Simone Martini e Chiara Vecchione • REDATTORI: Carlos Alfaro, Michele Bellotti, Giorgio Bonadei, Matteo Braghin, Matilde Cacopardi, Beatrice Cappuccilli, Maria Concetta Carissimi, Giovanni Castelli Dezza, Enrico Comentale, Luca Ermolli, Elena Ferrario, Davide Grasso, Davide Isgrò, Josè Limbert, Elisabetta Mambelli, Giulia Mecca, Emma Minelli, Gabriele Restuccia, Stefano Robbiani, Benedetta Rossi, Lucia Schgor, Lorenzo Ticozzi, Maria Zanoni • PROGETTO GRAFICO: Teresa Cremonesi • ILLUSTRATORI: Elena Buttolo, Caterina Cedone, Riccardo Cernetti, Teresa Cremonesi, Caterina Ghio, Elena Iannella, Josè Limbert, Mariachiara Manelli, Damiano Meggiolaro, Rachele Pellecchia, Marco Previdi, Elisabetta Vimercati • RINGRAZIAMENTI: Ferruccio Resta, Claudio Signorelli, Lamberto Duò, Maria Gabriella Mulas, Alessandro Sacchetti, Paolo Trucco, Stefano Robbiani, Michele Bellotti, Giovanni Ballabio, Giorgia Doni, Chiara Salvi, Giacomo Elekou, Giuseppe Veronese, Gabriele Giudici, il team di Lista Aperta
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SCIOPERO DEI DOCENTI
OLTRE LA PROTESTA
A cura di Lucia Schgor (Biomedica LT), Letizia Petulicchio (Chimica LT)
27 Giugno 2017: cinquemila docenti di tutte le università italiane firmano la proclamazione dello sciopero indetto per la sessione di Settembre. Moltissimi altri si sarebbero uniti in seguito alla protesta, raggiungendo un numero estremamente alto di adesioni. Anche dopo la fine della sessione, l’importante movimentazione che ha coinvolto il mondo dell’università, e che ci ha interessati in prima persona, non ci lasciava indifferenti. Qual è stato il senso di questa protesta? Cosa rimane ora? Cercando di approfondire queste domande ci siamo rivolti a due docenti che hanno assunto posizioni diverse di fronte allo sciopero, non tanto per delineare un giudizio imparziale sui fatti, quanto per capire le ragioni più profonde che hanno mosso personalmente ogni docente a compiere la sua scelta.
PAOLO TRUCCO
Dipartimento di Ingegneria Gestionale
1) Perché ha scelto di non aderire allo sciopero? Nel merito della questione, io credo che ci sia una ragione: ritengo che ci sia un’ingiustizia sociale. Non ho aderito però allo sciopero perché la forma, il modo con cui è stato fatto, ha dentro due cose che invece mi trovano totalmente in opposizione: la prima è che non corrisponde nei modi, nella
“ Il rapporto tra un docente e uno studente, cioè tra me e miei studenti, tra me e voi, non è un rapporto tra un cliente e un prestatore d’opera. “
forma a qualsiasi altro tipo di sciopero. Perché i lavoratori scioperano? Qual è lo scopo dello sciopero? La forza dello sciopero sta nel creare un danno economico al proprio datore di lavoro. Il disagio, il danno che ne viene al cliente è un effetto collaterale, non è lo scopo. Qua invece il danno sugli studenti è l’unico effetto evidente che la protesta ha. Il secondo motivo per me più importante è che il rapporto tra un docente e uno studente, cioè tra me e miei studenti, tra me e voi, non è un rapporto tra un cliente e un prestatore d’opera. C’è una dimensione, c’è un aspetto del rapporto che è quello di essere insieme per poter conoscere, per poter imparare, che non è in mano a nessun altro se non a noi. É qualcosa che non appartiene al mio datore di lavoro. L’università esiste per servire questo: io non sono un prestatore d’opera dell’università, io non faccio gli esami perchè l’università mi obbliga a farlo, ma perchè ci tengo che i miei studenti imparino le cose che ho cercato di insegnare loro e quindi non sono disposto a mettere sul piatto di una trattativa questo aspetto del rapporto. Per cui lo sciopero afferma una cosa che io non sono disposto a dire: tende a cancellare un aspetto della vita dell’università, della sua natura per me essenziale, senza la quale essa non esisterebbe più. Esisterebbe invece una società che eroga servizi di formazione, ma noi cessiamo di essere una comunità di persone, nel momento in cui io accetto di usare il rapporto docente-studente come merce di scambio, perchè metterla sul piatto di un contenzioso con chi mi paga lo stipendio vuol dire questo. Non possiamo usare un modo di protesta che distrugga la natura del luogo che vogliamo costruire, per cui io dico che dovrebbe esserci una risposta di quella comunità, di quella famiglia, di quel luogo che è l’università. E siccome questo di tipo di esperienza ha un valore non solo personale ma anche sociale, è giusto che la società si preoccupi di creare le condizioni per cui quel luogo possa raggiungere il suo scopo: questa sicuramente è una cosa da rivendicare, ma innanzitutto come ripresa di coscienza di che cos’è il posto che viviamo.
2) Ma è possibile vivere l’università secondo questa modalità? Non c’è un insegnare che non sia al tempo stesso un imparare: non c’è una lezione, un’ora di ricevimento, un incontro con un tesista nella quale io, ricevendo una domanda e dovendo provare a rispondere, non reimparo, non capisco qualcosa di nuovo di quello che insegno. È faticoso
andare in aula anche per questo motivo, ci sono sempre domande che mettono in crisi che giustamente ci fanno vedere il limite delle cose che ad oggi conosci e sei in grado di trasmettere, di insegnare. Questo rapporto, quest’alleanza è essenziale per conoscere. Io credo che nessuno dei miei colleghi insegni in aula con un’impostazione, con un’ipotesi diversa da questa: il problema è quanto ne siamo coscienti, quanto siamo disposti a difendere questa cosa rispetto a qualsiasi altra rivendicazione, pur giusta. Certo riprendere la strada da questo punto di vista è molto più lungo, non permette di portare a casa un risultato immediato. Posto che con la strada dello sciopero, si riesca ad ottenerlo prima, a che prezzo? C’è un rischio reale di perdere totalmente la coscienza di che cos’è questo posto e di qual è la natura del rapporto tra le persone che lo vivono, che invece per me è la cosa più preziosa, è l’originalità di questo posto. Non possiamo risolvere il problema senza andare a riprenderne la causa, l’origine. Certo che è un percorso molto più lungo, è impossibile che cambi la concezione così, da un momento all’altro. C’è differenza tra un’università come una società di servizi, rispetto a un’università come solidarietà, come vita in comune spesa per aiutarsi a conoscere. Hai dei fatti, delle situazioni, degli esempi a cui pensare per dire quale delle due è più adeguata al motivo per cui hai iniziato l’università? Potrebbe anche essere che lo sciopero alla fine sortisca il suo effetto, ma il problema rimane se non riconquistiamo la coscienza del luogo in cui siamo.
MARIA GABRIELLA MULAS Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale
1) Qual è la principale motivazione che l’ha spinta ad aderire allo sciopero fin dalla sua proclamazione? Lo sciopero non è stato un fulmine a ciel sereno, ma anzi si stava preparando da qualche anno: quella della sessione di Settembre non è stata la prima azione, si era già fatto altro in passato. L’università italiana negli ultimi anni è stata bistrattata in modo incredibile: come in tutti i settori dell’amministrazione pubblica in Italia, si possono trovare degli esempi negativi, però dire che l’università italiana non funziona è sbagliato, perché non è vero. Rispetto ai fondi che riceve, quello che eroga è veramente tanto,
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il numero di posizioni che sono state tagliate è enorme. Per questo secondo me lo sciopero era giusto, bisognava farsi sentire, ma non solo per il discorso degli scatti: la vera motivazione è segnalare che le cose in università così non vanno.
2) Dal punto di vista degli studenti, l’astensione dallo svolgimento degli esami è stata una modalità molto criticata: aderendo allo sciopero e, successivamente, durante il suo svolgimento, ha approvato la forma con cui si è sviluppata la protesta? Io non ho ricevuto grandi proteste dagli studenti, perché, nonostante per legge non avessi l’obbligo di comunicare la mia adesione, ho avvisato molto prima che avrei partecipato. D’altro canto su questo sono molto critica con gli studenti del Politecnico: gli esami sono una risorsa che viene sprecata, richiedono un sacco di lavoro eppure gli studenti si iscrivono in modo inconsapevole. Spero sinceramente che anche per gli studenti questo possa essere stato un momento per fermarsi e considerare che risorsa sono gli esami.
3) Il prof Trucco ci diceva di non aver condiviso la forma dello sciopero perché contro l’ideale di università come luogo di un rapporto tra docenti e studenti. Cosa pensa di questa posizione? Io sono convinta che l’università sia un luogo di comunità tra docenti e studenti, ma sono anche convinta che per la maggior parte degli studenti questo non sia vero. Questo rapporto con i ragazzi a me piacerebbe, ma credo che nelle condizioni in cui lavoriamo trovi poco riscontro con la realtà. Accettando il concetto di comunità si ritiene che il docente possa portare qualcosa e che lo studente accetti il fatto di essere seguito. Ma sui numeri grossi con cui abbiamo a che fare adesso, questa dimensione si è persa completamente e il docente è diventata una macchina eroga-esami. Parlare di questo ideale di comunità è giusto, però allora bisognerebbe ricreare le condizioni per cui questo effettivamente sia pos-
sibile. Forse bisogna considerare davvero di agire sul numero, è inutile moltiplicare sempre di più il numero degli studenti, se poi non siamo in grado di seguirli. Mi rendo conto di questo guardando il numero di ragazzi che lasciano l’università, magari dopo tre anni senza aver concluso nulla. Tre anni nella vita di un ragazzo sono tanti, è un’esperienza di fallimento. È colpa solo sua? O è colpa anche nostra? Che strumenti abbiamo per dirlo ai ragazzi? Anche dal punto di vista sociale, provate a pensare che implicazioni ha il ritardato ingresso di un ragazzo nel mondo del lavoro, per la famiglia e per i costi. Nel nostro lavoro ci chiediamo cos’è il bene dei ragazzi?
4) A posteriori crede che la manifestazione abbia raggiunto i suoi scopi? Servirà ad avviare un cambiamento? Per capirlo ci vuole tempo, sicuramente ha coinvolto molte persone: inizialmente i firmatari dello sciopero erano poco più di 5000, mentre da poco è stato comunicato che si sono raggiunte le 13000 astensioni dagli appelli, quindi stiamo parlando del 30 % della docenza italiana. Non sappiamo se servirà, ma secondo me in certe cose è necessario andare oltre la valutazione utilitaristica, a volte bisogna dire no comunque, anche se non servisse a niente. Sarebbe sicuramente interessante coinvolgere anche tutta la componente di dottorandi e ricercatori, persone che lavorano adesso con delle prospettive future veramente basse e una parte del Poli sta in piedi grazie a loro. Bisognerebbe però che tutti, anche la componente studentesca, partecipassero di quella visione che citavo prima di comunità universitaria: è una sfida che ci coinvolge tutti.
Paolo Trucco Dipartimento di Ingegneria Gestionale
Maria Gabriella Mulas Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale
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DIDATTICA INNOVATIVA
CAMBIARE PUÒ ESSERE UN’OPPORTUNITÀ? A cura di Stefano Robbiani (Biomedica LM) e Anna Finotto (Biomedica LM)
Da alcuni mesi in tutti i corsi di studio professori e rappresentanti degli studenti stanno facendo i conti con la proposta di adottare una serie di provvedimenti racchiusi sotto il nome di didattica innovativa, un progetto fortemente voluto dal Rettore e per il quale ha stanziato 3 milioni di euro per il triennio 2017-2019. Incuriositi abbiamo voluto approfondire il tema in un dialogo con il professor Lamberto Duò, delegato del Rettore per la didattica.
Perchè c’è bisogno di “innovare” la didattica? Bisogno è forse una parola un po’ eccessiva. Diciamo: perché abbiamo deciso di farlo? Dal lato interno sentiamo sempre più spesso i nostri colleghi dire che gli studenti non sono più quelli di una volta. Tutti noi pensiamo “questi ragazzi sono cambiati” però il modo in cui noi insegniamo è lo stesso, per questo può valere la pena di sperimentare qualche modalità diversa, anche parziale, non parliamo di rivoluzione. L’attuale metodo di insegnamento è quello che ho ricevuto io quando ero studente e che credo abbiano ricevuto i miei professori quando loro erano studenti. Non è niente di male perchè comunque il sistema funziona bene: la nostra università ha reputazione internazionale! In questo senso volevo dire che non c’è un bisogno: un bisogno è una cosa che si fa quando c’è una crisi, questo è più un progetto anticipatore, cioè per evitare che ci sia una crisi domani. Quello che tutti i datori di lavoro ci dicono è che i nostri studenti non sono tanto abituati a collaborare in gruppo, a presentare i risultati del loro lavoro e a lavorare in un contesto eterogeneo rispetto a quello in cui hanno studiato. Infatti, confrontandoci con i curricula delle altre università europee, manchiamo di interdisciplinarietà. Non è quindi la risposta a una crisi ma a qualche cosa che potrebbe diventare domani una crisi se non facciamo niente oggi.
In cosa consiste questa innovazione? Distinguiamo due tipi di azione: Azione 1 e Azione 2.
AZIONE 1: curricolare, si può coniugare in 4 possibili interventi:
Può essere questa l’occasione di creare un rapporto tra la didattica e il mondo della ricerca e quindi dell’industria?
#DIGITALIZZAZIONE
Il rapporto tra la didattica e la ricerca già esiste, come quello con le aziende, potrebbe però essere l’occasione per incrementarlo. Riprendendo quello che accennavo prima, vorremmo valorizzare i rapporti che già esistono, strutturarli di più, facendo capire alle aziende che possono non solo usarci come motore di innovazione, ma essere loro attori della vostra formazione: questa è una novità. Lo stakeholder può condividere il ruolo del docente soprattutto per skills orizzontali, su cui ha un’esperienza maggiore della nostra. All’inizio si tratterà di numeri piccoli, ma grazie a un rapporto di fiducia e un affidarsi reciproco potranno aumentare e portare una vera innovazione.
Introdurre alcune tematiche utilizzando video (MOOC) che possono essere fruiti dallo studente in modo asincrono rispetto alla lezione.
#ACTIVE LEARNING Parole d’ordine: flipped e blended classroom: allo studente viene chiesto di guardare un argomento prima della lezione, poi il docente, a seconda del feedback, decide come lavorare sul tema in aula.
#SOFT SKILLS Insegnamento di soft skills e contenuti interdisciplinari che oggi mancano ai nostri laureati. Lavori di gruppo e presentazioni, ma anche educazione all’etica, ambito del quale attualmente, pur riconoscendone l’importanza, non insegniamo nulla.
#COTUTELA
Un coinvolgimento più strutturale del mondo del lavoro nel nostro Ateneo. Vogliamo che l’azienda si faccia carico insieme a noi della vostra formazione e valutazione, proponendovi problematiche reali che vadano oltre quelle che trovate sui libri. Active Learning: non io che ascolto te, uomo di successo, che mi racconti quello che hai fatto, ma anzi vi verrà esposto un problema e sarete voi a proporre delle soluzioni.
AZIONE 2: corsi non curricolari facoltativi. Si tratta di attività che coinvolgano le vostre passioni, per questo motivo stiamo costruendo un portale che si chiama “Passion in Action” con l’obiettivo di valorizzare tutto ciò che lo studente fa indipendentemente dal suo Corso di Studi. “Didattica innovativa”, infatti, non vuole essere qualcosa che attiene solo ai tuoi doveri di studente ma anche ai tuoi desideri di essere umano.
Il professor Sangiovanni-Vincentelli all’ inaugurazione dell’ Anno Accademico ci chiedeva di essere veramente innovativi. Cosa vuol dire? Da dove si può partire? Voi fate riferimento a quando parlava della ricerca disruptive, che è antitetica nella definizione alla cosiddetta ricerca incrementale. La ricerca incrementale è un lavoro che si muove a partire da una base solida, sapendo prima cento, poi centouno, centodue... Il 90% della ricerca che si fa è incrementale: è quella che ha portato l’uomo sulla luna. La ricerca disruptive è invece quella in cui viene aperta una nuova via che prima non esisteva. È come la differenza tra scalare l’Everest , come hanno già fatto altri, e invece andare sul K2, come hanno fatto i nostri italiani. Se nel mondo della ricerca questo approccio esiste già, il progetto della didattica innovativa è un’occasione per poterlo ampliare anche ad un’utenza studentesca.
Sempre all’inaugurazione il professore parlava di creare interdisciplinarietà, di creare foundations. Come è possibile imparare a interagire tra figure diverse?
“ Non è quindi la risposta a una crisi ma a qualche cosa che potrebbe diventare domani una crisi se non facciamo niente oggi. “
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Lui parla da un punto di vista di un professore dell’università di Berkeley, dove tutti questi temi che vi ho raccontato fanno già parte del DNA degli studenti e di conseguenza anche dei loro docenti. L’interdisciplinarietà esiste già, non è da inventare. Possiamo però prenderci una responsabilità come istituzione: farci promotori affinché si accresca la capacità dei nostri studenti di interagire tra loro. Si tratta di un grande servizio, quello di permettere agli studenti di sperimentare un ambiente multidisciplinare e di gruppo dove queste soft skills vengano praticate e valutate, anche grazie alla collaborazione col mondo del lavoro.
Che contributo possiamo dare noi studenti nella fase di ideazione della didattica innovativa? Adesso è il momento in cui nei Corsi di Studio si sta discutendo di questa cosa. Penso sia difficile per voi in modo autonomo fare un progetto, ma potete dire la vostra, dare dei contributi: fare da consulenti più che da progettisti. Io mi aspetto un vostro contributo in particolar modo sull’Azione 2, mi aspetto che ci aiutiate a capire qual è l’esigenza: “se fai quel corso non verrà nessuno, quel tema invece è bello, come farlo?”. Potete darci un advice che non possiamo avere se non da voi, nella scelta dei temi e delle modalità, del calendario e dell’orario. Non essendo a Manifesto, per l’Azione 2 c’è più tempo, che può essere sfruttato per incontrare professori ed approfondire il tema, per entrare nei dettagli.
Cosa si aspetta da questo nuovo progetto? Oggi non funziona più la modalità classica di insegnamento, bisogna provare ad aggiungere qualcosa alla nostra cassetta degli attrezzi: abbiamo già il cacciavite e la brugola, aggiungiamo la chiave inglese. L’idea da cui nasce questo progetto è di riuscire a ingaggiare voi studenti, trovare qualcosa per cui secondo voi valga la pena spendersi. Faccio un esempio: uno che gioca a basket sarebbe disposto a svegliarsi alle sei e andare a giocare fuori regione, magari perdere o non giocare, eppure continuare a dire che è bello. Pensate come sarebbe l’università se aveste questa stessa spinta per lo studio! L’Active Learning è stato pensato con questo scopo: stimolare l’apprendimento oggi, in un tempo in cui la mente dello studente dispone di grandi potenziali ma alta soglia di attivazione. Guardando ai miei tempi potrei dire che avevamo meno potenziale ma una soglia di attivazione più bassa, mentre adesso è più difficile farvi saltare sulla sedia per lo stupore: per questo è opportuno un cambiamento che vi faccia diventare protagonisti
della vostra formazione. Guardate l’immagine dell’“Imbuto di Norimberga” (in figura): per me la formazione avveniva in questo modo; oggi però le condizioni sono cambiate e se noi ci muoviamo così non scende nulla nell’imbuto, è come otturato. Bisogna trovare un altro modo per produrre un risultato analogo, occorre usare degli strumenti diversi. Io vorrei che, quando un mio studente finisce gli studi, possa dire di aver fatto un’esperienza straordinaria. Chi esce da qui non dovrebbe dire “ma sì, carino”. Carino lo dice uno che ha ottant’anni! Pensate a quando gli anziani rimpiangono il passato dicendo “ai miei tempi”: intendono proprio “quando avevo vent’anni, quando ero in università”, perchè dopo non sono più i miei tempi, ma i tempi di qualcun altro. È un peccato but-
tare via questi anni perché non volete investire su voi stessi. La caduta del muro, le proteste di Piazza Tienanmen, storicamente sono moltissime le grandi cose successe grazie all’iniziativa di studenti come voi, ragazzi di vent’anni che si sono sfidati.
“ Abbiamo già il cacciavite e la brugola, aggiungiamo la chiave inglese. ”
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POLIPO • tentacoli di giudizio
MATRICOLE IT’S UP TO YOU! A cura di Matilde Cacopardi (Meccanica LT)
La sessione di settembre non è ancora finita, ma ecco che mi ritrovo con i miei amici a pensare all’imminente inizio del nuovo anno accademico: inevitabilmente riguardiamo al primo giorno di università, quando ci siamo ritrovati anche noi in Bovisa e siamo stati accolti da studenti dei quali potevamo captare e invidiare la familiarità che avevano con quel posto ancora del tutto estraneo. Anche noi vogliamo preparare qualcosa per i nuovi arrivati e decidiamo di incontrarli offrendo loro la colazione; “It’s up to you” è il titolo che una nostra amica propone per questa prima settimana di lezioni e ci casca perfetto: le matricole hanno scelto l’università e da oggi in poi starà a loro giocarsi appieno questi anni, con l’obiettivo di capire sempre di più cosa vogliono essere. Arriva il lunedì mattina: gazebo montato, torte e biscotti in arrivo, macchinetta del caffè accesa. In un battibaleno ci troviamo davanti numerosi ragazzi freschi freschi di scuole superiori; volti e sorrisi di alcuni sembrano più sicuri, qualcuno è più spaesato, altri non si lasciano intimidire dalle domande che hanno sull’università e ce le pongono. Questo angolino fuori dal B12 è diventato un posto dove fermarsi a parlare e in molti tirano fuori domande soprattutto su come studiare in un modo efficace e quando farlo, visti gli orari delle lezioni così serrati. Alcuni dei miei amici iniziano a raccogliere i nomi per organizzare anche dei gruppi di aiuto allo studio per Analisi 1, proposta che viene accolta in pieno dalle matricole. Finisce il primo giorno e la settimana avanza: offriamo il caffè a persone nuove e alcune iniziamo a rivederle mentre passano da noi anche durante la pausa, sia solamente per un caffè gratis, o per farci ancora domande; qualcuno torna con un amico, per far iscrivere anche lui ai gruppi studio. Capiamo che l’aspettativa di una matricola è quella di trovare il proprio posto in questa università: il posto dove mangiare, il posto dove studiare in silenzio, il posto dove studiare in compagnia, il posto dove familiarizzare meglio con i propri interessi tramite le varie associazioni studentesche. Le loro sono richieste così tangibili che subito, alla domanda generica, segue quella personalmente rivolta a noi: “Ma tu, tu dove studi con i tuoi amici?”. Domanda che di fatto ne implica un’altra: “Come posso stare in università?”. Ci ritroviamo a parlare con Laura, al primo anno di Ing. Meccanica, e la cosa che ad un certo punto ci stupisce è la sua voglia, come quella di altri, di sapere chi siamo e di presentarsi, di raccontarci di sé, a partire dalla città in cui abita e dalla scuola che ha frequentato, fino a ciò che l’ha spinta ad essere qui oggi. E al-
lora ho l’occasione di capire meglio cosa io e i miei amici stiamo facendo: non stiamo dando solo informazioni a nuovi studenti, cosa per cui c’è già l’Infopoint del Poli, ma mostrando loro in primo luogo il nostro essere amici. Ora la settimana è terminata e ci accorgiamo che non sarebbe stata la stessa cosa se ciascuno di noi avesse allestito un proprio banchetto, perché da soli non avremmo avuto niente in grado di colpire qualcuno abbastanza da farlo tornare anche l’indomani. L’aspettativa delle matricole, che sia vero uno slogan come “It’s up to you”, è la stessa identica aspettativa che ci fa muovere in università oggi, anche dopo anni dal nostro primo giorno. E, nel nostro essere lì insieme accomunati dalla stessa voglia di metterci in gioco, si vedeva. Forse è per questo che qualche faccia ritornava anche i giorni dopo, nonostante non avesse più semplici informazioni da chiedere.
“L’aspettativa di una matricola è quella di trovare il proprio posto in questa università”
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POLIPO • tentacoli di giudizio
ERASMUS
TO LEAVE OR NOT TO LEAVE A cura di Emma Minelli (Chimica LM) e Maria Concetta Carissimi (Gestionale LM)
Alla fine di Novembre, tra le tante mail, è arrivata una comunicazione importante: pubblicato il bando Erasmus. Diffuso in tutte le università, il progetto Erasmus è una delle principali occasioni che uno studente può sfruttare per andare all’estero. Chiunque vada, torna con un unico consiglio: partire. Proprio in questi giorni è aperta l’iscrizione al bando: e tu, che cosa farai?
TAKING A CHOICE Emma Minelli, Ingegneria Chimica (LM) Sono Emma, studio Ingegneria Chimica e ho fatto richiesta per l’Erasmus per il secondo semestre del quarto anno. Sono stata selezionata a Malaga ed ho accettato, ma nei mesi successivi alla decisione mi sono sorti molti dubbi, soprattutto riguardo alla sede. Ma vale davvero la pena partire? Per rispondere a questa domanda, ho contattato alcuni dei miei docenti per confrontarmi con la loro posizione a riguardo. Molti di loro mi hanno consigliato di partire poiché è un’esperienza sicuramente arricchente dal punto di vista umano e anche lavorativo. Andare in Erasmus permette infatti di incontrare realtà diverse, apprendere una nuova lingua e imparare ad adattarsi alle circostanze che accadono, generando così una maggiore responsabilità. Se si riesce a resistere alle difficoltà che comporta il partire da soli verso una nuova avventura, si torna rafforzati e più sicuri dei propri mezzi. Altri docenti non hanno mancato tuttavia di farmi notare gli aspetti negativi: sul piano accademico, nel mio caso, il periodo Erasmus rischia di togliere qualcosa alla qualità della formazione, soprattutto se affrontato nel triennio. Di conseguenza mi è stato consigliato di posticipare l’esperienza al quinto anno, in modo tale da affrontarla con una maggiore maturità e una preparazione più solida, magari sfruttando il Bando per una Tesi di Laurea all’estero. Se, come me, volete valutare a fondo la scelta e vi state chiedendo quale sia veramente il guadagno dell’esperienza proposta dal progetto Erasmus, le risposte del professor Alessandro Sacchetti potreb-
bero chiarire questi dubbi. È un professore del Dipartimento di Chimica che, pur non essendo un responsabile Erasmus, ha fatto da referente ad alcuni ragazzi partiti per tesi all’estero.
Qual è secondo lei l’obiettivo di un progetto Erasmus?
L’Erasmus è in primis un’esperienza di vita più che un’esigenza didattica: si va all’estero per fare nuove esperienze in ambienti diversi e per affrontare in modo alternativo materie presenti anche nel piano di studi della propria università. L’esigenza consiste principalmente nel far muovere gli studenti in un nuovo contesto universitario.
Dal punto di vista lavorativo, l’Erasmus è un’esperienza tenuta in considerazione? E la tesi all’estero?
Le aziende apprezzano più che altro il fatto che ti sei mossa, perché è indice di maturità e di saper gestire una novità mettendosi alla prova. Difficilmente valutano nello specifico il livello accademico della tua esperienza, a differenza di quanto accade invece per la tesi, visto che lo scopo è un altro. Si sceglie di fare una tesi all’estero per mettersi alla prova anche nel mondo della ricerca, per apprendere competenze diverse da quelle che si possono trovare nell’università d’origine, andando a cercare qualcosa che c’è solo là.
Che cosa consiglierebbe quindi tra Erasmus e tesi all’estero?
Non è possibile mettere sullo stesso piano le due scelte, perché hanno scopi differenti e riguardano contesti separati, accomunati solo dalla possibilità di confrontarsi con un ambiente diverso da quello del paese di partenza. L’Erasmus sicuramente costa meno sia in termini di impegno economico che di lavoro organizzativo, rispetto ad una tesi all’estero per la quale non esiste un iter burocratico preciso. In ogni caso, ciò che ti chiede di più, ti dà di più. Un’altra alternativa che si può considerare è quella di partire per un dottorato all’estero. Nella maggior parte dei casi, noi italiani
siamo visti bene non solo in termini formativi ma anche sociali e in fatto di rapporti;. Questo facilita sicuramente l’inserimento in un contesto più ampio, non solo nel nostro Paese ma in tutto il mondo.
NEWS FROM ABROAD Maria Concetta Carissimi, Ingegneria Gestionale (LM) A Settembre sono partita per andare in Erasmus a Lisbona, dove rimarrò fino a fine Gennaio. A chiunque me lo chiedesse consiglierei anche io di partire, con un’ attenzione a fare scelte che non danneggino la propria carriera accademica, assicurandosi di sostenere comunque un buon numero di esami rispetto a quelli previsti dall’università di partenza. Le cose che mi stupiscono di più dell’esperienza che sto facendo sono la diversità del metodo didattico e delle materie studiate. La didattica si basa sulla valutazione continua, fatta durante l’intero semestre attraverso progetti, presentazioni, report, esami parziali e partecipazione in classe. Il voto corrisponde solo per una percentuale a quello dell’esame finale e la valutazione continua mi sta dando l’occasione di non perdermi mai, di intervenire in classe, di chiedere e di partecipare. La partecipazione attiva in classe è la cosa che mi piace di più perché le classi sono molto piccole, formate al massimo da 30 persone e il professore conosce il nome di ognuno di noi. Sto imparando un modo di stare a lezione e di studiare diverso rispetto a quello al quale ero abituata. I corsi che sto seguendo sono diversi rispetto a quelli che avrei fatto a Milano e questo è normale perché per quanto si possa trovare una corrispondenza, questa non sarà mai totale. All’inizio lo vedevo come un di meno, ma piano piano è iniziato a diventare un arricchimento. Ho iniziato ad interessarmi ad argomenti che non avevo mai approfondito e ho notato che anche una materia nuova, se studiata fino in fondo, diventa appassionante e che il Politecnico ci dà strumenti per affrontare tipi di studio diversi.
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POLIPO • tentacoli di giudizio
MANI IN PASTA
RACCONTI DI CHI IMPARA FACENDO
Nome: Beatrice Cappuccilli Cosa studio: Architettura Dove sono ora: Milano Struttura: Politecnico di Milano e Politecnico di Torino Durata: 2 anni
Nome: Davide Isgrò Cosa studio: Automation and Control Engineering Dove sono ora: Milano Struttura: Politecnico di Milano Durata: 9 mesi (da marzo a dicembre)
ALTA SCUOLA POLITECNICA
TESI MAGISTRALE DI AUTOMAZIONE
Scopo del progetto: ASP è un programma multidisciplinare nato in collaborazione tra i Politecnici di Milano e di Torino, riservato a 150 studenti di talento da tutto il mondo, selezionati per merito, per seguire un curriculum aggiuntivo ai loro corsi di laurea. Ho fatto domanda non sapendo bene di che cosa si trattasse e se sarebbe stato interessante, trattandosi di un percorso di formazione tra le discipline di architettura, ingegneria e design. Nonostante questo, mi incuriosiva aderire ad un programma che la mia stessa università definiva come eccellente. Il primo approccio è stata la settimana di studio intensivo chiamata ‘school’, in cui ho scoperto che tutto è preparato affinché gli studenti possano formarsi come professionisti, cioè come personalità protagoniste nel lavoro. Ogni studente ha un valore per come può contribuire in un team: non si tratta di avere grandi capacità tecniche, ma voglia e desiderio di implicarsi e imparare. Viene stimolata la capacità ad usare al meglio le proprie conoscenze in diversi campi. Ciò mi ha fatto capire quanto si può imparare ad essere efficaci e costruire, se ognuno si mette in gioco fino in fondo usando in modo intelligente gli strumenti di cui è già fornito. All’interno del programma, l’innovazione è intesa come una continua domanda sulla contemporaneità, che richiede un giudizio cosciente sul campo di ricerca, sulla società, sul mercato e, in ultimo, sull’uomo. Questo tipo di approccio ha interrogato molto il mio fare architettura: mi accorgo che non c’è percorso e non c’è strada senza una domanda a cui rispondere. Se noi questo lo scopriamo seguendo professori e maestri, l’Alta Scuola lo predispone inserendo i propri studenti in un network di professionisti, professori e soprattutto compagni che possono aiutare a dare forma a progetti interessanti.
Scopo del progetto: progettare ed implementare un metodo per stimare la massa su una moto. Molti dei controllori già presenti sul veicolo infatti (ABS, controllo di trazione, etc…) si basano su un modello in cui la massa è un parametro fisso e questo provoca un degrado delle prestazioni nel momento in cui la il peso reale del carico del veicolo è molto diverso dal caso medio ipotizzato in fase di progetto. Pertanto l’obiettivo della tesi è realizzare uno stimatore che non necessiti l’installazione di sensori aggiuntivi sulla moto e che permetta di stimare online la sua massa. La tesi è sperimentale ed è realizzata in collaborazione con due importanti aziende italiane produttrici di moto. Questi mesi di tesi sono stati per me un’opportunità unica: ho avuto la possibilità di lavorare su un tema di ricerca all’avanguardia, in collaborazione con alcune importanti aziende e guidato da persone molto preparate e disponibili ad aiutarmi. Penso che la cosa più importante di questi mesi sia stata proprio la stretta collaborazione che c’è stata tra me, il mio compagno di tesi e i nostri superiori, due dottorandi e alcuni professori. É stato fondamentale avere qualcuno di preparato a cui guardare e a cui chiedere: questo mi ha permesso di imparare e crescere tantissimo dal punto di vista professionale. Oltre ad avere acquisito molte competenze tecniche, ho imparato anche a dover rispettare delle scadenze e a presentare con chiarezza il mio lavoro davanti ad altre persone. Questa è stata una scoperta fondamentale: ho imparato che potrei essere un tecnico eccezionale e risolvere problemi complicatissimi, ma se non sono in grado di comunicare ad altri ingegneri quello che ho fatto, il mio lavoro rimane incompleto. Consiglio a tutti di affrontare con serietà ilmomento della tesi e a concederle il tempo che si merita, perché è un passaggio fondamentale della carriera universitaria e costituisce una sorta di ponte tra università e mondo del lavoro.
Nome: Gabriele Restuccia Cosa studio: Ingegneria Meccanica Dove sono ora: Milano Struttura: Politecnico di Milano Durata: La durata dipende dalla quantità di tempo che chi partecipa al progetto è disponibile a dare.
MOTOSTUDENT Scopo del progetto: Motostudent è un progetto organizzato dal Politecnico che consiste nel costruire una moto di cilindrata 250cc che gareggerà contro altre università nel circuito di Aragon. L’organizzazione fornisce motore, cerchioni e pinze dei freni, mentre il resto della moto viene progettato dagli studenti. Sono una persona appassionata fino al midollo di tutto ciò che riguarda i motori e la Motostudent è per me occasione di unire questa passione con lo studio di ingegneria meccanica. Dovendo progettare insieme ad altri studenti una motocicletta da zero, si ha modo di imparare l’applicazione di tutto quello che si studia e anche di più. I compiti vengono divisi in base alle conoscenze della persona o a quello che le piacerebbe imparare. Io sono nella sezione powertrain che tratta tutto ciò che riguarda il motore e attualmente sto riprogettando il corpo farfallato. In generale mi occupo della modellazione cad dei componenti che servono per la motocicletta: questo compito mi sta davvero piacendo e sto sempre di più scoprendo come mi entusiasmi molto tutto ciò che sta dietro alla progettazione, come la scelta dei materiali, dei componenti e il tenere conto delle geometrie. Questo mi permette infatti di avere uno sguardo molto pratico e tecnico su tutto ciò di cui mi occupo. Un altro fattore fondamentale è che si può imparare molto dagli altri, che spesso riconosco sapere molte più cose di me in campo ingegneristico e motociclistico. Questa per me è un’occasione fondamentale che il Politecnico mette a disposizione per crescere a livello formativo e non solo.
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Nome: Luca Ermolli Cosa studio: Space Engineering Dove sono ora: Pasadena (Los Angeles), California, USA Struttura: Jet Propulsion Laboratory (laboratorio affiliato alla NASA in cui vengono pensate, prodotte e poi controllate, una volta operative, alcune missioni) Durata: 6 mesi (da settembre a marzo)
TESI MAGISTRALE DI AEROSPAZIALE Scopo del progetto: Studiare un paracadute manovrabile (come i parapendii sportivi) per far atterrare un lander sulla superficie di Titano. Una delle sfide che stiamo affrontando è la planata in ambiente ventoso: per questo motivo stiamo cercando di ottenere la maggior controllabilità possibile per scegliere liberamente il sito di atterraggio e raggiungerlo poi in sicurezza. L’opportunità che mi si è presentata davanti è enorme. Stare a contatto con ingegneri, fisici e scienziati che lavorano su missioni vere mi fa crescere dal punto di vista professionale. Vedere con che cura, sistematicità e passione lavorano alcune persone è interessante e mi fa appassionare molto a quello che sto studiando. Il rapporto con il mio supervisor è molto stimolante: lui continua a spronarmi nel lavoro dicendo che sono io a capo del progetto, che lui è al mio fianco solo per qualche dritta e consulenza tecnica e che alla fine dovrò spiegargli il mio lavoro perché sarò diventato “l’esperto dei paracaduti del dipartimento di robotica”. Questo è da un lato interessante e dall’altro mi spaventa un po’, spero di diventare effettivamente l’esperto dei paracaduti nel giro di qualche mese; ad ora ho ancora molto bisogno delle sue dritte sul lavoro da fare, anche se vedo che inizio ad essere più autonomo.Una delle scoperte più belle di questo primo periodo di lavoro è che quasi tutto quello che ho studiato in questi anni e che, alle volte, mi è sembrato arido, astratto, inutile dal punto di vista pratico, viene invece usato nel lavoro. È stupefacente vedere come, nonostante un minimo di studio necessario per entrare in confidenza con l’argomento specifico della ricerca, l’università mi abbia fornito gli strumenti e la forma mentis per affrontare e tentativamente risolvere un problema ingegneristico. L’ambiente di lavoro è altamente internazionale, così come lo sono gli Stati Uniti in generale. Entrare in contatto con persone di cultura diversa dalla propria aiuta a rendersi conto del valore dell’educazione ricevuta e della propria cultura. L’Italia è proprio un bel paese, ma c’è sempre qualcosa da imparare dagli altri.
Nomi: Josè Limbert, Enrico Comentale, Giorgio Bonadei Cosa studiamo: Design del prodotto industriale( Jose, Enrico) Design degli Interni (Giorgio) Dove siamo ora: Milano Struttura: Politecnico di Milano Durata: 4 mesi (da marzo a giugno)
DEMOCRATIC DESIGN CHALLENGE ‘17 Scopo del progetto: progettare per IKEA un prodotto adatto ai millennials, giovani tra i 20 e i 35 anni che vivono in piccoli appartamenti di grandi città. Il concorso è stato lanciato a marzo di quest’anno in occasione del fuorisalone, e dava la possibilità ai vincitori di partecipare al Democratic Design Day nella loro sede in Svezia, svoltasi il 6 giugno. Timorosi, visto il poco tempo, ma desiderosi di cimentarci in un’occasione così grande nel mondo del design, appena arrivato il bando, ci siamo lanciati nell’impresa di disegnare un prodotto che rispettasse il concetto di design democratico. Si tratta della filosofia aziendale di IKEA, che può essere riassunta in cinque caratteristiche: forma, funzione, qualità, sostenibilità e prezzo. Partendo da questo abbiamo pensato ad una libreria multifunzionale realizzata con corde sulle quali appoggiare e appendere i propri oggetti, che può essere utilizzata anche per separare gli ambienti. Nonostante fosse il nostro primo concorso, IKEA ha deciso di premiarci, ritenendo il nostro progetto in grado di interpretare al meglio la sfida lanciata: davvero una grande soddisfazione, che ci ha dato la possibilità di partire per Almhult, in visita alla loro sede. L’esperienza in Svezia è stata molto stimolante e ci ha permesso di vedere realizzato il prototipo della nostra libreria, di conoscere i designers dell’azienda e partecipare ad un evento decisamente interessante, in cui sono state presentate tutte le prossime novità di IKEA, attraverso incontri ed esposizioni, al quale hanno partecipato giornalisti e designers provenienti da tutto il mondo.
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L’INDIPENDENTISMO
ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ: DALLA CATALOGNA ALLA SCOZIA PER CAPIRE COSA MUOVE UN POPOLO A cura di Michele Bellotti (Automazione LM), Carlos Alfaro (Informatica LM) e Lorenzo Ticozzi (Aereospaziale LM)
Da anni ormai si osserva attraverso tutta Europa una forte spinta secessionista in azione, di cui l’ultima e più rilevante espressione è stata il referendum in Catalogna. Vedere la polizia in assetto anti-sommossa sgomberare dei seggi in un paese che è così vicino e culturalmente simile al nostro ci ha profondamente turbati, tanto da portarci a chiederci da cosa possa nascere un così forte sentimento di indipendenza nelle persone, così radicato da convincere uomini e donne di tutte le età ad uscire di casa, consapevoli di rischiare di prendersi una manganellata. E dall’altra parte cosa può giustificare una repressione così violenta da parte di un governo centrale. Quello che ci interessa, senza andare ad indagare il particolare movente politico di ognuna delle fazioni implicate, è approfondire come e da dove nasca questo desiderio di cambiare lo stato delle cose.
LE RADICI DELLA PARTICOLARITÀ CATALANA La Catalogna è sempre stata una regione particolare, in cui la lingua e la ricchezza della sua tradizione hanno giocato un ruolo fondamentale per definire l’identità dei suoi abitanti. Nella storia della Spagna si possono osservare diversi periodi in cui la suddetta regione ha goduto di una forte autonomia in materia legislativa ed economica, come nel caso del periodo di governo degli Asburgo, quando i diversi regni che componevano il territorio peninsulare avevano il proprio modello di stato, e invece altri periodi di minore autonomia, come dopo l’arrivo della dinastia Borbone, la cui filosofia di governo era molto più centralista. In particolare la dittatura franchista dello scorso secolo ha impedito fortemente lo sviluppo e la diffusione della cultura catalana, dato che fra le altre cose era vietato l’utilizzo della lingua catalana al di fuori di ambiti privati. Nella Transizione Democratica spagnola si è vista risorgere l’identità catalana con tutta la sua potenza: nella Costituzione Spagnola del 1978 si riconosce il catalano come lingua co-ufficiale della regione e si definisce lo Stato spagnolo come un insieme di Comunità Autonome che hanno ampie competenze educative, sanitarie e finanziarie.
LA STRADA VERSO IL REFERENDUM Questa decentralizzazione del potere non solo ha permesso ai catalani di recuperare con vigore le loro tradizioni, ma ha anche incoraggiato lo sviluppo di ideologie nazionaliste che hanno trovato modo di diffondersi nell’educazione e attraverso i media. Grazie ad esse si è creata nella mentalità dei catalani una visione parziale della storia; una delle convinzioni più diffuse nella regione è che l’industria catalana si sia sviluppata esclusivamente grazie ai meriti della ‘mentalidad menestral’, ovvero grazie allo spirito d’impresa regionale. Questa visione però non tiene conto dei finanziamenti con cui lo stato centrale ha incoraggiato in diversi periodi storici lo sviluppo industriale della ‘Comunidad Autonoma’, al contrario di quanto sostengono gli indipendentisti catalani, che hanno addirittura adottato la frase ‘Espanya ens roba’ (la Spagna ci deruba) come slogan della propaganda nazionalista catalana. Un’ aggravante è stata poi la mancanza di politiche conciliatrici da parte del governo centrale che ha sempre negato categoricamente ai catalani il diritto di iniziare un processo politico di indipendenza, non previsto dalla Costituzione né dal loro Statuto di Autonomia. Si è così sviluppato un desiderio di indipendenza che ha sorprendentemente unito forze politiche di segno opposto all’interno del Parlamento catalano. Questa maggioranza trasversale ha dato vita al processo vero e proprio di distaccamento dalla Spagna, varando delle leggi a tale scopo che come estrema conseguenza hanno portato alla proclamazione del referendum del 1 Ottobre. Tali leggi sono state approvate nonostante fossero in conflitto con l’ordinamento costituzionale e statutario, e senza seguire un vero iter legislativo. A fronte di quanto succedeva in Catalogna i tribunali spagnoli hanno deciso di inviare le forze dell’ordine per ripristinare la legalità e impedire lo svolgimento di una consultazione a tutti gli effetti illecita.
IL CASO SCOZZESE La regione che ha fatto in questi anni il percorso più simile alla Catalogna è stata la Scozia. Infatti anche in questo caso la richiesta di indipendenza affonda le sue radici nella storia di due popoli con differenze culturali,anche se ormai appianate
da secoli di appartenenza al Regno Unito. I movimenti indipendentisti scozzesi sono arrivati ad accrescere i loro consensi dall’inizio del millennio, fino a quando nel 2011, lo Scottish National Party, ha raggiunto la maggioranza nel parlamento Scozzese, ed il risultato elettorale ha permesso di intavolare con Londra una trattativa sul punto chiave del loro programma elettorale: un grande referendum sull’indipendenza scozzese. Già in questo punto di partenza si vede la differenza di approccio da entrambe le parti, che fin da subito invece che cercare di imporre le proprie ragioni con tutti i mezzi politici hanno iniziato a dialogare. In particolare il primo ministro del regno unito David Cameron ha avuto l’intelligenza di non sedare le spinte indipendentiste rifacendosi alla legge, ma ha fornito temporaneamente i poteri del governo centrale al parlamento scozzese, a patto che si facesse una seria campagna elettorale presentando tutte le implicazioni di una vittoria del sì. in particolare con la stesura di “Scotland’s Future” gli indipendentisti hanno chiarito ai cittadini tutto quello che sarebbe accaduto in una Scozia indipendente, ma che sarebbe comunque rimasta nel Commonwealth. Con questi presupposti il referendum è stata una grandissima vittoria per la democrazia, finalmente un popolo ha potuto votare consapevolmente, con affluenze superiori al 90%, un tema così caldo. Il risultato è stato che all’indomani del voto la vittoria del no non fu un errore drammatico, a cui rispondere con cortei di protesta, ma un esito accettato da tutta la popolazione.
LA SFIDA DEI PROSSIMI ANNI Davanti ai fatti che abbiamo raccontato sembra che si corra sempre il rischio che ognuna delle parti in causa faccia prevalere una propria idea di quello che sarebbe giusto, piuttosto che favorire un confronto leale con la realtà che si ha davanti. Nel caso spagnolo la soluzione desiderata dagli indipendentisti non tiene conto di un legame che dura da secoli, e che non potrà essere cancellato da una dichiarazione di indipendenza; d’altra parte la repressione centrale non considera il bisogno del popolo di riaffermare la propria identità né sembra preoccuparsi su cosa generi questa insoddisfazione. Alla base di questa lotta, oltre a importanti fattori storico-politici, sono in
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gioco ragioni più profonde, che hanno origine nella percezione di un vuoto e una tristezza che, in maniera celata, pervadono l’Europa e emergono quando crollano i surrogati di felicità che vengono oggi proposti nel mondo occidentale. Ecco allora che movimenti che erano quasi dati per morti all’inizio del millennio, sono
tornati in auge, arrivando ad ottenere consensi tali da poter far sentire la propria voce in qualsiasi paese, sfilacciando ancora di più un tessuto sociale già indebolito da anni di nichilismo. L’uomo infatti desidera cambiare per raggiungere un bene e una libertà che siano definitivi e completi, spesso identificando questo obiettivo con
una particolare forma di governo o con lo stringersi attorno ad una precisa idea politica. Il cambiamento vero parte da una diversa coscienza di sé e dell’altro, non più nascondendosi dietro degli slogan, ma accorgendosi che, in ultima analisi, nel dialogo il desiderio di bene è condiviso da tutte le parti in gioco.
NORD IRLANDA E PAESI BASCHI:
CATALOGNA: situazione in continuo di-
GALIZIA: ragioni linguistico-culturali alla
NORD ITALIA: grandi differenze econo-
BAVIERA: lievi differenze culturali-religiose
movimenti terroristici per l’indipendenza, dopo anni di lotta si sono fermati gli attentati ma l’indipendentismo è ancora molto forte. miche dal resto del paese, differenze culturali ormai inesistenti fatto salvo il südtirol
SCOZIA: chiusura della pagina indipenden-
venire, movimenti indipendentisti controllati con la forza ed il carcere dopo la consultazione di ottobre. dal resto della Germania, ma la maggior leva é quella economica nonostante una differenza meno marcata rispetto l’Italia.
tista tramite il referendum del 2014
base della richiesta di indipendenza
DONBASS E CRIMEA: separatesi
dall’Ucraina con una guerra civile supportata dalla Russia. Al momento formalmente indipendenti ma sotto il controllo di Mosca. L’ucraina tuttavia ne rivendica l’appartenenza. In Crimea si è anche votato in un referendum illegittimo con esito a favore dell’annessione alla Russia.
SCOZIA NORD IRLANDA
DONBASS BAVIERA
CRIMEA
NORD ITALIA PAESI BASCHI
GALIZIA
CATALOGNA
MOTIVI CULTURALI
MOTIVI ECONOMICI
MOTIVI POLITICI
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REFERENDUM
UNA POSSIBILITÀ PER TUTTI A cura di Giovanni Castelli Dezza (Aerospaziale LT) ed Elisabetta Mambelli (Biomedica LM)
Il 22 ottobre 2017 si è svolto il referendum consultivo per l’autonomia di Lombardia e Veneto. Abbiamo invitato per l’occasione due ricercatrici in diritto costituzionale, Giada e Benedetta, le quali con molta semplicità hanno cercato di inquadrare le tematiche principali.Vi riportiamo come l’hanno vissuta gli organizzatori:
GIOVANNI Sono uno studente di Ingegneria Aerospaziale ed essendo milanese il referendum mi ha riguardato in prima persona. Fin da quando ho scoperto che avrei dovuto votare mi sono accorto di non sapere pressoché nulla sull’argomento. Tutto ciò mi infastidiva, ma poi ho notato che alcuni miei amici erano decisamente più coinvolti dalla questione tanto da invitarmi ad una cena per discutere delle tematiche che il referendum proponeva. A questa cena erano presenti alcuni studenti dell’università statale che, mossi da curiosità, si erano interessati sui punti cardine, sulle proposte e su cosa questa consultazione popolare portava con sè. Rapportandomi con loro e confrontandomi serenamente, ho costruito un’idea
molto più precisa e chiara su tutta questa circostanza. Da questo assaggio è nata l’idea che sarebbe potuto essere interessante fare un incontro qui al Politecnico, ho pensato di adoperarmi per organizzarlo e consentire a tutti di poter partecipare così da informarsi su temi che li toccavano prima come persone e solo dopo come cittadini. Lo scopo era di portare a conoscenza chiunque fosse interessato sui contenuti, i possibili benefici e le controindicazioni che questa mozione, proposta dai governatori di Lombardia e Veneto, portava in seno, cercando di trasmettere un’opinione pulita, non faziosa e quanto più possibile oggettiva. La cosa che più mi ha colpito è stato il fatto che la possibile attivazione della legge sull’autonomia, da me sempre vista come un’azione egocentrica da parte di Lombardia e Veneto, in realtà potrebbe portare tutte le altre regioni d’Italia a valorizzare i propri patrimoni artistici, economici, sociali e culturali, per poter creare nuove ambizioni e nuove possibilità sottraendosi così dal sempre scontato giudizio popolare, che vede il “fare” solo al Nord. Mi è sembrata una buona occasione fare un incontro del genere, in un luogo come il Politecnico, in cui ogni interesse può essere valorizzato.
ELISABETTA Io sono qua a Milano per studiare al Politecnico Ingegneria Biomedica. Premetto che sono bolognese e quindi il Referendum non mi coinvolgeva direttamente. Di conseguenza non sapevo esattamente di cosa trattasse e che sviluppi potesse avere, se non da qualche opinione letta qua e là. Sta di fatto che, frequentando perlopiù studenti milanesi, in generale “lombardo-veneti”, mi sono trovata inevitabilmente a parlare e a discutere con loro. Dopo un confronto in particolare, mi sono parecchio innervosita, non tanto per l’argomento in sè, ma perchè avevo notato che io in primis non mi ero realmente informata e interessata sull’argomento e che quindi una vera opinione al riguardo non potevo averla. In più avevo intuito, dalle varie chiacchiere, che il Referendum, seppur riguardante solo la Lombardia e il Veneto, andava ad intaccare scenari molto più ampi, su tutta la situazione italiana, con le sue problematiche e possibili soluzioni annesse. E quindi era di interesse comune, per tutti, nessuno escluso. Partendo da questi due punti, è stato molto semplice cercare di capirci qualcosa. Per cui una sera, in cui era presente anche Giovanni, ci siamo proposti di organizzare un incontro aperto a quelli che, come noi, volevano approfondire l’argomento. Al netto di questa esperienza, è capitata una cosa che non succede mai, il fatto che io cambi opinione. Infatti inizialmente ero molto critica sull’argomento, non capendo concretamente quale fosse la necessità di fare questo Referendum.Così, parlando e cercando pareri diversi ma motivati, ho capito i perchè cardine della situazione inquadrandoli così più nitidamente, con un’opinione diversa da quella iniziale, più precisa e informata.
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WORK IN PROGRESS
I RAGAZZI DI LISTA APERTA SONO AL LAVORO! A cura del Team di Lista Aperta
Vi raccontiamo in questa pagina i punti su cui sta lavorando il nostro team di rappresentanza, in carica da maggio 2017, riportando anche alcuni degli obiettivi raggiunti in questi mesi.
#DOING Sovrapposizione appelli
Nel mese di Novembre, in collaborazione coi rappresentanti degli studenti in CCS, abbiamo raccolto tutte le segnalazioni di appelli sovrapposti o troppo vicini nella sessione di Febbraio per riportarli alla Segreteria, che si sta muovendo per rimediare alle situazioni più problematiche per gli studenti.
Laboratori
Al fine di migliorare la condizione dei nostri laboratori didattici, stiamo cercando innanzitutto di ottenere una panoramica quanto più dettagliata sulle criticità presenti e sui possibili interventi migliorativi. Per fare questo, a livello di CCS abbiamo chiesto aiuto ai professori interessati e, una volta ottenuti tutti i contributi, definiremo una possibile soluzione alle problematiche e inizieremo un lavoro concreto.
Erasmus
Per la Scuola di Ingegneria Industriale e dell’Informazione è stato ultimamente evidenziato il basso numero di studenti che partono per un progetto di mobilità internazionale. È stato quindi deciso di istituire un tavolo di docenti e studenti che analizzi questa problematica e ne studi soluzioni. La nostra proposta è una sorta di “Tripadvisor Erasmus”, ovvero un portale in cui ogni studente dopo un’esperienza Erasmus possa dare consigli didattici o survival tips and tricks a chiunque altro sia interessato alla stessa meta universitaria.
Spazi
Partendo dal nostro desiderio di vivere l’università a pieno, stiamo lavorando per ottenere nuovi spazi studio e migliorare quelli esistenti. Sapendo per esempio dell’imminente chiusura - causa lavori - delle aule 24h nell’edificio 11 del Campus Bonardi, abbiamo deciso insieme alle altre liste di richiedere che l’edificio 14 aumenti gli orari di apertura e li estenda anche al weekend. Non dimentichiamo infine il progetto ViviPolimi, che
si sta avviando e che prevede, nell’arco di qualche anno, di aumentare di gran lunga i posti studio oltre che la vivibilità generale.
App Polimi
In collaborazione con le altre liste, ci stiamo muovendo per cercare di migliorare l’App Polimi in modo da renderla più funzionale, oltre che innovarla dal punto di vista grafico. Si vogliono perfezionare le funzioni che già contiene ed introdurne di nuove, come la possibilità di iscriversi agli esami o di prenotare uno sportello in segreteria. Trattandosi di uno strumento della nostra università, ci piacerebbe che l’App potesse essere sviluppata dagli stessi studenti del Poli, ingegneri informatici e designers in primis. Al fine di concretizzare queste proposte, stiamo discutendo con chi di dovere per valutare le modalità e la fattibilità del progetto.
#DONE Convenzioni
Negli ultimi mesi abbiamo chiesto che venisse stipulata una convenzione per l’acquisto di computer da parte degli studenti. Per avere questi sconti occorre accedere ad un portale, sul quale si possono trovare tutte le offerte, che si aggiornano sulla base delle richieste degli studenti.
Nuovi servizi di ristorazione
Sei stufo degli alti prezzi delle mense per una bassa qualità? Grazie ad un lavoro in continuità con i nostri precedenti rappresentanti siamo riusciti ad ottenere finalmente importanti novità: da gennaio 2018 si abbasseranno i prezzi, saranno ampliati gli orari di apertura e l’offerta di cibi e saranno introdotti i menù/tesserine che offrono un pasto gratuito ogni 10 acquistati.Godranno di queste incredibili novità il Self Service di Campus Leonardo, di via Golgi, della Casa dello Studente, del Campus La Masa e il Bar al Giuriati.
Polizza assicurativa per i furti
Nell’ultimo periodo, purtroppo, i furti di cellulari, zaini e computer sono esponenzialmente aumentati. In modo da risolve-
re, o quantomeno limitare, questo grave problema, siamo riusciti ad introdurre una polizza assicurativa che risarcisca gli studenti in caso di furti. Per le modalità precise con cui verrà attuato questo importante provvedimento bisognerà attendere gli ultimi giorni di dicembre. Per l’a.a. 2017/2018 si pagheranno circa 13 euro con la seconda rata perché l’offerta della polizza partirà a gennaio 2018; a regime si pagherà insieme alla prima rata. Ci auguriamo, comunque, che vengano prese ulteriori misure da parte del Politecnico per garantire la sicurezza dei propri studenti.
Idonei = Assegnatari
Anche per l’a.a. 2017/2018 è stato approvato, sotto insistente richiesta dei nostri rappresentanti, che le borse DSU vengano effettivamente concesse a TUTTI gli studenti idonei. Riteniamo che questo provvedimento sia fondamentale ed abbiamo intrapreso un lavoro con Regione Lombardia poiché i finanziamenti stanziati per le borse DSU sono inferiori al fabbisogno; per questo il Politecnico fornirà 5.800.000 euro affinché tutti gli idonei siano assegnatari.
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LA SOMMOSSA DELL’ARTE MILANESE PREFIGURAZIONE DELLA RIVOLUZIONE ROMANA DEL CARAVAGGIO A cura di Matteo Braghin (Architettura LT)
La mostra Dentro Caravaggio, di indubbia importanza e accuratezza scientifica, ricalca un risaputo format culturale. Questo prevede la riduzione di esposizioni artistiche in eventi mondani, che si svolgono al chiuso delle stanze di Palazzo Reale senza trovare sinergie con il ricco tessuto urbano milanese. Il rischio è quello di emarginare gli artisti dalla concretezza della storia e dei luoghi: un aspetto, quello della connessione tra mostra e città, che diventa determinate soprattutto se il protagonista indiscusso dell’esposizione è Caravaggio e il contesto riguarda Milano. La rassegna si basa su due percorsi: la ricerca documentaria e le indagini diagnostiche che hanno condotto a una rivisitazione cronologica dei dipinti e confermato l’importanza della formazione milanese di Caravaggio. La mostra ripercorre molte recenti scoperte: il certificato di battesimo, la conferma della città natale, la pratica del disegno nelle prime opere romane, ecc. Queste novità confermano la loro incidenza nell’arte del Caravaggio, grazie ai continui riferimenti a dipinti lombardi presenti nelle sue opere. Citazioni che testimoniano uno stretto legame artistico e affettivo di Caravaggio con il territorio lombardo. A Milano infatti l’artista trascorre 20 anni della sua vita, rispetto a un’esistenza breve, che vede la sua scomparsa a soli 39 anni. Roberto Longhi aveva già intuito l’incisività della formazione lombarda sul Merisi. Il critico sottolineava come la pregressa ed effettiva comprensione del forte nesso tra Caravaggio e la pittura lombarda fosse indispensabile per capire, nella sua interezza, la rivoluzionaria novità artistica sperimentata a Roma dal giovane artista. Il rischio che si corre in questa mostra-evento è quello di ridurre il Merisi a un genio-folle e di considerarlo come un fenomeno fuori dal tempo e dallo spazio. Invece, la genialità di quest’artista sta proprio nella sua piena comprensione del contesto ¹ ² Roberto Longhi, "Da Cimabue a Morandi" Meridiani Mondadori (1982)
storico e artistico, a lui coevo. È infatti colui che ha espresso al meglio tutti i fattori e le contraddizioni che costituivano la società del suo periodo, in una modalità acuta e qualitativamente perfetta, ma che ha trovato nell’arte lombarda di fine Cinquecento il suo punto di partenza. Longhi stesso invitava a ripercorre quel dedalo di vie che circondano Palazzo Reale. “Strade di Lombardia” o meglio di Milano, che vanno da San Babila (in cui abitava la famiglia Merisi) fino a S. Maria presso S. Celso (dove un dipinto anticipa la Conversione di Paolo del Caravaggio); passando da S. Stefano (luogo in cui è stato battezzato), dalla chiesa di S. Antonio Abate (struggente sintesi di antecedenti e seguaci del Caravaggio), dalla basilica di S. Nazaro oppure da S. Paolo Converso. Ricordiamo che il giovane Merisi deve essersi imbattuto anche nelle chiese di S. Angelo, S. Fedele, S. Raffaele, S. Marco e S. Maurizio, spingendosi fino alla Certosa di Garegnano. Facendo così raccoglieremmo «un piccolo “museo immaginario” simile a quello che fu negli occhi del Caravaggio ragazzo¹»; che non può concludersi senza prima aver visitato l’Ambrosiana e Brera, in cui sono conservate la Canestra e la Cena in Emmaus. Tra i documenti esposti, uno riguarda il trasferimento di Merisi a Roma e riporta una singolare osservazione: «Questo pittore […] al parlare tengo sia milanese. Mettete lombardo, per che lui parla alla lombarda». Caravaggio è stato un genio incompreso, perché, nella Roma del Seicento, risultava incomprensibile proprio la sua lingua lombarda, non solo intesa come inflessione dialettale, ma soprattutto come linguaggio pittorico. L’affascinante operazione di Longhi ha ridato nuovo rilievo a Caravaggio, proprio alla luce del suo rapporto con la tradizione pittorica lombarda. La sua connessione con le origini è confermata, in chiave sempre più rilevante: tra le chiese e nelle cappelle del centro possiamo ancora ritrovare
tutti quei protagonisti che, proprio negli anni in cui Caravaggio studiava, cercavano «di campeggiare una piccola sommossa di sapore naturalistico²» che il Merisi farà sua e tramuterà in una rivoluzione tra le strade e le piazze romane. Isolando Caravaggio in alcune stanze si rischia di non comprendere l’artista nella sua complessa totalità, accontentandosi di quell’etichetta di genio, senza comprendere le ragioni del suo innovativo linguaggio artistico. Relegare Caravaggio comporta anche l’emarginazione di decine di chiese ancora intatte; le quali conservano affreschi e pale che il Merisi aveva studiato, così tanto, da citarle a memoria ad anni di distanza. Non si tratta di mero marketing ma di chiese e cappelle destinate all’oblio: queste non presentano code chilometriche, non vantano centinaia di migliaia di turisti e non richiedono un biglietto all’ingresso, ma senza di esse Michelangelo Merisi non sarebbe Il Caravaggio.
" La genialità di quest’artista sta proprio nella sua piena comprensione del contesto storico e artistico, a lui coevo "
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POLIPO • tentacoli di giudizio
LO SGUARDO DI LAUTREC
QUANDO IL PROTAGONISTA STA IN SECONDO PIANO
A cura di Giulia Mecca (Biomedica LT)
Di primo impatto, ci si ritrova circondati da foto. Vi si scorge dentro un uomo, piccolo, affetto da una malattia genetica che lo costrinse nano tutta una vita. È questo il primo punto di prospettiva che bisogna tenere a mente. Un uomo, nobile e ricco, ambizioso, costretto a vedere il mondo dal basso, con dentro di sé un bruciante, insopportabile desiderio di essere amato. Stavo davanti a quelle foto fissando quello sguardo insolente, quasi beffardo, a cui piacevano donne rosse o bionde, teste dai colori forti come quegli occhietti scuri. Un uomo che tutta la vita si considerò da sé un fenomeno da baraccone, che amava raffigurarsi come una pallina con una testa baffuta, e niente più di questo. O forse fu proprio questo il suo punto di forza, un mondo dal basso, che nessuno ave-
" Amava cogliere l’essenza, e non ogni linea. "
va mai considerato degno di una tela, e che invece si rivelò l’innovazione grafica della Parigi di quel tempo. Andando avanti, un autoritratto spoglio nell’angolo della stanza, quasi dipinto di fretta, e poi, più in là, oltre, nelle altre stanze, un mare di litografie, di disegni e olii su tela spogli, linee semplici, essenziali, così armoniche, vere, da lasciare senza fiato. Amava cogliere l’essenza, e non ogni linea. Non gli importava di essere preciso o canonico,no , gli importava di essere vero, di mostrare l’altro per come era, e non per come appariva. Queste schiene di donna che mi ritrovavo davanti erano ogni volta eleganti, altere, perfette; i volti delle attrici che ritraeva non erano solo volti, ma il loro stesso carattere, la loro stessa anima. A tal punto che ci fu anche chi scandalizzata gli disse che in quel ritratto non si trovava affatto bella. Raccoglieva l’essere altrui in una manciata di curve, in massimo due o tre colori, oltre al bianco e al nero, che appartenessero così tanto all’altro da lasciarlo impresso nella tela nella sua totalità interiore. Lo stesso sguardo lo aveva nei
manifesti pubblicitari a lui commissionati. Ritrovatami nella stanza dedicata ad essi, mi colpì subito quello per una ballerina. La scena era dominata da questa figura bionda danzante sul palco, quasi stilizzata, ma imponente, piena, eppure mi accorsi che in basso a sinistra si scorgeva chiaramente uno spartito schizzato lì in due righe e a destra il manico di un contrabbasso. Insomma, in tre linee il passante era improvvisamente diventato protagonista del manifesto, e spiava in secondo piano quella ballerina fluttuante, leggiadra. Lautrec innalzava i passanti non a spettatori, ma a protagonisti delle sue opere, a volte anche in modo molto spinto. Ogni sua opera si può dire timida e allo stesso tempo irriverente, come il suo artefice. Un punto di vista decisamente interessante che, in tutta onestà, consiglio vivamente di andare a sbirciare, perché di scoprire come Lautrec fu uomo del suo tempo, dalla suagenialità per la grafica pubblicitaria, ai suoi ritratti a tutto tondo, ai suoi ritratti rubati alle donne tando desiderate, vi dirò, ne vale davvero la pena.
16 • Dicembre 2017 • Anno XI
POLIPO • tentacoli di giudizio
COFFEE BREAK A cura di Davide Grasso (Ingegneria Elettronica LT)
Ed eccola qui. L’ultima pagina. Se siete arrivati fin qui o avete semplicemente girato il giornale con la brama di leggere chissà quali baggianate, beh, mi spiace deludervi, ma non troverete granchè. Non so neanche delle barzellette con cui intrattenervi, tipo quella del “un tipo va a studiare al Poli e… niente rimane lì a studiare”. Ecco, meglio cambiare genere. Perchè invece non provare ad avere una visione d’insieme di tutto quello che sta succedendo, di tutto quello con cui ogni giorno ci scontriamo e delle tante problematiche che ci affliggono? Ecco allora le soft skills che ci consentirebbero di diventare studenti attivi, intraprendenti e sempre sorridenti.
1.
Resilienza: Il calendario accademico è cambiato. Al di là di tutte le questioni di appelli e tasse eccetera eccetera in saecula saeculorum amen, riusciremo a reggere una sessione lunga due mesi? Riusciremo a fare più crediti dei punti del Benevento? Relax: take it easy. A Natale abbuffatevi pure, coccolatevi e non angosciatevi se vi hanno fissato tre appelli in tre giorni. Non ce la farebbe neanche Fabio Aru al Tour de France. Il segreto è essere immortali, ripresentarsi sempre alla prossima tornata. Prendete esempio da Berlusconi.
2.
Nullatenenza: I furti sono ormai all’ordine del giorno nei nostri campus e una domanda sorge spontanea: e tu, cos’hai di più
POLIPOROSCOPO
“Sono uscito stasera e non ho letto l’oroscopo” cit. #bravoscemo
caro? Tenetevi stretto ciò a cui tenete, non fidatevi di nessuno, neanche dell’amica che vi tiene la porta della toilette con fedeltà dalla terza elementare. Basta un attimo, un istante, un “ma si dai, non c’è bisogno di Insigne, basta De Rossi che ai mondiali ci andiamo lo stesso”. Il resto è storia. Ah, per chi ce l’avesse, tenetevi stretta anche la morosa, che già al Poli si fa fatica.
3.
Intraprendenza: I luoghi per studiare sono sempre gli stessi ma sembra che la gente si moltiplichi. Perchè non cogliere la palla al balzo e rimpolpare il basso numero di studenti outgoing in Erasmus? E se siete del gentil sesso invece, potete cavalcare l’onda dei contest ed esporre validi argomenti per far sì che l’ingegnere di turno vi ceda il posto con particolari ossequi. Neanche questo vi convince? Peccato, vorrà dire che non c’è via di scampo, che l’ultima parola ce l’ha il destino. “Per aspera ad astra” dicevano i Latini: meglio dedicarsi all’oroscopo allora.
lecartomantisegrete©
Vorresti una OFO, ma invece avrai solo OFA. Con una magistrale così, l’inglese può accompagnare solo. #wellbutnotwellissimo
Toro
Leone
Ti aspettano fama, soldi, CFU, una vita piena di soddisfazioni e successi. A patto che tu sia figlio dei Ferragnez. #tilaureisenzapagare
“Mamma mamma, vorrei un’università diversa dal solito, decisamente invitante, che possa coniugare la mia voglia di laurea e CFU.” Tesoro, possa un asteroide colpirti se esiste un Poli così. #buondìuncazzo
Vergine
Gemelli
Bilancia
Cancro
Scorpione
Non andrai a dormire prima delle tre, poi ti svegli e ti chiedi il tuo esame quand’è. Oggi. Dai, vai a farti una birra con Pesci, così lui smette di mangiare e tu di disperarti. #uuhhappydays Dal prossimo semestre seguirai tutte le lezioni, studierai giorno per giorno e passerai tutti gli esami. E se fai il bravo, la mamma ti comprerà anche le focaccine dell’Esselunga. #certocertocertocerto
SEGUICI SU
Le stelle ricordano: chi non si laurea a Capodanno, non si laurea tutto l’anno. Batti le mani, schiocca le dita, e per la laurea, la prossima vita. #allIwantforChristmasisCFU Sulla maglietta c’hai scritto “Since 1863”, ma avranno già chiuso la biblio quando dirai vado a casa. Non serve fare tutto il Boella, avrai comunque un po’ di iella. #elpartyestacaliente #lamediaestacalante “Scusa se non parlo abbastanza, ma ho una scuola di danza nello stomaco.” Se non vuoi che sia la tua risposta al tuo prossimo orale, datti da fare. #lalaureanonc’è
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Sagittario
“Dentro al Poli, dentro al Poli, in sessione, in sessione quasi quasi ti penti e non lo passi più, non lo passi più.” Canta che ti passa, è l’unica cosa che ti rimane da fare. #biblioisthenewriccione
Capricorno
Gli astri ti sorridono, la biondina in prima fila un po’ meno. E spottarla non migliorerà le cose. #sconosciutiperlavita
Acquario
Saranno giornate dure, fratello. Leggi qua: “Quando hai sete di gioia, di gusto, di laurea, oppure quando hai sete e basta: bevi Aquarius!” Peccato che Aquarius non sia più in commercio dal 2008. E se non hai capito #machenesannoi2000
Pesci
Il Natale è alle porte, ma tu non ci passi. Figurati dopo! Continua così, le stelle dicono: “Meglio grassi che maiunagioia.” Che dici, birretta? #vabbèmangiamo
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Iniziativa realizzata con il contributo del Politecnico di Milano
Ariete