Raccolta articoli 2018

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un’agonia terribile, senza uno sventolio di entusiasmo, senza un momento di bellezza eroica: era rimasta affondata nella vecchia concezione della “bella morte” e dell’atto eroico. Quando i fanti scesero dalle trincee per la prima licenza invernale, nessuno quasi si accorse di quegli uomini seri, sudici, logori, che passavano in silenzio senza sventolare bandiere e cantare inni di guerra. Lo spettacolo di quelle interminabili tradotte piene di popolo sbrindellato e grave, faceva pena e noia. Quei soldati avevano l’aria di uscire da una prigione. Non dovevano avere molto coraggio, pensavano i pacifici borghesi, se la guerra li aveva ridotti in quel pietoso stato di abbattimento. La guerra, invece, nell’immaginazione di quelli che erano rimasti lontani dalle trincee, era sempre la bella lotta in campo aperto, nel sole, con le bandiere spiegate e i colonnelli a cavallo alla testa dei reggimenti bene allineati e ben vestiti, con zaino e scarpe nuove. E sole e sole e sole. E la gioia di morire per l’Italia bella, giardino del mondo, madre di civiltà, imitando le gesta degli antichi romani e dei nostri eroi del risorgimento! E i morti col sorriso sulle labbra, pietosamente raccolti sul campo dalle dame della Croce Rossa, sorelle buone tergenti il sudore dalle fronti eroiche: “ muoio contento per la patria mia!” E fiori! Fiori agli eroi!” […] Il fante ritornava in linea disgustato della nazione. Vi ritornava profondamente mutato: qualcosa germinava nel fondo della sua coscienza. Perché battersi? Perché soffrire? Perché morire? Per chi, dunque? Per la nazione. Per il suo bene, per la sua grandezza, per la sua gloria. Ma che faceva la nazione per rendersi degna di lui, per dimostrargli la sua gratitudine, per fargli sentire il battito del grande cuore accanto al suo povero scheletro condannato a sacrificarsi? Niente. Anzi: faceva di tutto per fargli capire che il suo sacrificio, in fondo, aveva qualche cosa di grottesco. [Continua con il tributo ai francesi e ai tedeschi, che lo scrittore vedeva partecipi delle sofferenze dei propri soldati. Ndr]. Ma il fante dell’Italia, l’umilissimo e cristianissimo fante analfabeta, sentiva salire fino a lui, dal paese, il tanfo di marcio e di vigliaccheria, l’insulto di una nazione che si ostinava a non capire, a non soffrire, a non benedire il suo spasimo. Sacrificarsi è necessario, quando la patria lo vuole e lo ordina. Ma sacrificarsi per la patria, quando questa continua a vivere la sua grassa vita, insultando, per idiozia o per vigliaccheria, chi muore e chi dolora per lei, è ridicolo e stupido”. Al di là del tributo al popolo francese, senz’altro poggiato su basi veritiere, la stanchezza per la dura guerra e il suo rifiuto s’incunearono prepotentemente anche nelle truppe d’oltralpe, ingigantendosi smisuratamente rispetto ai pur numerosi episodi registrati negli anni precedenti. Il primo giugno un reggimento di fanteria s’impadronì della città di Missy-aux- Bois e nominò un governo pacifista. Ben 27.000 soldati si diedero alla macchia nel corso del 1917, spaventati dalle ingenti perdite registrate dall’inizio della guerra, quasi un milione di morti, e incoraggiati dalle notizie provenienti dalla Russia, diffuse dai giornali socialisti. La repressione fu massiccia e furono istituite 3.400 corti marziali, anche se molte condanne a morte furono commutate in pene detentive. La rivolta rientrò quasi totalmente con la sostituzione dell’inetto generale Robert Nivelle, che aveva sfiancato le truppe nell'inutile “Offensiva Nivelle” (3). Philippe Petain, che prese il suo posto, dimostrò subito maggiore attenzione alle esigenze dei soldati,


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