48H

Page 1


ito

do

r na

o

Le

v De

i

ell

n on

aG

ic er

d

Fe

irò

ro

et Pi

s De

ni

Le

o

rd

a on

o Me


Il progetto nasce da un’idea di Bartolomeo Ciccone, artista fiorentino che dal 2015 trasforma il suo studio in uno spazio espositivo, assieme a Leonardo Moretti, giovane artistacuratore dell’area pratese, propongono qui una rassegna espositiva per l’anno 2018, nello spazio dello studio di Bartolomeo, a Palazzo dei Pittori di Firenze. Studio Ciccone fonda la sua origine sulle esperienze espositive avvenute nel 2015 con“25 anni dopo - Studi aperti” con Bartolomeo Ciccone, “Fine is Art - Scatti d’autore” di Robert Pettena, e poi ancora nel 2016 con “Studi aperti 2016 - Accademia a Palazzo” con Han Bin e “Love Story 2016” di Tan Bi De. Le dinamiche scaturite da tale esperienza hanno portato Bartolomeo a riflettere sulle potenzialità e le possibilità di tali gesti, e sulla loro eventuale prosecuzione. Nasce così, riflettendo da parte di Leonardo sull’idea proposta, una ricerca espositiva che trasformi l’esperienza già avvenuta da momenti singoli a una situazione multipla. Progettando un percorso che si configura come una rassegna, lo scopo è quello di dare un corpo solido all’idea, aprendo alla possibilità di confronto, analisi e arricchimento. L’obiettivo di questo ciclo espositivo è dare la possibilità ai giovani artisti dell’Accademia di Belle Arti, e non solo, di confrontarsi al di fuori dei soliti spazi educativi e non: in primo luogo, attivare il proprio lavoro in uno spazio-altro che da privato diventa pubblico e, in secondo luogo, intrecciare la situazione espositiva con quella dello “studio visit”, una dinamica che trasforma la struttura e la fruizione dell’opera. Il senso di questo progetto è quello di presentare un punto di vista diverso, rispetto alla galleria o al museo, cercando di generare un territorio che trova spazio nello scarto che si crea nell’esperire una situazione espositiva ibrida. L’invito fatto ai giovani artisti è quello, sicuramente, di pensare al proprio lavoro in virtù di una fruizione pubblica ma, che allo stesso tempo mantiene, o distilla, quel respiro privato tipico di un’opera in studio. La nostra idea è quella di generare un “dispositivo” decentrato dai classici canali espositivi, trasformando un piccolo spazio di lavoro in una piattaforma aperta allo sguardo esterno, dove l’interesse si focalizza non tanto sull’identità propria del lavoro esposto, ma

sull’identità che esso assume, collocandosi come intermezzo tra privato e pubblico, come elemento di trasformazione che, a seconda delle proprie caratteristiche, reinterpreta il rapporto tra lo spazio-dispositivo e il fruitore. L’idea di collocarsi a metà tra lo “studio visit” e la galleria tenta, oltre che di scardinare i nostri concetti di pubblico e privato, di innescare un meccanismo di “familiarità” con l’opera. Predisponendosi per andare a vedere un lavoro in una dimensione espositiva come potremmo fare in galleria, ci sentiamo più sicuri e tranquilli che andare direttamente a scandagliarlo nello studio del proprietario. Ma, allo stesso tempo, perdiamo tutta una serie di, più o meno, elementi che l’artista potrebbe comunicarci in una diversa sede e modalità. Quindi, prendendo l’idea di “studio visit” si cerca di estrapolare dal lavoro, e presentare, anche questa parte che genera in noi un rapporto più profondo con l’opera, potendo, e volendo, inserirsi in alcune dinamiche che l’hanno creata. La rassegna è stata composta da quattro appuntamenti a cadenza mensile, da settembre a dicembre 2018. Il progetto ha coinvolto anche due Gallerie: Cartavetra di Firenze e Studio 38 di Pistoia, che per due appuntamenti su quattro hanno proposto un loro artista concordato con il curatore. Gli altri due artisti sono stati selezionati tra gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Firenze tramite un’open-call. La situazione espositiva aveva la durata di due giorni: sabato e domenica, da qui il titolo. Gli artisti coinvolti sono Leonardo Devito che ha esposto il 29/30 di settembre, Federica Gonnelli che ha esposto il 27/28 di ottobre, Pietro Desirò che ha esposto il 24/25 di novembre e Leonardo Meoni che ha esposto il 15/16 di dicembre.


Per il primo appuntamento della rassegna espositiva 48H, presso lo Studio Ciccone a Palazzo dei Pittori, è stato selezionato il lavoro del giovanissimo artista e studente: Leonardo Devito. Il lavoro che Leonardo Devito porta avanti è una trattazione pittorica di un mondo, il suo mondo, attraverso una visione lucida ma allo stesso tempo enigmatica. Quello che l’artista cerca di fare attraverso la sua pittura è quello di creare delle situazioni che includano una realtà ma, allo stesso tempo, si scindono da essa. Le atmosfere e i dialoghi che Leonardo mette in gioco sono flebili racconti che oscillano tra la consapevolezza sincera e la presa in giro di determinati comportamenti. Il suo lavoro tende al rebus, rappresentando scene di vita alle volte con tenerezza e altre con ingenuità, tenta di portare nel mondo del visibile dei racconti che si predispongono come delle suggestioni, a metà tra una visone alienata ed una ricerca morbosa, quasi sporca. L’artista non ha paura di “sporcarsi le mani”, sia fisicamente che mentalmente, le sue narrazioni sono dei compendi dove le figure, gli oggetti e le forme sono riportate con precisione e freschezza. Nonostante la sua giovane età ha già chiaro che il suo interesse è il dialogo, la domanda, non la risposta o la risoluzione. Il tentativo è quello di aprire l’occhio dell’osservatore verso una visione speculativa che non preclude nessuna interpretazione. L’interesse verso la figura, le forme semplici e i piccoli oggetti sono elementi ricorrenti nei sui dipinti, inserendo spesso il tutto all’interno di un’architettura spoglia ed essenziale, dove la geometria fa da interprete. Tutto questo si accosta ad una visione allo stesso tempo vicina e lontana di una gioventù, alla quale lui stesso appartiene, che racconta restando in bilico tra una dimensione di presa in giro e un racconto preciso. Nel rappresentare tali immagini cerca sempre di dare molta importanza alla materia pittorica e spesso anche al rapporto tra questa e altri materiali. La pittura di Leonardo è una pennellata salda ma veloce, che non teme e non risparmia niente. Il corpo di lavori selezionato per questa personale porta in scena un’intensa mediazione che l’artista compie quando a parlare non è solo il pittorico. Le opere scelte, a meta tra la pittura e il gesto grafico, tradiscono tutta l’immediatezza e il segno intimo che l’artista pone nel suo lavoro ma, nello specifico, ci rivelano anche un ritmato utilizzo della tecnica del collage. La linea scelta per questa mostra vuole tracciare un filo rosso tra l’aspetto più grafico del lavoro e la tensione, fatta di rimandi, che si genera con le opere dove il collage si ibrida ad una pittura materica, libera nel fare e nel consumare. I soggetti che Leonardo fa rivivere nei sui lavori sono dei

personaggi a metà tra il riflessivo e l’ironico, dove il medium pittorico accompagna una gestualità grafica che ci rende un immaginario forte, autocritico e drasticamente diretto, con vivacità e fare scanzonato. Un materiale variopinto e schietto, dove le composizioni e i soggetti riescono a trattenere tutto il respiro emotivo che egli cerca di imbrigliare. Leonardo Devito (Firenze 1997) vive e studia a Firenze. Diplomato al Liceo Artistico di Porta Romana, è legato fin dai primi anni di liceo alla street art e ai graffiti. Il suo linguaggio si è articolato tra l’illustrazione e la pittura, adattando tali cambiamenti anche nella realizzazione di opere murali. Attualmente studia all’Accademia di Belle Arti di Firenze.





Per il secondo appuntamento della rassegna espositiva 48H, presso lo Studio Ciccone a Palazzo dei Pittori, è stato selezionato il lavoro dell’artista: Federica Gonnelli. Il progetto “LE MONTAGNE DA LONTANO SONO COLOR INDACO” è un composto preciso di opere che si sviluppano come un breve percorso narrativo. A partire dall’ingresso di Palazzo dei Pittori, dove i visitatori saranno accolti da “Le false montagne”, un cubo specchiante contenente un video in loop, il percorso conduce poi su per le scale attraverso una serie di assemblaggi di organza e carta stampate con riporto a solvente, accompagnate da sassi in gesso dipinto che, come piccoli indizi, ci portano fino all’interno dello studio di Bartolomeo Ciccone. Qui si apre apre il nucleo del progetto stesso: “Il terzo occhio”, due opere a parete assemblaggio di organza stampata con riporto a solvente e carta dipinta con ecoline, e una grande opera assemblaggio di organza e carta stampate con riporto a solvente, ritoccate a matita. Questi lavori rappresentano la conclusione del percorso, pur mantenendo, nel loro apparire, l’aspetto work in progress grazie alla carta lasciata arrotolata in basso che ne suggerisce un proseguo. Il work in progress è anche nel video che documenta la colorazione dei sassi in gesso, il primo passo di costruzione dell’intero progetto, reiterato, moltiplicato e riflesso all’infinito. Ma perché la scelta di questa tonalità? L’indaco è uno dei sette colori dell’iride, compreso tra l’azzurro e il violetto, e può essere ottenuto mischiando 100% di colore ciano e 100% di colore magenta. Era inoltre presente nei set di matite “Fila Giotto Naturale”, che l’artista usava da bambina, con il n°34. Perché non usarlo, per cosa usarlo? Si chiede Federica. Per lei l’indaco è il colore dell’equilibrio tra cielo e la terra, tra la terra e il mare, tra il caldo e il freddo, tra il risveglio e la meditazione, tra la realtà e il pensiero, tra l’uomo e la divinità, è il colore del confine. L’indaco è connessione, è osservazione critica, dialogo e conoscenza, rappresenta il punto dove ogni individuo sviluppa l’esperienza relativa alle proprie convinzioni e alla naturale capacità di ascolto interiore. Nella cromoterapia e nella medicina ayurvedica il colore indaco svolge la sua azione terapeutica principalmente sul sistema nervoso centrale e sui cinque sensi. Al colore indaco è associato il sesto chakra: il terzo occhio, definito così per la sua facoltà di aumentare la capacità di percezione e le possibilità di avere una visione ultraterrena. Per questa mostra Federica ci regala un altro piccolo viaggio all’interno della propria sensibilità. Arguta e precisa come sempre, l’artista si muove in punta di fioretto disegnando la sua opera con semplicità ed estrema pulizia. Concentrata e schietta, il suo linguaggio, quasi

analitico, ci guida lungo un percorso lastricato di materiale onirico e osservazione empirica. Nulla è lasciato al caso e, attraverso i suoi medium più cari, ella disegna, con il focus di un preciso colore, una mediazione tra intimità e riflessione, distillata in stille e stesa su carta. Calatasi perfettamente all’interno di una dinamica work in progress, il suo percorso, perfettamente coerente, delinea una topografia linguistica fatta di leggerezza formale e stratificazione di pensiero, donandoci delle visioni che ci lasciano all’interno di uno spazio fatto di attesa e resistenza. Nata a Firenze, città nella quale ha frequentato il Liceo Artistico e l’Accademia di Belle Arti, Federica vive e lavora a metà tra questa Città e Prato, dove dal giugno 2011 ha aperto lo studio “InCUBOAzione”. Dal 2001 partecipa a mostre personali, collettive e concorsi. Dal 2007 fa parte del collettivo artistico “ARTS FACTORY” per il quale, in qualità di artista, si occupa della progettazione e realizzazione delle installazioni e video-installazioni; del collettivo fanno parte la fondatrice: Adriana Maria Soldini, narratrice d’arte e curatrice, e Francesca Del Moro, poetessa. Nel 2013 ha conseguito la specializzazione in Arti Visive e Nuovi Linguaggi Espressivi presso l’Accademia di Firenze. Dal 2015 ha partecipato alle residenze d’artista presso: Mola di Bari (BA) - Fondazione Pino Pascali, Cosenza - The BoCs, Castelbottaccio (CB) - Vis a Vis Fuoriluogo 19, Vimercate (MB) - V_Air Museo Must, San Sperate (CA) - Future Frontiers, Zumpano (CS) - Terraē Museo Mae, Palagiano (TA) – Z.N.S. Via Murat Art Container 2° Piano Art Residence. Fa parte della rosa di artisti di Studio38 Contemporary Art Gallery di Pistoia e tra le ultime esposizioni ricordiamo “Cos’è che mi ha portato fino a qui...” personale presso hert – SPAZIO VIVO, Vimercate (MB). Il confine è un protagonista costante nelle opere di Federica mediante l’utilizzo del velo d’organza e della fotografia a doppia esposizione. Non si tratta di semplici supporti o scelte tecniche, piuttosto di due determinanti mezzi espressivi che concorrono a informare l’opera. Ogni fotografia a doppia esposizione, come ogni velo, mostra e racconta qualcosa di diverso ma, allo stesso tempo, impone uno “slancio di osservazione” agli spettatori che intendono scoprire cosa vi si cela dietro ed oltre. In ogni sovrapposizione materiale o fotografica l’artista ridisegna i confini, rielaborazione concettuale della definizione e riconoscibilità identitaria, mettendo in discussione se stessa e il rapporto tra contenuto e contenitore.





Per il terzo appuntamento della rassegna espositiva 48H, presso lo Studio Ciccone a Palazzo dei Pittori, è stato selezionato il lavoro dell’artista, all’interno della rosa della Galleria Cartavetra: Pietro Desirò. Decisamente fresco e spontaneo, carico di un’innata libertà espressiva perfettamente calibrata e controllata, si muove con celere e precisa ricerca il lavoro di Pietro Desirò. Proveniente da una formazione nella grafica e nell’illustrazione, in particolar modo le tecniche calcografiche, egli conduce un’intensa ricerca artistica volta a scardinare e ricalibrare il nostro modo di vedere e concepire la questo tipo di stampa. Impegnato in un percorso per cosi dire “sperimentale”, Pietro incanala la sua creatività verso un astrattismo lucido e meticoloso, ricco e stratificato di segni. Distaccandosi da una precedente ricerca anatomica e narrativa, è emerso il bisogno di un linguaggio più liquido e impalpabile, molto vicino ad un formalismo quasi effimero. Le sue strutture si presentano come tracce pronte, forse, ad andare altrove, prendere e partire dalla superficie su le quali le osserviamo. Come quasi dei depositi di pensieri e sensazioni, accuratamente legati alla linea, i suoi lavori danno vita a dei mondi e degli itinerari fisici e temporali che l’artista sta affrontando. Intrecciando la sua pratica tra il tridimensionale e il bidimensionale, guida la tecnica dell’incisione verso molti supporti, trattandola quasi come una materia duttile, suscettibile ad adattarsi all’esigenza. Già introducendo i primi passi nella mostra, dall’androne delle scale, si focalizza la padronanza del tratto e un movimento quasi musicale, una partitura circolare a servizio dello spazio che ci spinge fino allo studio dove, in maniera gradevolmente capricciosa, ci inoltriamo all’interno di una sorta di piccolo “studio visit” dove Pietro, accostando matrici e stampe, ci mostra il processo e l’eseguito. Nel calibrare il segno inciso in interventi sempre più dinamici e sperimentali, non si poteva eludere dal fascino della casualità rappresentata da molti stratagemmi che, invece di considerarli un “errore”, egli usa a proprio vantaggio, disegnando una mappatura che apre il nostro sguardo ad un ricco e mutevole immaginario visivo. La contingenza nella pratica esecutiva si distilla accordandosi con all’ambiente del palazzo, ricalcando, se serve, un aspetto quasi camaleontico. I costrutti di Pietro, geometricamente fumosi, mostrano chiaramente un’intenzione plastica, scultorea, che si slancia dalla carta animandosi in maniera sensibile. La forma cubica, scelta per dialogare con le scale, rilega la sua ricerca a quel senso rigoroso del mestiere ma, allo steso tempo, flette la nostra esperienza verso una situazione ibrida, dove i confini tra i medium svaniscono, travalicando la

definizione verso una fruizione più libera e intima. Pietro Desirò (1994, Firenze). Consegue gli studi artistici al Liceo Artistico “Leon Battista“ di Firenze frequentando il corso di pittura. Successivamente studia all’Accademia di Belle Arti di Firenze e all’ Akademie der bildenden Kunste Vienna. Nel 2014 vince la borsa di studio della Banca Centrale di Livorno per il Corso di Specializzazione al Bisonte studiando con i maestri Vincenzo Burlizzi e Manuel Ortega. Workshop annuale di litografia alla Florance School of Fine Art. Nel 2015 insieme ad altri artisti fonda “Cartavetra” galleria/laboratorio dove tiene corsi di incisione e collabora con altri artisti nell’organizzazione di mostre ed eventi. Dal 2016 lavora come concept artist per il videogioco Selves. Tra le ultime mostre e attività ricordiamo: nel 2018 “Momento Flettente” a cura di Luca Sposato da Cartavetra, nel 2017 «2’ Biennale di incisione Giuseppe Maestri Premio per i giovani incisore Bagnacavallo 2017 »; “Les Jeunes Poussent” Primo premio “Prize Corot“ dalla cartiera Arches, l’Ermitage; “Ruvidezze 0.1” Cartavetra; “Rundang 2017” Akademie der bildenden Kunste Wien. Nel 2016 “Dreux International Miniprint Biennal 2016” presso la Chapelle de l’HotelDieu Francia; “Livorno al Bisonte 2005-2006” presso la Fondazione Livorno. “Maestri e Allievi dell’Accademia di Belle Arti di Firenze. 1” presso Lyceum Club Internazionale di Firenze.





Per il quarto e ultimo appuntamento della rassegna espositiva 48H, presso lo Studio Ciccone a Palazzo dei Pittori, è stato selezionato il lavoro dell’artista Leonardo Meoni. Indubbiamente eclettico e schietto, il lavoro di Meoni si presenta, attraverso l’uso di vari medium, come uno sguardo diretto, povero da costruzioni formali articolate, per mirare ad un gioco di immagini che abbandonano il loro significato principale per stratificarsi in precisi messaggi e tematiche care all’artista. Muovendosi rapido, quasi febbrile nella gestazione delle idee, la creazione del suo immaginario si fonda sulla fusione tra linguaggio pittorico e installativo. Per questo appuntamento Leonardo ha voluto lavorare su un preciso focus, ovvero: la sovraesposizione, il consumo e lo scarto di immagini nelle quali quotidianamente siamo immersi, attraverso elementi pittorici, installativi e altri materiali tra i quali il cemento. Con il suo lavoro cerca di trasformare, quasi forzatamente, immagini che da materiale di passaggio rapido si sedimentano in momenti “fermi” sia fisici che concettuali, aprendo alla possibilità di stratificazioni di senso. Leonardo intende viaggiare sull’ambiguità che le immagini comuni possono generare, sfruttando il potere immaginativo che ogni forma o soggetto può avere. Per lui lavorare sulla “quantità” vuol dire ripensare a come il “pieno finisca per essere il vuoto” nel momento in cui le immagini si distruggono e si perdono nella loro quantità. Avere accesso a tanto, e sempre, porta con sè l’arma a doppio taglio dell’autoannullamento. Come si disintegrano le immagini, lo stesso fanno le icone, la memoria e la tecnologia. Affidando all’archivio virtuale i nostri bagagli mentali, finiamo per trasformare la Cronologia del nostro pc in un compendio di noi stessi che, spesso, ci si ritorce contro o cancelliamo ripetutamente. Nell’opera più concettuale che Leonardo ha scelto di inserire: Falling Images, una stampante partorisce senza sosta un flusso indefinito di immagini che, non appena stampate, vengono subito perse, gettate, lasciate cadere, annullate, sovrascritte dalla successiva. Nello studio, invece, l’altro elemento che ci accoglie, con la sua apparente banalità, è la tipica iconografia del tappetto persiano. Una visione di consumo che si allaccia ad un discorso di stratificazione di simboli, un colpo visivo chiaro. Il tappeto si carica di un immaginario denso proprio nella sua ridondanza visiva del quotidiano, diventa un elemento per stereotipare azioni, denuncia contro l’omologazione e la superficialità informativa e di pensiero alla quale siamo, fin troppo spesso, esposti o partecipi. Per l’artista il tema della “distruzione” è di intensa importanza, in quanto rappresenta una stringente problematica di attualità quale la

perdita sistematica e consapevole del patrimonio culturale. Per lui le immagini prese dal Web hanno un valore intrinseco preciso, in quanto estrapolate da un circuito mediatico e di fruizione pervasivo e di distorsione. Lavorare su visioni come quelle dei bombardamenti di guerra o altro, vuol dire fermarsi a riflettere non solo sulla distruzione patrimoniale ma anche sulla linea di confine che separa realtà e finzione, manipolazione e comunicazione. Le immagini mediatiche creano nuovi modelli di realtà e la tecnologia ne dissemina i frutti in enorme quantità, spingendo al limite la tensione tra apparenza e verità. Siamo talmente abituati a vedere scorrere delle “schegge di vita altrui” da non essere più in grado di fermarci ad osservarle e, accanto a questo, il gesto, l’atto simbolico di chi cancella la storia e la memoria di un luogo, diventa più importante dell’oggetto distrutto e per questo viene accuratamente documentato, come nel caso dei video girati dall’ISIS durante l’abbattimento delle reliquie. Leonardo Meoni (Firenze 1994), si diploma all’Istituto d’Arte di Siena e si laurea all’Accademia di Belle Arti di Firenze nel 2018. Nel 2014 lavora come assistente per l’artista Giovanna Lysy e nel 2016 inizia a lavorare per Riccardo Prosperi Simafra. Partecipa a progetti e residenze in Italia e all’estero tra cui Poison remedy, Inter University Center for Dance (HZT), a cura di William Wheeler e Stefan Pente, Berlino; Residenza artistica nella città museo, curata da Giandomenico Semeraro, Gibellina, Trapani; Officina Scart, residenza/ workshop all’interno di Company Waste Reciclyng Spa, a cura di Edoardo Malagigi e Angela Nocentini, Santa Croce sull’Arno, Pisa; Solomon Project, a cura di Cecilia Luschi, Fabio Fabrizzi, Andrea Ricci, Francesco Taormina, Yoram Ginzburg, Davide Cassuto, Itzik Elhaif, Gilad Duvshani, Yair Varon, Firenze/Gerusalemme. Tra le ultime mostre: Accademiae Biennale, Art and nature, a cura di Federico Seppi, Trento; Forme nel verde, pause tra caos e armonia, a cura di Gaia Pasi, Palazzo Chigi, San Quirico D’Orcia, Siena; Tessuti urbani - Leonardo Meoni - Fabrics, a cura di Carlotta Mazzoli, Prato; Visioni, a cura di Leonardo Moretti, Firenze; Sfocature, a cura di Leonardo Moretti, Firenze.