LAZMAG
“We tried to get rid of tromple l’oeil in order to find a tromple l’esprit”
Picasso
Nella fiaba le regole terrestri sono capovolte, entrarvi significa lasciare le certezze quotidiane e intraprendere un percorso-metafora: si entra in un modo e si esce disuguali, rinnovati, con un diverso stato di coscienza sui fatti della vita. Osservare, esperire, rivoltare le parti, poichè in ogni luogo fantastico una regola è un divieto – il bosco non deve essere attraversato– o al contrario un invito a fare qualcosa, a non restare inattivi. La fatica del protagonista è proporzionale alla bellezza, nella sua immensa portata, si agisce mai in una fiaba per qualcosa che non sia pura bellezza, del tutto astratta, il più delle volte neppure configurata e che palesemente sta per altro?
L
a narratrice in questo caso è Elisa Bacchi, intenta a creare un percorso in nome di una bellezza da guardare, toccare, attraversare - la sua “fatica” - che ci riporta all’interno di un luogo ideale dove le fiabe si intrecciano in un magico gioco di specchi. Il presupposto lo trova nelle figure femminili delle storie che tutti abbiamo ascoltato prima di dormire, quelle bambine donne immaginate nei loro abiti, attente a sfidare la sorte. Proprio l’abito diviene il centro della riflessione del lavoro di Elisa, esteticamente e concettualmente meditato, costruito e raccontato con grande abilità. Il percorso inizia con un attraversamento, l’ingresso nascita che scorre il dentro, la parte solitamente invisibile, del bianco vestito della Piccola Fiammiferaia. E’ un trasportare luminoso, piccole lampadine al posto dei fiammiferi, che immette lo spettatore nel nuovo mondo di segni, di sensi, e ci dice che da quel punto in poi tutto sarà diverso, avremo bisogno di nuove unità di misura e di briciole pe non perderci nella foresta. Quelle briciole di carta e di stoffa che, proseguendo nel percorso, ci conducono fra le cose di Pollicina, piccole scatole preziose da aprire.
“...Un abito che sa riassumere nelle trame, nelle cuciture,
nel dualismo peso-leggerezza, grande-piccolo lo svolgimento della fiaba, il suo mistero e il senso profondo che lo alimenta...”
Poi oltre, il timore della selva vissuto da Cappuccetto Rosso viene raccontato attraverso parole sovrapposte,
un rumore di enigmi indecifrabili, un linguaggio scomposto, dove figura e sfondo sono indifferenziati. Il rosso scompare, rimane un misterioso bosco di parole, dai significati fuggevoli, dove la mantellina, il cappuccio e la borsa della nostra eroina sussurrano “REGARDEZ MOI”, richiedono uno sguardo fisso, attento, in grado di risolvere il rebus. L’approdo, l’atto finale è il sontuoso vestito di Alice, in duplice copia, prima e dopo l’incontro con la magica bevanda che la rende smisuratamente piccola e smisuratamente grande. Ancora una trama fatta di enigmi, questa volta non più parole ma carte da gioco, arricchite da tutta la forza simbolica che i semi contengono. Un abito che sa riassumere nelle trame, nelle cuciture, nel dualismo peso-leggerezza, grande-piccolo lo svolgimento della fiaba, il suo mistero e il senso profondo che lo alimenta.
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