Voce sociale 31 01 15

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CONSORZIO STABILE

S E RV I Z I

I N T E G R AT I ®

SUPPLEMENTO

SETTIMANALE

Anno II° n. 4 EDITORE :

sabato 31 gennaio 2015

-

euro 0

S OC . C OOP. “C OMUNICA ” - D IRETTORE

RESPONSABILE :

NON RICEVE ALCUN FINANZIAMENTO PUBBLICO

C ARMINE A LBORETTI

CONSORZIO STABILE

S E RV I Z I

I N T E G R AT I ®

redazione@lavocesociale.it

Nella ex stazione riqualificata il “tavolo della morte” non c’è più

STORIA DI UN PICCOLO MIRACOLO CIVILE ALLE FALDE DEL VESUVIO

Mentre il Parlamento in seduta comune si appresta ad eleggere il nuovo Presidente della Repubblica noi abbiamo scelto di raccontarvi una storia di riscatto sociale e urbano. È quella dei volontari di un’associazione di Boscoreale, popoloso centro alle falde del Vesuvio, ai quali si deve la completa riqualificazione della vecchia stazione Fs, ormai in disuso. La struttura, chiusa da anni dopo la soppressione della linee Torre Annunziata Cancello, era diventata una discarica a cielo aperto con rifiuti di ogni genere e siringhe disseminate in ogni dove. Uno spettacolo indegno al quale ha posto rimedio un gruppo di giovani

animati da tanta passione civile e buona volontà. Grazie alla loro determinazione ed al dinamismo del presidente del sodalizio Vincenzo Martire, artefice dell’operazione di recupero e valorizzazione, l’ex stazione è stata trasformata in pochi anni in un Centro sociale polivalente, capace di ospitare corsi di formazione, incontri, concerti, tavole rotonde, ecc. Nessuno tra quelli che potevano ha mosso un dito per far sì che questo straordinaria opera di riqualificazione venisse preservata da raid vandalici e atti di sabotaggio. Talvolta la burocrazia, anziché agevolare il lavoro dei volontari, gli ha messo i bastoni tra le ruote. Basta,

però, dare un’occhiata alla foto che pubblichiamo per comprendere l’importanza del cammino compiuto finora. La vicenda di Boscoreale, pur con tutte le difficoltà che devono affrontare quotidianamente Martire ed i suoi sodali, ci insegna che non tutto è marcio, che c’è un’Italia che ha voglia di rimboccarsi le maniche e ricominciare a sperare. Questa parte del Paese si aspetta che il nuovo inquilino del Quirinale sappia farsi interprete della voglia di impegno sociale e politico dei giovani facendola risuonare nelle aule dei Palazzi romani. Una sfida non da poco dal cui esito dipende la credibilità dell’attuale classe dirigente.


2 SOLIDARIETÀ Natimortalità, petizione online di “Pensiero Celeste” La Voce Sociale

sabato 31 gennaio 2015

Obiettivo: modificare la norma che impedisce l’iscrizione all’anagrafe dei non nati

In Italia ogni giorno sette bambini, nelle ultime settimane di gestazione muoiono nel grembo materno. Il fenomeno, noto come “natimortalità”, ogni anno colpisce circa 180.000 famiglie. Quelli che sarebbero dovuti diventare “mamme e papà” vivono un vero e proprio dramma in quanto, sovente, oltre a dover affrontare un trauma emotivo enorme, vedono i proSette bambini pri figli gestiti come rifiuti ospedalieri alla stregua di arti e interiora. Di qui la peal giorno diretta al Ministro della Salute 180 mila l’anno tizione Beatrice Lorenzin e al Ministro dell’Interno, Angelino Alfano per la modifica i genitori dell’art 37 del DPR 396/2000. A proporche vivono la l’associazione “Pensiero Celeste”. questo dramma “Perdere un figlio in grembo – si legge nella lunga missiva indirizzata ai due esponenti del Governo – è una perdita che genera un dolore ed un lutto pari a qualsiasi altro tipo di perdita. Molto spesso questo dolore è amplificato dai sensi di colpa, dai dubbi, dalle domande circa le cause e le responsabilità che hanno portato a questo evento. La Legge Italiana predispone norme nazionali solo relative alla sepoltura dei bambini, ma tali norme sono spesso ignorate o erroneamente applicate in molti ospedali italiani”. Il Regolamento di polizia mortuaria, contenuto nel DPR numero 285 del 10 settembre del 1990, all’articolo 7 prevede che si possa seppellire anche un feto nato morto (“Nel cimitero possono essere raccolti [C.] anche prodotti del concepimento di presunta età inferiore alle 20 settimane”. Secondo i componenti dell’associazione “el nostro ordinamento, nonostante non vi sia alcuna norma contraria, se un genitore perde il proprio figlio al di sotto delle 28 settimane di gestazione, in genere si vede opporre un rifiuto dagli uffici dello stato civile all’iscrizione del bimbo nei relativi registri.”. Eppure “poter iscrivere il proprio figlio all’anagrafe, dargli un nome, rappresenta per i genitori che hanno perso un figlio un modo per elaborare il loro lutto, per dare dignità alla loro creatura nata morta sotto le 28 settimane di epo-

ca gestazionale”. Ecco il motivo della richiesta di modifica dell’art 37 del DPR 396/2000, adottando il seguente emendamento: “Il primo periodo del comma 1 dell’art 37 del DPR 396/2000 viene sostituito con il seguente: “Quando al momento della dichiarazione di nascita il bambino non è vivo, il dichiarante deve far conoscere se il bambino è nato morto e il suo peso o è morto posteriormente alla nascita. Tali circostanze devono essere comprovate dal dichiarante con certificato medico”. Il secondo comma dell’art 37 del DPR 396/2000 deve essere sostituito con il seguente: “E’ facoltà dei genitori dei bambini nati morti con peso pari o superiore a 500

gr richiedere all’ufficiale dello stato civile la formazione dell’atto di nascita con l’indicazione della natimortalità; l’ufficiale di stato civile forma anche l’atto di morte, se il bambino è morto posteriormente alla nascita”. Chi vuole aderire utilizzi il link che segue: https://www.change.org/p/on-le-ministro-della-salute-d-ssa-beatrice-lorenzin-ed-on-le-ministro-dellinterno-dott-ang-modifica-dell-art-37-del-dpr-3962000?utm_campaign=responsive_friend_inviter_c hat&utm_medium=facebook&utm_source=share_petition&recruiter=218301481 si tratta di una battaglia di civiltà che non può essere ignorata!


3 ATTUALITÀ Renzi, le Popolari e le speculazioni. Sulla nostra pelle La Voce Sociale

sabato 31 gennaio 2015

Ecco chi è che ha guadagnato in Borsa alla vigilia della trasformazione delle banche in Spa

di Adolfo Spezzaferro

Sempre più ombre (e meno luci) sulla riforma della banche popolari voluta dal governo Renzi. Ma partiamo dall'inizio. Forse non tutti sanno che in anni in cui la stragrande maggioranza delle banche ha chiuso i rubinetti Sapete di chi è del credito alle famiglie e alle imprese - aggravando, di fatto la crisi che sta la Banca impoverendo il Paese - , gli unici istipopolare tuti ad aver incrementato il credito erogato sono stati le Banche popolari. dell’Etruria Nell’arco di tempo che va dall’inizio e del Lazio? della fase di stretta del credito (2011) sino alla fine del 2013, le Popolari Di Pier Luigi hanno aumentato i prestiti alla clienteBoschi la del 15,4 per cento; diversamente, quelle sotto forma di Spa e gli istituti di No, non è credito cooperativo hanno diminuito un caso l’ammontare dei prestiti rispettivamendi omonimia te del 4,9 e del 2,2 per cento. Lo stesso trend negativo è stato registrato anche dalle banche estere presenti nel nostro Paese: sempre tra il 2011 e il 2013, i prestiti sono diminuiti del 3,1 per cento. È il quadro che emerge dall'analisi della Cgia di Mestre. "Sebbene la riforma delle Popolari interessi solo una decina di istituti che presentano un attivo di oltre otto miliardi di euro -commenta il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi - in prospettiva corriamo il pericolo che tale operazione snaturi la mission di queste realtà che da sempre hanno avuto un’ attenzione particolare per i problemi e le necessità dei territori di cui sono espressione. A differenza degli altri istituti bancari, in questi anni di grave crisi le banche popolari sono state le uniche ad incrementare gli impieghi alle famiglie e alle imprese. A conferma che queste ultime hanno continuato a fare il proprio lavoro, nonostante le condizioni proibitive". Ed ora, con il decreto del governo - che impone ai dieci maggiori istituti di credito del settore la trasformazione in società per azioni entro 18 mesi - , il "credit crunch" si abbatterà anche sulle banche popolari. Questo, in sostanza, il rischio evocato da Assopopolari, che riunisce e rappresenta le banche. Chiosa l’associazione presieduta da Ettore Caselli: "Il ministro dell’Economia dovrebbe sapere che proprio questo modello di intermediario è stato all’origine della gravissima crisi finanziaria diffusasi nell’economia mondiale dal 2007 e successivamente della recessione,

con conseguenze pesantissime per l’economia reale". In soldoni, la misura contenuta nel decreto riguardante le Popolari determinerà, in termini di Pil, una contrazione pari a tre punti percentuali aggravando così l’attuale situazione recessiva e quella già di per sé drammatica dell’occupazione e annullando le debolissime possibilità di ripresa dell’attività economiche. Ancora, il decreto metterà in moto un meccanismo speculativo tale da determinare un progressivo trasferimento della proprietà di una parte rilevante del sistema bancario italiano alle grandi banche internazionali, stimabile in un totale di attività pari a 528 miliardi di euro, ed avrà i seguenti effetti: riduzione di 80 miliardi di euro di crediti alla clientela, di cui 25 miliardi in meno alle famiglie e 55 miliardi in meno alle imprese. Inoltre, oltre agli effetti negativi derivanti dal minore sostegno dell’economia reale, del tessuto produttivo, delle famiglie e delle Pmi, per il venire meno di crediti per 80 miliardi di euro, un valore stimabile in cinque punti percentuali di Pil. Oltre al danno, la beffa. Infatti in Borsa, a Milano e a Londra, ben prima dell'annuncio da parte del governo Renzi di voler trasformare le Popolari in Spa, aveva preso corpo una colossale speculazione al rialzo proprio sui titoli azionari degli istituti di credito italiani che sarebbero stati oggetto di questo futuro decisivo cambiamento d'assetto e struttura societaria. È evidente che qualcuno sapeva cosa sarebbe accaduto di lì a poco. E una delle banche che ha maggiormente beneficiato di questa clamorosa speculazione è, con un rialzo del 66% in Borsa, la Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, di cui vicepresidente è Pier Luigi Boschi. Non si tratta di una caso di omonimia, è proprio il padre di Maria Elena Boschi, attuale ministro delle Riforme del governo Renzi, fortissimamente voluta proprio dal fiorentino nell'incarico centrale del suo esecutivo. Ma la signorina Boschi non è solo ministro delle Riforme, è anche direttore generale della fondazione Open che ha ricevuto negli ultimi quattro anni 150 mila euro dal signor Davide Serra, amico intimo di Matteo Renzi, e soprattutto proprietario del fondo speculativo "Algebris" con attività principalmente nella City londinese, dove opera in borsa con alterne fortune, ma con la certezza di svolgere un'attività principalmente legata alle speculazioni azionarie. La faccenda è grave. E infatti la Consob ha effettuato "una serie di analisi" e "avviato "una serie di richieste di dati e notizie a intermediari sia italiani sia esteri. Ad esito della ricezione di tali elementi saranno effettuati ulteriori approfondimenti finalizzati a verificare la sussistenza dei presupposti per ipotesi di abuso di informazioni privilegiate". Lo ha detto il sotto-

segretario all'Economia Enrico Zanetti rispondendo a una interrogazione di Sebastiano Barbanti (Misto), sugli effetti in Borsa della riforma delle banche popolari. La Consob, ha spiegato Zanetti, "ha monitorato con particolare attenzione l'andamento del comparto bancario e delle banche popolari con riferimento sia al periodo antecedente all'annuncio del presidente del Consiglio della riforma del credito cooperativo sia al periodo successivo. Sono state condotte analisi - ha sottolineato il sottosegretario - in relazione alle operazioni su titoli azionari effettuate sul Mercato telematico e fuori mercato, sia in relazione agli strumenti finanziari derivati aventi come sottostanti le medesime azioni". Le analisi "hanno rilevato la presenza di intermediari aderenti ai mercati con posizioni premianti (articolate in acquisti antecedenti al 16 gennaio eventualmente accompagnati da vendite nella settimana successiva; in un solo caso tali acquisti hanno rappresentato la diminuzione di una posizione netta corta preesistente, mentre nella maggior parte dei casi essi appaiono - prima facie - costituire l'assunzione di posizioni lunghe)". Quanto alle vendite allo scoperto, oggetto dell'interrogazione, "prima dell'annuncio della riforma delle banche popolari, non si sono ravvisati movimenti significativi nelle posizioni nette corte sui titoli delle banche popolari, né si sono ravvisati altri elementi che abbiano fatto emergere punti di attenzione sull'attività di vendita allo scoperto, con l'unica eccezione sopra menzionata, in relazione alla quale sono in corso i dovuti approfondimenti". Zanetti ha infine ricordato che se dovessero verificarsi le condizioni per ricorrere al divieto di vendite allo scoperto, la Consob, come in altri casi in passato (Saipem, Mps e Carige) "interverrà anche in questo caso". Giusto per ricordare la rilevanza dei profitti evidentemente illeciti, alla fine della scorsa settimana il Banco Popolare guadagnava il 21%, Ubi il 15%, la Popolare Emilia del 24% e Banca Popolare di Milano del 21%. E non sono titoli che possono avere di questi rialzi con poche azioni vendute e comprate, per ottenere di questi sbalzi sono servite milioni di azioni. Insomma, Renzi da una parte vuole essere ricordato come il rottamatore della vecchia politica (ma, soprattutto, dei suoi avversari), dall'altra, tuttavia, risulta in perfetta sintonia con quei metodi di governo di cui la classe politica italiana è da decenni campione indiscusso: favoritismi, avidità, arroganza (quest'ultima spesso unita a ottusità).


4 SALUTE In Italia un bambino su quattro è sovrappeso La Voce Sociale

sabato 31 gennaio 2015

Per contrastare il fenomeno parte la campagna: “Mangia bene cresci bene” in vista dell’Expo

È stata presentata nei giorni scorsi a Roma, presso il Palazzo dell’Informazione in piazza Mastai, 9, l’iniziativa “Mangia bene, cresci bene”, rivolta ai minori delle scuole elementari e medie e ai loro genitori. Il progetto è promosso dal Moige - movimento genitori, associazione accreditata presso il MiLe regioni nistero dell'Istruzione, realizzato con più colpite il patrocinio scientifico di Sipps - Società Italiana di Pediatria Preventiva dal fenomeno e Sociale e Amiot - Associazione Mesono quelle dica Italiana di Omotossicologia, in collaborazione con Guna. del Centro-Sud I dati alla Campania Nella conferenza stampa di lancio della campagna “Mangia bene, cresci va il primato è stata illustrata l’indagine con un bambino bene”, “L’obesità infantile: un problema rilesu due vante e di sanità pubblica” (2015), a cura dell’Osservatorio del Dipartisovrappeso mento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’università “Milano Bicocca”, che raccoglie le principali ricerche nazionali ed internazionali in materia di alimen tazione. Stando ai dati l’Italia è uno dei Paesi europei più colpiti dal fenomeno dell’obesità infantile: nel nostro paese la prevalenza di sovrappeso in età pediatrica supera di circa 3 punti percentuali la media Europea, con un tasso di crescita/annua dello 0,5-1%, pari a quello degli Stati Uniti. Le indicazioni emerse dalla prima rilevazione del Who CosiProgram evidenziano che i bambini italiani più soggetti a disturbi alimentari hanno tra gli 8 e 9 anni: a quest’età, 1 bambino su 4 è obeso e 1 su 2 sovrappeso; tra le bambine le percentuali scendono rispettivamente al 16% e al 41%. Diverse ricerche, riferite al contesto italiano, mostrano che, estendendo il campione tra i 6 e gli 11 anni, è sovrappeso 1 bambino su 4 (23,1%) mentre 1 su 10 (9,8%) è addirittura obeso. In ambito continentale obesità e sovrappeso prevalgono tra i minori dei paesi mediterranei (con percentuali che oscillano tra il 20 e il 36%), piuttosto che in quelli del nord Europa (tra il 10 e il 20%). Anche in Italia il fenomeno ricalca le stesse differenze geografiche, con percentuali che vanno dall’8,2% al Nord, al 9,3% del Centro fino al 15,2% del Sud. La regione più colpita dal fenomeno è la Campania,

dove 1 bambino di terza elementare su 2 è obeso o in sovrappeso; seguono Puglia,Molise Abruzzo e Basilicata, che evidenziano percentuali superiori al 40%. Gli adolescenti italiani in sovra ppeso tendono a diminuire con l’aumentare dell’età, confermando la maggiore esposizione delle generazioni più giovani: a 11 anni ne soffre 1 ragazzo su 3 e 1 ragazza su 4; un dato che, raffrontato alle rilevazioni sui quindicenni, decresce, per ambo i sessi, di circa 10 punti percentuali. I fattori che determinano l’obesità, oltre a quelli di natura genetica, sono principalmente legati al contesto socio-economico, familiare e agli stili di vita. Diverse indagini concordano nell’attribuire maggiore predisposizione a diventare obesi a soggetti che vivono in condizioni “disagiate”. Il dato più preoccupante riguarda però l’impatto dei genitori sull’alimentazione dei minori. Solo il

44,7% di loro conosce le regole della sana alimentazione (Censi). I dati dell’indagine “OKkio alla Salute” confermano una disinformazione diffusa da parte degli adulti in materia di dieta alimentare. Il 37% delle madri di figli in sovrappeso non ritiene “eccessiva” la quantità di cibo che i mangiano i bambini, mentre solo il 29% di esse afferma il contrario. Inoltre solo 4 mamme su 10 reputano insufficiente l’attività motoria svolta dal figlio. Sul versante delle abitudini alimentari è altrettanto importante la percentuale di coloro che adottano comportamenti scorretti: 1 bambino su 10 salta la prima colazione, mentre 3 su 10 la fanno in maniera sbilanciata (troppi carboidrati o proteine); 2 bambini su 3 fanno una merenda abbondante a metà mattina. I genitori dichiarano che 4 bambini su 10 consumano quotidianamente bevande zuccherate e/o gassate e il 22% non mangia tutti i giorni frutta e verdura. Dall’indagine Zoom8 emerge inoltre che 1 intervistato su 2 non mangia “mai o quasi mai” legumi e solo 1 su 5 lo fa 2-3 volte a settimana, come raccomandato. 1 su 7 si alimenta con insaccati una o più volte al giorno. Il consum o giornaliero di cibi ipercalorici è un fenomeno largamente diffuso: 1 bambino su 3 mangia quotidianamente snack e 1 su 4 consuma bibite zuccherate. In alcune circostanze anche più volte al giorno (nel 3,5% dei casi per i primi, 17% per le seconde). Anche uno stile di vita sedentario concorre all’obesità in età pediatrica, poiché strettamente correlato al consumo di questi cibi. 1 bambino su 6 dichiara di non aver fatto attività fisica nel giorno precedente all’indagine, o di fare sport un’ora alla settimana; 4 su 10 confessano di avere la tv in camera; 1 su 3 di restare incollato al televisore o ai videogames per più di 2 ore al giorno, mentre solo 1 su 4 dichiara di andare a scuola a piedi o in bicicletta. "La sana alimentazione è un aspetto centrale nell’educazione dei nostri figli. Contenere il consumo di snack, promuovere corretti stili di vita e sport all’aria aperta, adottare una dieta varia ed equilibrata sono alcune accortezze per combattere l’obesità ed evitare rischi per la salute dei nostri ragazzi". Così Maria Rita Munizzi, presidente nazionale Moige - movimento genitori.


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La Voce Sociale

STORIA

sabato 31 gennaio 2015

Trattato di Roma, Fiume diventa italiana Si chiude il penoso tira e molla cominciato con la fine della Grande Guerra di Gino Zaccari

Anche se non pose la parola fine sull’annosa questione del possesso della città di Fiume, il trattato di Roma chiuse almeno la fase dei vari tentennamenti e disaccordi tra lo Stato italiano e quello della neonata Jugoslavia (che in realtà si chiamava Regno dei serbi, dei croati e degli sloveni). Con la storica firma del “Patto di amicizia e di collaborazione cordiale”, questo il nome dell’accordo firmato il 27 gennaio 1924, veniva sostanzialmente sancito lo scioglimento dello Stato libero di Fiume. La città veniva incorporata nel Regno d’Italia, assieme ad una striscia di territorio che ne consentiva la continuità col resto del Paese. La Jugoslavia ebbe il delta del fiume Eneo, compreso il borgo di Porto Baross, e l’estremo territorio settentrionale del distretto fiumano. La contesa di Fiume aveva acceso i primi forti scontri già alla conferenza di pace di Versailles, poiché Orlando e Sonnino, plenipotenziari italiani all’assise post-bellica, chiesero la cit-

MEMORIA

tà anche se questa non era compresa nel patto di Londra del 1915, relativo alle concessioni che l’Italia avrebbe avuto in caso di vittoria. Tale richiesta nasceva in considerazione del fatto che Fiume era abitata prevalentemente da italiani. Tra i principali detrattori della posizione italiana vi era il presidente americano Wilson, che, in qualità di principale finanziatore degli Stati vittoriosi, nonché detentore di crediti che nessuno sarebbe mai stato in grado di pagare, ebbe il peso decisivo nella vicenda. Wilson ottenne che Fiume diventasse uno Stato libero a garanzia delle libera fruibilità del suo porto da tutti gli Stati balcanici. Se è vero che con l’ingresso degli Stati Uniti nelle contese europee molti equilibri andavano rivisti, è vero anche che dopo una guerra tanto dolorosa e pesante sotto tutti i punti di vista, i vincitori volevano vedere i propri sforzi ripagati adeguatamente. Nell’ultimo anno l’Italia era risorta da Caporetto, e le vittorie del Piave e di Vittorio Veneto avevano acceso molte speranze, ma i risultati della conferenza di pace furono molto inferiori alle aspettative, al punto da far gridare alla “Vittoria Mutilata”. Gabriele d’Annunzio si fece interprete di tale malcontento. Prese in mano la situazione lanciandosi nella conquista militare, non autorizzata dall’Italia, della città istriana e del territorio circostante (vedi box a destra). Si venne a creare una situazione delicatissima nel quadro dei rapporti internazionali, condizione che mutò a seguito dell’azione distensiva promossa dal ministro degli esteri Sforza. Nominato da Giolitti nel 1920, Sforza era diplomatico di lungo corso, molto accreditato in Serbia. A lui si deve la firma del Trattato di Rapallo, che aprì la strada agli accordi di Roma e al, seppur temporaneo, ricongiungimento di Fiume alla Patria.

TRADITA

Il dramma degli italiani D’Istria e Dalmazia Vittime di una feroce pulizia etnica lasciarono le proprie case e le proprie radici Con le ultime fasi della Seconda guerra mondiale, già cominciano le rappresaglie contro gli italiani. I comunisti di Tito avanzano e iniziano la loro pulizia etnica, violenze e stragi sono all’ordine del giorno, migliaia di innocenti vengono gettati nelle foibe, anche donne e bambini vengono legati con il fil di ferro e gettati nelle grotte carsiche ancora vivi. Chi ci riesce

scappa, o tenta una vana resistenza, i più vengono sterminati. L’obiettivo di Tito non è semplicemente quello di conquistare una parte del territorio italiano, ma estirparne gli italiani, affinché mai più avessero ad avanzare pretese di annessione al loro Paese. Con ancora negli occhi il dramma delle violenze subite, alla fine delle ostilità, i superstiti istriano-dalmati iniziano il loro penoso esodo: saranno oltre 250 mila. Il governo Iugoslavo ovviamente li incoraggia a lasciare case e terreni confi-

scando tutto a titolo di risarcimento per i danni di guerra. Nel loro Paese questi profughi trovano conforto e ospitalità; ma non sempre, purtroppo. Le lacerazioni ideologiche saranno pretesto per pregiudizi ancora oggi duri a morire, e la non ancora condivisa memoria per l’orrore delle foibe ne è un chiaro segno, come lo è la testimonianza che segue. “Maria aveva paura di parlare, come altri profughi istriani. Era venuta via nel 1947, dopo l’attentato di Vergarolla. Fu aiutata dalle suore della Provvidenza di Udine. Se cercava di raccontare qualcosa del suo esilio, le chiudevano la bocca con una parola: ‘fascista’. Maria era figlia di Domenico, detto Mimi, un fabbro di Rovigno, poi vissero a Pola. Lei, la sua famiglia e la sua comunità furono felici di essere del tutto italiani dopo la Prima Guerra Mondiale. Orgogliosa di essere italiana lo fu fino alla fine, quando morì a Udine, nel 2009, senza aver raccontato troppi particolari dell’esodo. Sua figlia, Rosalba, e i nipoti di Maria oggi vogliono sapere, vogliono conoscere l’esodo istriano dalmata, vogliono scoprire perché lei non parlava”.

1919 IL PUNTO DI INIZIO D’Annunzio alla testa dei suoi legionari attacca e conquista la città istriana

L’indecisione sul destino di Fiume, occupata da truppe francesi e italiane, porta grande scompiglio nella popolazione, in maggioranza italiana. Il 29 giugno 1919 scoppiano disordini tra la popolazione e le truppe francesi, che avevano strappato il tricolore che molti cittadini avevano appuntato sui vestiti. Gli scontri coinvolsero anche i granatieri di Sardegna, di cui i francesi chiesero e ottennero il ritiro. I granatieri di Sardegna, per nulla intenzionati a mollare, uscirono dalla città diretti a Ronchi, da dove alcuni ufficiali scrissero a d’Annunzio, chiedendogli di prendere il comando di una spedizione. Intanto molti volontari affluirono; d’Annunzio arrivò l’11 settembre, prese la testa dei volontari ed entrò in città acclamato dalla popolazione festante. Nel pomeriggio proclamò l’annessione all’Italia, ma il governo italiano, presieduto da Nitti, non riconobbe l’atto di forza, anzi, inviò i bersaglieri ad assediare la città. I militari, però, il 25 settembre disertarono unendosi ai volontari nella difesa di Fiume. Fu proclamata la “Reggenza italiana del Carnaro”, con la quale il governo italiano tentò di interagire per risolvere la crisi. D’Annunzio rifiutò di accettare i termini del trattato di Rapallo, che nel frattempo, Italia e Iugoslavia avevano firmato, rendendo fiume “Città libera” in vista della sua futura annessione. Falliti i tentativi diplomatici, la vigilia di natale del 1920, l’esercito italiano, guidato dal generale Caviglia, attaccò la città e depose la reggenza. D’Annunzio firmò la resa il 31 dicembre, a partire da quel momento nasceva lo Sato Libero di Fiume.


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RINTOCCHI

La Voce Sociale sabato 31 gennaio 2015

Arriva la Bibbia nel testo bilingue latino-italiano La prestigiosa edizione è stata presentata dal cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze nel corso di una conferenza stampa nell’Aula Magna dell’Istituto Patristico Augustinianum a Roma di Antonio Alboretti

È stata appena presentata presso l’Aula magna dell’Istituto Patristico Augustinianum di Roma (in via Paolo VI, 25) “La Sacra Bibbia – Testo bilingue. Latino-Italiano”, pubblicata dalla Libreria Editrice Vaticana a cura di monsignor Fortunato Frezza, canonico vaticano e dottore in Sacra Scrittura presso il Pontificio Istituto Biblico di Roma, già sottosegretario del Sinodo dei Vescovi. All’incontro, che è stato coordinato da don Giuseppe Costa, diretto-

re della Lev, sono intervenuti il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, il professore Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, monsignor Romano Penna, ordinario emerito di Nuovo Testamento presso la Pontificia Università Lateranense. Sarà presente il curatore. Questa poderosa edizione (ben 4.488 pagine) presenta due versioni affiancate in parallelo ad ogni pagina: la Nova Vulgata, riveduta nel 2005, e la

Sante parole Dio placa la nostra sete di vita vera Dio, facendosi uomo, ha fatto propria la nostra sete, non solo dell’acqua materiale, ma soprattutto la sete di una vita piena, di una vita libera dalla schiavitù del male e della morte. Nello stesso tempo, con la sua incarnazione Dio ha posto la sua sete – perché anche Dio ha sete - nel cuore di un uomo: Gesù di Nazaret. Dio ha sete di noi, dei nostri cuori, del nostro amore, e ha messo questa sete nel cuore di Gesù. Dunque, nel cuore di Cristo si incontrano la sete umana e la sete divina. E il desiderio dell’unità dei suoi discepoli appartiene a questa sete. Lo troviamo espresso nella preghiera

elevata al Padre prima della Passione: «Perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21). Quello che voleva Gesù: l’unità di tutti! Il diavolo - lo sappiamo - è il padre delle divisioni, è uno che sempre divide, che sempre fa guerre, fa tanto male. Angelus del 25/1/15

versione italiana della Conferenza Episcopale Italiana del 2008. La Bibbia bilingue “è destinata a proporre due versioni dell’unico testo originale, disposte in parallelo su una medesima pagina, con evidenti scopi comparativi” spiega monsignor Frezza. “Nova Vulgata e versione italiana della Conferenza Episcopale Italiana sono due veri e propri monumenti di fedeltà alla rivelazione e di studio scientifico – prosegue il curatore –, che rendono preziosa questa edizione che li associa e ne pubblica i pregi”.

LA VOCE SOCIALE 7 Supplemento settimanale al quotidiano online www.lavocesociale.it reg. Tribunale di Roma n. 206 del 02.08.13 Editore/Proprietario Comunica Soc. coop. a r.l. Direzione, redazione e amministrazione Largo Colli Albani, 32 - 00179 ROMA Tel. 06 783 464 13 redazione@lavocesociale.it Direttore responsabile: CARMINE ALBORETTI direttore@lavocesociale.it In redazione: ADOLFO SPEZZAFERRO Collaboratori: GINO ZACCARI Antonio Alboretti La collaborazione, a qualsiasi titolo, è gratuita. Articoli e foto, anche se non pubblicati, non si restituiscono. Si collabora su richiesta della direzione. chiuso in tipografia il 30/01/15.


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I libri...

La Voce Sociale sabato 31 gennaio 2014

...della Voce Sociale L’uomo del futuro: “L’econnivoro” Se fino a pochi anni fa, il cibo era visto dall’Homo Sapiens solo come strumento per la sopravvivenza fisica o al massimo per l’appagamento del piacere del gusto, per l’Uomo del nuovo millennio è anche un fattore da cui dipende la propria salute e quella dell’ambiente. In questo periodo, dove la grande distribuzione, gli allevamenti e le colture intensivi e perfino la criminalità organizzata, vogliono decidere come e che cosa mangiare gettandoci nello stomaco più che cibo, il frutto di un attento calcolo per un consistente profitto, questo manuale arriva al momento giusto. Massimo and reucci nel suo libro tratta, infatti, la tesi a favore di un consumo ridotto e consapevole di carne che intende evitare gli eccessi ideologici. Nei panni di food detective che indaga sulle origini della carne venduta al banco frigo, lo scrittore riflette sulle dinamiche degli allevamenti intensi-

vi, prendendo in considerazione più elementi. Non è necessario fare scelte radicali, basta solo tornare alla natura e seguirne gli insegnamenti. Rifiutare i prodotti dell’allevamento intensivo, ridurre il consumo di carne, far prevalere il principio della qualità su quello della quantità, cercare mercati alternativi e scoprire chi e cosa si nasconde dietro i colossi dell’industria alimentare sono le strategie che possiamo mettere in atto per opporci alle logiche di un sistema economico pericoloso e destinato all’implosione. L’econnivoro è l’uomo del futuro, l’essere umano in grado di vivere in armonia e nel rispetto del paradiso naturale che lo circonda, promotore di una nuova forma di consumo etico e sostenibile. In appendice una breve guida alle aziende, agli allevamenti e ai mercati italiani dove è possibile acquistare prodotti biologici e di qualità.

“La via del Lupo”, storia di una ricerca appassionata All’inizio degli anni Settanta del Novecento, il lupo in Italia era pressoché scomparso. Solo pochi branchi residui venivano segnalati tra la Sila e i Monti Sibillini. Sembrava che l’estinzione fosse ormai inevitabile. Poi il vento è cambiato. Favorito dal progressivo spopolamento delle montagne, dal rilascio di animali a scopo venatorio e dall’entrata in vigore di una nuova legislazione di tutela, il lupo ha trovato le condizioni per riprodursi e rioccupare gli antichi territori. Il percorso seguito tra le montagne è oggi una fascia di territorio selvaggio, larga qualche decina di chilometri, che segue la dorsale appenninica. Marco Albino Ferrari ha seguito la “via del lupo”, ha ripercorso le tappe di un viaggio in luoghi marginali e misteriosi e racconta storie di uomini e animali, antiche leggende e appassionanti avventure di ricercatori, impegnati a contrastare le diffidenze (e a volte le minacce) degli allevatori danneggiati dal lupo. «Camminavo seguendo le misteriose tracce e ascoltando il rumore come di vetri

calpestati che il mio passo produceva sulla neve ghiacciata. Se fossero state di lupo, quanti esemplari erano passati lungo quella traccia? Un branco? Una coppia?

Un lupo solitario? Sapevo bene soltanto una cosa: che imbattersi nelle tracce dei lupi non era un evento affatto eccezionale sui Monti Sibillini».



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