1/ 2017 marzo
#editoriale
“RICOMINCIAMO”
#attualità
IBERNAZIONE: LA SALVEZZA DA BRIVIDI
#attualità
MARTE, SECONDA TERRA
#cultura
SHERLOCK HOLMES ORA USA L’IPHONE
#musica
AUDIOSLAVE: RIUNITI PER UNA “RESISTENZA” POLITICA
#libri
LA RICERCA DELLA FELICITÀ IL POETA DE “L’INFINITO” IN UN LIBRO DI INFINITO SPLENDORE
#film
L’INFERNO DI DANTE E’ PROFEZIA
#film
RECENSIONE – ARRIVAL –
#sport
QUANDO IL CALCIO AVEVA CASA IN PROVINCIA
STORIA DI JEN, #personaggi L’INCREDIBILE L’ACROBATA SENZA GAMBE. periodico studentesco del Liceo Classico Stabili - Trebbiani, anno IX n° 1 marzo 2017 www.liceostabilitrebbiani.gov.it
Editoriale
#online
Anche quest’anno “La Voce” del classico torna a farsi sentire, con il suo tono talora più prepotente, talora più flebile e difficilmente udibile. È con questo spirito, con questa fragilità intrinseca, che apriamo il numero di quest’anno, con le parole un po’ strozzate in gola e la lingua paralizzata, con gli occhi ancora lucidi di qualche lacrima postuma e con le mani ancora intente a mettere pezze e raccogliere brandelli. È stato un anno duro, quello che ci siamo lasciati alle spalle, un anno di lenta sopportazione e di cicatrici più o meno interiori, un anno che siamo quasi grati sia terminato, calato ormai, con lo scoccare di una mezzanotte lontana, il sipario su un capitolo penoso della storia mondiale e italiana. Molte celebrità, più o meno amate, ci hanno lasciato, molti visi noti della televisione e amati dal pubblico; decisioni politiche sono state prese, più o meno condivisibili, ma certamente decisioni che si dimostreranno fondamentali per il futuro del nostro e di altri paesi; e infine, ultimo ma non meno importante, quest’anno sarà certamente ricordato come l’anno del terremoto, il terremoto che ha incrinato tanti equilibri, il terremoto che ha distrutto famiglie, il terremoto che ha distrutto tempi e spazi, il terremoto che ci ha tolto qualsiasi sicurezza sul nostro passato, il nostro presente, e soprattutto il nostro futuro. Ne siamo consapevoli in una maniera quasi dolorosa, ora, consapevoli della nostra fragilità, dei nostri limiti, e della scarsa protezione che mura saldamente erette e dalle basi ben fondate possono dare, consapevoli di quanto non bastino beni, soldi o certezze a salvarci dall’inevitabile e dal naturale. Molto è stato distrutto in quest’ultimo anno, molto è (inevitabilmente) cambiato. Perfino la nostra stessa redazione si trova cambiata, all’inizio di questo nuovo, ritardato percorso, priva di alcune colonne portanti che per alcuni anni ci hanno sostenuto nel nostro percorso di crescita. Io stessa mi ritrovo, come nuova capo-redattrice, carica di nuove responsabilità e di nuove aspettative, non più guidata ma guida, non più passiva ma attiva, non più osservatrice ma direttrice. Perciò apriamo questo nuovo anno non considerandolo una fine di quello vecchio, non rifiutiamo il passato, non nascondiamo le cicatrici che per tutta la vita c’accompagneranno: sfruttiamo questo nuovo inizio, cogliamo questa nuova speranza, e proviamo a ricominciare, tutti insieme, speranzosi che da queste macerie un giorno risorgerà una città, speranzosi che da questo vuoto, un giorno, nasca un qualche fiore. E questo è lo stimolo che noi tutti vogliamo darci e darvi, per l’inizio di questo nuovo percorso di vita: un corale, unanime “Ricominciamo”.
Sommario
Attualità
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Cultura
5
Musica
7
Libri
8
Film
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Sport
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Personaggi
Silvia Strambi
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Caporedattore Silvia Strambi Erika Basciani Isaia Belardinelli Matteo Cimica Silvia Corvaro Martina Esposito Alberico Ferretti Noemi Ferretti Iacopo Morosini Elisa Rosati Valerio Rosati Silvia Strambi Coordinatori Prof.ssa Roberta Ciotti Prof.ssa Annarita Siliquini Prof. Furio Tarquinio
Progetto grafico e impaginazione Prof.ssa Stefania Pierantozzi
Ibernazione: la salvezza da brividi
#attualità
La serie televisiva animata “Futurama”, creata da Matt Groening racconta le vicende di Philip J. Fry, fattorino di una pizzeria
che il primo gennaio 2000 finisce accidentalmente in una capsula per il sonno criogenico e si risveglia mille anni dopo, il 31 dicembre 2999, iniziando una nuova vita nella New York del futuro. Ad oggi al mondo sono 377 le persone che si sono affidate alla criogenesi nella speranza di risvegliarsi nel futuro proprio come Fry. Altre 2.000 persone hanno firmato un contratto per essere ibernate post mortem, tra cui 8 italiani. Ma tutto ciò è davvero possibile? E qual è il vero scopo? “Mi è stato chiesto di spiegare perché voglio una cosa così strana: è perché ho solo 14 anni e non voglio morire, ma so che sto morendo. Voglio vivere, vivere più a lungo, perché in futuro potrebbero trovare una cura per il cancro e risvegliarmi”. Queste le parole riportate nella lettera di J.S., la teenager britannica malata terminale di cancro che ha fatto parlare tutti i giornali della sua volontà di essere ibernata. La lettera è stata scritta al giudice che ne ha disposto la crioconservazione post mortem. Per l’Alta Corte di Londra si tratta di un verdetto senza precedenti, il quale è stato reso pubblico solo a ottobre, a ibernazione compiuta. Ma cos’è la criogenesi, o meglio la crioconservazione post mortem, come nel caso della ragazzina inglese? Partiamo da cos’è l’ibernazione, ossia una condizione biologica in cui le funzioni vitali sono ridotte al minimo, il battito cardiaco e la respirazione rallentano, il metabolismo si riduce e la temperatura corporea si abbassa. Negli animali la troviamo in un aspetto analogo nel letargo, mentre in medicina viene chiamata ipotermia preventiva, applicata per particolari interventi chirurgici, specialmente in neurochirurgia e cardiochirurgia. La procedura di ibernazione inizia appena il cuore smette di battere e prima che sia dichiarata la morte cerebrale. Il sangue viene sostituito da una sostanza la cui funzione è evitare il congelamento dell’acqua nelle cellule. Poi, il corpo viene raffreddato velocemente fino a -125°C (vetrificazione) e poi lentamente portato a -196 °C, la temperatura dell’azoto liquido. La conservazione avviene a testa in giù in cisterne speciali chiamate “tewar”. Al mondo attualmente ci sono tre diversi centri di crioconservazione con differenti costi: la più dispendiosa è l’Alcor Life Extension Foundation con sede a Scottdale in Arizona (dove è congelata J.S.), che propone il trattamento a 200.000 dollari (circa 186.000 euro), mentre il pagamento è di 80.000 dollari per congelare solo la testa. La Cryonics, altra azienda statunitense, offre tariffe molto più agevoli che non sforano i 100.000 dollari. Infine in Russia c’è la KrioRus, che chiede invece 36.000 dollari per il corpo intero e 18.000 per la testa. L’obiettivo principale del trattamento è quello di mantenere il corpo in condizioni sostanzialmente intatte nella speranza di poterlo poi risuscitare. Chi si fa ibernare, infatti, spera in futuro di essere “risvegliato” e curato dalla malattia che gli ha tolto la vita, grazie a ipotetiche nuove competenze mediche. Ed è proprio il caso di J.S. “Si tratta di un tema strettamente confinato alla fantascienza, ai film” dice Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma. “Ci sono enormi problemi tecnici che non riesco a immaginare in che misura possano essere risolti, anche fra decenni. Fra l’altro, l’ipotizzare cosa possa accadere fra 40-50 anni in ricerca è chiromanzia”. Dal punto di vista etico e legale è possibile farsi ibernare, anche se, come abbiamo dedotto, non è stato ancora trovato un modo per risvegliare i corpi, né abbiamo la certezza che essi possano recuperare a pieno tutte le funzioni vitali una volta risvegliati. Proprio a questo proposito si esprime Maurizio Genuardi, direttore dell’Istituto di Medicina genomica dell’Università Cattolica e del Policlinico Gemelli di Roma: “Non sappiamo come far riprendere le funzionalità di un organismo congelato. Se infatti sappiamo congelare e risvegliare singole cellule, farlo con un organismo complesso è tutt’altra cosa. E anche se riuscissimo nell’intento di rianimarlo ignoriamo in quali condizioni potremmo “risvegliare” questa persona.” Questi pareri portano necessariamente a una conclusione: criogenesi è speranza contro ogni speranza. Viene messa a tacere la voce della traboccante voglia di vivere di un’adolescente e il grido di protesta che abita le profondità dell’esperienza umana, ossia che non è possibile morire per sempre. Ma come ricordava tristemente Sant’Agostino: “Da due pericoli bisogna guardarsi: dalla disperazione senza scampo (la mancanza di speranza) e dalla speranza senza fondamento.” Silvia Corvaro
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#attualità
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Marte, seconda terra
Negli anni successivi al 1969, che ricordiamo come quello in cui l’uomo per la prima volta mise piede su un corpo celeste diverso dalla Terra, l’umanità sognava di raggiungere altri mondi. Ma il pianeta che ha sempre attratto di più l’attenzione degli studiosi, soprattutto perché somiglia maggiormente al nostro tra quelli del Sistema Solare, è Marte. Purtroppo all’ epoca non vi erano le competenze necessarie affinché un essere vivente potesse superare un viaggio tanto lungo e rischioso, ma, l’entusiasmo che l’allunaggio generò, fece sì che le Agenzie Spaziali iniziassero ad interessarsi al Pianeta Rosso inviando Rover, Satelliti, Sonde, la cui evoluzione ha portato a quelle coinvolte nelle attuali missioni di esplorazione. L’interesse è cresciuto negli anni e oggi, mentre si continua a studiare Marte, si inizia a progettare, con una buona dose di realismo, non solo l’invio di uomini, ma anche la prima vera colonizzazione di un nuovo mondo da parte della razza umana. E in questo campo si stanno sempre più affermando le aziende private, che, essendo dinamiche, competitive e anche economicamente stabili, continuano ad avanzare proposte per missioni spaziali sempre più concrete. Tra le aziende più famose, nate proprio con questo scopo, vi è “Mars One” che promette di inviare moduli abita passionati si è spostata su una delle più grandi aziende private del settore che sta compiendo enormi passi avanti nello sviluppo di veicoli innovativi per l’esplorazione dello spazio : SpaceX. La compagnia, infatti, è stata la prima ad aver realizzato un razzo, il “Falcon 9”, che, una volta usato per lanciare oltre l’atmosfera un veicolo o un satellite, è capace di tornare sulla Terra atterrando nella stessa base da cui era stato lanciato, anche se essa si trova in mare e quindi soggetta al moto delle onde. Inoltre con il sua navicella “Dragon” è stata la prima organizzazione non soggetta al controllo da parte di alcun governo ad usufruire della Stazione Spaziale Internazionale. L’ ambizioso piano di SpaceX prevede la presenza costante di una piattaforma di lancio a Cape Canaveral, base tuttora in uso nonostante siano passati diversi anni da quando divenne famosa grazie al programma Apollo, capace di preparare al lancio diversi Falcon 9 l’uno dopo l’altro in un breve lasso di tempo posizionando al di sopra di essi una versione modificata del Dragon. Una volta lanciata nello spazio la navicella si differenzierebbe da quella attuale specialmente per le dimensioni maggiori, una forma più allungata e soprattutto speciali pannelli solari che, una volta posizionati sfrutterebbero meglio i raggi del sole grazie alla loro forma simile a quella di un ventaglio, generando così 200 kW di energia. Inoltre prima di intraprendere il viaggio riuscirebbe a rifornirsi autonomamente grazie ad una delle stazioni orbitanti contenenti carburante, che, a sua volta, rientrerebbe sulla Terra per rifornirsi proprio come il Falcon 9. Pianificando il tutto nel periodo di maggiore vicinanza tra i due pianeti, con una buona dose di ottimismo, SpaceX ritiene di poter raggiungere Marte in un minimo di 80 giorni, per arrivare ad un massimo di 150.
Nonostante tutto bisogna anche considerare l’ evoluzione della tecnologia alla base dei reattori dell’azienda, denominati Marlin, che hanno reso il Falcon Heavy, versione potenziata della variante 9, più potente dello Space Shuttle, essendo capace di generare una forza complessiva di 24681 kN.Con un ulteriore potenziamento e perfezionamento della tecnologia si potrebbe arrivare a 127800 kN consentendo al veicolo di raggiungere una velocità di 100800 km/h. La navicella una volta arrivata non avrebb e difficoltà ad atterrare, individuato il punto favorevole, dato che Dragon, grazie a dei materiali molto particolari, riesce a resistere a temperature superiori a 1700 °C, cosa che gli consentirebbe, insieme alla teologia usata per l’automatico rientro del Falcon 9 sulla Terra, di arrivare sulla superficie marziana. Il piano ambizioso è compatibile con le capacità economiche dell’azienda, che nonostante tutto avrebbe bisogno del sostegno della NASA con cui collabora da diversi anni, anche perché il progetto non sarebbe, secondo le prime stime, troppo costoso, data la cifra di 62 milioni di dollari, sufficiente oltretutto per diversi viaggi. Tuttavia non sono mancate le critiche dovute soprattutto al fatto di non aver affrontato durante la conferenza i problemi relativi alla sopravvivenza e alla vita quotidiana sul pianeta rosso. In risposta si può però affermare che SpaceX è specializzata nello sviluppo di veicoli e in confronto il progetto di Mars One sopra citato è molto meno realistico e soprattutto deludente considerando che l’azienda è nata proprio con l’intento di colonizzare il Pianeta Rosso entro i 2030. Parlando di date, la rivoluzionaria compagnia si propone di raggiungere parte delle competenze necessarie entro il 2018 e di effettuare i primi test di invio di navicelle su Marte a partire già dal 2023. Quest’ultime potrebbero essere considerate meno vicine al vero rispetto alla prima proposta che vede come obiettivo finale l’inizio del terzo decennio di questo secolo. Però la storia insegna che se grandi uomini visionari sono alla guida di grandi aziende, essi possono cambiare il mondo. E si può dire questo di Elon Musk, CEO, nonché fondatore, di colossi che hanno cambiato le regole e gli obbiettivi del settore in cui operano. Oltre a SpaceX, tra le aziende del magnate figura “Tesla”, che è riuscita a creare auto super lussuose, capaci di raggiungere i 100 km/h in 0,6 s , con un’autonomia di circa 360 km, dotate anche di guida autonoma e assistita, di portiere con apertura e chiusura automatica e di molto altro ma completamente elettriche. Infine si può citare “Solar City” che ha già cambiato la concezione di pannello solare, grazie ai “Solar Roof ”, ovvero tegole che se viste dalla strada sembrano formare comunissimi tetti, ma che in realtà hanno integrato i componenti che permettono loro di trasformare la luce solare in energia elettrica. Ci si può, dunque, augurare che l’umanità progredisca in breve recuperando il tempo perduto in questi anni a causa di crisi, guerre, denaro e demagoghi. Isaia Belardinelli
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#cultura
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SHERLOCK HOLMES ORA USA L’iPHONE
ipa in bocca, berretto da caccia calato in testa, lente d'ingrandimento rigorosamente a portata di mano e un fiuto eccezionale sempre pronto all'evenienza. Impossibile non riconoscere, in questa descrizione, lo straordinario e ormai mitico Sherlock Holmes, detective nato nel 1887 dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle e da allora divenuto personaggio cult della letteratura inglese. Il mito di questo investigatore dalla mente brillante e acuta, padre della "Scienza della deduzione", ha travalicato i secoli, guadagnandosi una fitta schiera di appassionati e ammiratori. E dire che, al tempo della sua pubblicazione, "Uno studio in rosso", prima storia con protagonisti l'ora iconico Holmes, passò completamente inosservata. Fu solo con la pubblicazione de "Il segno dei quattro", tre anni dopo, che il detective di Baker Street ottenne l'attenzione che meritava. Il successo, e con questo le richieste pressanti dei sempre più numerosi ammiratori, fu tale che Doyle iniziò a detestare il suo stesso personaggio, tanto che pensò di terminare la sua esistenza con "L'ultima avventura", racconto in cui il detective affronta la sua nemesi, il professor Moriarty, e muore nello scontro cadendo dalle cascate di Reichenbach. Dopo aver narrato un'avventura precedente al duello con Moriarty ne "Il mastino dei Baskerville", Doyle fu costretto dalle insistenze dei suoi fan a far "resuscitare" l'iconico personaggio nel racconto "L'avventura della casa vuota", dando così vita a una nuova serie di avventure vissute dal poliedrico investigatore e dal suo inseparabile coinquilino, il dottor John Watson. Il detective di Baker Street, con un "Elementare, Watson!" sempre sulla punta della lingua e un'innaturale tendenza al pericoloso e all'improbabile, conta tuttora sull'amore di milioni di fan e centinaia di adattamenti cinematografici e televisivi. Uno degli ultimi e più amati prodotti avente per protagonista il duo Holmes-Watson è la serie inglese della BBC "Sherlock", creata da Steven Moffat e Mark Gatiss, conosciuti in patria per il loro lavoro nella serie cult "Doctor Who". In questo nuovo e dinamico adattamento vediamo l'investigatore e il suo coinquilino (interpretati rispettivamente da Benedict Cumberbatch e Martin Freeman) impegnati a risolvere casi impossibili e a sconfiggere formidabili criminali. Nulla di nuovo, apparentemente. Se non fosse che il tutto è ambientato ai giorni nostri.
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Ecco dunque che i racconti pubblicati da Watson sullo Strand Magazine si trasformano nel blog che dà la fama mondiale allo scontroso detective, i mezzi d'informazione di Holmes diventano iPhone e computer e al posto della famigerata pipa troviamo cerotti alla nicotina o, sporadicamente, sigarette. Ma al contempo molti sono i dettagli tratti dall'opera di Doyle che rimangono invariati, come il famoso indirizzo del detective o il suo inseparabile deerstalker, indossato in maniera più recalcitrante dal "moderno" Holmes. Moffat e Gatiss ripropongono fedelmente il materiale d'origine trasportandolo nel ventunesimo secolo e dimostrandosi attenti a mantenerne lo spirito originale, facendo affidamento a una sceneggiatura complessa e una regia dal taglio anticonvenzionale e moderno. Sherlock si dimostra un personaggio imprevedibile, ligio al proprio lavoro e costantemente alla ricerca del bandolo della matassa, un analitico osservatore del mondo che, talvolta, sembra perdere la sua umanità nella sua asettica e continua ricerca del vero ma che risulta al contempo impossibile da prevedere nelle sue azioni e nella quotidianità. "Mi annoio", replica con aria naturale al coinquilino, che lo ha ritrovato a sparare al muro di casa in assenza di casi da risolvere. Una mente brillante, e un'apparente lontananza dal mondo e da tutto ciò che è umano in lui, fino a quando a rischiare sono le persone a lui più care. Eccolo dunque impallidire di fronte alla visione di John imbottito di esplosivi da Moriarty (interpretato da Andrew Scott) e tenuto sotto tiro da alcuni cecchini, o correre in soccorso dell'amico,
imprigionato sotto una pira pronta ad essere infiammata. E' e sarà sempre John Watson, lo sanno bene i personaggi che lo circondano e i fan, la sua più grande debolezza. "La sua damigella in pericolo", lo definisce uno dei suoi temibili nemici, "Il suo ragazzo" Angelo, il proprietario di un bar. In effetti sono molti i fan a credere nella possibilità di una relazione tra il detective e il suo amico fidato, e di certo i creatori stessi giocano sulla dualità del loro rapporto piuttosto stretto. Lo stesso John ammette che Sherlock è, insieme alla moglie Mary Morstan (interpretata dall'ex compagna di Freeman, Amanda Abbington), la persona che più ama al mondo, e più volte il detective si vede disposto a fare qualsiasi cosa per salvaguardare l'amico, addirittura strapparsi a fatica da morte certa sapendolo in pericolo. La coppia, soprannominata "Johnlock" dai fan, è tanto amata che molti si sono fermamente opposti all'inserimento del personaggio di Mary nella serie, altrettanti hanno considerato insoddisfacente il finale dell'ultima stagione per la mancanza di un tanto atteso bacio tra i due.nsoddisfacente il finale dell'ultima stagione per la mancanza di un tanto atteso bacio tra i due. Interessante anche il rapporto che si viene a sviluppare tra Holmes e l'arcinemico Jim Moriarty, personaggio che sembra fare da specchio al
detective, faccia di una stessa medaglia: affascinati entrambi dal crimine e da tutto ciò che è criminale, assolutamente folli e disposti a qualsiasi stratagemma, risulta piuttosto difficile non paragonare i due personaggi e non chiedersi se Sherlock stesso non sarebbe divenuto un secondo Moriarty se non fosse stato "dalla parte degli angeli". Ad affiancare il detective ci sono poi altri famosi personaggi appartenenti all'universo creato da Doyle, come ad esempio l'ispettore Lestrade (Rupert Graves), la sua padrona di casa, la signora Hudson (Una Stubbs), il fratello -più intelligente- del protagonista, Mycroft Holmes (Mark Gatiss), o "la Donna" per eccellenza, l'affascinante Irene Adler (Lara Pulver). Alcuni personaggi nascono invece dalla contaminazione di più storie, come ad esempio il filantropo Culverton Smith (Tom Jones), altri ancora, come la giovane dottoressa Molly Hooper (Louise Brealey), sono interamente frutto dell'immaginazione degli autori. Quattro stagioni in quasi sette anni di produzione, dodici episodi in totale più uno speciale di Natale, "L'abominevole sposa", che vede Cumberbatch e Freeman muoversi nei panni dei loro alter ego nella Londra del diciottesimo secolo, e una schiera di fan fedeli pronta a difendere con le unghie e coi denti i propri beniamini, "Sherlock" è entrata di prepotenza nella cultura di massa e nei cuori degli appassionati di serie tv, venendo più volte lodata dai critici. La quarta stagione potrebbe essere l'ultima a causa degli impegni lavorativi dei due attori protagonisti, divenuti ormai star mondiali, ma, come Mary constata nell'emozionante finale, "Quando la vita diventa troppo strana, troppo impossibile, troppo spaventosa, c'è sempre un'ultima speranza". E quella speranza è un piccolo appartamento di Londra a Baker Street, rifugio di ogni fan del mondo amante delle folli avventure di Sherlock Holmes e del dottor John Watson. Silvia Strambi
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AAudioslave: udi o s l av e :
#musica riuniti per una “resistenza” politica riuniti per una “resistenza” politica
“P
essimi presidenti causano ottima musica” e, con questo pretesto, tornano all’attivo gli Audioslave, di nuovo sul palco. Il supergruppo statunitense, formato dal frontman dei Soundgarden, Chris Cornell, e gli ex membri dei Rage Against The Machine, si è riunito a 12 anni dal loro ultimo spettacolo dal vivo.
Dopo un 2016 colmo di reunion per il panorama musicale, ecco che il 2017 si apre con questo inaspettato ritorno: riferito solo pochi giorni prima, Cornell e soci annunciano la loro partecipazione all’Anti-Inaugural Ball tenutosi in data 20 Gennaio a Los Angeles; un concerto evento dove più di un artista si è schierato contro il nuovo presidente degli Stati Uniti, tra cui i ritrovati Audioslave, Jackson Browne, Vic Mensa e l’attore Jack Black. “L’Anti-Inaugural Ball celebra la resistenza in tutte le sue forme,” dice Tom Morello, chitarrista della band. “Resistenza contro il razzismo. Resistenza contro il sessismo. Resistenza contro l’omofobia. Resistenza contro il bullismo. Resistenza alla devastazione ambientale. Resistenza al fascismo. Resistenza a Donald Trump. Siamo di fronte al baratro di un incubo distopico a meno che non agiamo ORA, a meno che non lottiamo ORA.” Inoltre, il gruppo ha rilasciato persino un comunicato ufficiale, in cui “Vogliamo creare delle No Trump Zone in tutti gli Stati Uniti. […] Pessimi presidenti causano ottima musica. Unisciti a noi, uniamoci assieme a questo grido per difendere i nostri diritti, il nostro paese e il nostro pianeta.” E con questi forti discorsi, la band ritorna insieme per questa “resistenza”, suonando dal vivo tre dei brani più celebri, “Cochise”, “Like a Stone” e “Show Me How to Live”, per poco più di quindici minuti di concerto. Il gruppo, formato dal chitarrista Tom Morello, il bassista Tim Commerford e il batterista Brad Wilk, dopo lo scioglimento del loro storico gruppo Rage Against the Machine - noto per il forte attivismo politico di stampo socialista, espresso senza mezzi termini nella loro stessa musica - formarono nel 2001, con Chris Cornell alla voce, gli Audioslave. Dopo tre album e numerosi concerti alle spalle, diedero nuovamente un doveroso addio a causa dell’abbandono del vocalist dalla band. Tuttavia, già da parecchio, Morello aveva rivelato di voler suonare nuovamente insieme al leader dei Soundgarden, che si è deciso a replicare solo recentemente, in un’intervista con Total Guitar: “Penso che sarebbe assolutamente fantastico. Sarebbe una bellissima esperienza tornare insieme e lavorare ancora con quei ragazzi. Eravamo molto prolifici insieme, abbiamo scritto tre album in cinque anni. E avevamo ancora moltissimo materiale extra. Non c'è mai stato nessun problema quando dovevamo decidere cosa pubblicare o in che direzione muoverci dal punto di vista musicale. Sono dei ragazzi fantastici ed ho amato l'esperienza che ho avuto con loro. E sono sempre aperto alla possibilità di tornare a fare qualcosa insieme.” Con queste parole, la certezza di una rimpatriata era pressoché certa, e questo evento ha dato la spinta definitiva al supergruppo. Con questa reunion, Cornell ha risvegliato un secondo vecchio progetto ormai dormiente; il primo, infatti, è stato recentemente il ritorno in un altro gruppo in cui militò all’inizio degli anni ‘90, i Temple of the Dog. In ogni caso, non si ha alcun altra notizia sugli Audioslave: pare infatti che questa sia solo un’occasione speciale anti-Trump, non è stato ancora rivelato nulla su possibili lavori futuri da parte dei quattro. Jacopo Morosini
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#libri
L’INFERNO DI DANTE E’ PROFEZIA “L’umanità è la malattia. Inferno è la cura.”
#film
Questa è la criptica, apocalittica frase che costituisce il perno di tutto il film, nonché la causa scatenante di ognuna delle vicende, anche drammatiche, che si consumano nello stesso. “Inferno” è un thriller, diretto dal regista Ron Howard e uscito nelle sale italiane il 13 ottobre 2016; tratto dall’omonimo best-seller di Dan Brown, autore anche dei precedenti “Angeli e Demoni”, “Il Codice da Vinci” e “Il simbolo perduto”, ha come protagonista il professore di simbologia Robert Langdon (interpretato da Tom Hanks), accompagnato dalla dottoressa Sienna Brooks (Felicity Jones) e, in un secondo momento, anche da molteplici altri personaggi. Il film inizia nel momento in cui il milionario scienziato Bertrand Zobrist (interpretato da Ben Foster) si suicida, gettandosi da un campanile di Firenze, pur di non rivelare ai suoi misteriosi inseguitori dove si trovi la sua più grande invenzione: un virus della peste che, se diffuso, ucciderebbe gran parte della popolazione mondiale. La scena si sposta subito dopo in tutt’altro contesto: troviamo infatti il professor Langdon in ospedale, incapace di ricordare qualsivoglia avvenimento delle ultime 48 ore. La dottoressa Brooks, di turno in quel momento, inizia a porgli svariate domande per accertarsi delle condizioni del paziente, quando, improvvisamente, irrompe nell’ospedale una donna travestita da poliziotto, Vayentha (Ana Ularu), che spara all’infermiere Marconi lì presente, per poi puntare a Langdon e Sienna, i quali riescono a fuggire, confusi e spaventati, e si rifugiano nell’abitazione della dottoressa. Langdon, nel frattempo, è preda di continue allucinazioni riguardanti l’inferno di Dante: sente una voce intimidatoria che sollecita i peccatori a pentirsi dei propri peccati, e vede immagini frammentate dei dannati descritti da Dante settecento anni fa. Mentre Sienna gli prepara del caffè, egli scopre di avere una mail non letta, scritta da un suo amico, Ignazio Busoni: una mail che inizialmente sembra non avere alcun significato, e che si conclude con quello che pare essereun codice, “paradiso venticinque”. Poco dopo avviene una seconda scoperta apparentemente incomprensibile: dalla tasca della propria giacca, infatti, Langdonpreleva una biocapsula che, al suo interno, custodisce una proiezione della mappa dell’Inferno dantesco, disegnata da Botticelli, ma successivamente modificata da Zobrist. Questo sarà il primo indizio di una lunga serie di enigmi, che, lentamente, attraverso la decifrazione di misteriosi messaggi lasciati nei luoghi più disparati, porterà Langdon e Sienna a comprendere come mai il professore sia invischiato in qualcosa all’apparenza molto più grande di lui. Durante le svariate e rapide vicende del film, la psicologia dei personaggi si va delineando in modi che spesso sorprendono lo spettatore: individui alleati si rivelano in realtà nemici, e viceversa; molti sono mossi dalle ragioni che meno ci si aspettava, creando una ragnatela di inganni e segreti dai quali sembra impossibile uscire. Il lungometraggio, pur essendo tratto da “Inferno” di Dan Brown, tuttavia in molteplici punti differisce da quest’ultimo, tanto da discostarsi completamente anche nella caratterizzazione di alcuni dei personaggi principali. Zobrist, ad esempio, viene descritto nel film come un genio squilibrato, ossessionato dall’intenzione scellerata di distruggere l’umanità; nel libro è invece un seguace del transumanesimo, deciso a risolvere il problema della sovrappopolazione che, nel giro di 100 anni, porterà la razza umana ad estinguersi. La natura stessa del virus di sua invenzione muta nella trasposizione dal cartaceo allo schermo: nell’idea originale di Dan Brown, questo virus altererebbe il codice genetico delle persone, rendendole sterili; nel film esso viene mostrato come una peste che causerebbe la morte di oltre metà della popolazione. Il film è inoltre disseminato di riferimenti all’Inferno dantesco, non soltanto attraverso le allucinazioni di Langdon, ma anche per via del viaggio stesso che quest’ultimo deve compiere, un viaggio che può essere inteso come paradigma di quello che Dante affronta nella Divina Commedia. D’altronde, Zobrist, figura che riveste un ruolo importantissimo, attraverso la sua imponente e minacciosa presenza in absentia, è un fanatico dantista, quindi molti degli indizi necessariamente devono riferirsi a Dante e alla sua massima opera. Inoltre, rispetto ai primi tre libri di Dan Brown e ai due film di Ron Howard che vedono Langdon come personaggio principale, qui viene introdotta una differenza sostanziale: il professore, infatti, non è l’uomo apparentemente onnisciente che troviamo nei film “Angeli e Demoni” e “Il Codice da Vinci”, bensì si trova, per la prima volta, in uno stato di evidente difficoltà, a causa delle sue condizioni fisiche e mentali. I luoghi in cui è stato girato il film (Venezia, Firenze e Budapest) aggiungono un tocco pittoresco che accompagna lo spettatore per quasi tutta la durata del film, originando anche un sapiente contrasto dicotomico tra l’arte presente in queste due celeberrime città italiane, e la costante minaccia rappresentata dal virus di Zobrist e dalle visioni dell’Inferno dantesco, presentato non come una finzione, quanto piuttosto come il futuro che attende l’umanità. Noemi Ferretti
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#film
RECENSIONE – ARRIVAL – Alla parola “ fantascienza”, si pensa subito a saghe storiche
del cinema, come Star Wars, Alien o Star Trek, divenute ormai un punto fermo nella cultura popolare. Ma “Arrival”, il film in questione, non ha niente a che vedere con esplosioni, armi futuristiche e spade laser. E’, invece, un fantascientifico “ragionato”, che, nonostante abbia degli spettacolari effetti visivi, non sono loro a fare da padroni, lasciando concentrare lo spettatore su una trama tanto originale quanto complicata. Ma andiamo con ordine. Secondo la trama, la protagonista Louise Banks, dopo la morte della figlia Hannah, si dedica alla sua professione di linguista . Questo fino a che non viene chiamata dal colonnello Weber a far parte di una squadra di esperti coinvolta in un’operazione molto complicata: stabilire un contatto diretto con gli extraterrestri. È infatti accaduto un evento che ha sconvolto il mondo intero: 12 enormi astronavi sono giunte sulla Terra, ciascuna in un luogo diverso, ma tutte sospese a pochi metri dal suolo terrestre. A poche giorni dall’ approdo, i governi e gli eserciti cercano di capire le intenzioni degli alieni, formando squadre specializzate. Louise entra a far parte del team che opera in Montana (Stati Uniti), composta anche dal fisico teorico Ian Donnelly, col quale la protagonista stringe una sincera amicizia. Arrivati dinanzi all’astronave, i due entrano accompagnati da dei soldati e, ad accoglierli, appare una coppia di eptapodi, grandi esseri denominati così per via dei sette arti dei quali sono muniti. I due extraterrestri comunicano attraverso particolari suoni cupi e un sistema grafico composto esclusivamente da cerchi dalle varie caratteristiche. Per comprendere questo metodo di comunicazione trascorrono giorni, sempre a contatto con gli scienziati delle altre nazioni interessate dal medesimo fenomeno ufo. Dopo essere riusciti ad insegnare agli eptapodi un vocabolario ridotto di parole, Louise e Ian arrivano, finalmente, a chiedere agli alieni le loro intenzioni sulla Terra.
Ed è proprio la risposta a questa domanda a creare il caos generale: “Offrire armi”. Per molte nazioni il messaggio ostile è chiaro, e alcune come la Cina non tardano a iniziare un attacco militare contro dei possibili invasori. Toccherà quindi alla protagonista trovare un’altra interpretazione da dare al messaggio dei pacifici extraterrestri e impedire un attacco contro le astronavi degli eptapodi. La pellicola parte come un blockbuster commerciale, e ha diverse somiglianze con il celebre “Incontri ravvicinati del terzo tipo” a livello di sceneggiatura, ma il finale lascia lo spettatore sorpreso, incredulo, facendogli evocare alla mente domande esistenziali (non il classico “Siamo soli nell’ Universo?”). Tralasciando i dettagli, l’opera cinematografica in generale è riuscita a soddisfare il pubblico per una trama originale, una spettacolare fotografia e la scenografia suggestiva per la sua semplicità. Non a caso “Arrival”, dopo essere stato presentato alla 73^ Mostra del Cinema di Venezia, ha ricevuto due nomination al Golden Globe e ben otto candidature al Premio Oscar. Inoltre ha ricevuto un’ ottima accoglienza, ad esempio il giornale inglese “Daily Telegraph” lo definisce «Fantascienza nella sua forma più bella e provocante». Il film è diretto dal canadese Denis Villeneuve, regista di vari lungometraggi drammatici e thriller, premiati a livello internazionale e che lo hanno reso famoso. Dato il genere nel quale ha avuto successo, a detta di molti poteva essere rischioso cimentarsi nello “sci-fi” per un regista come Villeneuve. Quest’ultimo però si è rivelato capace di incastrare fantascienza e dramma, grazie anche al talento degli attori. In “Arrival” è presente, infatti, un cast d’eccezione, tra cui Amy Adams, interprete della protagonista Louise Banks, Jeremy Renner e Forest Whitaker, tutti veterani del cinema hollywoodiano, che si sono fatti le ossa tra grandi successi, sia per la critica, sia al botteghino. Il contenuto della pellicola si ispira al racconto di Ted Chiang “Story of your life” (Storia della tua vita). Pellicola seria, complicata, da guardare sia con gli occhi che con il cervello, “Arrival” stimola pensieri e fa emozionare. Vedere per credere …
Matteo Cimica
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QUANDO IL CALCIO AVEVA CASA IN PROVINCIA
I
n un’epoca in cui il calcio è invaso dalle cordate internazionali, dai gruppi finanziari e da miliardari in cerca di notorietà, sono sempre più rare le imprese sportive delle cosiddette “provinciali”. Infatti ormai nel massimo campionato italiano di calcio questo tipo di squadre è relegata nei bassi fondi della classifica avendo a disposizione poche risorse che non possono fronteggiare i milioni delle grandi realtà economiche. Il loro obiettivo è al massimo quello di valorizzare qualche giovane dal vivaio per effettuare plusvalenze e, raggiunta la Serie A, accontentarsi dei proventi derivati dalla promozione dalla Serie B disposti dalla Lega calcio. Le uniche società che negli ultimi anni hanno difeso la tradizione delle provinciali sono l’Udinese e il Sassuolo. I friulani sotto la guida della famiglia Pozzo, grazie ad una visione più internazionale, ad una politica basata su un forte settore giovanile e all’esperienza dell’allenatore Francesco Guidolin, sono riusciti per diversi anni a centrare le qualificazioni alle coppe europee. Nello stesso tempo il Sassuolo, squadra di una cittadina in provincia di Modena, è stata acquistata dall’imprenditore Giorgio Squinzi, ha ottenuto uno stadio di proprietà ed è, in tal modo, riuscita nel giro degli ultimi cinque anni a risalire dalla Serie C ad uno storico sesto posto in campionato che le è valso la partecipazione all’Europa League lo scorso anno. Eppure un tempo questi risultati erano assai consueti. Il primo squillo della “provincia” arrivò nel Campionato 1957-1958 con lo storico terzo posto del Padova Calcio del paròn Nereo Rocco, che successivamente diverrà uno dei più vincenti allenatori del Milan, e della stella svedese Kurt Hamrin che farà le fortune della Fiorentina. Questa tendenza diviene più evidente a cavallo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, quando le piccole squadre di provincia, guidate da un presidentissimo riuscivano ad inanellare diverse stagioni nella massima divisione nazionale, ottenendo ottimi risultati soprattutto in casa grazie al sostegno dell’intera comunità cittadina. Infatti i loro stadi
divenivano dei fortini difficilmente espugnabili anche dalle grandi squadre del calcio italiano. È questo il caso di compagini come il Catanzaro, del patron Nicola Ceravolo, o l’Avellino che con il rigido cavalier Antonio Sibilia come presidente ottenne una striscia di nove salvezze consecutive dal 1978 in poi. Non si possono dimenticare squadre come il Pisa di Romeo Anconetani che vinse due coppe Mitropa, un trofeo internazionale che coinvolgeva le grandi squadre dell’est Europa, o il Perugia. Gli umbri guidati dalla triade alla dirigenza composta dal presidente Franco D’Attoma, il direttore sportivo Silvano Ramaccioni e l’allenatore Ilario Castagner, dopo una storica promozione in serie A, nella stagione sportiva 1978-79 raggiunsero un inaspettato secondo posto, non privo di rimpianti, ottenuto dopo una stagione senza subire sconfitte, per la prima volta nella storia del calcio italiano. Per quanto riguarda il nostro territorio, in questi anni, fu una grande provinciale anche l’Ascoli Calcio. La figura di riferimento fu l’indimenticabile Presidentissimo Costantino Rozzi. Quest’ultimo fu un importante costruttore edile che contribuì anche alla costruzione di diversi stadi italiani. Rilevò la squadra della città marchigiana nel 1968 e la portò dalla Serie C fino in Serie A dove esordì nella stagione sportiva 1974-75. Con l’Ascoli riuscì a partecipare per 14 volte al massimo campionato nazionale, sfiorando la qualificazione alle coppe Europee nel 1979-80 con il quarto posto finale. Inoltre portò in città campioni di calibro internazionale come Adelio Moro, Walter Casagrande, Bruno Giordano, Dirceu e Oliver Bierhoff. In quel periodo non si può certo dimenticare la Lanerossi Vicenza che sotto la guida del presidente Giuseppe Farina ottenne ottimi risultati in patria grazie
#sport
anche all’allenatore Giovan Battista Fabbri e al giocatore simbolo della squadra, il campione azzurro nell’82, nonché futuro Pallone d’Oro, Paolo Rossi. Quella squadra giunse seconda nel campionato 1977-1978 esprimendo grande calcio, e questo le valse il soprannome di Real Vicenza. Anche se nei decenni successivi l’ondata provinciale perse il fascino degli anni precedenti ed iniziò ad essere un fenomeno più che altro sporadico, vi furono, comunque, delle squadre che continuarono ad onorare la vecchia tradizione dei successi della provincia. Prima fra tutte il Brescia,a cavallo tra gli anni Novanta e il XXI secolo. Infatti grazie il presidente Luigi Corioni nel giro di pochi anni portò la squadra tra le grandi del calcio italiano. Il successo arrivò con l’insediamento di Mircea Lucescu in panchina dal 1992 -1993 che portò numerosi giocatori connazionali, rumeni, tra cui il futuro Pallone d’oro Gheorghe Hagi, detto il Maradona dei Carpazi. Successivamente all’addio di Lucescu arrivò in panchina l’esperto Carlo Mazzone che ebbe il merito di scoprire molti talenti del calcio mondiale portando nella città lombarda giocatori come Pep Guardiola, Andrea Pirlo e il Divin Codino, Roberto Baggio, già vincitore del Pallone d’Oro alcuni anni prima. Decisamente più vicina allo spirito provinciale, che prevedeva una squadra composta di giocatori poco conosciuti ma fortemente tenaci ed attaccati alla maglia, fu il Foggia che nel 1993 -1994 sfiorò la qualificazione in Coppa UEFA con una squadra di sconosciuti che stupì il panorama calcistico italiano. Si parlava infatti di Zemanlandia per via dello schema di gioco spregiudicato ed offensivo dell’allora allenatore ceco Zdenek Zeman che divertì tifosi e non del Foggia… Tutto ciò accadeva qualche anno fa ma come da allora la passione calcistica dei tifosi e l’entusiasmo di un’intera città rimangono immutati e permettono ai club di provincia di sperare ed emulare in un futuro prossimo le imprese di queste squadre del passato per poter così lasciare un piccolo ma significativo segno nella meravigliosa storia del nostro calcio italiano.
QUANDO IL CALCIO AVEVA CASA IN PROVINCIA 11
Alberico Ferretti Valerio Rosati
L’INCREDIBILE STORIA DI JEN, L’ACROBATA SENZA GAMBE
#personaggi
Alla nascita di Jennifer Briker i genitori hanno preferito
darla in adozione poiché non potevano permettersi adeguate cure mediche essendo nata senza gambe. Nonostante ciò, la ragazza non si è mai arresa grazie all’aiuto dei suoi genitori adottivi,che l’hanno sempre supportata nel rincorrere il proprio sogno:quello di diventare una campionessa di ginnastica artistica come il suo idolo Dominique Moceanu. All’età di 16 anni fa una scoperta incredibile: la madre le rivela che il suo cognome d’origine era Moceanu,come quello del suo mito! Di più, Dominique Moceanu è sua sorella biologica. In seguito al grande stupore, l’acrobata decide di voler restaurare i rapporti con la famiglia d’origine. Le due sorelle fino ad allora sconosciute si conoscono, scoprono tutto ciò che le accomuna, dal tono di voce al modo di ridere, e, soprattutto, la passione per la ginnastica artistica, come a confermare ancor di più il loro profondo legame. Ora Jen continua a stupire il mondo con le sue acrobazie e compie una normale vita quotidiana anche senza gambe: guida, lavora, è indipendente, come qualsiasi persona “normale”.
«Disabile è una parola che non abbiamo mai usato», ha detto Jennifer, ed è per questo che è molto riconoscente verso i suoi genitori adottivi che l’hanno sempre trattata allo stesso modo degli altri tre figli biologici. La determinazione,la forza di volontà e la speranza in un sogno mai perso hanno reso possibile ciò che sembrava irraggiungibile. Erika Basciani Martina Esposito
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