ANNO V

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HOL IT 2/2005 in g3

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L’ album 14 Dagli orologi alla meccanizzazione agricola Le prime ingegnose attività di Pietro Laverda, costruttore di macchine del tempo Anno Domini 1858: S.Giorgio di Perlena è un paesino del Vicentino all’inizio delle colline che, più su, portano all’Altopiano di Asiago. Povere contrade si susseguono tra le colline dove l’unica attività economica è un’agricoltura di puro sostentamento cui la gente del luogo si dedica con indescrivibile fatica. Su tutti e su tutto domina l’occhio vigile e oppressivo dell’Impero Austroungarico, che solo nel 1866 cederà il passo all’Italia unitaria. In questo quadro non certo stimolante un ragazzetto vivace e pronto si occupa di sorvegliare il funzionamento dell’orologio della modesta torre campanaria del paese. Il compito gli è stato assegnato dal parroco di S.Giorgio, lo stesso sacerdote che, su richiesta della madre, gli impartisce la prima istruzione scolastica e che lo avvierà poi agli studi superiori presso il collegio vescovile di Padova. In questa città Pietro Laverda troverà, frequentando anche gli ambienti dell’antica Università, gli stimoli e le conoscenze per avviare, una volta rientrato al paese, la sua attività di costruttore di macchine agricole. A furia di osservare i complicati meccanismi, Pietro Laverda, appena tredicenne, decide di applicare la sua precoce passione per la meccanica copiandoli di sana

Pietro Laverda

pianta, anche se tutti in legno, vista la difficoltà per lui di utilizzare il metallo. L’orologio così costruito funziona perfettamente e continuerà a farlo per molti anni, appeso in bella vista nella casa natale in cui, dopo il 1873, impianterà la sua prima officina. E la passione per gli intriganti meccanismi che misurano lo scorrere del tempo non lo abbandona mai, anche dopo decenni, quando la sua “Ditta Pietro Laverda”, ormai impegnata a pieno nella costruzione di macchine agricole ed enologiche, assume dimensioni industriali importanti per l’epoca, con oltre cento dipendenti. Così, specialmente a seguito del trasferimento della fabbrica in pianura, a Breganze, e grazie al sodalizio stretto con i tre fratelli monsignori Scotton, intransigenti portabandiera della tradizione cattolica ma anche sostenitori delle moderne realizzazioni in campo agricolo ed industriale, Pietro Laverda continua ad occuparsi di chiese e campanili. Questi edifici sono presenze costanti in tutti i paesi grandi e piccoli del cattolicissimo Veneto e quindi rappresentano un potenziale e affatto trascurabile mercato. I registri e le corrispondenze aziendali dell’epoca, conservati a partire dal 1892, ci raccontano i numerosi interventi di riparazione e miglioramento di orologi esistenti ma anche la costruzione di nuovi meccanismi su commissione di parrocchie e comuni. Nel frattempo l’azienda si occupa anche di installare parafulmini per proteggere i campanili e di costruire le massicce incastellature in ferro che sorreggono e fanno suonare le campane. Con l’avvento dell’elettromeccanica le conoscenze acquisite dal figlio di Pietro, Francesco, collaboratore della Edison di Milano, consentono ai Laverda di proporre a parroci e vescovi attrezzature per il suono elettrico delle campane. Nel 1906 viene progettato un grande carillon per il Duomo di Bergamo, così importante da trovare risonanza sulle pagine del Corriere della Sera. Ma una grave malattia colpisce Francesco e priverà per sempre il padre del suo contributo, costringendolo a rinunciare a questo e ad altri importanti progetti.

Quadrante dell’orologio in legno realizzato da Pietro Laverda appena tredicenne e oggi esposto nel museo aziendale Laverda. A destra, il grande orologio installato sul campanile di Breganze nel 1906 e un foglio autografo del costruttore con i calcoli di progetto. A sinistra Pietro Laverda Sr ritratto nei primi anni del Novecento.


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