C PI
ANNO 3 NUMERO 22
O A G R U AT
A IT
Animali
Lo scimpanzè comune
Arte
Maschere e spiritualità
Film
Greystoke La leggenda di Tarzan
“LA PSICOLOGIA EVOLUZIONISTICA? UNA DISCIPLINA SCOMODA” Intervista esclusiva al Prof. Tartabini
GREEN
INTERVISTA Psicologia evoluzionistica
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VIAGGI Sudafrica
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NATURA Parco nazionale Kruger
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ANIMALI Scimpanzè
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TELEFILM C’era una volta
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FILM Tarzan, il signore delle scimmie
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LIBRI La svastica sul sole
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MISTERO Ufologia
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STORIA 5 maggio 1915
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MUSICA Fyfe
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MODA Il pizzo
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RED
BLUE SPORT Giro d’Italia 2015
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SPORT MINORI Cheese-Rolling
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SPORT CERTIFICATI Tiro a volo
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MOTORI Mantova Motor Festival
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YELLOW
ARTE Maschere e spiritualità
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CASA & DESIGN 56 Africa. La terra degli spiriti
ANNO 3 N. 22 Rivista on-line gratuita DIRETTORE RESPONSABILE Pasquale Ragone
SPECIALE Concerto lirico Arena di Verona
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CURIOSITA’ Maggio
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GAMES Pac-Man
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SPAZIO POSITIVO L’immaginazione creativa
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RICETTA SALATA VINO ABBINATO
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RICETTA DOLCE VINO ABBINATO
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Testi e foto non possono essere riprodotti senza autorizzazione scritta dall’Editore. Le opinioni espresse negli articoli appartengono ai singoli autori dei quali si intende rispettare la piena libertà di espressione.
FOTO DEL LETTORE
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Registrato al ROC n°: 23491 Iscrizione al tribunale N: 1411V.G. dal 29 ottobre 2013
ANTICIPAZIONI
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PINK
DIRETTORE EDITORIALE Laura Maria Gipponi GRAFICA E IMPAGINAZIONE Giulia Dester HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO Laura Gipponi, Diana Ghisolfi, Nicola Guarneri, Gaia Badioni, Simone Zerbini, Susanna Tuzza, Raffaele d’Isa, Sylvie Capelli, Gianluca Corbani, Gianmarco Soldi, Valentina Viollat, Roberto Carnevali, Carlo Cecotti, Sirigh Sakmussen. DIREZIONE/REDAZIONE/PUBBLICITA’ AURAOFFICE EDIZIONI S.R.L. a socio unico Via Diaz, 37 / 26013 Crema (CR) Tel 0373 80522 / Fax 0373 254399 www.auraofficeedizioni.com
INTERVISTA - PSICOLOGIA EVOLUZIONISTICA
Intervista esclusiva al Prof. Tartabini
“La psicologia evoluzionistica? Una disciplina scomoda” 4
Ordinario di psicologia generale presso l’Università degli Studi di Parma, il professor Angelo Tartabini è il massimo esperto di psicologia evoluzionistica in Italia. Per capire meglio quali siano le potenzialità di questa disciplina e i rischi a cui sta andando incontro l’uomo, abbiamo deciso di intervistarlo nel suo studio di Parma. di Nicola Guarneri guitartop@libero.it
Prof. Tartabini, partiamo da una domanda molto semplice. Cos’è la psicologia evoluzionistica e di cosa si occupa?
[Ride, ndr] Questa domanda è tutt’altro che semplice! Diciamo che la psicologia evoluzionistica si occupa dello studio della mente secondo una prospettiva evoluzionistica, quindi studia una serie di funzioni che si sono evolute e formate nel tempo e che hanno subito un processo adattativo come è successo con molte altre funzioni del nostro organismo.
Quando è nata la psicologia evoluzionistica? Ci sono varie teorie, io credo nasca negli Stati Uniti con un autore: David Buss. Purtroppo è sempre stato bistrattato, soprattutto in Europa. D’altronde la psicologia evoluzionistica viene spesso attaccata per ignoranza: molti studiosi o presunti tali le attribuiscono cose che questa non dice, fondamentalmente perché la psicologia evoluzionistica ha interessi multidisciplinari. Qualche giorno fa è uscito un articolo su La Stampa [potete leggerlo qui, ndr] in cui Maurilio Orbecchi, uno psicoterapeuta, attacca violentemente la psicoterapia e le idee freudiane, sostenendo che siano morte e che certi aspetti della mente umana andrebbero studiati in prospettiva evoluzionistica.
Un futuro della psicologia evoluzionistica potrebbe essere in campo psicoterapeutico? Me lo auguro, anche se la vedo difficile. Credo sia l’unico possibile sviluppo per questa disciplina, visto che gli psicotera-
peuti al momento sembrano gli unici ad essersi accorti delle grandi potenzialità della psicologia evoluzionistica. Però è un cammino difficile: il dualismo esiste nel linguaggio comune, figuriamoci nelle coscienze. Poco tempo fa sono stato a una conferenza di Chomsky [uno dei più importanti linguisti mondiali, ndr] sull’origine del linguaggio: nemmeno una volta ha menzionato il rapporto uomo-animale. La società di oggi è ancora troppo antropocentrica per ammettere che abbiamo molto in comune con gli animali: condividiamo con lo scimpanzé il 98% del nostro patrimonio genetico.
INTERVISTA - PSICOLOGIA EVOLUZIONISTICA
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Lei nel suo libro Fondamenti di psicologia evoluzionistica critica apertamente la sperimentazione sulle scimmie, però in realtà dalla sperimentazione sono arrivati diversi vaccini. Lei ha ragione, ma la mia critica è rivolta principalmente a due tipi di sperimentazioni: la ricerca di un vaccino per l’AIDS e la ricerca del vaccino per l’ebola. Questa ricerca ha sprecato tantissime risorse. Negli anni ’80 negli Stati Uniti sono stati spesi milioni e milioni di dollari inutilmente e soprattutto sono state sprecate migliaia di vite di scimpanzé. È chiaro che quel 98% di patrimonio genetico in comune ha spinto gli sperimentatori a puntare sul miglior modello animale disponibile, ma il business ha fatto la sua parte. C’erano – e ci sono – interessi economici troppo grandi nella sperimentazione scientifica.
In un altro suo libro, Uomini e scimmie in pericolo, parla apertamente di questi interessi economici in certi Paesi del terzo mondo che stanno mettendo a rischio estinzione tantissime specie di scimmie. La situazione è molto preoccupante. L’esempio più emblematico è quello della Repubblica del Congo, in cui il presidente Nguesso sta lasciando che le multinazionali rovinino il suo territorio e mettano a repentaglio tutta la fauna. Noi siamo schifati da queste situazioni, eppure quando è venuto in Italia per firmare alcuni accordi commerciali [con Eni e le Ferrovie dello Stato, ndr] è stato accolto con gli onori che si riservano al più integerrimo dei capi di stato. Queste sono le contraddizioni del mondo di oggi, e sono problematiche molto gravi.
Progetti per il futuro?
Sto scrivendo un libro che dovrebbe essere un riassunto del lavoro della mia vita. Dovrebbe essere una guida sulla distribuzione, sull’ecologia e sul comportamento di tutte le scimmie viventi. Ci sto lavorando da circa quindici anni, è in dirittura d’arrivo. Ovviamente lascio le dispute tassonomiche a chi ha tempo di farle, il mio lavoro è incentrato solo sulle scimmie: loro non sanno che da un giorno all’altro passano da genere a specie o viceversa. Dobbiamo ricordarci che le razze sono un’invenzione dell’uomo.
Un’ultima domanda: lei ogni tanto ripete che l’uomo dovrebbe imparare dalle scimmie, anche
perché queste hanno una storia evolutiva più lunga e hanno sviluppato adattamenti più efficaci. Dovesse scegliere un comportamento?
Senza ombra di dubbio il comportamento di attaccamento, ovvero la relazione madre-figlio. Ovviamente le scimmie sono coscienti di questo comportamento e resta tutta la vita: sono molto attaccate ai figli e il senso di protezione è molto forte ma mai invadente. Lo svezzamento avviene sempre con i tempi giusti, nonostante talvolta possa essere emotivamente doloroso. In questo l’uomo dovrebbe certamente imparare dalle scimmie e forse, studiandole in maniera comparata ed evoluzionistica, potrebbe risolvere molti conflitti familiari.
VIAGGI - SUDAFRICA
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SUDAFRICA
di Sylvie Capelli sylvieannacapelli@gmail.com
zio vitale che spesso manca in Europa viene rispettato, quindi a pochi passi dal centro si trovano quartieri con costruzioni basse, giardini e piscine. L’atmosfera è decisamente cosmopolita in quanto fin dai primi coloni, il Sudafrica ha sempre attirato gente da tutto il mondo: alcuni giunti a caccia di ricchezze ai tempi della febbre dell’oro e della scoperta dei diamanti, altri alla ricerca di una vita tranquilla, lontano dallo stress europeo, altri ancora semplicemente partiti per una breve vacanza e innamoratisi del clima e dei paesaggi. Conseguentemente, all’arrivo di razze numerose dall’Europa, così come dal resto dell’Africa, si sono creati problemi di coesistenza sfociati in passato in vere e proprie guerre (basti ricordare la guerra tra inglesi, boeri e zulu, e l’apartheid in vigore fino al 1993). Ma gli abitanti del Sudafrica sono ormai nati e stabiliti in questi luoghi da generazioni; della loro terra di origine non hanno che pochi ricordi tramandati dai vecchi. Si rendono conto che il Sudafrica è la Patria di ognuno, indipendentemente dalla razza di appartenenza. Nel programmare un viaggio in Sudafrica è necessario fare delle scelte in base ai propri interessi e al tempo a disposi-
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Il Sudafrica copre un’estensione talmente vasta e così diverse e numerose sono le opportunità per i turisti, che risulta difficile farne un quadro completo in poche righe. Possiamo trovare spazi sconfinati nelle pianure centrali, montagne, vigneti, canyon, fiumi, spiagge incontaminate, deserti, savane e foreste primarie; l’occhio non si stanca mai di ammirare il paesaggio che varia ad una velocità impressionante lungo la strada, passando da un panorama mozzafiato ad un altro ancora più bello. Servizio di prim’ordine ovunque, ordine e pulizia per le strade, senso dell’ospitalità ormai noto in tutto il mondo, ottima cucina e vini bianchi e rossi della Provincia del Capo. L’impatto crudo con l’Africa esiste nei grandi parchi nazionali e nelle riserve dove la vita si svolge a stretto contatto con la natura; dove il ritmo è dato ancora dal sorgere del sole, per approfittare delle ore più fresche della giornata e trovare le innumerevoli specie animali presenti. Fuori dai parchi, la natura è ugualmente stupefacente con scorci panoramici incredibili che ricordano certi luoghi degli Stati Uniti, i paesaggi montani a noi tanto cari, le scogliere a picco della Cornovaglia… Le città sono moderne, ma lo spa-
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VIAGGI - SUDAFRICA
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zione. Esistono tour di gruppo, viaggi individuali con guida, ma molto in voga è la formula “fly&drive” visto che le strade del Paese sono di buona qualità e le indicazioni chiare anche a chi non conosca i luoghi (unica difficoltà, per noi, la guida a sinistra; ma dopo qualche chilometro ci si abitua). “The big five” (elefante, rinoceronte, bufalo, leopardo e leone) sono presenti nei vari parchi naturali – il Kruger National Park è il più noto – e nelle riserve private; esistono anche delle riserve “malaria free” a sud del Paese, dove è possibile avvistarli senza la necessità di profilassi anti-malarica. Mpumalanga (un tempo Transvaal orientale) cela l’incredibile Blyde River Canyon dove si trova un punto panoramico denominato “God’s Window” (la finestra di Dio). Chi avesse interessi storici può recarsi sui campi di battaglia nel Kwazulu Natal, mentre per ricordare la caccia all’oro è possibile visitare “gold city” vicino a Johannesburg, oppure “the big hole”: un’immensa miniera a cielo aperto scavata dall’uomo alla ricerca di diamanti, nei dintorni di Kimberley. Interessante la strada costiera che
porta da Città del Capo a Port Elizabeth, nota come “Garden Route” lungo la quale si possono trovare, oltre a innumerevoli parchi naturali, fattorie di allevamento di struzzi, avvistare balene e immergersi in una gabbia a “caccia” dello spaventoso e affascinante squalo bianco. Il fascino dell’incontro tra Oceano Atlantico e Oceano Indiano è al Capo di Buona Speranza: un parco popolato da zebre, gazzelle di vario tipo, foche, struzzi e gli immancabili babbuini cui bisogna fare attenzione (meglio non aprire il finestrino dell’au-
to, se non si vuole subire qualche furto, e assolutamente evitare di mangiare in loro presenza in quanto potrebbero diventare aggressivi). Unica “pecca”, per il turista italiano, le condizioni del mare: poco praticabile date le alte onde, le correnti impetuose, la temperatura decisamente fredda e la quantità di squali che abitano le acque dei due oceani. Per gli amanti del gioco, tappa d’obbligo a The Lost City: la Las Vegas africana dove, oltre a macchinette mangiasoldi e tavoli verdi, si può giocare con le onde in piscina; e ogni giorno viene simulato un terremoto con pon-
te vibrante e giochi di luce per tener fede alla leggenda della “città perduta”. Tutto è kitsch in questo luogo, ma realizzato con materiali preziosi, e talmente esagerato da diventare interessante. Il ritmo di vita è lo stesso dell’Italia, dal momento che c’è solo un’ora di fuso orario quando da noi vige l’ora solare, e nessuna durante l’ora legale; ma c’è una differenza fondamentale: le stagioni sono invertite rispetto alle nostre, dandoci la possibilità di cercare il caldo tanto amato anche tra dicembre e febbraio.
NATURA - PARCO NAZIONALE KRUGER
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Tutta l’Africa in un solo parco
Il parco nazionale
Kruger
di Diana Ghisolfi dianaghiso@gmail.com
IL PARCO
Il parco nazionale Kruger è la maggiore riserva naturale del Sudafrica. Si estende a nord-est dello Stato sudafricano, coprendo una superficie di 20.000 kmq. Il fiume più importante che scorre in questo territorio è l’Olifants River. Per accedere al parco ci sono nove entrate: Crocodile Bridge, Kruger, Malelane, Numbi, Orpen, Pafuri, Phabeni, Phalaborwa e Punda Maria.
STORIA
Nel 1898 l’area venne dichiarata protetta dal governo della Repubblica Sudafricana, ma si trattava di uno spazio limitato. Con il tempo si ampliò fino a raggiungere le attuali dimensioni, e nel 1926 venne inaugurato il primo parco nazionale del Sudafrica. L’amministrazione britannica battezzò il parco in nome del leader boero Paul Kruger, come gesto simbolico di riconciliazione dopo le guerre boere combattute alla fine dell’Ottocento. Nel 1991 vennero tolte le staccionate fissate lungo il perimetro del parco, così che gli animali potessero girare liberamente anche nelle riserve confinanti. Nel 1998 fu eletto il primo direttore nero: David Mabunda.
OGGI
Dopo qualche anno dall’inaugurazione, il parco iniziò ad attirare migliaia di turisti. Oggi i biglietti venduti sono all’incirca un milione l’anno. Recentemente il parco è entrato a far parte del Great Limpopo Transfrontier Park; un parco della pace che comprende, oltre al parco Kruger, anche alcuni parchi e riserve del Mozambico e dello Zimbabwe. Il parco appartiene anche alla Kruger to Canyons Biosphere una zona designata dall’UNESCO come Riserva Internazionale dell’Uomo e della Biosfera.
CLIMA
Il clima è subtropicale. Le stagioni, essendo nell’emisfero australe, sono al contrario di quelle italiane: l’estate, da ottobre a marzo, è calda e piovosa. Il periodo migliore per visitare il parco è l’inverno, da aprile a settembre, quando il clima è mite e asciutto e le possibilità di contrarre la malaria sono minori.
FLORA E FAUNA
Il parco è la dimora di un numero impressionante di specie: 336 di alberi, 49 di pesci, 34 di anfibi, 114 di rettili, 507 di uccelli e 147 di mammiferi. Ovviamente non mancano i “Big Five”, e precisamente si contano: 1.500 leoni, 12.000 elefanti, 2.500 bufali, 1.000 leopardi e 5.000 rinoceronti (bianchi e neri). Altri animali vivono sul territorio e i più visibili sono: le talpe dorate, i ricci, i toporagni, i pipistrelli, i babbuini, le scimmie, i galagidi (scimmiette notturne), i formichieri, lepri e conigli, gli scoiattoli, i ghiri, gli sciacalli, i licaoni, gli otocioni (volpi
NATURA - PARCO NAZIONALE KRUGER
dalle orecchie di pipistrello), le puzzole, le lontre, i tassi, le genette, le iene, le zebre, le giraffe, gli ippopotami, i potamocheri (cinghiali) e le antilopi. Ma la varietà di uccelli è la particolarità assoluta della fauna del parco. Sorvolano la zona ben 507 specie diverse tra migratorie e residenti. Numerose specie di aquile, poiane, cicogne, gufi, civette, cuculi, rondini, avvoltoi, aironi, allodole, pappagalli, pellicani e molti altri. La vastità del parco determina una diversità botanica enorme. Indicativamente l’area viene divisa in due parti: quella a nord del fiume Olifants e quella a sud.
misure di sicurezza: 650 ranger che controllano il territorio, un’unità speciale formata da cani, due droni e due elicotteri che sorvegliano l’intera zona.
TURISMO
Coloro che vogliono pernottare all’interno del parco possono scegliere di alloggiare in campeggi, rifugi, tende da safari, cottage o lodge di lusso. Non mancano poi aree picnic e ristoranti. Per quanto riguarda le attività, il parco offre percorsi avventura, percorsi nel deserto, gite safari e passeggiate guidate.
CULTURA
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L’interazione dell’uomo con l’ambiente attraverso i secoli è evidente grazie anche alle pitture rupestri dei boscimani e ai maestosi siti archeologici come Masorini e Thulamela. Il primo è il luogo dove il popolo Sotho aveva sviluppato un settore avanzato di estrazione mineraria, di fusione dei minerali e di commercio; mentre la seconda è una cittadina.
BRACCONAGGIO
Per far fronte ai bracconieri interessati ai corni dei rinoceronti e alle zanne degli elefanti, il parco ha adottato diverse
Aneddoto
Nella caverna di Ali Baba
di Sylvie Capelli – sylvieannacapelli@gmail.com
Mi trovo a Città del Capo e passeggio tranquilla al Victoria & Alfred Waterfront, il cuore del porto storico della città che si trova tra Table Mountain e Robben Island. Mi affaccio sull’acqua e noto una famiglia di foche che gioca indisturbata. Sono incuriosita dal Breakwater Lodge: un tempo carcere, e da una ventina d’anni trasformato in hotel con tutti i confort. Arrivo davanti alle vetrine di un negozio di pietre semi-preziose e questi minerali multicolore hanno un effetto calamita: devo entrare, non posso farne a meno. Mi trovo subito davanti a una cassa dove sono in vendita sacchetti di plastica di varie misure, e vengo invitata ad acquistarne uno. Che strano! In genere quando vado in un negozio prima guardo, poi eventualmente compro. Ma qui funziona al contrario. Decido di stare al gioco, e munita di sacchetto medio varco la soglia di un locale per trovarmi nella caverna di Ali Baba! Ai miei piedi, alle pareti, in giganti mastelli pietre dure di ogni genere sono ammassate senza alcun ordine di grandezza o tipo. Ametista, occhio di tigre, quarzo rosa e cristallo, agata, diaspro, lapislazzulo si sono date appuntamento, grandi e piccine, colorate e splendenti. Posso tuffare le mani tra le pietre, farle scorrere tra le dita, sedermi per terra e giocare come una bimba; sceglierle una ad una o inserirle casualmente a manciate nel mio sacchetto trasparente che, poco per volta, si riempie di meraviglie colorate. Nessuno mi disturba in questo piacere di occhi e dita. Le commesse attendono nell’altra stanza pazientemente, per eventualmente vendere un nuovo sacchetto vuoto che saprei bene come riempire!
ANIMALI - SCIMPANZÉ
LO SCIMPANZÉ 16
Un’intelligenza fuori dal comune mondo animale di Diana Ghisolfi dianaghiso@gmail.com
CHI È
Lo scimpanzé comune (Pan troglodytes) è la più conosciuta scimmia antropomorfa. È l’animale più intelligente dopo l’uomo, in grado di apprendere molto velocemente sia per esperienza diretta sia osservando gli altri. Secondo la classificazione scientifica, si differenzia dall’uomo solamente dalla sottotribù, dal genere e dalla specie, le ultime tre categorie della scala. Rispettivamente Panina, Pan e Pan troglodytes per lo scimpanzé mentre Hominina, Homo e Homo sapiens per l’uomo.
COME È FATTO
Un animale simile all’uomo per molte caratteristiche fisiche, tanto che la vaga somiglianza ha favorito battute e paragoni sull’aspetto di certi uomini. Le cinque dita, il pollice opponibile, il viso glabro e il corpo ricoperto di peli e capelli, la bocca e i denti e la posizione in piedi. Quando lo scimpanzé si solleva sulle zampe posteriori, la sua altezza può misurare dagli 80 cm ai 170 cm. La posizione che assume non è esattamente eretta; riesce comunque a camminare sia in piedi che a quattro zampe. In quest’ultima posizione lo scimpanzé appoggia il peso del corpo sulle nocche delle mani mentre le braccia, più lunghe rispetto alle gambe,
permettono di mantenere la parte anteriore del corpo a un’altezza maggiore rispetto alla parte posteriore. I maschi sono più alti e più grossi delle femmine, il loro peso va dai 30 ai 70 kg. A eccezione del viso e delle dita, gli scimpanzé sono ricoperti di peli e ciuffi scuri, tendenti al nero, e di capelli neri che con l’avanzare dell’età cadono o si ingrigiscono. La durata della vita di uno scimpanzé è in media di 40-60 anni. La faccia senza peluria è composta da grandi occhi rotondi, con grandi labbra sottili e mobili che contengono denti simili a quelli dell’uomo ma più grandi. Le orecchie sono simili a quelle dell’uomo, ma anche in questo caso più grandi, e le narici in mezzo alla faccia ricordano molto quelle umane. Le sopracciglia danno l’impressione di essere ossute a causa della cresta sopraorbitale accentuata. Il pollice opponibile è un grande vantaggio per lo scimpanzé. Grazie a questa conformazione delle mani e dei piedi, l’animale è in grado di afferrare qualsiasi cosa. I rami vengono, ad esempio, presi con forza grazie al pollice opponibile, così favorendo la brachiazione; ovvero la tecnica di saltare da un ramo all’altro degli alberi grazie agli arti superiori.
ANIMALI - SCIMPANZÉ
COSA MANGIA
Animale onnivoro, ma nella sua dieta due terzi sono occupati dalla frutta. Lo scimpanzé è ghiotto anche delle cortecce, delle foglie, delle radici, dei fiori e del miele. Si nutre di uova, di piccoli animali come insetti e uccelli, ma anche di suini, babbuini, antilopi e facoceri. La sua preda preferita è il colobo rosso, una specie di scimmia.
DOVE SI TROVA
Mammifero africano simbolo del continente nero. Lo scimpanzé vive esclusivamente in Africa, nella parte centro-occidentale equatoriale. Gli habitat sono però differenti: dalle foreste pluviali tropicali alle savane e alle foreste di montagna, gli scimpanzé si adattano in diversi ambienti.
RIPRODUZIONE
Escludendo il periodo del ciclo mestruale, che avviene ogni 36 giorni, la femmina di scimpanzé è sempre pronta a riprodursi, non c’è un preciso periodo
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dell’anno indicato alla copulazione. Durante l’estro i genitali si gonfiano e assumono un colore rosa intenso. Questo è il segnale per i maschi che indica la ricettività della femmina. L’apice del desiderio sessuale dura 6 giorni e la femmina si accoppia con diversi maschi adulti. Gli scimpanzé hanno rapporti sessuali numerosi perché, oltre a riprodursi, l’atto sessuale ha una connotazione sociale: serve a determinare i legami all’interno dei gruppi. Si parla anche di poliginandria, poiché un maschio si accoppia con più femmine e una femmina con più maschi. Per avere un’esclusiva sulla femmina, il maschio è costretto a isolarsi oppure ad allontanare gli altri maschi con la forza. Una volta fecondata la femmina, la gravidanza dura all’incirca 8 mesi. Il neonato pesa circa 1 kg e vive per 6 mesi attaccato al petto della madre. Dopodiché si sposta sulla schiena e lo svezzamento avviene attorno ai 4 anni. Durante la crescita della prole, la figura del padre è totalmente assente. Con la madre viene invece mantenuto un legame per tutta la vita.
La maturità sessuale viene raggiunta a 10 Gli scimpanzé sono in grado di utilizzare anni dalle femmine e a 15 anni dai ma- utensili come rami e pietre per acchiappare gli insetti e per rompere i gusci. schi. Una caratteristica particolare è l’utilizzo di piante medicinali per curare alcuni disturbi come il mal di stomaco, il mal di testa e Gli scimpanzé sono animali sociali: vi- le infezioni. vono in comunità da 5 a 150 individui in Tra di loro comunicano attraverso gesti, base alla disponibilità di cibo presente sul posture, espressioni facciali e vocalizzaterritorio. In ogni gruppo c’è un maschio zioni. alfa, colui che ha vinto le sfide contro gli altri. Sono animali diurni; di notte dormono in giacigli preparati sugli alberi a circa 10 metri d’altezza. Nonostante siano abili arrampicatori, preferiscono muoversi sul terreno anziché sugli alberi. Una particolare attenzione viene rivolta alla cura del corpo. Ogni giorno gli scimpanzé si aiutano tra loro a rimuovere le zecche e la sporcizia con le mani e le labbra. Il contatto fisico ha una valenza sociale molto importante: può rinsaldare i legami e alleviare le tensioni. Oltre alla toeletta- Gli scimpanzé tenuti in cattività hanno tura, anche i momenti di gioco — come il sviluppato capacità sorprendenti e un solletico e la lotta — sono utili per stabilire quoziente d’intelligenza molto più elevarelazioni. to rispetto alla norma. Molti esperimenti hanno portato gli scimpanzé ad apprendere il linguaggio dei segni, a esprimere diversi concetti e a utilizzare strumenti quali computer e telefoni.
ABITUDINI
CURIOSITÀ
TELEFILM - C’ERA UNA VOLTA
C’ERA UNA VOLTA
Le fiabe diventano realtà Tra pochi giorni uscirà l’atteso finale della quarta stagione del tv-show della ABC, tra nuovi cattivi e il recente annuncio del rinnovamento della serie di Nicola Guarneri guitartop@libero.it
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Un luogo misterioso, una Biancaneve più agguerrita che mai, una misticanza di storie fiabesche e il piatto è servito: l’ennesima serie televisiva della ABC che raggiunge il successo si chiama Once Upon a Time (C’era una volta). Il grande numero di ascolti fatti registrare nel mid-season dello scorso marzo (6,5 milioni di telespettatori) ha convinto l’emittente televisiva a rinnovare lo show per una quinta stagione. Ma andiamo per ordine, in modo da convincere anche i neofiti ad appassionarsi a questa particolare e deliziosa serie televisiva. L’idea di base è quantomeno semplice: la realtà è costituita da diversi mondi, alcuni (come il nostro, quello umano) che sono privi di magia, altri invece (come quello delle fiabe, ma ce ne sono molti) in cui ci sono individui in grado di
utilizzare l’elemento magico. Nella prima stagione la Regina Cattiva (un’impeccabile Lana Parrilla) lancia una maledizione sul suo regno e tutti quelli che vengono colpiti si ritrovano nel mondo reale, a Storybrooke, una cittadina in cui il tempo non passa e nessuno dei suoi abitanti ricorda nulla del suo passato. È compito di una “prescelta”, Emma Swan (Jennifer Morrison), rompere la maledizione, grazie all’aiuto del figlio Henry (Jared S. Gilmore) e di un libro misterioso. Gli intrecci e il cursus degli episodi ricordano molto Lost (d’altronde il produttore esecutivo è Adam Horowitz, autore di diverse puntate dello show di Cuse e Lindelof): le scene si alternano tra Storybrooke e il mondo delle fiabe, spesso avendo al centro le vicende di uno dei personaggi, Biancaneve (Ginnifer Goodwin) e il Principe Azzurro (Josh Dallas) in primis. L’approfondita introspezione psicologica di molti personaggi, ormai cardine delle serie televisive moderne a cui non basta più l’eroe buono e puro, investe tutti i protagonisti e non manca di regalare un sorriso ai telespettatori: emblematica è la storia di Peter Pan (Robbie Kay), presentato come uno dei personaggi più spietati del mondo dell’Isola che non c’è, che ruba le anime dei ragazzini del mondo reale e li rende prigionieri sulla sua isola. Al contrario, Hook (Colin O’Donoghue) è sì un pirata
spietato ma nasconde un animo nobile; il suo fine è quello di tutti gli altri personaggi delle fiabe: trovare il vero amore. Con due nomination nel Kid’s Choice Awards del 2015, C’era una volta si conferma una delle serie con più seguito negli Stati Uniti. Non resta che gustarsi il finale della quarta stagione e... aspettare l’autunno per l’inizio della quinta!
FILM - TARZAN, IL SIGNORE DELLE SCIMMIE
Greystoke
La leggenda di Tarzan, il signore delle scimmie 22
di Sylvie Capelli sylvieannacapelli@gmail.com
Il film del 1984, diretto da Hugh Hudson, è tratto dal romanzo Tarzan delle scimmie di Edgar Rice Burroughs. Si aggiudica due premi: Bafta 1985 per il miglior trucco, e New York Film Critics Circle Awards nel 1984 a Ralph Richardson come migliore attore non protagonista. Ecco gli attori principali: Christopher Lambert interpreta magistralmente due personaggi (anche se in realtà la stessa persona): Tarzan e John Clayton; Ralph Richardson è il Conte di Greystoke, Jan Holm è lo studioso belga Philippe D’Arnoux, e l’esordiente Andie MacDowell è Jane Porter. La trama: Lord e Lady Clayton sono una coppia di aristocratici scozzesi scomparsi in Africa occidentale durante un naufragio. Nasce un bambino che, dopo la morte di entrambi i genitori, verrà allevato da un branco di scimmie. Lo si vede nelle successive fasi della crescita interpretato da diversi attori compatibili con le varie età. L’esploratore Philippe D’Arnoux finisce col ritrovarsi proprio nella stessa zona e Tarzan (il bambino, ormai uomo, che è stato allevato dalle scimmie e che si esprime esclusivamente con versi gutturali propri dei primati) gli salva la vita. Lo studioso belga gli insegna a parlare, ed è con grande meraviglia che assiste ai progressi di questo particolarissimo allievo. Una volta riconosciuto Tarzan quale nipote del Conte di Greystoke – e quindi John Clayton –, D’Arnoux decide di riportarlo nella sua patria di origine. L’uomo vissuto tra le scimmie si trova quindi a confrontarsi con le condizioni restrittive imposte dalla società vittoriana, e la cosa non è davvero semplice. L’incontro con l’affascinante Jane, di cui Tarzan s’innamorerà, e la benevolenza affettuosa del nobile nonno non saranno sufficienti a trattenerlo nella cosiddetta “civiltà”. La classica “goccia che fa traboccare il vaso” è l’uccisione davanti ai suoi occhi della scimmia che lui
ha sempre considerato suo “padre”, durante una visita al British Museum. John decide di tornare a essere Tarzan e vivere nella giungla. Jane e D’Arnoux lo accompagneranno: il distacco sarà struggente ma, se si tratta di vero amore, è a volte necessario rinunciare all’amato per il suo bene. Ho ammirato Christopher Lambert nei due ruoli, decisamente impegnativi anche dal punto di vista fisico. I mimi che rappresentano le scimmie sono fantastici, anche se queste da un punto di vista documentaristico non corrispondono ai grandi primati nell’aspetto (uno strano incrocio tra scimpanzé e gorilla) e nemmeno nei comportamenti (soprattutto nelle scene violente che sono tipiche dell’uomo, non delle scimmie). Impeccabile l’interpretazione del nonno che si commuove e torna un po’ bambino, quando incontra questo nipote “selvaggio”. Non possiamo che concordare con il sottostante scenario di critica alla società vittoriana, che esce decisamente sconfitta nel confrontarsi con l’idea di vita concepita nel rispetto della natura.
LIBRI - LA SVASTICA SUL SOLE
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LA SVASTICA SUL SOLE (The man in the high castle)
Cosa sarebbe successo se la Germania avesse vinto la seconda guerra mondiale?
di Nicola Guarneri guitartop@libero.it
Una base ucronica, mescolata a un po’ di distopia, pervasa da un metalibro a sua volta ucronico. No, non è una supercazzola, bensì la descrizione della storia de La Svastica sul Sole (The man in the high castle il titolo originale), uno dei romanzi più famosi di Philip K. Dick e che esordì in Italia esattamente 50 anni fa, nel 1965. Andiamo con ordine: La Svastica sul Sole è innanzitutto un romanzo ucronico, ovvero un romanzo storico ambientato in un mondo parallelo in cui gli accadimenti storico-politici sono stati cambiati da uno o più eventi. In particolare, nel romanzo di Dick la Germania e il Giappone hanno vinto la seconda guerra mondiale. Le conseguenze sono ovviamente devastanti, soprattutto per gli Stati Uniti che, analogamente alla Germania postbellica del nostro mondo, sono stati divisi in tre stati: gli Stati delle Montagne Rocciose al centro fungono da stato cuscinetto tra la costa Est, controllata dai nazisti, e la costa Ovest, controllata dal Giappone imperialista. I due stati vincitori sono paragonati da Dick (che scrive questo libro nei primissimi anni ’60, in piena guerra fredda) agli Stati Uniti e alla Russia: mentre il Giappone è più permissivo ma comunque controlla in pieno la vita degli americani, considerati un popolo inferiore e servile (il colore della pelle dei nipponici è motivo di invidia per molti americani) i nazisti instaurano il Terzo Reich e non badano alle apparenze, abusando di violenza e censura. All’interno di questo mondo distopico (un mondo parallelo in cui le conseguenze delle scelte politiche sono portate agli estremi più negativi) si avvicendano le vite di alcuni personaggi utilizzati da Dick per descrivere al meglio la società. Emblematica è l’opera di Hawthorne Abendsen, uno scrittore che compare solo al termine del libro ma che unisce le vicende degli altri protagonisti. Abendsen è autore di un metalibro, ovvero di un “libro nel li-
bro”: La cavalletta non si alzerà più narra di un mondo ucronico in cui la Germania e il Giappone hanno perso la seconda guerra mondiale contro le forze degli Alleati. Il libro è ovviamente bandito nella costa Est, controllata dai nazisti, mentre circola liberamente (anche se chi ne è in possesso non è visto di buon occhio) nella costa Ovest, controllata dai giapponesi. Il libro offre molti spunti di riflessione, non solo storico-politici. Ad esempio, Philip Dick segna come punto di svolta il 15 febbraio 1933: nel mondo ucronico il presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt non sopravvive all’attentato di Miami e da lì inizia il declino degli Stati Uniti. L’estrema attualità de La Svastica sul Sole ha portato Amazon a interessarsi a un progetto televisivo: lo scorso gennaio è stata girata una puntata pilota di una possibile serie tv che ha riscosso un grande successo su internet. Pare che Amazon produrrà perlomeno una stagione intera: che aspettate quindi a leggere La Svastica sul Sole?
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TECNOLOGIE ““ST DALLA GERMA
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IO 1945:
TELLARI”” IN FUGA ANIA NAZISTA?? Sirigh Sakmussen compagniadelthe@gmail.com
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Non che si tratti di un segreto — la cosa è ovviamente nota e anzi ufficiale —, ma la maggior parte degli storici tace il fatto che il Terzo Reich non si concluse affatto con il presunto suicidio di Hitler nel Bunker di Berlino il 30 aprile 1945. Per ordine del Führer, fu Joseph Goebbels (già fedelissimo Ministro della propaganda) il nuovo Cancelliere (Reichskanzler) dopo la sua morte; mentre la nomina a Presidente (Reichspräsident) andò senza indugio al leale Ammiraglio Karl Dönitz, una volta destituiti per tradimento i due delfini Göring e Himmler. Questa nuova configurazione diede luogo al cosiddetto Governo di Flensburg, dal nome della cittadina in cui esso aveva sede nello Schleswig-Holstein, proprio ai confini della Danimarca, e si trattò dell’ultima incarnazione del Terzo Reich, la cui durata si ridusse alle sole prime tre settimane del maggio 1945. Il nuovo Cancelliere del Terzo Reich, Joseph Goebbels si suicidò nel bunker di Hitler meno di due giorni dopo la fine del Führer. Il Governo di Flensburg assunse quindi il suo “asset-
to definitivo” con la successiva nomina a Primo Ministro del precedente Ministro delle finanze, Lutz Graf Schwerin von Krosigk. Il Presidente Dönitz e i membri del Governo sarebbero stati arrestati il 23 maggio. Ma a che scopo allestire un nuovo governo, con la fatica di individuare tutte le cariche principali e accessorie, quando la catastrofe aveva ormai raggiunto la sua massima drammaticità? Non era forse prevedibile in quel momento che la Germania sarebbe rimasta a lungo sotto occupazione militare, spossessata di sovranità sul proprio territorio (come poi effettivamente accadde fino al 1949)? Non sembra un caso a molte correnti di pensiero che spaziano dalla fantapolitica alla fantascienza fino alle teorie del complotto che, più a lungo ancora della stessa Berlino — in cui era asserragliato Hitler —, lo Schleswig-Holstein, nonché la Danimarca e la Norvegia occupate, dovessero resistere all’avanzata degli Alleati per perseguire un obbiettivo predisposto con assoluta precisione,
appena in quelle poche settimane che vanno dall’inizio del maggio 1945 al 23 dello stesso mese. La ridottissima e assai breve sovranità che il Governo nazista di Flensburg riuscì ad esercitare in quel defilato nord nazista avrebbe avuto un’importanza strategicamente vitale per garantire un’estrema via di fuga offerta dal mar Baltico. Questa teoria postulerebbe il trasferimento in massa di uomini, attrezzature tecnologicamente sofisticatissime e forse dello stesso Hitler — nient’affatto morto — dall’altra parte del mondo: nell’estremo lembo del Sudamerica o forse addirittura nell’Antartide; in quella terra antartica di Neuschwabenland che la Germania nazista aveva già rivendicato a partire dal 1939. Le stesse fonti parlano di svariati reparti tedeschi, dislocati in Norvegia, mancanti all’appello a fine conflitto. E si parla pure di una flotta di U-boot di ultima generazione, costruiti come veri e propri sottomarini capaci di navigare per mesi in assetto sommerso, misteriosamente scomparsi e dati per non affondati dalla marina da guerra alleata. La cosa più curiosa è che il nuovo Capo dello stato, già Ammiraglio Karl Dönitz, era stato l’artefice dell’enorme sviluppo dell’arma sommergibilistica tedesca durante l’intero conflitto. Una coincidenza? Ma quali tesori tecnologici avrebbe quindi trasportato una flotta di sottomarini di concezione avanzatissima, in un vero e
proprio esodo oltreoceano di intere legioni preposte a fondare un Quarto Reich in capo al mondo? È patrimonio anche della storiografia ufficiale che la Germania nazista era riuscita a produrre verso la fine del conflitto mezzi speciali dalle caratteristiche tecnologiche inaudite. I sorprendenti e tristemente famosi missili V1 e V2 ne forniscono prova. Ma anche gli stessi velivoli tedeschi a fine guerra si erano ormai evoluti nei primi modelli della storia dotati di motore a getto, col Messerschmitt Me 262. Le nuove armi annoveravano ancora aerei a endoreattore alimentati con perossido di idrogeno, bombe
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plananti antinavali, uno speciale tipo di bombardiere strategico chiamato Uccello d’argento (Silbervogel), capace di raggiungere gli Stati Uniti e sganciare una “bomba sporca”, in grado cioè di esplodere solo convenzionalmente, ma diffondendo una “nevicata” di silice radioattiva intossicante. La lista continua con elicotteri sperimentali, missili antiaereo, e altri rivoluzionari mezzi navali e terrestri. Ma il bello deve ancora venire. Oltre che da fonti dichiaratamente letterarie, trapela anche da ambienti legati al cosiddetto nazismo esoterico, tra cui il filosofo cileno neo-nazista Miguel Serrano (1917-2009), la precisa teoria di prototipi di aeromobili di tipo discoidale, i cui progetti sarebbero effettivamente esistiti. I settori più all’avanguardia dell’ingegneria aeronautica tedesca sarebbero quindi giunti fra il 1944 e il 1945 a concepire un velivolo a tutt’ala,
non solo con la configurazione delle ali a delta o a freccia, ma addirittura ad ala circolare. Molti profili avveniristici di prototipi sviluppati dalle potenze protagoniste della successiva Guerra Fredda sarebbero stati infatti copiati dall’ultima tecnologia nazista. L’argomento potrebbe in realtà essere utile a sconfessare l’intera tematica ufologica. Gli avvistamenti nel dopoguerra di velivoli dalla forma e dalle prestazioni inspiegabili si riferirebbero così a prototipi militari segreti, frutto di un processo tecnico evolutivo che avrebbe preso le mosse proprio dalle supposte V7 (questo il nome in codice dei dischi volanti nazisti). L’inventore e naturalista austriaco Viktor Schauberger (1885– 1958) sarebbe stato inoltre il protagonista di una rivoluzionaria innovazione tecnologica con la realizzazione di un motore implosivo levitante, funzionan-
te senza carburante, ad uso degli stessi velivoli discoidali: il cosiddetto Repulsine. La tecnologia era fondata su di un attento studio dei vortici così come si presentano in natura. La filosofia di questo tipo di ingegneria si basava sull’idea che il motore ideale non deve “spingere” il velivolo mediante una forza propulsiva e combustiva, ma deve “risucchiarlo” mediante un vortice centripeto e raffreddante. Ma la questione potrebbe ulteriormente complicarsi. Il rapporto fra queste supertecnologie inventate dai tedeschi nel 1944-45 — ipoteticamente sottratte e segretate a fini di ricerca militare dagli Alleati a fine guerra — e un’ufologia novecentesca, nata e fatta sviluppare proprio allo scopo di fornire all’opinione pubblica “tematiche fantasiose” in cui rifugiarsi per non far sollevare curiosità sgradite su segreti militari industriali, potrebbe essere totalmente rovesciato. L’ufologia non si sarebbe cioè sviluppata per azione dei poteri forti allo scopo di dissimulare la presenza in cielo di prototipi militari assolutamente terrestri. Sarebbero questi stessi prototipi ad avere invece in buona
parte un’origine extraterrestre. In aggiunta alle teorie di Schauberger (non si saprebbe fino a che punto suggerite da “Altri”), i tecnici tedeschi avrebbero anche sfruttato, con operazioni di retroingegneria, campioni di tecnologia aliena rinvenuti in dischi effettivamente non terrestri precipitati negli anni trenta tanto in Germania quanto addirittura in Italia. Così argomentando, tutta la tematica degli “UFO nazisti”, di un Quarto Reich in stato di sonno nelle remote terre antartiche, ma anche di controversi rapporti fra alieni e terrestri intorno al tentativo di farci conoscere tecnologie antigravitazionali basate su forme di energia pulita praticamente a costo zero, si fondono in un reticolo inestricabile in cui la responsabilità di tutta questa confusione sarebbe solo degli antidemocratici poteri che invisibilmente governano il mondo col metodo dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, e che non desiderano affatto che si affermino nuove prospettive per i destini dell’umanità. L’argomento si complica, e merita a questo punto una pausa di riflessione, ma anche la promessa di un seguito.
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di Raffaele d’Isa scrivi@raffaeledisa.it
Ricorrenza di una ricorrenza, il 5 del mese di maggio: il discorso pronunciato esattamente cento anni fa in quella data a Quarto da Gabriele d’Annunzio — che anticipava in termini poetico-mitologici l’ormai imminente dichiarazione di guerra alle potenze della Triplice Alleanza. Ma, prima ancora, la partenza proprio da quello scoglio della spedizione dei Mille agli ordini di Garibaldi nella stessa data del 1860. Il discorso dannunziano venne a inserirsi fra i due eventi politicamente rilevanti per l’ingresso dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale: il Patto di Londra del precedente 26 aprile, e la dichiarazione effettiva di guerra alla Germania e all’Austria-Ungheria il successivo 23 maggio. Il Patto di Londra (che prevedeva l’ingresso dell’Italia in guerra al fianco della Triplice Intesa entro un mese dalla sua firma) era già stato siglato in segreto dal Governo Salandra, dopo svariati mesi di mercanteggiamenti fra i due blocchi già belligeranti che cercavano di tirare ciascuno dalla propria parte un’Italia smaccatamente e cinicamente opportunista nel prolungare i suoi calcoli di convenienza comparata. Tra il 26 aprile e il 23 maggio 1915 il gesto di d’Annunzio ebbe una rilevanza strategica. La dichiarazione di guerra agli Imperi Centrali non sarebbe stata possibile senza il voto di avallo del parlamento italiano, dominato però dalla maggioranza giolittiana neutralista. Ecco quindi che una discesa in campo dell’”agitatore d’Annunzio” risultava fondamentale per l’ala interventista italiana, per la Francia e per l’Inghilterra allo scopo di scaldare l’opinione pubblica, portare fermento nelle piazze d’Italia e mettere infine nell’angolo i neutralisti. Le cose andarono infatti proprio secon-
do questo copione: dopo un proliferare di ulteriori discorsi di d’Annunzio, sceso intanto da Genova a Roma, il 16 maggio il re respinse le dimissioni di Salandra date pochi giorni prima. Sotto la spinta irresistibile delle moltitudini in piazza, esaltate per la guerra dall’oratoria dannunziana, il 20 maggio il parlamento riconferì la fiducia al governo Salandra con i pieni poteri. E il 23 del mese si arrivò alla ormai attesa formalizzazione della dichiarazione di guerra. Ma cosa ebbe di davvero speciale l’Orazione per la sagra dei Mille scritta dal Vate (su committenza del governo francese, aggiungono le malelingue di ieri e di oggi) per il discorso del 5 maggio? Gabriele d’Annunzio era arrivato pochi anni prima all’apice della sua carriera letteraria: un autore tanto celebre e inebriante quanto effettivamente poco letto dal pubblico italiano. Con una ricerca lessicale squisita e arcaizzante, e una sintassi stratificatissima
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(sia in poesia che in prosa), la scrittura di d’Annunzio era “tecnicamente superata” già più di un secolo fa, in un contesto di mercato del libro che si apriva sempre più alla lettura di massa, e che cominciava quindi a richiedere già a quei tempi una scrittura più vicina a un grado di cultura dell’uomo della strada. Il poeta suppliva tuttavia alle scarse probabilità di “essere letto da tutti” con un’attività di marketing di se stesso davvero fulminante ed efficacissima. Dagli anni ottanta del XIX secolo alla fine della Belle Époque con la Prima Guerra Mondiale, lo stile ipermondano e salottiero del poeta, narratore e drammaturgo dandy — insieme con le sue celebratissime avventure amorose — faceva parlare di lui anche fra persone che sfogliando una sua opera avrebbero avuto la sensazione di tro-
varsi davanti a un geroglifico egizio. Ma con l’arrivo della guerra, tutto stava cambiando rapidamente. Per rimanere à la page, non restava a d’Annunzio che cavalcare il combattentismo, e sostituire il salotto con la trincea vestendo i panni del guerriero (ma d’Annunzio corse effettivamente i suoi rischi e pagò il suo prezzo nel partecipare ai combattimenti). Diversamente, lo scrittore — già letterariamente superato dai nuovi movimenti culturali del crepuscolarismo, del futurismo e del romanzo a sfondo psicoanalitico — sarebbe stato ben presto storicizzato e quasi dimenticato. Impossibile per lui. Il discorso di Quarto restava comunque notevolmente verboso e di non facile comprensione — zeppo com’era di riferimenti mitologici — per la platea di popolo davanti alla quale si ritrovò il Vate presso una spiaggia genovese,
dopo che fu tolto il velo al massiccio bronzo che lo scultore Eugenio Baroni aveva dedicato per l’occasione a Garibaldi e ai Mille. E proprio alcune decine di decrepiti reduci di quei Mille erano lì in camicia rossa, ipnotizzati da d’Annunzio che, apostrofandoli “santissimi vecchi”, nominava loro “le cerulee cantatrici”, “i gemelli di Sparta”, “il Toro sabellico”, col condimento delle gesta di Teseo e Orfeo, mentre non si risparmiava l’uso di desuetissimi vocaboli come “conflatile” e “trambascia”. Il tono generale lasciava tuttavia trasparire a sufficienza il preordinato intento incitatorio alla guerra; soprattutto da intendersi come scelta acclamata a furor di popolo, e quindi al di fuori e al di sopra di complicati meccanismi politico-istituzionali. Ed è proprio così che l’intesero con immediato sdegno i giornali degli Imperi Centrali, e con contrapposto entusiasmo la stampa francese e inglese. Ma dove andava d’Annunzio? Da quel momento in poi, verso un destino di gloria militare; ma da vero combattente, e non per finta come avrebbe voluto la malizia dei suoi denigratori. E proprio negli anni di guerra d’Annunzio vivrà fra rudi uomini d’azione, fra i primi assi di una nascente aviazione militare, o tra soldati semianalfabeti. L’uomo ne risentirà. I diari di guerra parlano del fante ignorante che però lo riconosce in trincea e che gli offre un misero tozzo del suo pane: il poeta morde e mangia con gusto il pane premorsicato dal milite, con dentro tutto il vivo sapore del popolo d’Italia con cui si ritrovava infine a combattere fianco a fianco; e per il quale offrirà in sacrificio anche un occhio. Avverrà con la guerra anche la transizio-
ne dal d’Annunzio “diurno” al d’Annunzio “notturno”; quello di una prosa che inaspettatamente si prosciuga di eccessi lessicali e strutturali nell’opera del 1921 che proprio “Notturno” ha per titolo. La guerra, l’impresa di Fiume e infine l’esilio dorato da neo-principe rinascimentale, con dimora nella misteriosa reggia del Vittoriale sul lago di Garda, sono le tappe che attendono d’Annunzio dopo il discorso di Quarto e fino al 1938, anno della sua morte. E fu proprio la lettura dell’”Orazione per la sagra dei Mille”, dalle 10.45 alle 11.25 del 5 maggio 1915, a rivelarsi infine come il commiato del dandy al mondo, e l’inizio della seconda grande stagione dell’epopea dannunziana.
MUSICA - FYFE
UN ESORDIO COL BOTTO
38 di Gianmarco Soldi gianmarcosoldi@gmail.com
Non succedeva da tempo che un esordio discografico suscitasse interesse ed insieme scalpore (positivo) nell’ambiente indie come quello di Fyfe, nome d’arte di Paul Dixon, ventiseienne polistrumentista inglese con un passato in varie formazioni del sottobosco underground britannico e una produzione discografica (poco fortunata) con lo pseudonimo David’s Lyre (un album pubblicato nel 2012, Picture Of Your Youth). Ma con Control, pubblicato per l’etichetta Believe Recordings, Fyfe sembra aver guadagnato finalmente e meritatamente le luci della ribalta. L’album, preceduto dal fortunato singolo Holding On e dall’EP Solace, è stato da lui interamente scritto e autoprodotto. Sin dal primo ascolto colpisce l’uso preponderante dell’elettronica e della drum machine, sonorità tanto care ai mai definitivamente dimenticati anni Ottanta. Contrariamente a quanto spesso accade nei lavori fortemente incentrati sull’utilizzo di strumenti sintetici, caratterizzati da una certa freddezza e asetticità, in Control Fyfe riesce a fondere l’elettronica con strumenti più classici, in un connubio che dona calore e intimità lungo tutto lo sviluppo dell’album. Ne sono un esempio la chitarra quasi stonata in Solace e Keep it together, il sax in For You, oltre al pianoforte e alle soffuse melodie degli archi che creano sprazzi eterei tesi a richiamare le atmosfere dei mostri sacri del post rock (impossibile non notare l’influenza dei Radiohead di Tom Yorke e degli ultimi lavori di James Blake). Oltre a tutto ciò, lo strumento più potente e sorprendente è proprio la voce di Fyfe – delicata, introspettiva, a tratti quasi femminile e piacevolmente lamentosa – che si unisce in apprezzabile contrasto alle melodie pop sinfoniche e ai ritmi elettronici contaminati da strumenti analogici. I migliori momenti del disco, carichi di pathos e perfetta simbiosi tra testi e sotto-
fondo musicale, si trovano nei brani Solace, la vera punta di diamante dell’album, Waves e Veins, entrambe caratterizzate da ottime linee vocali su basi ritmiche trascinanti, e nella conclusiva titletrack, Control, un’intimistica e frizzante ballata elettronica. Ma Control non si pone solo come un lavoro bello esteticamente. Come affermato dallo stesso Fyfe, si tratta del risultato di un percorso autobiografico, incentrato su temi come la depressione, l’insonnia e un insieme di tormentose vicende personali, stratificate in un fluido movimento diventato un diario musicale: quasi e principalmente un auto-esercizio di riscoperta, più che un disco pensato originalmente per vendere. Il tutto caratterizzato da grande coesione tra le parti e un songwriting di buon livello. L’unica pecca di Control si trova forse nell’eccessiva somiglianza tra alcuni brani, prevalentemente costruiti su melodie cupamente soffuse e strutture poco eterogenee, evidente risultato del lavoro di un’unica persona alla stesura e alla produzione dell’album. Le qualità compositive e interpretative del ventiseienne Paul Dixon si mostrano comunque eccellenti, soprattutto nell’ardua missione (riuscita) di crearsi sin dall’esordio un’identità legata all’innovazione e all’originalità in una nicchia come quella indie spesso caratterizzata da filoni di replicanti destinati a eclissarsi insieme ai capostipiti di genere.
MODA - IL PIZZO
il pizzo,
tra sogno e
affermazione femminile 40 di Valentina Viollat shoppingamoremio@gmail.com
Ogni primavera sbocciano abiti ricamati che dalle passerelle si trasferiscono alle vetrine, proprio come spuntano nei prati le corolle del fiore della carota selvatica, l’esempio di pizzo naturale più incantevole che ci sia. Il pizzo, sensuale e romantico per tradizione, ammantato da una qualità senza tempo, riecheggia nell’immaginario collettivo come uno dei simboli per eccellenza della femminilità. Una volta riservato alla lingerie o utilizzato come elemento ornamentale, questo tessuto ha vissuto negli ultimi decenni numerosi momenti di rinnovata gloria, assurgendo a protagonista del fashion system; una tendenza in crescita. Quest’anno, in particolare, la moda primaverile scommette sulla ricca versatilità del pizzo.
Concepito per proporre una transizione morbida tra il giorno e la notte, il capo in pizzo è diventato ancora più irresistibile. È al centro di una visione audace, che stupisce mescolando suggestioni diverse, interpretazioni della donna e della femminilità che nella storia sono sempre state agli antipodi. Il pizzo per la nuova stagione, infatti, attinge al tradizionale immaginario sensuale legato al mondo della lingerie e a quello delicatamente poetico della sposa e fanciulla pura, mescolando questi echi con accenti che rimandano all’iconografia
della donna amazzone, libera e potente. Il pizzo, per la primavera 2015, sposa l’altra forte tendenza di stagione: il revival anni 70, che porta con sé citazioni di donne libere e in cerca di liberazione, di rivoluzionarie in pelle e frange. Dalle gonne ai trench, questo tessuto ornato si sviluppa su una lunga serie di sagome e tagli raffinati, per disegnare una donna femminile, libera e potente. Basti pensare agli inserti merlettati negli abiti di pelle di Gucci, alla versione neo-virginal-monacale con stivali alti di Louis Vuitton e alle bluse impalpabili di Givenchy abbinate a grintosi pantaloni in pelle, che attenuano la dolce indole dei top ricamati. Usato come dettaglio sensuale, o messo in mostra come l’elemento portante di uno sguardo d’insieme, il pizzo è pronto a dare al nostro guardaroba, con la sua eleganza indiscussa, un tocco di
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moderna assertività. Dai top alle gonne, agli abiti sofisticati, tutto punta a esibire un senso ritrovato di femminilità sicura di sé. Macramè, dentelle, sangallo, Chantilly, di Bruxelles, merletto, all’uncinetto, chiacchierino, filet, trina: il vocabolario per nominare il pizzo è ricco quanto le forme in cui si offre e i luoghi in cui ha avuto origine. Famosi i pizzi tradizionali prodotti in Italia, Francia, Paesi Arabi e Germania, tutti hanno in comune il presupposto che si tratti di una lavorazione di filati volta a ottenere un tessuto ornato, leggero e prezioso. La particolarità della lavorazione sta nel fatto che il ricamo non viene effettuato su tessuto, ma è esso stesso la costruzione di un intreccio nel vuoto. Persino prima di saperlo, una vertigine ci prendeva nell’ammirare questi disegni preziosi realizzati da mani esperte o da macchinari sofisticati, ma quell’espressione — un intreccio nel vuoto — finalmente ci appare come la ragione concreta di tanta fascinazione. Il pizzo è una trama che si appoggia sul vuoto, che viene intessuta letteralmente sull’idea che l’ha progettata. È filato nella mente prima, e nell’aria dopo. Prima ancora di essere oggetto del desiderio da indossare, è illusione e aspirazione; modello, visione, pensiero sospeso nell’immaginazione. Impalpabile come un concetto, può essere concretamente sfoggiato in ogni occasione. Il pizzo testimonia e riassume in sé il mistero dell’eterno femminino: reale, ma fatto della stessa sostanza dei sogni.
SPORT - GIRO D’ITALIA 2015
Dalla Liguria all’EXPO
GIRO D’ITALIA 2015 Non solo Contador di Gianluca Corbani corba90@hotmail.it
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Sarà un Giro povero di nomi ma ricco di temi. Sarà soprattutto una vetrina per l’Italia: Richie Porte, architetto del trionfo di Wiggins al Tour 2012, sarà il capitano del team Sky. L’australiano ha vinto nel giro di poche settimane due tra le più importanti corse a tappe della prima fetta di stagione – la Parigi-Nizza e il Giro di Catalogna – e si candida ufficialmente al ruolo di favorito nella corsa alla maglia rosa. Al Giro di Catalogna bene Pozzovivo, male gli attesissimi Froome e Contador. Secondo Alejandro Valverde (Movistar). Quintana invece ha vinto la Tirreno-Adriatica e si misurerà con Nibali al Tour. Team Katusha: Kristoff (vincitore del Fiandre) farà il Tour, è l’ultima occasione per Purito Rodriguez, in grande spolvero nel Giro dei Paesi Baschi Il Giro numero 98 parte dal mare, in Liguria, il 9 maggio, con la spettacolare e inedita cronosquadre per la prima volta nella storia della corsa rosa su una
lo-Aprica, tappa per scalatori con 4 Gpm (Campo Carlo Magno, Tonale, Aprica, Mortirolo). Sabato 30, la ‘finale’ sul Colle delle Finestre, Cima Coppi del Giro 2015. Sarà sfida tra Fabio Aru dell’Astana, terzo al Giro 2015, e Alberto Contador (Tinkoff Saxo), al quale lo stesso Aru (passato nel 2014 da promessa italiana a ciclista di livello internazionale) si ispira. Non a caso Contador l’ha incoronato come suo erede. Ma occhio al terzo uomo – Richie Porto – protagonista di primavera e capitano designato del team sky al Giro, che l’anno scorso saltò per problemi fisici. Anche Porte ha già provato la Treviso-Valdobbiadene.
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ciclabile, dai piedi della Cipressa, quella della Riviera dei Fiori da San Lorenzo al Mare a Sanremo (17.6 km). Cronosquadre. Arrivo a Milano, nel cuore dell’Expo 2015. Ventidue le formazioni al via con 9 corridori ciascuna. È la quarta partenza dalla Liguria nella storia del Giro. Cinque le tappe di alta montagna: Fiuggi-Campitello Matese, Marostica-Madonna di Campiglio, Pinzolo-Aprica, Cima Coppi sul Colle delle Finestre, a 2.178 metri, con 43.000 metri di dislivello totali. Arrivo in salita all’Abetone (mercoledì 13 maggio), dove nel 1940 iniziò la leggenda di Coppi. Con il compagno Cataldo e l’allenatore Slongo, Aru ha già provato la tappa cruciale del Giro 2015 che lo vedrà protagonista come capitano dell’Astana. Il trittico decisivo tra sabato 23 e martedì 26: prima la Treviso-Valdobbiadene (maxi-crono scalata di 59,2 km che sembra fatta apposta per lanciare Contador verso il traguardo), poi la Marostica-Madonna di Campiglio e infine il tappone alpino Pinzo-
SPORT MINORI - CHEESE-ROLLING
CHEESE-ROLLING
All’inseguimento della forma (di formaggio)
DOWNHILL Giù per la montagna
di Simone Zerbini simone-z90@hotmail.it
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Lo ammetto tranquillamente: ogni mese ci spingiamo un po’ più in là, spostiamo l’asticella un po’ più in su. Pensavo di aver “toccato il fondo” col lancio del nano, ma con questo sport, tra parentesi anche pericoloso, ci siamo superati. Tutti gli anni, sulla collina di Cooper, nei pressi di Gloucester nel Regno Unito, si svolge la tipica e folkloristica gara di Cheese-rolling (letteralmente “formaggio rotolante”). Lo svolgimento è molto semplice: una forma di formaggio “Double Gloucester” da 9 libbre viene fatta rotolare giù dal ripido fianco della collina e i partecipanti alla gara si lanciano al suo inseguimento. Vince chiunque cattu-
ri il formaggio fuggiasco o chi taglia per primo il traguardo, ma dato che il latticino rotolante raggiunge anche i 120 km/h solitamente trionfa chi arriva prima a valle. L’evento inizialmente si svolgeva il giorno della Pentecoste, salvo poi essere spostato nella Spring Bank Holiday (festività anglosassone ricorrente l’ultimo lunedì di Maggio). Le origini di questo sport sono incerte: secondo alcuni era un gioco praticato nell’antichità in Galles; per altri è l’evoluzione di una vecchia procedura per il mantenimento del diritto di pascolo; per altri ancora si tratta di un rito di radici pagane che prevedeva il lancio di oggetti rotolanti da una colli-
se Rolling continua ad essere uno degli eventi cult che si svolgono sul suolo inglese, con partecipanti che giungono da tutto il mondo. Dal 2002, al fine di promuovere un festival mangereccio locale, un evento simile si svolge nella città di Chester, con la differenza che qui si tratta di una corsa ad ostacoli in piano. Ma, se non volete oltrepassare le Alpi e la Manica, non disperate: una competizione analoga si svolge sull’altopiano di Brentonico, nei pressi di Rovereto in Trentino. Cosa aspettate ad allacciare il casco e a buttarvi dalla collina? Dopotutto una bella forma di formaggio vale ben qualche osso rotto...
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na. La forma di formaggio utilizzata viene rivestita con un telaio di legno, decorata con fiocchi e lanciata un secondo prima della partenza dei concorrenti. Mentre inizialmente erano i parrocchiani a preparare il formaggio per la gara, dal 1988 questo onore spetta a un solo casaro locale. Con l’avvento della Seconda Guerra Mondiale e del razionamento di cibo sul suolo britannico, il tipico formaggio venne sostituito da una replica in legno. Nel 2013, per ragioni di sicurezza, si gareggiò con una forma fatta di schiuma. Come avrete capito gli infortuni durante questa manifestazione sono all’ordine del giorno, nonostante l’obbligo di indossare una protezione in testa: nel 1993 in quindici, di cui quattro in maniera grave, rimasero feriti nel tentativo di acchiappare il formaggio rotolante; la corsa del 2005 venne addirittura cancellata per la mancanza di ambulanze, tutte impegnate a trasportare i feriti di corse precedenti; l’anno del formaggio di schiuma la polizia incolpò il casaro di essere il responsabile degli incidenti che avvengono in gara. Nonostante ciò la Cooper’s Hill Chee-
SPORT CERTIFICATI: PEC - TIRO A VOLO
Non solo precisione
IL TIRO A VOLO PREPARAZIONE ATLETICA E MENTALE di Roberto Carnevali robertocarnevali@eutelia.com
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Il tiro a volo è una disciplina sportiva che può apparire agli occhi dei meno esperti come uno sport apparentemente statico, ovviamente se paragonato all’atletica leggera, al calcio, al nuoto e ad altri sport vistosamente dinamici. Ma, se lo analizziamo con una prospettiva più ampia – a 360 gradi –, ci accorgiamo che fondamentalmente non è così. Esiste una preparazione di base molto complicata, sia sotto l’aspetto fisico che mentale (entrambi principi su cui si basa questo sport). I maggiori esponenti di questa disciplina, che la esercitano a livello professionale, hanno una preparazione molto accurata, che si snoda a partire da un programma di palestra che costituisce la base per il raggiungimento di una performance davvero equilibrata. Basti pensare che per affrontare una prova di Coppa del Mondo, per non dire un’Olimpiade, occorrono mesi e mesi di preparazione fisica per arrivare preparati (e comunque non sempre ci si riesce fino in fondo) alla manifestazione. Successivamente subentra l’aspetto tecnico-mentale dell’atleta. Non basta avere un buono stato fisico; occorre anche lavorare per massimizzare l’interazione mente-corpo allo scopo di acquisire la facoltà di raggiungere una grande concentrazione in pochi attimi. Lo sportivo in pedana deve riuscire in un tempo davvero ridot-
to a far collimare tutti gli impulsi emotivi e mentali con il gesto tecnico, finalizzato alla rottura del bersaglio. Potremmo paragonare in linea di massima il tiro a volo a un altro sport: la Formula Uno. Qui il pilota deve riuscire, in uno stretto spazio di tempo, a capire ciò che deve fare per la riuscita di una buona gara, tenendo conto di un fattore molto importante per salvaguardare la propria incolumità: la velocità, che può arrivare oltre i 300 km orari. È così anche con il tiro a volo: pochi decimi di secondo per finalizzare l’obiettivo, ovvero la rottura del bersaglio. Tutto ciò avviene con una preparazione progettata in modo che l’atleta riesca a minimizzare gli errori, e tale che la sua routine diventi un automatismo psico-fisico consolidato. Energia mentale, stato fisico, voglia di raggiungere l’obbiettivo, sono i modi in cui si esprime massimamente questo sport. È vero che Campioni si nasce, ma a volte lo si può diventare, professando una dedizione al lavoro ricca di passione, e restando sempre coesi con i principi fondamentali del tiro a volo. Ci sono molti passi che il tiratore (dal neofita al professionista) deve bilanciare con ponderazione, salvaguardando tutto ciò che incrementa le probabilità di portarlo ai vertici delle classifiche. La concentrazione e l’attenzione, l’emozione, lo stato d’animo, il miglioramento costante nel tempo e soprattutto la grande umiltà, sono tutti
fattori importanti, che risultano decisivi al momento della competizione, e rivelano se l’agonista ha davvero lavorato bene con la tabella di marcia che i preparatori atletico e tecnico hanno studiato per lui. L’Italia vanta atleti che, dietro le direttive di ottimi allenatori, risultano correttamente formati; e in condizioni fisico-tecniche tali da incappare effettivamente nell’errore in pochissime occasioni. Lo si vede se andiamo a consultare i numeri: i grandi esponenti del tiro nazionale sono sempre presenti nei luoghi e nei momenti più importanti; dai campionati Europei ai campionati del Mondo, per finire con le Olimpiadi. Potrei citare decine di nomi: siamo il Paese più rappresentativo di questa disciplina sportiva in tutto il mondo. Vi riporto una citazione di un nome di gran prestigio, sia come tiratore sia come preparatore tecnico del tiro a volo, Renato Lamera: “Dedicato a tutti coloro che con la propria passione hanno saputo trasformare l’attività sportiva del tiro a volo in piacere di vita”.
MOTORI - MANTOVA MOTOR FESTIVAL
MANTOVA MOTOR FESTIVAL
Arriva lo spettacolo 50
dei motori di Nicola Guarneri guitartop@libero.it
Venerdì 15, sabato 16 e domenica 17 maggio a Mantova sarà di scena il Mantova Motor Festival “lo spettacolo dei motori” che, dopo il successo dello scorso anno in cui vennero superate le 25mila presenze, punta a stupire ancora. La tre giorni, che si terrà presso il Palabam, avrà come protagonista ogni tipo di mezzo supportato da un motore: non solo auto quindi, saranno presenti anche moto e camion nell’evento che punta a diventare il principale riferimento per gli appassionati del mondo motoristico nazionale ed europeo. Nella fiera è prevista un’area EXPO, nella quale diverse aziende esporranno i propri prodotti, e soprattutto un’area show: nell’edizione 2015 sono previsti diversi spettacoli. Si parte innanzitutto con l’educazione stradale, con corsi di guida sicura (anche sul bagnato) per proseguire con drifting show, go-kart e minimoto, il sexy car/ truck wash (il preferito dai maschietti) e le prove di alcuni stuntman (da non
MOTORI - MANTOVA MOTOR FESTIVAL
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ripetere, mi raccomando!). Non mancherà nemmeno la musica, con diversi dj ad alternarsi alla console. Novità di quest’anno sarà l’area raduni, in cui tutti gli appassionati potranno mettere in mostra il proprio veicolo, a due o quattro ruote. Nonostante l’ingente sforzo economico per restituire una manifestazione di primo livello, che vedrà anche la presenza di diverse personalità di rilievo del panorama motoristico, i numerosi accordi di partnership hanno permesso all’organizzazione di rendere l’accesso libero al pubblico. Appuntamento quindi a venerdì 15 alle ore 17:00! Ci stiamo dimenticando qualcosa? Forse sì… come nella migliore tradizione motoristica, tutti i modelli esposti saranno contornati da altrettante modelle in carne ed ossa; anche in questo caso per la gioia del pubblico maschile. E chi l’ha detto che una donna al volante è un pericolo costante?
ARTE - MASCHERE E SPIRITUALITÀ
Maschere e spiritualità di Susanna Tuzza susannatuzza@gmail.com
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Per capire e comprendere i misteri dell’arte, non si può che guardare dove tutto ciò ha avuto inizio. Culla della civiltà, l’Africa si può considerare come il continente dove la voglia di raffigurare dell’uomo si è generata. È difatti in questo eclettico e dai mille volti esteso territorio, che si possono osservare i primi approcci dell’uomo con primordiali forme d’espressione. I più importanti pittori moderni e contemporanei iniziarono ad interessarsi alle variegate produzioni creative provenienti da questa terra, diventando loro stessi grandi collezionisti. Picasso, Braque, Modigliani, Matisse capirono l’assoluta importanza della produzione artistica africana traendo spunto da essa. Ci troviamo ad osservare espressioni non monumentali, plastiche e scultoree. Statue e maschere scolpite nell’ebano, nella pietra, nella diorite, che affascinano grazie a forti tratti espressivi. Vere e proprie opere dal valore simbolico straordinario, legato allo spiritualismo delle differenti fedi locali. I colori impiegati (come il rosso, simbolo della fecondità e della vita, il bianco e il nero), rappresentando la vita eterna e l’oscurità, danno quindi maggiormente enfasi al significato dell’opera. Espressività e ricercatezza quindi negli aspetti della realtà nella loro totalità. Simbolismi religiosi e non solo, valori filosofici incisi e riportati in questi oggetti colmi di magia.
CASA & DESIGN - AFRICA. LA TERRA DEGLI SPIRITI
AFRICA
LA TERRA DEGLI SPIRITI “È quando non si sa dove si va che è bene sapere da dove si viene” La saggezza di un continente che mischia rito, mito, funzionalità ed eleganza in mostra al MUDEC di Milano
56 di Gaia Badioni gaia.badioni@hotmail.it
Africa. La terra degli spiriti, è questo il titolo della mostra che ha inaugurato la stagione espositiva del MUDEC Museo Delle Culture di Milano lo scorso marzo, primo museo italiano con una governance in partnership tra pubblico e privato, ovvero Comune di Milano e 24 ORE Cultura – Gruppo 24 Ore. In concomitanza con Expo in città, per ampliare il portafoglio di eventi che completeranno l’offerta culturale dell’esposizione universale, il MUDEC propone una mostra che raccoglie oltre 270 pezzi che raccontano la tradizione culturale e religiosa del continente africano, spiegandone la simbologia e l’importanza nella cultura delle popolazioni dell’Africa nera. Il percorso di mostra si snoda lungo 6 sale e accompagna il visitatore in un viaggio che offre una rilettura della produzione artistica africana a tutto tondo, un vero e proprio viaggio nel cuore di quella terra nera e ipercolorata al contempo, che mischia sacro e profano con tanta eleganza e molta saggezza. Tutta la visita, infatti, è scandita dalle parole dei proverbi afri-
cani, che denotano la grande importanza del tempo e il connubio inossidabile e inscindibile tra uomo, natura, spiriti. Quasi mistico il percorso allestito, caratterizzato da un’illuminazione teatrale diretta alle statue che le fa emergere da un fondale nero ammorbidito da veli neri tesi come ragnatele a incastonare oggetti di ebano nero scintillante. Un tamburo incalzante segna il ritmo dei passi e l’esperienza dei vecchi ci fa da guida… Quando lanci la freccia della verità, immergila prima nel miele… Il tam tam suona solo quando lo si batte… La parola è come l’acqua, una volta versata non la raccogli più… È grazie alla perseveranza che l’uovo finisce per camminare su due zampe… Come colpi di tamburo appaiono le immagini incastrate in una palude vitrea che accoglie il visitatore al suo ingresso; non stupisce che Picasso rimase folgorato e quasi terrorizzato a seguito di una visita a un’esposizione di arte africana nel 1907 al Musée du Trocadéro, dopo la quale decise di modificare nel modo che conosciamo le teste di due delle figure delle
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Demoiselles d’Avignon. Insieme a Picasso, anche altri maestri delle avanguardie storiche del Novecento dopo l’incontro con la produzione tribale o selvaggia non furono più gli stessi (Matisse, Carrà, Giacometti, Léger), ma la sensibilità plastica e decorativa che gli artisti del ‘900 hanno ritrovato nell’arte africana non corrisponde del tutto all’idea soggettiva che gli africani stessi hanno della loro arte. “Essa, infatti, non è semplice rappresentazione o ricerca formale ma, in qualche modo, s’identifica con il contenuto stesso della rappresentazione” ci raccontano i curatori Ezio Bassani, Lorenz Homberger, Gigi Pezzoli e Claudia Zevi. Così, anche i piccoli amuleti, i gioielli e gli oggetti della vita quotidiana presentano sempre un’eleganza che va al di là della loro semplice funzione. Nessun oggetto d’uso è troppo piccolo o banale per non essere realizzato con fantasia ed estro artistico. Esempi di eccezionale elevazione compositiva e decorativa trovano il loro massimo compimento nei cucchiai, nei corni, nei fregi o nei corredi (tra i quali i poggiatesta) in avorio appartenenti ai regnanti africani (soprattutto del Benin) e che, successivamente, entrarono a
far parte delle collezioni europee grazie alle spedizioni portoghesi, come l’olifante d’avorio con lo stemma dei Medici e i cucchiai delle antiche collezioni medicee di Firenze, annotati nel 1560 fra i beni di Eleonora di Toledo, moglie del duca di Toscana Cosimo I de’ Medici. Accanto ad un racconto più storico, che va dalla scoperta dell’Africa nera da parte di portoghesi, all’epoca coloniale fino all’influenza sull’arte occidentale del Novecento, si snoda un percorso volto a spiegare la complessità della cultura e della società di questi popoli. Si narra di come in Africa non esista una differenziazione netta tra natura (il divino) e uomo. Per sopravvivere e cercare di controllare ciò che non è visibile, gli africani hanno elaborato e adottato molti e complessi sistemi di divinazione: per esempio, accanto agli spiriti della natura, gli Antenati della comunità vengono venerati e omaggiati per ottenere prosperità per l’intera
comunità. Gli Indovini, spesso definiti anche sacerdoti, ricoprono un ruolo di spicco poiché con i loro strumenti oracolari (figure di piccole dimensioni, amuleti) possono proteggere dal malocchio o dalla malattia o, nel caso di una morte inspiegabile, chiarire un delitto rimasto irrisolto. Le figurine chiodate, nkisi, fanno parte degli strumenti dell’indovino: nel piantare i chiodi nel corpo irto e ben delineato della statuetta, il sacerdote poteva chiamare uno spirito a punire il colpevole di un crimine. E ancora: pratiche rituali che evocano immediatamente nel nostro immaginario riti, iniziazioni e misteri; innumerevoli miti che raccontano di come le donne conobbero i segreti delle maschere molto prima degli uomini i quali, temendo di perdere il loro potere, si riunirono in associazioni segrete. “Da allora, con poche eccezioni, i culti delle maschere si svolgono senza la partecipazione diretta delle donne.
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Sotto questo aspetto, le maschere hanno la funzione di dissipare il timore ancestrale maschile di un eccessivo potere femminile”. La donna africana è protagonista di un’intera sezione della mostra dedicata ai riti d’iniziazione volti a trasformare le giovani in donne da marito mediante complicati e lunghi rituali. La Sande (o Bundu) era l’associazione più importante nella vita delle donne in Sierra Leone e Liberia oltre ad essere anche un importante committente degli intagliatori della regione, ai quali si rivolgeva per ordinare le maschere “casco” per le cerimonie, che dovevano rappresentare lo “spirito protettivo” e dovevamo richiamare all’essenza della donna ideale: fronte alta, superficie nera e lucente, sontuosa acconciatura, occhi socchiusi e piccola bocca chiusa che simboleggiano l’espressione di una concentrazione spirituale rivolta all’interiorità; la stessa con la quale le donne si presentavano alla comunità al termine del cammino iniziatico. Tuttavia le maschere svolgono molteplici funzioni, e di conseguenza presentano una grande varietà di forme. Pur con tutta l’ammirazione per le opere figurative e le maschere che appartengono al contesto socio-religioso, non bisogna dimenticare che la percezione estetica in Africa si manifesta con grande ricchezza anche negli oggetti di uso quotidiano; soprattutto in piccole sculture che non rappresentano studi per opere più grandi, ma veri e proprio oggetti finemente decorati. Ed è con una carrellata di “grandi piccoli monumenti”, come li hanno definiti Ezio Bassani e Gigi Pezzoli, che si conclude l’esposizione; con un pensiero rivolto alla poca importanza della grandezza dell’oggetto di fronte al suo significato simbolico. Dopotutto “un elefante enorme non ha sempre enormi zanne”.
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SPECIALE - FESTIVAL LIRICO - ARENA DI VERONA
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Festiva dell’Arena di
di Sylvie Capelli sylvieannacapelli@gmail.com
al Lirico i Verona 2015 Dal 19 giugno al 06 settembre si terrà la 93° edizione del Festival Lirico Areniano (noto anche come Arena di Verona Opera Festival). Il festival fu inaugurato nel 1913 con l’Aida di Giuseppe Verdi (che si replica anche quest’anno per la cinquantaseiesima volta) per celebrare il centenario della nascita dell’artista. Sette i titoli in cartellone quest’anno: Nabucco, Aida, Don Giovanni, Roméo et Juliette, Barbiere di Siviglia, Tosca e Carmina Burana, per un totale di 54 spettacoli. Nabucco – opera in 4 atti – musiche di Giuseppe Verdi – libretto di Temistocle Solera L’opera ha avuto il suo esordio al Teatro alla Scala di Milano nel 1842 e deve parte del suo successo a una delle più celebri arie del melodramma italiano: “Va’ pensiero”. Il titolo originario era Nabucodonosor. L’opera rappresenta il periodo in cui il Popolo Ebraico era in condizione di schiavitù a Babilonia. Su questo sfondo di contrasto tra fede nell’unico dio ebrai-
co (che scaglia anche fulmini e cui infine Nabucco si converte) e molteplici divinità pagane, si dipana la storia d’amore e gelosia tra le figlie del re Fenena e l’ebreo Ismaele. Aida – opera in 4 atti – musiche di Giuseppe Verdi – libretto di Antonio Ghislanzoni Questa opera fu commissionata dal Vicerè di Egitto per essere rappresentata in occasione dell’apertura del Canale di Suez nel 1870, ma la prima andò in scena a Il Cairo solo il 24 dicembre 1871, poche settimane dopo fu replicata al Teatro alla Scala di Milano e a oggi è una delle opere verdiane più rappresentate nel mondo. Il condottiero egiziano Radames si innamora della schiava etiope Aida, ma deve partire per la guerra contro il re dell’Etiopia Amonasro, padre della sua amata. Radames dovrebbe sposare la figlia del Faraone Amneris ma accusato di tradimento, sarà condannato a essere sepolto vivo e Aida dividerà volontariamente con lui la triste sorte.
SPECIALE - FESTIVAL LIRICO - ARENA DI VERONA
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Don Giovanni – opera in 2 atti – musiche di Wolfgang Amadeus Mozart – libretto di Lorenzo Da Ponte La prima del Don Giovanni fu a Praga il 29 ottobre 1787 e fu subito accolta “con il più vivo entusiasmo”. L’anno successivo andò in scena al Burghteater di Vienna per l’Imperatore Giuseppe II che aveva commissionato l’opera. Siamo a Siviglia nel XVI secolo. Il nobile Don Giovanni uccide il Commendatore accorso in difesa dell’onore della figlia Donna Anna. Il duca Ottavio (promesso sposo di Donna Anna) giura di scoprire l’assassino che fugge assieme al suo servo Leporello che narra il “catalogo” delle conquiste amorose dello straordinario seduttore. Don Giovanni tenta di sedurre anche la Zerlina, una contadinella nel giorno delle nozze, ma Donna Elvira (ex amante di Don Giovanni), riesce a sottrarla dalle mire del seduttore. Donna Anna riconosce nella voce di Don Giovanni l’assassino del padre e, una volta smascherato, viene invocata la vendetta del cielo. Don Giovanni tenta di sottrarsi alla morte cambiando abito con il suo servitore, ed è talmente spudorato da invitare a cena la statua del Commendatore. Inutili i tentativi di farlo pentire, e arriva quindi la vendetta divina: la terra si squarcia e Don Giovanni precipita tra le fiamme. Tosca – melodramma in 3 atti – musiche di Giacomo Puccini – libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica Senza dubbio la più famosa e amata opera del musicista, andata in scena per la prima volta al Teatro Costanzi di Roma il 14 gennaio 1900. Ambientato nella Roma del 1800 dopo il fallimento della Repubblica Romana, quando lo Stato Pontificio sta catturan-
do i rappresentanti e sostenitori della Repubblica. Il pittore Mario Cavaradossi e la sua amante Tosca incrociano un patriota fuggito dalle carceri papali: Cesare Angelotti. Il capo della polizia pontificia (barone Scampia) è sulle sue tracce e approfitta della situazione per conquistare Tosca. Il finale una vera tragedia: muoiono il fuggiasco, il cattivo Scampia per mano di Tosca, il pittore e infine anche Tosca suicida. Barbiere di Siviglia – opera in 2 atti – musiche di Gioacchino Rossini – libretto di Cesare Sterbini La prima del Barbiere di Siviglia (il cui titolo era “Almaviva, o sia l’inutile precauzione”) fu al Teatro Argentina di Roma il 20 febbraio 1816 e ottenne decisamente più fischi che applausi – ma forse si trattò di un sabotaggio da parte di un teatro concorrente o dai seguaci di Paisiello che aveva dato una sua interpretazione dell’opera nel 1782. Le repliche successive furono invece un vero successo, e la versione di Rossini è una delle più rappresentate al mondo. Il conte d’Almaviva ricco e potente s’innamora di una giovane orfana sivigliana, Rosina, della quale è innamorato anche il suo tutore Bartolo. Rosina è segregata in casa, e le viene proibito qualsiasi contatto con l’esterno. Ma il conte d’Almaviva si reca a Siviglia in incognito con il nome di Lindoro. Figaro, barbiere di Siviglia, lo riconosce e decide di aiutarlo nella comunicazione con l’amata tramite biglietti d’amore. Bartolo, gelosissimo, decide di anticipare le sue nozze con Rosina e calunnia l’avversario per screditarlo, ma Figaro interviene in modo che Bartolo non l’abbia vinta.
Roméo et Juliette – opera in 5 atti – musica di Charles Gounod – libretto di Jules Barbier e Michel Carré L’opera è tratta dalla tragedia magistralmente scritta da Shakespeare ed è l’unica opera di questo compositore che ha avuto immediato successo sia di critica che di pubblico nel 1865. L’anno dopo viene aggiunto un secondo quadro al quarto atto che non esiste nell’opera shakespeariana: il matrimonio tra Paride e Giulietta. In questo modo Gounod è riuscito a creare il giusto mélange tra il rispetto del dramma originario e le esigenze strutturali del melodramma. Due famiglie in perenne lotta tra loro a Verona: Montecchi e Capuleti. Durante una festa in maschera a palaz-
zo Capuleti un gruppo di giovani tra cui Romeo Montecchi e il suo migliore amico Mercuzio si introducono di nascosto. Romeo e Giulietta, entrambi mascherati, si vedono e inconsapevoli uno dell’altro, si innamorano perdutamente. Tebaldo (cugino di Giulietta) smaschera Romeo, e Mercuzio trascina l’innamorato fuori dalle mura del palazzo. Ma Romeo non demorde, e di notte si introduce furtivamente nel giardino nella speranza di rivedere la sua Giulietta che appare sul balcone; i due giovani si giurano amore eterno. Frà Lorenzo accetta di celebrare le nozze segrete tra i due, anche nella speranza che questo amore puro possa spegnere l’annosa faida familiare. Giulietta
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torna a casa dando appuntamento a suo marito per la sera stessa. Purtroppo nel frattempo c’è una rissa che vede coinvolti Tebaldo e Mercuzio. Romeo si mette in mezzo nel tentativo di calmarli, ma Tebaldo uccide Mercuzio, e Romeo di conseguenza uccide Tebaldo. Romeo viene quindi condannato all’esilio, ma riesce a passare la sua prima notte di nozze in compagnia della sua dolce amata, lasciandola al mattino per trasferirsi a Mantova. Giulietta si rivolge nuovamente a Frà Lorenzo per sfuggire alle sue imminenti nozze con Paride organizzate dal padre; egli le consegna una fiala di narcotico che le provocherà una morte apparente. Frà Lorenzo si incarica di informare Romeo di questo piano, ma il suo messaggio non arriverà mai a destinazione, a differenza della notizia “ufficiale” della morte di Giulietta. Romeo, folle di dolore, torna a Verona e trova la bellissima Giulietta apparentemente morta nella cripta di famiglia, beve del veleno poco prima che lei si risvegli. Una brevissima gioia nel ritrovarsi, presso stroncata dalla morte di
Romeo. Giulietta a quel punto si pugnala per essere sempre unita al suo amato. Carmina Burana di Carl Orff – unica data 25 agosto – direttore Andrea Battistoni Cantata scenica su scritti poetici ritrovati in un manoscritto del XIII secolo che celebra la vita semplice e contadina, scandita dai ritmi della natura. Il musicista tedesco Carl Orff ne musicò 24 brani, per la maggior parte con testo latino (tranne uno in alto tedesco medio e uno in provenzale). L’esordio avvenne a Francoforte e poi in varie città tedesche, malgrado gli ostacoli posti dal regime nazista a causa del tono erotico di alcuni canti. Forse anche per questa ragione Carmina Burana è diventata l’opera musicale più conosciuta tra quelle composte durante il periodo nazista.
CURIOSITÀ MAGGIO
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Curiosità MAGGIO
di Sylvie Capelli sylvieannacapelli@gmail.com
Empire State Building La cerimonia d’inaugurazione dell’Empire State Building si tenne il 1° maggio 1931 e culminò con un pranzo all’ottantacinquesimo piano noto come “il pranzo più alto del mondo”. Si tratta di un edificio newyorkese in stile art déco, passato alla storia per diversi primati: il grattacielo più alto del mondo (fino al 1967), quello costruito più velocemente, il primo a superare 100 piani. Divenuto simbolo della città e ogni anno meta di oltre 3.000.000 di visitatori che si recano all’osservatorio al centoduesimo piano e alla terrazza panoramica dell’ottantaseiesimo. La sua cima illuminata scandisce i maggiori eventi cittadini e mondiali (ad esempio rosso il 14 febbraio per San Valentino; verde il 17 marzo per San Patrizio; rosso, bianco e azzurro il 4 luglio per l’Independence Day; blu, bianco e rosso il 14 luglio per la presa della Bastiglia; rosso e verde durante le festività natalizie).
CURIOSITÀ MAGGIO
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Euro La moneta unica europea nasce ufficialmente il 2 maggio 1998. Il debutto sui mercati finanziari risale invece al 1999, mentre la circolazione monetaria iniziò effettivamente il 1° gennaio 2002 in 12 Paesi dell’Unione, oggi saliti a 18. 8 monete di diverso valore: 1, 2 e 5 centesimi in acciaio ricoperto di rame; 10, 20 e 50 centesimi in oro nordico (una lega di rame, zinco, alluminio e stagno il cui colore ricorda l’oro), 1 e 2 euro bimetalliche di colore argento e oro. Un lato della moneta è comune a tutti i Paesi, mentre l’altro viene personalizzato da ogni Stato. Le banconote sono invece identiche in tutti i Paesi che adottano l’Euro e ne esistono 7 tagli: 5, 10, 20, 50, 100, 200 e 500. Ogni taglio si riferisce a un tema architettonico e storico europeo, partendo dal più antico (5 Euro) al più recente (500 Euro). Il retro di tutte le banconote rappresenta dei ponti.
Sacco di Roma: fine del Rinascimento Il 06 maggio 1527 le truppe di soldati mercenari tedeschi noti come “lanzichenecchi” devastarono Roma con brutalità e violenza inaudite. Occuparono la città ormai in declino e umiliarono la Chiesa Cattolica che in quel periodo cercava di contrastare anche il movimento della riforma luterana. Partendo dal Borgo Vecchio e dall’Ospedale di Santo Spirito, furono profanate tutte le chiese, rubati i tesori e distrutti gli arredi sacri; devastati i palazzi nobiliari. Per le strade bande di soldati ubriachi, donne stuprate e cadaveri in putrefazione; parte dovuti a morti violente, parte alle malattie. Vari studiosi indicano il sacco di Roma quale data simbolica per la fine del Rinascimento con i suoi canoni raffinati e simbolistici, e l’inizio dell’arte della controriforma decisamente più didascalica. Nel ricordare questo evento storico, la mente va a saccheggi più recenti a dimostrazione che l’ignoranza umana non cambia nei secoli: le cannonate sulle statue di Buddha in Afghanistan nel marzo del 2001 e la distruzione delle statue di Hatra in Iraq, proprio all’inizio di questa primavera.
Proverbi Italiani Acqua di maggio è come la parola di un saggio Il giorno di San Cataldo sparisce il freddo e arriva il caldo Per Santa Rita ogni rosa è fiorita A maggio vai adagio
- PAC-MAN
GAMES
Dalla sala giochi al web
BUON COMPLEANNO PAC-MAN! di Nicola Guarneri guitartop@libero.it
Il 22 maggio del 1980 Tohru Iwatani si stava probabilmente vantando con gli amici del suo ultimo prodotto. Aveva inventato un gioco tanto semplice quanto divertente: questa pallina gialla, che a movimenti alterni apriva e chiudeva la bocca, doveva riuscire a mangiare tutte le pillole presenti in una stanza senza cadere preda di quattro piccoli fantasmi che lo inseguivano. Quel 22 maggio di trentacinque anni fa Pac-Man (in giapponese Puckman) debuttava nelle sale giochi di tutto il mondo. Il successo fu enorme, tanto che la piccola sfera gialla conquistò i videogiocatori: in poco tempo uscirono versioni per ogni console e piattaforma, per la gioia di Iwatani e della Midway Games.
La pillola blu.
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Le regole del gioco sono piuttosto semplici: oltre a finire tutte le pillole, Pac-Man può accumulare punti bonus mangiando determinati frutti e mangiando i fantasmini, non prima di essersi cibato di una pillola speciale (ce ne sono quattro per ogni livello). Nel corso del tempo il gioco originale, che resta il migliore, ha visto nascere diverse varianti, come quella in cui il videogiocatore interpreta i fantasmini che devono riuscire a mangiare Pac-Man.
Record e bug. Vi ri-
cordate il tetris (ne abbiamo parlato qui)? Secondo uno studio matematico era impossibile rimanere imbattuti e vincere una partita. Forse anche per Pac-Man l’obiettivo era quello di mantenere l’imbattibilità dei fantasmini ma il gioco si interrompe al livello 256 a causa di un bug: nei livelli seguenti compare della frutta in fondo alla pagina, dove solitamente è segnato il livello raggiunto. Nonostante alcune disamine, questo è considerato l’ultimo livello del gioco. Il punteggio massimo raggiungibile è quindi pari a 3.333.360 punti, sempre che si riescano a mangiare tutte le pillole, tutti i frutti e tutti i fantasmini ad ogni livello. Il primo a riuscirci è stato Billy Mitchell nel 1999 mentre il 4 gennaio del 2012 David Race, già detentore del record, si è migliorato, ottenendo il “perfect Internet. Ancora oggi score” in 3 ore, 33 minuti e 12,69 secondi Pac-Man è un piacevole passatempo per (se avete qualche ora da buttare, trovate chi possa accedere a un qualsiasi pc, smartphone o tablet. Sul web ci sono dequi il video completo). cine e decine di versioni gratuite a cui è possibile giocare in flash, mentre su App store e Google play il gioco è disponibile a pagamento. Il primo aprile scorso PacMan è stato protagonista di uno scherzo organizzato dai produttori di Google: andando su Google Maps, al momento di ricercare un itinerario, era possibile vagare per le strade della mappa inseguito dai fantasmini.
- L’IMMAGINAZIONE
SPAZIO POSITIVO
L’immaginazione creativa per realizzare ciò che desideriamo Laura Gipponi info@lauragipponi.com
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Gentili lettori, buongiorno. Nel mese di aprile vi ho parlato di immaginazione come antidepressivo. Questo mese desidero parlarvi di immaginazione creativa, altresì chiamata visualizzazione creativa. Che cos’è? L’immaginazione creativa è un processo mentale che chiunque può attivare. Chi più chi meno, tutti usiamo l’immaginazione in modo semplice e automatico: prima di recarci in un luogo o incontrare una persona, proiettiamo nella mente un filmino di come immaginiamo potrà essere quel luogo, quella cosa o quella persona che ancora non conosciamo. Se si tratta invece di qualcosa a noi già noto, sempre con l’immaginazione lo visualizziamo così come ce lo ricordiamo. Fin qui, nulla di nuovo. Quando l’immaginazione diventa creativa? Quando desideriamo intensamente qualcosa e, a furia di visualizzarla nella nostra mente, questa si concretizza. Spesso questo processo avviene in modo del tutto automatico, senza che sia provocato volutamente. Ma, nel momento in cui prendiamo consapevolezza del suo funzionamento, ecco che iniziamo a conoscere il suo grande potere. Certo la realizzazione di ciò che immaginiamo non è immediata ma, continuando a ripetere il
processo fiduciosi che il nostro obiettivo o desiderio si realizzerà, questo prenderà forma. È però indispensabile avere una grande e incrollabile fiducia che ciò che visualizziamo si concretizzerà, e provare dentro di noi un senso di gratitudine e di gioia anticipate, proprio come se il nostro desiderio si fosse già realizzato. È molto importante continuare costantemente e più volte al giorno a visualizzare credendoci fermamente, prestando attenzione anche ai particolari, a ciò che sta intorno a ciò che desideriamo, fino a che il nostro obiettivo sarà soddisfatto. Tutto ciò funziona in nome della legge dell’attrazione: noi attiriamo ciò che pensiamo e, più siamo precisi più tutto ci sembra reale; e più la legge funziona. È quindi essenziale eliminare tutti i nostri pensieri negativi e limitanti affinché ci sia spazio solo per ciò che vogliamo davvero, e non vi siano interferenze e ostacoli alla sua realizzazione. Vi consiglio di provare inizialmente dalle cose più piccole. Provate ad attrarre le piccole cose, e man mano vi renderete conto che l’immaginazione creativa funziona. A questo punto potrete passare alle cose più grandi.
RICETTA SALATA CON VINO ABBINATO
Insalata di pollo
di Sylvie Capelli - sylvieannacapelli@gmail.com
INGREDIENTI: un pollo, maionese (2 tuorli, 200 gr olio di semi, 2 cucchiai aceto bianco o succo di limone, 2 pizzichi di sale, 1 pizzico di pepe), insalata riccia, sale, pepe nero, maggiorana, timo, alloro, salvia, rosmarino
Preparazione: Prendere il pollo eviscerato e senza zampe e testa 76
e praticare un taglio sul davanti per aprirlo a libro. Mettere all’interno abbondante sale, pepe nero, maggiorana, timo, alloro, salvia e rosmarino. Infornare a 180°C per circa 1 ora e 20 minuti, girandolo un paio di volte. Sfornare e lasciare raffreddare. Preparare una maionese con i tuorli a temperatura ambiente, sale e pepe, unendo l’olio a filo mescolando con una frusta sempre nello stesso senso. Una volta addensata, aggiungere aceto (o limone) sempre a filo e continuare ad amalgamare. Aggiustare di sale e pepe. Disossare il pollo e tagliarlo in piccoli pezzi. Aggiungere l’insalata e la maionese e lasciare riposare in frigorifero per un’ora prima di servire.
Collio Malvasia 2013 Dario Raccaro
di Carlo Cecotti - carlocecotti@yahoo.it
Bianco Doc – Malvasia Istriana 100%
Dario Raccaro conduce questa piccola azienda familiare, tesa alla produzione di vini di altissima qualità , nel cuore del Collio Friulano. I sei ettari di vigneto, seguito con cura maniacale, e la grande attenzione in fase di vinificazione permettono di esaltare al massimo le caratteristiche del territorio. Malvasia dai tipici accenni varietali e dal sottile fascino aromatico, mette in evidenza un naso giocato su note di mandorla fresca, cedro e pesca bianca con un leggero sentore di pietra focaia. Al palato è morbido ma anche agile e piacevolmente salino, dal caratteristico finale lievemente amarognolo.
RICETTA DOLCE CON VINO ABBINATO
Clafoutis alle ciliegie
di Sylvie Capelli - sylvieannacapelli@gmail.com
INGREDIENTI: 500 gr ciliegie, 100 gr farina, 3 uova, 100 gr zucchero, 30 gr burro, 25 cl latte, un pizzico di sale.
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Preparazione: Lavare e denocciolare le ciliegie, imburrare una teglia di grandezza media e disporre le ciliegie sul fondo. Preriscaldare il forno a 200째C. Far fondere il burro a fuoco lento. Battere le uova con lo zucchero e un pizzico di sale fino a farle imbianchire. Aggiungere la farina setacciata e, una volta amalgamata, il burro fuso e il latte fino a ottenere una miscela liscia e fluida. Versare il composto sulle ciliegie e cuocere in forno per circa 40 minuti. Servire tiepido, eventualmente cosparso di zucchero a velo.
Aleatico dell’Elba
Silosò 2013 - Arrighi
di Carlo Cecotti - carlocecotti@yahoo.it
Rosso docg dolce Aleatico 100% La famiglia Arrighi è una realtà produttiva molto dinamica che, sulle colline alle spalle della baia di Porto Azzurro, si dedica alla coltivazione di uve autoctone con un’attenzione particolare alla lavorazione dell’Aleatico. Concentrato alla vista, è rosso rubino impenetrabile. Ampio il ventaglio olfattivo, emana sensazioni di ciliegie sottospirito, more di rovo, fragoline di bosco, mirtillo, confettura di prugne, acqua di rose e ciclamino di montagna. Trama dolce ma di buon equilibrio. È succoso, quasi croccante, dotato di lunga persistenza e piacevolmente rinfrescante.
Giovanni Bellusci, Val Taleggio
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Chiara Alquati, New York
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