C PI
ANNO 3 NUMERO 28
O A G R U AT
A IT
LIBRI
Intervista esclusiva a Stefano Viaro Targa
STORIA
MUSICA
Bataclan, la voce sopra gli spari
Napoleone, evoluzione di un modello o tradimento degli ideali rivoluzionari?
Sulle orme di
Babbo Natale
GREEN
VIAGGI 4 Finlandia, il paese di Babbo Natale NATURA 12 Il parco Nazionale di Oulanka ANIMALI L'ermellino
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RED TELEFILM Fargo
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LIBRI Coma profondo
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MISTERO La saga dei "Foo Fighters"
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STORIA L'impero Napoleonico
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MUSICA Bataclan
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BLUE SPORT 44 10 momenti di sport nel 2015 SPORT MINORI Wife Carrying
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SPORT CERTIFICATI Le paure del piattello
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YELLOW SOCIOLOGIA 56 Social Network e coppie in crisi ARTE Alvar Aalto
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CASA & DESIGN 62 Design e architettura lappone CURIOSITA’ Dicembre
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DIRETTORE RESPONSABILE Pasquale Ragone DIRETTORE EDITORIALE Laura Maria Gipponi GRAFICA E IMPAGINAZIONE Giulia Dester
PINK GAMES Uncharted 4
ANNO 3 N. 28 Rivista on-line gratuita
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SPAZIO POSITIVO 72 Un modo diverso di sentire il Natale
HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO Laura Gipponi, Diana Ghisolfi, Nicola Guarneri, Gaia Badioni, Susanna Tuzza, Raffaele d’Isa, Sylvie Capelli, Gianluca Corbani, Gianmarco Soldi, Luca Romeo, Roberto Carnevali, Carlo Cecotti, Sirigh Sakmussen, Nia Guaita. DIREZIONE/REDAZIONE/PUBBLICITA’ AURAOFFICE EDIZIONI S.R.L. a socio unico Via Diaz, 37 / 26013 Crema (CR) Tel 0373 80522 / Fax 0373 254399 www.auraofficeedizioni.com
RICETTA SALATA VINO ABBINATO
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RICETTA DOLCE VINO ABBINATO
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Testi e foto non possono essere riprodotti senza autorizzazione scritta dall’Editore. Le opinioni espresse negli articoli appartengono ai singoli autori dei quali si intende rispettare la piena libertà di espressione.
FOTO DEL LETTORE
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LETTERA DELL'EDITORE
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Registrato al ROC n°: 23491 Iscrizione al tribunale N: 1411V.G. dal 29 ottobre 2013
VIAGGI - FINLANDIA
FINLANDIA
IL PAESE DI BABBO NATALE
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di Sylvie Capelli sylvieannacapelli@gmail.com
La Finlandia è un Paese europeo appartenente alla penisola scandinava, che confina con Svezia, Norvegia, Russia e il Mar Baltico. Uno dei soprannomi della Finlandia è la “terra dei laghi”: ce ne sono ben 187.888, e coprono circa il 10% del territorio. Anche il numero di isole è impressionante: 179.584, divise tra quelle sparse nel Mar Baltico (81.534) e nei laghi (98.050). La costa occidentale si affaccia sul Golfo di Botnia, qui si trovano l’antica capitale Turku dove si può osservare un castello medievale, Vaasa, dove ancora oggi vive una minoranza svedese e da dove si parte per l’arcipelago Kvarken (patrimonio dell’umanità dell’UNESCO). A Jyväskylä è possibile osservare diversi edifici progettati dal noto architetto Alvar Aalto; da Kemi partono delle crociere in rompighiaccio (è
anche possibile tuffarsi tra i ghiacci con una speciale tuta termica), inoltre qui si trova il famoso hotel di ghiaccio, oltre al più grande castello di neve al mondo. La Finlandia orientale, ai confini con la Russia è caratterizzata dalla presenza di innumerevoli laghi visitabili in canoa durante l’estate e sugli sci o in slitta (a motore o trainata dai cani o dalle renne) durante l’inverno. Importanti i centri di Mikkeli, Savonlinna, Kuopio e Tampere (centro industriale del Paese, famosa anche per un curioso museo dedicato allo spionaggio). La Finlandia settentrionale è sostanzialmente deserta, ad eccezione del popolo Sami e… del villaggio di Babbo Natale di Rovaniemi dove vengono recapitate tutte le letterine spedite dai bambini di tutto il mondo. La montagna Korvatunturi è — secondo le credenze popolari — la casa di Babbo Natale, dove il simpatico personaggio costruisce addobbi e giochi da distribuire ai bambini
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di tutto il mondo, con l’aiuto di elfi e folletti e con le insostituibili renne che trainano la slitta magica nella notte di Natale. A causa del clima, la parte più sviluppata del Paese è quella meridionale che si affaccia sul golfo di Finlandia, dove si trovano la capitale Helsinki — conosciuta come “figlia del Baltico” — e il porto turistico Hanko. Ekenäs è un centro balneare… frequentato principalmente da locali. La Lapponia è la regione abitata dalla popolazione Sami, ed è a scavalco tra Norvegia, Svezia, Finlandia e Russia. I Sami hanno una propria storia, lingua, modo di vivere, cultura e identità; e sono molto attenti nel preservarli e tramandarli alle nuove generazioni, indipendentemente dalla globalizzazione che avanza anche a quelle latitudini. Nei documenti ufficiali antichi furono chiamati “lapponi”, che in Finlandia significava chi praticasse le “professioni lapponi”, quali l’allevamento di renne, caccia e pesca. Le renne sono sempre state una grande risorsa per la popolazione Sami: venivano quindi allevate innanzi tutto per la carne, ma anche
per la pelle; che veniva utilizzata per confezionare abiti e dimore, per le ossa e le corna che servivano a costruire utensili e qualche elemento decorativo. Vivendo in un ambiente particolarmente inospitale per l’assenza quasi totale di luce solare per circa due mesi ogni inverno e le temperature rigidissime, la popolazione era nomade fino agli anni ’50, trascorrendo l’inverno in pianura e trasferendosi nei mesi più caldi nei pascoli montani. Il mezzo di trasporto era la slitta trainata dalle renne e gli sci (ne sono
stati trovati alcuni esemplari datati 1500 a.C.). L’abitazione Sami era la kota: capanna conica smontabile e trasportabile. Oggi i Sami vivono in piccoli paesi, i più importanti dei quali sono Kautokeino e Karasjok in Norvegia; ma ce ne sono diversi in Svezia, Russia e Finlandia. Attualmente esistono ancora delle kota: vengono utilizzate per accogliere i turisti e organizzare delle serate a tema, con il divertente “battesimo lappone”. Il clima è molto secco, sia in estate che in inverno, e questo rende le temperature invernali più sopportabili per la popolazione. Tra giugno e luglio le temperature medie vanno da 15°C a 30°C e assistiamo al fenomeno del “sole di mezzanotte”: in pratica il sole rimane costantemente sopra l’orizzonte per qualche settimana; per questa ragione è importante che le abitazioni siano munite di “scuri” che creino il buio almeno in camera da letto. In dicembre e gennaio le temperature medie vanno da -3°C a -15°C (ma con punte anche di -30°C), sono i mesi della “notte kaamos”, in cui il sole non sorge, ma rimane basso sull’orizzonte mandando solo luce riflessa. La neve è presente nella parte meridionale
del Paese tra dicembre e marzo, mentre a nord inizia a fine ottobre e resiste fino a maggio. Il periodo ideale per gli sport invernali è tra febbraio e aprile. L’aurora boreale è un fenomeno imprevedibile, generato dai venti solari, che si può avvistare nelle notti limpide invernali nella Finlandia settentrionale. Gli abitanti sono davvero pochi (è uno dei Paesi meno popolati d’Europa con circa 17 abitanti per kmq) e, sia che abitino in città o in piccoli paesi, sono molto legati alla natura della loro terra. Nei mesi estivi si “trasferiscono” quindi in cottage, dove il tempo passa tra pesca, barbecue, gite
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a cavallo, golf, birdwatching, nuoto e canoa nei numerosissimi laghetti disponibili. Anche durante l’inverno le attività all’aperto sono numerosissime: sci di fondo, pattinaggio sul ghiaccio, hockey su ghiaccio, escursioni in motoslitta, ma anche in slitte trainate da renne o da cani, passeggiate con le ciaspole (racchette da neve), slittino e, per i più temerari, nuoto nelle acque ghiacciate. Lo sport nazionale è il Pesapallo, simile al baseball, la cui differenza maggiore sta nel fatto che il lanciatore si trova nella casa base insieme al battitore e lancia la palla verso l’alto: da un lato è più facile colpire la palla in questo modo, per contro la presa è molto più complicata. La sauna finlandese merita una
menzione particolare: si tratta di una stanza dove un mucchio di pietre viene riscaldato per portare la temperatura dell’ambiente a 70°C/120°C. Si entra nella sauna rigorosamente nudi (eventualmente è possibile avvolgersi con un telo da bagno, ma dopo poco tempo si sente la necessità di liberarsene), si bagnano i sassi caldi con acqua aumentando così il tasso di umidità. Dopo qualche minuto è possibile rinfrescarsi all’esterno sedendosi in veranda o tuffandosi nel lago o rotolandosi nella neve! La cultura finlandese nasce, come identità distinta dai vicini Svezia e Russia, nel XIX secolo al grido “Non siamo svedesi e non vogliamo diventare russi, così cerchiamo di essere finlandesi”.
Il carattere degli abitanti della Finlandia viene spesso definito “sisu”: ammirevole perseveranza e ostinazione testarda davanti alle avversità della vita. Il poema epico nazionale è il Kalevala (una raccolta di vecchie storie careliane e poesie risalenti al 1835, dove vengono raccontate la creazione del mondo e le avventure dell’eroe sciamanico con poteri magici Väinämöinen), grande ispirazione per gli artisti finlandesi moderni. Piena libertà di culto, ma in generale siamo di fronte a un popolo laico. La religione di stato è il Luteranesimo che ha lasciato tracce importanti nella vita quotidiana, sia in positivo (i diritti delle donne e la corruzione inesistente), che in negativo (alti tassi di depressione, suicidio e conformismo).
Tre lingue ufficiali: finnico, svedese e sami. Molti finlandesi parlano inglese e tedesco. Relativamente all’arte, conosciamo il compositore classico Jean Sibelius, celebrato in tutto il mondo. Mentre la musica pop difficilmente riesce a uscire dai confini del Paese, alcune band Heavy Metal si sono fatte conoscere: Nightwish, Childred on Bodom, HIM e Lordi. Per quanto riguarda la letteratura, Mika Waltari è noto per il suo “L’egiziano”, e Väinö Linna per “Il milite ignoto”, mentre sono ormai arrivati anche in Italia gli splendidi romanzi di Arto Paasilinna, tra cui “L’anno della lepre”. Di origine finlandese il celebre architetto e designer Alvar Aalto. La base della cucina finlandese sono le
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patate e il pane di segale, oltre a piatti a base di pesce (soprattutto trote, aringhe e salmoni) e carne (di alce o renna), oltre ai funghi e ai frutti di bosco. Un pasto tipico comprende ad esempio, salmone caldo affumicato, patate lesse, salsa con funghi, cetrioli marinati con aneto. L’acqua del rubinetto è ottima! Speciale menzione meritano i succhi di bacche e il pommac (soda di frutti misti), ma i finlandesi spesso bevono latte anche durante i pasti. L’alcool è particolarmente costoso: una scelta del governo finlandese per ridurne il consumo, spesso eccessivo.
La bevanda nazionale è il Kossu (o Koskenkorva) e la Finlandia Vodka. La gradazione del Kossu è 38%, mentre quella della Vodka 40%. Il sapore è leggermente diverso in quanto nel Kossu viene aggiunta una piccola quantità di zucchero. Molto diffuso il Salmari: un distillato miscelato con liquerizia nera salata; e il likööri a base di frutti di bosco. La birra locale è in genere chiara e leggera. Inizia anche la diffusione di un sedicente sidro, che però è in genere un intruglio dolce a base di aromi artificiali. In inverno è inoltre piacevole gustare il glögi: vino speziato caldo servito con mandorle e uva passa.
Aneddoto
Aurora Boreale
di Sylvie Capelli – sylvieannacapelli@gmail.com
Sono in Finlandia, per la precisione in Lapponia nei pressi di Rovaniemi, per un convegno sul turismo dedicato ad agenti di viaggio provenienti da tutta Europa per scoprire che cosa possa offrire questo Paese dal clima così difficile. La giornata scorre veloce tra un appuntamento e l’altro, e mi rendo conto di quanto ampia possa essere la proposta di viaggio per i miei futuri clienti: sia in estate che in inverno ci sono molteplici attività organizzate all’aperto! Siamo nel mese di febbraio, e quindi le ore di “luce” naturale sono davvero poche: il sole si mostra timidamente all’orizzonte verso le 10 del mattino e scompare verso le 2 del pomeriggio. Prima dell’alba c’è un fenomeno particolare: tutto si tinge di blu. La neve, la pelle, le case, laghi e alberi sono tutti pervasi da una strana luminosità; e il colore blu è imperante. Al termine della giornata lavorativa, si fa una tappa presso una kota lappone (abitazione tradizionale della popolazione Sami, una volta nomade), dove ci si accomoda tra pelli di renna attorno a un fuoco che serve a cucinare dell’ottimo salmone e delle ottime crêpes con marmellata di frutti rossi. Fuori inizia a calare il freddo, ma non ci lasciamo scoraggiare e passiamo il tempo imparando a guidare una slitta trainata da renne e muovendoci ritmicamente intorno a un falò acceso per l’occasione, con in mano dei bicchieri di vino. Il freddo aumenta… da -15°C arriva fino a -30°C! Fortuna che siamo tutti equipaggiati con delle tute termiche e che l’aria è molto secca… ma… fa davvero freddo!!! Improvvisamente un lampo di luce compare nel cielo, seguito da un altro subito dopo. Poi altri raggi verdi sembrano danzare magicamente sulle nostre teste. Fuochi d’artificio? No! Siamo stati davvero fortunati: grazie alla temperatura e a un cielo terso, abbiamo assistito al grandioso spettacolo dell’aurora boreale!
NATURA - IL PARCO NAZIONALE DI OULANKA
IL PARCO NAZIONALE DI OULANKA di Diana Ghisolfi dianaghiso@gmail.com
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Il parco nazionale di Oulanka racchiude tutta la natura tipica della Lapponia. Un territorio dominato da tundra e taiga, caratterizzato da zone umide, ampie radure, fiumi impetuosi, rapide e cascate importanti e una vasta varietà di flora e fauna. Una foresta boreale d’eccellenza che si sviluppa vicino al circolo polare artico. Il parco offre spettacoli naturali incomparabili: l’aurora boreale durante l’inverno, il sole di mezzanotte in estate e la ruska (l’esplosione dei colori autunnali che assume la vegetazione) in autunno. L’unicità di questo particolare ecosistema fu notata già alla fine dell’Ottocento da diversi scienziati, ma le guerre e la questione sulle rapide circa la produzione di energia elettrica ritardarono l’istituzione di un’area protetta. Finalmente nel 1956 venne inaugurato il parco nazionale, ampliato successivamente nel 1982 e ancora nel 1989.
IL SENTIERO DELL’ORSO
Protagonista del parco e meta escursionistica imperdibile è il sentiero dell’orso (Karhunkierros). Il sentiero è lungo 80 km; ma c’è anche un percorso più breve di soli 12 km, il piccolo sentiero dell’orso, maggiormente battuto dai turisti. Un’esperienza incredibile è partecipare alle traversate organizzate dalle guide: armati SUPERFICIE di racchette da neve, ci si immerge nel 270 km2 di paesaggi mozzafiato. cuore del bosco invernale incontaminato passando per gole, radure, torrenti e laghi DOVE SI TROVA respirando appieno l’atmosfera del tipico Il parco si trova nella parte settentrionale paesaggio lappone. della Finlandia, nei comuni di Kuusamo Il sentiero è il rifugio di orsi, lupi, linci, (città della regione Ostrobotnia renne e alci. settentrionale) e di Salla (nella regione della Lapponia). FLORA Le altezze delle colline vanno dai 150 ai 380 metri sopra il livello del mare. La differenza di temperatura tra le varie altezze rende l’ambiente ideale per lo sviluppo di una vasta gamma di specie, alcune molto rare. La pianta simbolo del parco è la Calypso bulbosa, ma altrettanto famose sono: la Cypripedium reginae (una specie di orchidea) e la Pohjanailakki. Tipici sono anche gli abeti, le betulle e i pini silvestri. Le foreste sono inoltre ricche di piante erbacee.
NATURA - IL PARCO NAZIONALE DI OULANKA
La vegetazione è stata colpita da diversi incendi in passato e alcuni tronchi d’albero ne portano ancora i segni; purtroppo si verificano anche attualmente incendi boschivi che danneggiano il parco.
FIUMI
Il fiume Oulankajoki è il cuore del parco. Lungo 135 km, il fiume nasce dalle paludi di Salla, e il suo corso inizia realmente dal lago Aittajärvi. L’altro importante fiume è il Kitkajoki, affluente del primo. Il fiume Oulankajoki si insinua nell’Oulanka River Valley, una valle dalle gole profonde e aspre formatasi durante l’ultima era glaciale.
FAUNA
I prati ospitano moltissime specie di farfalle e un centinaio di specie di uccelli come il merlo acquaiolo, l’aquila reale, il luì grosso, la peppola e la ballerina gialla. Molto diffusi sono gli orsi, le linci, gli alci, le renne, i lupi e i ghiottoni.
ATTIVITÁ
All’interno del parco si possono intraprendere svariate attività, la più popolare è l’escursione. Ci sono diversi sentieri da scegliere,
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i percorsi variano dai 5 ai 26 km di lunghezza; sicuramente più impegnativi quelli invernali che vengono esplorati con sci, racchette da neve o motoslitte. Si possono fare escursioni anche in bicicletta. Gli amanti dell’acqua possono invece decidere di navigare il fiume Oulankajoki con la canoa. I tragitti sono adatti sia per gli esperti (i quali sceglieranno la parte superiore del fiume con rapide fragorose) sia per i principianti, là dove l’acqua è più calma. Inoltre vengono offerti servizi di trasporto con canoe e kayak. Il birdwatching è un’altra attività molto praticata nel parco. I periodi migliori per osservare la vita degli uccelli sono la primavera e l’inizio dell’estate. In alcuni laghi e stagni è permesso pescare. Durante le passeggiate è consentito raccogliere i funghi e i frutti di bosco. I centri visitatori organizzano visite guidate per gruppi, e propongono un campo di lavoro di volontariato per coloro che sono interessati a fare esperienza nel parco. E con tutti gli spettacoli rari che la natura offre, la fotografia è l’attività più praticata.
RICONOSCIMENTI
Il parco ha ottenuto nel 2002 la certificazione Pan Parks (progetto del WWF che promuove la salvaguardia di aree selvagge) grazie alla conservazione della natura, mantenuta nonostante l’aumento esponenziale del turismo.
ANIMALI - L'ERMELLINO
L'ERMELLINO
Piccolo e vivace carnivoro minacciato dall’uomo
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di Diana Ghisolfi dianaghiso@gmail.com
CHI È
L’ermellino, nome scientifico Mustela erminea, è un mammifero carnivoro di piccole dimensioni appartenente alla famiglia dei Mustelidi.
COME È FATTO
al variare delle stagioni: in estate il pelo assume una tonalità bruna, nella parte superiore, e bianca con sfumature gialle in quella inferiore; ma in inverno la pelliccia diventa completamente bianca, tranne la punta della coda che resta nera. Inoltre nel periodo invernale la pelliccia si ispessisce: in un centimetro quadrato ci sono all’incirca 20.000 peli. L’adattamento del manto alle stagioni consente un mimetismo efficace per ingannare i predatori, e una soluzione per affrontare le diverse temperature. Molto agile negli spostamenti, l’ermellino si muove con grande velocità sulle rocce, sugli alberi, sulla neve e anche in acqua.
Le dimensioni dell’animale cambiano in base al sesso: il maschio è notevolmente più grosso rispetto alla femmina. La lunghezza del corpo varia dai 15 ai 30 cm, mentre la coda può avere misure che vanno dagli 8 ai 15 cm. Il corpo è lungo e snello, le zampe sono corte e il muso è minuto e affusolato con orecchie arrotondate. Il peso minimo di un ermellino è 125 g, ma un esemplare maschio raggiunge anche i 450 g. DOVE SI TROVA La particolarità dell’ermellino è la Diffuso in Europa, in Asia, nel Nord trasformazione del colore della pelliccia America, e recentemente è stato introdotto
ANIMALI - L'ERMELLINO
in Nuova Zelanda. Vive tra i 1.000 e i 3.000 metri di quota. In Italia è presente solamente sulle Alpi. L’ermellino sceglie rifugi naturali come i sottoboschi ricchi di arbusti, le pietraie, le praterie e le brughiere, i bordi dei laghi e dei ruscelli.
COSA MANGIA
L’ermellino è un animale carnivoro e va a caccia di piccoli roditori come i topi, gli scoiattoli, le lepri e le arvicole delle nevi. Ma alla sua dieta aggiunge anche gli uccelli e le loro uova, i rettili e gli invertebrati.
COME SI RIPRODUCE
L’ermellino è un mammifero e il maschio si accoppia con più femmine. L’attività sessuale può verificarsi in due periodi dell’anno: a febbraio o a giugno. Se la fecondazione avviene in primavera, la gestazione dura due mesi. Ma, se l’accoppiamento si
realizza in estate, la gestazione dura circa 10 mesi poiché la crescita si interrompe nei mesi invernali. La femmina partorisce solitamente 5 piccoli in luoghi ben riparati e nascosti. I cuccioli sono ciechi alla nascita e aprono gli occhi dopo 6 settimane; vengono allattati per 7 settimane e acquisiscono autonomia completa dal terzo mese.
CURIOSITÁ ABITUDINI
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E
- Ha abitudini notturne, ma resta attivo anche di giorno. - Se minacciato emette un odore forte e sgradevole dalle ghiandole anali. - La durata della vita è di circa 10 anni. - Ha un carattere vivace e talvolta aggressivo. - La caccia avviene sugli alberi, a terra o sottoterra.
Riesce a catturare prede di dimensioni superiori alla sua taglia. Il territorio di caccia del maschio occupa un’area 3 volte superiore a quella riservata alla femmina. Per procacciarsi il cibo, l’ermellino studia inizialmente l’ambiente e segue le tracce della preda la quale, una volta avvistata, viene sopraffatta da un balzo tempestivo e afferrata per la nuca con un morso. La morte è istantanea e il cadavere della preda viene consumato subito oppure viene trasportato nella tana. I nemici dell’ermellino sono principalmente: la volpe, il gatto e diversi uccelli rapaci. - La pelliccia è considerata dall’uomo molto pregiata e la spietata caccia ha ridotto drasticamente la popolazione di questo splendido animale.
TELEFILM - FARGO
FARGO Siete pronti alla
seconda stagione? “Lo sai che l’occhio umano vede più sfumature di verde che di qualsiasi altro colore? E ti faccio una domanda: perché? Quando avrai trovato risposta alla mia domanda, allora avrai trovato una risposta anche alle tue” (Lorne Malvo – il cattivone –, stagione 1, episodio 4)
22 di Nicola Guarneri guitartop@libero.it
E chi l’ha detto che la gallina vecchia non fa buon brodo? La rete americana via cavo FX sembra aver trovato una gallina vecchia ancora in salute, addirittura in grado di regalare uova d’oro. È il caso della serie televisiva Fargo, la cui seconda stagione – già in onda negli States – debutterà il prossimo 22 dicembre su Sky Atlantic, mentre i due primi episodi sono già stati protagonisti al Festival del Cinema di Roma lo scorso ottobre. Andiamo con ordine: Fargo è in primis un film dei fratelli Coen, uscito nel 1996 e vincitore di due premi Oscar. Narra di una vicenda accaduta nel Minnesota nel 1987, ricca di sangue e violenza, che la produzione ha presentato come “una storia vera”.
Il grande successo del film ha spinto la FX al progetto di una serie televisiva quasi vent’anni dopo la realizzazione del capolavoro cinematografico. I fratelli Coen figurano come produttori esecutivi della serie ed effettivamente la loro mano sul prodotto è evidente. Innanzitutto è bene specificare che Fargo è una serie “antologica”, ovvero pensata per narrare una vicenda diversa ogni stagione (come accade per True Detective). L’inizio della prima stagione riporta i nostalgici del film alle ambientazioni che hanno contribuito al successo: il Minnesota, il freddo e gelido inverno, le strade innevate e i protagonisti, che non sai se ci sono o ci fanno; la scritta “This is a true story”. Gli eventi sono
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ambientati nel 2006 e numerose sono le citazioni dell’incidente di “Sioux Falls” raccontato dal film. Anche gli elementi sono gli stessi: un malvivente che sconvolge una cittadina tranquilla, un malcapitato e imbranato marito che si trova invischiato in un gioco più grande di lui e una poliziotta (incinta come la protagonista del film) che indaga, l’unica in grado di capire qualcosa in mezzo alla stereotipata ignoranza delle forze dell’ordine. I dialoghi sono come al solito tre gradini sopra la media, grazie anche all’atmosfera e alla tensione che solo i fratelli Coen sanno creare. A questo punto è necessaria una domanda: saprà la seconda stagione – che sarà ambientata
nel 1979, quindi ancora prima degli avvenimenti descritti nel film – mantenere le aspettative del film e della prima stagione? Il confronto con True Detective, l’altra serie antologica per antonomasia, viene spontaneo, anche se il rischio flop sembra minore: non c’è stato, come nel caso della serie della HBO, un cambio di regista e i fratelli Coen hanno nuovamente contribuito alla sceneggiatura, con le citazioni dei loro film e il loro umorismo nero. Il successo sembra garantito visto che la serie è già stata rinnovata per una terza stagione, che secondo le ultime indiscrezioni sarà ambientata nel futuro. Chissà se anche quella inizierà con la scritta “Questa è una storia vera”.
LIBRI - COMA PROFONDO
COMA PROFONDO Intervista esclusiva allo scrittore Stefano Viaro Targa di Luca Romeo luca.rom90@yahoo.it
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Racconta di Veneto e di Russia, di Firenze e di Milano, ma soprattutto - al centro delle sue riflessioni - c'è Giovanni, trentenne che ha molto in comune con l'autore del libro, ma che «non sono io, diciamo che ci assomigliamo al 50 o 60%». Parole di Stefano Viaro Targa, padovano di 33 anni che si coccola il suo primo romanzo, Coma profondo, uscito un anno fa per la casa editrice Il Torchio. In un'Italia sempre più Paese di aspiranti scrittori, Viaro Targa è il testimone di una generazione che ce l'ha fatta, che si è messa in gioco e
che stringe tra le mani il risultato di un duro lavoro. In questo caso, di un libro che racconta la storia di un uomo, di una donna e - tra le righe - di un sogno realizzato.
Come si fa a diventare uno scrittore, oggi, in Italia?
«Di certo non ho in tasca la ricetta assoluta per sfondare, ma posso raccontare la mia esperienza e provare a dare qualche consiglio. Io non ho venduto migliaia di copie, ma ho vinto due premi per il mio primo romanzo,
di cui un riconoscimento internazionale. durante le vacanze estive. Lei lo invita Mi basta questo, al momento, per dirmi a raggiungerla in Russia dopo le ferie, per provarle il suo amore, ma lui ha un soddisfatto». incidente in auto e si ritrova in coma».
Dunque, a Lei come è andata?
«Ritengo che la cosa più importante, quando si vuole scrivere un romanzo è concentrarsi sull'invenzione originale. Deve essere qualcosa di bello e inascoltato. Ai giovani aspiranti scrittori mi sento di dire: "Credeteci e non abbiate paura di essere giudicati". E anche di mettere in conto le critiche».
Da dove nasce la Sua storia?
«Il protagonista, Giovanni, si ispira a me e ad alcune mie esperienze di vita. In passato ho avuto alcune storie con ragazze russe e anche il nostro eroe si mette insieme a una giovane di Mosca. Questo è uno dei tanti spunti che mi hanno permesso di costruire la trama del romanzo».
Ecco svelato il titolo.
«Io credo in Dio, ma anche nella reincarnazione. Altrimenti non mi spiegherei bambini che sanno suonare il pianoforte a tre anni. Mia madre pratica yoga dal 1982, grazie a lei ho letto il libro tibetano dei morti, il Bardo Todol e da lì ho preso spunto per il coma di Giovanni, che ha sensazioni ma non riesce a esternarle»
Il tema dell'amore nei romanzi non si è inflazionato negli ultimi tempi?
«Senza dubbio, ma il mio non è un romanzo d'amore. L'amore è presente, ma non è l'unico ingrediente del mio lavoro. Credo che l'apporto fondamentale sia dato dalle emozioni. Chi scrive d'amore in maniera banale non fa nulla di nuovo, mi è capitato di leggere libri, invece, che mi hanno dato Aveva già in testa tutta la storia prima i brividi».
di scriverla?
«Conoscevo l'inizio e la fine e ho iniziato a scrivere questo libro soprattutto per me. Non pensavo che sarebbe diventato un romanzo né, tantomeno, che qualcuno me l'avrebbe pubblicato. Certo, ho avuto anche fortuna, ma ho sacrificato molto tempo e penso ne sia valsa la pena». Da Venezia a Mosca, il lettore fa un viaggio per il mondo leggendo la Sua opera. «Il campo-base è Albarella, un'isola veneziana dove vivo per sei mesi all'anno. Poi ci sono Venezia, Milano, Siena, Firenze e Mosca, città della protagonista femminile Kate. Alcune di queste città le conosco come le mie tasche, per altre ho avuto bisogno di studiare e fare molta ricerca, un lavoro divertente».
Come mai il titolo, Coma profondo?
«Beh, prima di spiegare il titolo dovrei svelare alcuni punti della trama. Giovanni conosce Kate proprio sull'isola di Albarella
Qualche esempio?
«Penso a Bianca come il latte, rossa come il sangue di Alessandro D'Avenia, mi ha fatto piangere. Oppure Ti prendo e ti porto via di Niccolò Ammaniti, uno dei miei romanzi preferiti. Anche Due di due di Andrea De Carlo mi sconvolse quando lo lessi, ma i miei gusti variano di periodo in periodo».
MISTERO - LA SAGA DEI "FOO FIGHTERS"
La saga dei “Foo fighters” dalla protoufologia ai cerchi nei campi di grano Sirigh Sakmussen compagniadelthe@gmail.com
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Durante la Seconda Guerra Mondiale, i piloti Alleati impegnati nelle numerose operazioni di bombardamento del territorio tedesco — o nei duelli aero-navali contro gli aerei giapponesi sul fronte del Pacifico — vissero un’esperienza confermata in troppi rapporti e testimonianze per non ricevere una degna collocazione nella storia della moderna ufologia. Sul fronte europeo le testimonianze dei piloti dei bombardieri diretti a sganciare il loro carico di acciaio sulle città tedesche, insieme a quelle dei piloti dei caccia di scorta, parlano di non meglio precisati globuli luminosi che si accompagnavano alle traiettorie degli aerei in volo o compivano evoluzioni, restando sempre in vista da parte dei piloti. E, in vena di scherzi per esorcizzare il pericolo di una morte sempre imminente, i piloti americani coniarono per questi avvistamenti il nomignolo di “Foo fighters” e cioè “Caccia di fuoco”; dove in realtà la parola “foo” non è tecnicamente inglese, ma costituisce la deformazione del vocabolo francese “feu”, che significa appunto fuoco. L’epiteto, scelto per definire il non meglio precisato fenomeno, alludeva forse a presunte armi segrete tedesche. La maggior parte di queste osservazioni avvenne infatti fra
l’autunno del 1944 e la primavera del 1945, proprio cioè nel periodo in cui nei cieli della Germania nazista facevano la loro apparizione i più disparati velivoli, frutto delle più avanzate ricerche tecnologiche che le migliori menti del Reich fossero in grado di offrire al loro führer. Questi ritrovati tecnologici avevano spesso l’apparenza di macchine avveniristiche e misteriose, come il bimotore a getto da caccia tedesco Messerschmitt Me 262, primo esempio storico di aereo a reazione. In questo clima, la prima spiegazione frettolosamente fornita dai piloti che avvistavano i “Foo fighters” finì col confluire verso la teoria di una delle tante armi segrete tedesche effettivamente operanti o di cui si favoleggiava l’esistenza, spesso con un’amplificazione effettiva della portata di queste armi proprio da parte di una ben calcolata propaganda nazista. In ogni caso la teoria dei “Foo fighters” come particolari armi segrete è stata ripresa anche “a mente fredda” a distanza di qualche decennio dalla fine della guerra da una personalità di sicuro interesse, anche se relativamente controversa, come Renato Vesco (19241999). Ingegnere aeronautico, Vesco partecipò fin dalla fine della guerra a
MISTERO - LA SAGA DEI "FOO FIGHTERS"
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delicati progetti, e negli anni ’90 avrebbe poi rivelato che i cosiddetti “Foo fighters” della Seconda Guerra Mondiale non sarebbero stati altro che una sorta di “mine automatiche” capaci di muoversi in aria grazie a una forma di propulsione a reazione. Il relativo progetto era sottoposto all’autorità delle SS, e la funzione dei “Foo fighters” sarebbe stata quella di inserirsi nella scia di volo dei bombardieri alleati, per interferire mediante scariche elettrostatiche con i sistemi di alimentazione degli aerei nemici per determinarne il malfunzionamento, fino a provocare l’abbattimento dei velivoli. Ma il solo apparire dei “Foo fighters” nei cieli sarebbe stato già idoneo a creare nei piloti Alleati un sufficiente livello di distrazione e nervosismo tali da diminuire molto le loro prestazioni in fase d’attacco. La descrizione dei “Foo fighters” come una sorta di “droni” ante litteram, seppur adeguatamente argomentata, non ha convinto tutti i critici di Vesco; ma si iscrive nella ponderosa opera di questo studioso che finì col diventare un vero e proprio punto di riferimento delle teorie criptotecnologiche che riconducono la fenomenologia ufologica ad attività di ricerche segrete svoltesi prevalentemente in ambito anglocanadese. Sul fronte del Pacifico della Seconda Guerra Mondiale, le testimonianze dei piloti si riferiscono su per giù alla stessa fenomenologia con appena qualche variante. In questo caso i globuli apparivano infatti di dimensioni maggiori, rispetto alle testimonianze dal fronte europeo, e davano inoltre
la sensazione come di “essere appesi alla volta celeste”. Si dà anche il caso di un pilota americano che avrebbe fatto fuoco su di un “Foo fighter” presunto giapponese, assistendo allo spacchettamento del globulo in molteplici globuli di taglia inferiore, precipitati poi in basso. Questa diversa “declinazione” del fenomeno sul fronte del Pacifico potrebbe avere forse a che fare con il reale allestimento e messa in opera da parte dei giapponesi di palloni bomba aerostatici destinati a sorvolare il Pacifico, per poi precipitare a terra su territorio statunitense o canadese, fino ad esplodere su città o incendiare foreste. Questo piano, per quanto apparentemente fantasioso, si fondava in realtà su alcuni elementi di calcolo piuttosto precisi. I meteorologi giapponesi intendevano infatti avvalersi di veloci correnti ventose ad
alta quota, note anche come jet stream, capaci di trasferire in soli tre giorni un pallone dal Giappone al continente nordamericano. Numerosi problemi provocarono tuttavia una notevole perdita di efficacia nella realizzazione di questo piano. Da un lato l’instabilità dell’idrogeno, utilizzato per sollevare i palloni, rispetto alle violente escursioni termiche provocò l’ammaraggio della maggioranza di questi palloni. Ma anche quelli che riuscivano a raggiungere il territorio nord americano finirono con l’esplodere in zone disabitate, che costituivano aree di atterraggio dei palloni a probabilità elevata sulla vastità dei territori statunitensi e canadesi, o col cadere a terra senza esplodere affatto. La minaccia dei palloni-bomba giapponesi permaneva tuttavia sotto il profilo psicologico per gli americani; e anche per una ragione più insidiosa: la voce secondo la quale verso la fine della guerra, il Giappone avrebbe armato quei palloni con armi batteriologiche e li avrebbe fatti decollare da sommergibili al largo delle coste americane. Sta di fatto che quella dei palloni aerostatici giapponesi usati come arma terroristica potrebbe essere stata una circostanza idonea a spiegare un
eventuale fraintendimento del fenomeno dei “Foo fighters” nei cieli del Pacifico; tanto più che effettivamente alcuni di questi palloni furono effettivamente abbattuti da caccia statunitensi. Esisterebbero a questo punto sufficienti argomenti per archiviare l’intero dossier dei “Foo fighters”, tanto tedeschi quanto giapponesi, come un complessivo travisamento di armi – se non addirittura segrete – quanto meno non convenzionali usate durante la guerra dalle forze dell’Asse. Un particolare arriva però a scombussolare questo tipo di conclusione. Dopo la guerra, gli Alleati procedettero all’esame dei rapporti di volo delle forze aeree sconfitte e, con notevole sorpresa, vennero a scoprire che anche i piloti tedeschi e giapponesi avevano testimoniato avvistamenti di “globuli luminosi”, col tentativo di spiegare il fenomeno come qualcosa di riconducibile a qualche “diavoleria” escogitata dagli anglo-americani. A fronte di questa complicazione interpretativa non sono mancati altri tipi di interpretazione non ufologica. Sul fronte meteorologico, il fenomeno dei “Foo fighters” è stato ad esempio ricondotto alla manifestazione – a dire il vero non molto frequente – di fulmini globulari. Ma questa fenomenologia resta ancora oggi non priva di aspetti controversi e le prime teorie scientifiche, sufficientemente spendibili in materia, sono state elaborate soltanto negli ultimi quindici anni. Un fenomeno meteorologico noto invece anche ai marinai dei tempi antichi è quello dei fuochi di Sant’Elmo, che consistono in scariche elettro-luminescenti provocate dalla ionizzazione dell'aria durante un temporale. Questi fuochi si producevano ad esempio sulle punte degli alberi degli
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antichi velieri e, secondo qualcuno, potrebbero essersi prodotti anche alle estremità delle ali di alcuni aerei da guerra nel corso delle azioni militari degli anni ’40. Sta di fatto, però, che tanto i fulmini globulari quanto i fuochi di Sant’Elmo presuppongono un temporale in corso, circostanza che non sempre si accompagnava ai rapporti di guerra relativi ai “Foo fighters”. Durante la Seconda Guerra Mondiale l’ufologia moderna non era ancora nata, e si sarebbe dovuto attendere l’incidente di Roswell nel 1947 affinché si coniasse il termine di flying saucer, disco volante. È tuttavia opinione consolidata dell’ufologia contemporanea che, se questo termine fosse esistito durante la guerra, è quello che sarebbe stato usato per definire i “Foo fighters”. Un tentativo di spiegazione di questo fenomeno — che, dati i rapporti ufficiali, dovrebbe essere considerato espressione a tutti gli effetti della storiografia ufficiale — è arrivato in un’epoca successiva agli anni della guerra; e con riferimento a una fenomenologia di presunta origine ufologica come quella dei cerchi nei campi di grano. Senza poterci in questa sede dilungare troppo su di un argomento che richiederebbe spazi ben maggiori, sarà qui sufficiente ricordare che, a partire dagli anni ’70, iniziarono ad apparire prevalentemente (ma non esclusivamente) in campi di cereali su territorio britannico degli agroglifi, e cioè delle aree coltivate sulle quali le piante risultavano piegate fino a dare luogo a dei pittogrammi: complesse
figure geometriche osservabili in tutto il loro dispiegarsi esclusivamente dall’altezza consentita sorvolando il campo con un aereo. Molti di questi fenomeni costituirono una vera e propria burla o truffa (secondo le interpretazioni) da parte di due personaggi, Doug Bower e Dave Chorley, che furono perfino insigniti del premio Nobel nel 1992 per le loro gesta. Resta tuttavia il fatto che in molti casi la complessità dei pittogrammi apparsi al suolo non può spiegarsi con l’uso di una tecnica ad azione e intenzione umana. Senza contare che il fenomeno possiede anche delle manifestazioni ben più remote, se solo ci si limita a pensare all’enigma archeologico delle linee di Nazca sull’omonimo altopiano peruviano. Sarebbe facile rendersene conto già solo attraverso un esame dettagliato del materiale fotografico esistente, e oggi facilmente reperibile. In ambito ufologico esistono testimonianze, anche fotografiche, di oggetti luminosi di tipo sferico che — in
fasce orarie mediamente prossime all’alba — avrebbero fatto la loro apparizione davanti agli occhi insonni di ricercatori da ore intenti a presidiare un campo coltivato. Queste sfere luminose avrebbero quindi compiuto delle evoluzioni estremamente complesse, con un ritmo simile a quello degli aghi di un sismografo, per realizzare una figura geometrica perfettamente compiuta alla luce del giorno successivo; ma ben visibile solo noleggiando un aereo da turismo presso l’aeroporto più vicino al campo osservato. Questo tipo di ricerca ha portato alla conclusione che i cosiddetti crop circles siano realizzati da oggetti di origine sconosciuta che apparirebbero nella
forma di sfere luminose aventi con tutta probabilità natura di tipo tecnologico — e presumibilmente non terrestre. La somiglianza di queste sfere creatrici dei cerchi nei campi di grano con i “Foo fighters” degli anni ’40 appare indiscutibile, e porterebbe quindi a concludere che questi oggetti costituiscano delle sonde a controllo remoto che sono state utilizzate nel corso della storia in contesti e per scopi abbastanza diversi. Ma usate da chi? Da chi probabilmente ha esercitato un’azione di monitoraggio sull’umanità oppure il tentativo di testare le capacità di risposta dei destinatari di una originale semiotica del linguaggio figurativo impressa su suolo terrestre.
STORIA - L'IMPERO NAPOLEONICO
L’impero napoleonico: evoluzione di un modello o tradimento degli ideali della Rivoluzione? di Raffaele d’Isa scrivi@raffaeledisa.it
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La dimensione imperiale che caratterizzò l’apogeo della storia di Napoleone Bonaparte è così radicata nell’immaginario collettivo, che è probabilmente assai difficile mettere a fuoco la contraddizione apparente fra gli ideali della Rivoluzione Francese — nel cui clima si formò Napoleone — e le origini così tradizionali e antimoderne di un istituto come quello dell’Impero, che lo stesso Napoleone finì poi con l’abbracciare. Quella di Napoleone resta soprattutto la storia fulminante di un genio della strategia e della tattica militare che fu pure una personalità volitiva e intraprendente. La storia, anche, di un grande appassionato di matematica e di scienze naturali, che non disdegnava di dichiarare in pubblico che sarebbe diventato un provetto scienziato, se non fosse stato così impegnato con gli affari
di stato. Un simile impianto caratteriale, associato alle contingenze storiche di un indiscusso successo personale, non poteva che sfociare nella costruzione di un sistema di potere su base personalistica, a prescindere dai freschissimi ideali della Rivoluzione Francese all’epoca appena affermatisi. La carriera politica di Napoleone fu una logica evoluzione di una fulminante carriera militare in un periodo storico in cui la Francia aveva un bisogno cruciale di sicurezza, bersagliata com’era da tutte le altre potenze europee che ancora davano espressione all’Ancien Régime che la Rivoluzione aveva colpito a morte in Francia. Le magmatiche istituzioni politiche della Francia post-rivoluzionaria non esitarono così a forgiare, intorno alla figura di Napoleone, quella carica consolare dall’antico sapore di epoca
STORIA - L'IMPERO NAPOLEONICO
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romana. Console, Primo Console e infine Console a vita furono le tappe dell’ascesa a un potere sostanzialmente assoluto, in cui Napoleone finì con l’esercitare ormai incontrastato non solo le funzioni esecutive, ma anche quelle legislative, quando non le condizionava pesantemente per via indiretta. Il Consolato a vita rappresentava dunque la riproposizione in forme surrettizie, della figura di un sovrano assoluto. Ma era tutto ciò compatibile con gli ideali di libertà e democrazia appena affermati dalla Rivoluzione? Aveva senso aver abbattuto l’Ancien Régime pochi anni prima, per ritrovarsi adesso con una probabile ripresentazione camuffata degli stessi rapporti di potere fra stato e
popolo? C’è di più. Nel dicembre del 1804 Napoleone acquisì il titolo di Imperatore con diritto ereditario, e il dubbio che la Francia avesse un nuovo “Re” dopo tanto sangue versato per la Rivoluzione ebbe a quel punto tutto il diritto di insinuarsi nelle menti dei più accorti. Ma come stanno esattamente le cose? In realtà Napoleone fu sempre, nel suo più intimo modo d’essere pubblico, un militare. Ed è nella categoria militare che deve trovare essenzialmente spiegazione la tendenza all’esercizio del potere in maniera verticistica e senza contraddittorio. La carriera di Napoleone andrebbe quindi interpretata come il processo di costruzione di una vera e propria dittatura militare. In questi termini molte delle contraddizioni prima
segnalate andrebbero certamente ad attenuarsi. È vero infatti che gli ideali rivoluzionari da poco affermatisi lasciavano presagire per la Francia forme di stato più evolute in senso democratico, ma è anche vero che la Francia aveva vissuto, dallo scoppio della Rivoluzione in poi, in una condizione di guerra permanente contro tutte le altre potenze europee, e si rivelava quindi auspicabile una forma di governo autoritario particolarmente efficace in un clima comunque precario ed emergenziale come quello della guerra. Sommando quindi le condizioni generali in cui la Francia versava in quegli anni con le caratteristiche personali del generale Bonaparte, l’ascesa di Napoleone a un potere pressoché assoluto si avvicina forse a una spiegazione plausibile. Ma allora, perché l’Impero? Perché andare a scomodare un istituto dal sapore così arcaico in un’epoca di mutamenti politici così dinamici? Di fatto poteva bastare una dittatura militare tout court, magari appena estetizzata dalla carica consolare che pure Napoleone aveva poi conseguito. Ma bisogna anche considerare che a quei tempi ci si trovava in un’epoca in cui non c’erano precedenti per espressioni politiche diverse dall’Ancien Régime in Europa (fatta forse eccezione per la repubblica di Cromwell qualche secolo prima in Gran Bretagna). Napoleone aspirava alla creazione di un nuovo ordine europeo, ed era quindi entrato in una fase di confrontoscontro dialettico con tutte le società che costituivano a quei tempi l’Europa. Occorreva al condottiero, in altri termini, un “codice di comunicazione” efficace e ben riconoscibile alle classi dirigenti delle potenze europee destinatarie di un’unica
alternativa: allearsi o soccombere. Napoleone temeva che senza il giusto nomen iuris, senza cioè un titolo giuridico facilmente riconoscibile del proprio potere personale, gli sarebbe mancata la capacità di “farsi riconoscere” dagli altri sovrani europei come qualcuno del loro stesso rango. La carica di “Imperatore” serviva essenzialmente a questo scopo, per poter dire agli altri sovrani europei: “Sono uno di voi”. Diversi indizi portano a questa conclusione. A differenza dei precedenti Re francesi, Napoleone non fu investito dalla sua carica “in nome di Dio”, ma “in nome del popolo”. Egli diventò cioè “Imperatore dei francesi”. È vero che Napoleone volle un diritto all’eredità della nuova
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carica imperiale per dare stabilità al nuovo assetto dello stato, perché la storia aveva già insegnato che un sovrano senza eredi può costituire un bersaglio assai vulnerabile. Ma fu lo stesso Napoleone che abrogò, d’altra parte, la carica del Sacro Romano Impero fino ad allora retta dalla Casa austriaca degli Asburgo, i cui esponenti poterono da allora in poi fregiarsi solo del titolo di “Imperatori d’Austria”. Napoleone riformò la società francese in chiave assolutamente liberalborghese. E, in questo senso, il suo capolavoro resta il Code Napoléon, il nuovo codice civile alla base anche dell’odierno diritto privato italiano, che stabilì una fondamentale tutela della proprietà privata e la contrattualizzazione della stragrande maggioranza dei rapporti civili, dando così la spallata definitiva ai precedenti istituti feudali. La nomina a Imperatore avvenne attraverso un rituale di “autoincoronazione” da parte di Napoleone; alla presenza, sì, del papa; ma senza che questi toccasse mai la corona imperiale che Napoleone stesso si pose
sul capo. E questa carica, come d’altra parte la precedente carica di Console a vita, fu convalidata da un plebiscito popolare ampiamente favorevole a Napoleone. Se queste considerazioni non bastassero a tradire la natura sostanzialmente laica e secolarizzata dell’Impero francese, si può sempre far cadere l’attenzione sullo stile di vita dell’Imperatore Bonaparte. Napoleone condusse personalmente le sue campagne militari in giro per l’Europa, come aveva sempre fatto anche prima — da Console o da generale. Nessun altro in Europa — fra Re, Zar o Imperatore d’Austria — si metteva personalmente alla testa dei propri eserciti a quei tempi. È forse questa
la definitiva conferma che il potere di Napoleone fu essenzialmente quello di una dittatura militare che per motivi — diremmo oggi di marketing — ebbe la necessità di circondarsi di un titolo che, pur con diversi distinguo sostanziali, doveva essere riconoscibile ai vertici politici d’Europa a lui contemporanei. In questi stessi termini, Napoleone aspirò a sposare una discendente degli Asburgo nel 1810: anche l’imparentamento fra sovrani faceva parte di una radicata consuetudine plurisecolare. La realtà dei fatti riemerse in tutta la sua crudezza durante gli ultimi anni di prigionia a S. Elena. Formalmente ossequiosi nei confronti del grande nemico che aveva tenuto in scacco la Gran Bretagna per una ventina d’anni, gli inglesi riconobbero a Napoleone il solo titolo di “generale”, riconoscendo così come abusiva la pretesa del condottiero di farsi considerare un Imperatore, un
sovrano al pari degli altri sovrani europei. Questo atteggiamento suonò offensivo e inaccettabile a Napoleone ma, d’altra parte, il crepuscolo del suo potere ebbe forse inizio proprio quando i caratteri di una dittatura militare personalistica cominciarono poco a poco a erodere la stabilità del suo potere: un dirigismo esasperato, un accentramento di tutti i poteri dello stato nella sua persona; e l’antico vizio del nepotismo nel collocare parenti e affini nei punti chiave del nuovo ordine europeo. Perfino l’innovativo Code Napoléon era tuttavia appesantito da una proiezione di questa visione militare anche nella sfera familiare, in cui un paternalismo assoluto attribuiva al marito un potere abnorme sulla moglie e sui figli, “napoleonizzando” forse con un eccesso di misura anche la stessa famiglia: grandezze e limiti di un indimenticabile personaggio storico.
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MUSICA - BATACLAN
BATACLAN
la voce sopra gli spari di Gianmarco Soldi gianmarcosoldi@gmail.com
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Il Bataclan è l’anima rock dell’undicesimo arrondissement di Parigi, uno dei quartieri simbolo della vita bohème e dell’integrazione razziale nella capitale francese. Poco distante dallo snodo metropolitano di Oberkatmpf e situato al numero 50 di Boulevard Voltaire, deve il suo nome all’operetta di Jacques Offenbach, Ba-Ta-Clan, rappresentata nel 1855. L’edificio fu costruito nel 1864 dall’architetto Charles Duval con chiari rimandi alla cultura
cinese e fu aperto nel febbraio 1865: divenne teatro per operette e rappresentazioni, celebre negli anni Dieci del Novecento per essere stato il luogo in cui lo chansonnier Maurice Chevalier ottenne i primi successi. Divenuto poi un cinema, nuovamente teatro, ancora cinema e distrutto da un incendio negli anni Trenta, è stato dagli anni Ottanta in poi una delle più frequentate sale da concerto di Parigi, dichiarato monumento storico nel 1991.
Fino ai nostri giorni, fino al 13 novembre 2015. Perché gli attentati ad opera dei terroristi dell’Isis hanno per sempre stravolto la storia di questo luogo, punto di passaggio e svolta per innumerevoli artisti internazionali. Il suo nome si può trovare ovunque: in televisione, sui social network, sospirato con timore e reverenza dagli speaker radiofonici, sui giornali, negli occhi attoniti degli amanti di Parigi e degli amanti del rock. Ma il Bataclan non è solo il luogo del massacro in cui hanno perso la vita decine di giovani, la tomba delle speranze francesi per una vita pacifica. Il Bataclan è il simbolo della Parigi libera e multiculturale, impregnata di musica e divertimento, un punto fermo per la metropoli e per gli amanti della musica in tutto il mondo: basti pensare a veri e propri monumenti della musica rock e del cantautorato, nomi del calibro di Michel Delpech, Jane Birkin, i Gong, che qui hanno registrato celeberrimi album dal vivo. Persino lui, Jeff Buckley, l’angelo di Grace e Halleluja, la voce più innocente e pura degli anni Novanta (scomparso prematuramente nel 1997) ha inciso al Bataclan una prova scintillante della propria versatilità live con l’EP intitolato, appunto, Live from the Bataclan (1995). Gli stessi Genesis e Caravan qui si esibirono in un indimenticabile concerto nel 1973, così come Lou Reed, Blur, Oasis, Extreme, Sia, 3 Doors Down e Robert Plant più recentemente, solo per citarne alcuni. Un vero e proprio tempio del rock’n’roll, del post-punk, dell’heavy metal, con una storia decennale costellata di successi. Fino al 13 novembre, al concerto degli Eagles of Death Metal, un’irriverente band protagonista di quella nicchia blues-rock che tanto ha dato e
ricevuto da questo locale. Le immagini sono negli occhi di tutti: i musicisti che suonano di fronte alla platea festante, le mani alzate, le luci. E poi gli spari. Qui si conclude momentaneamente la storia del Bataclan, qui finisce la lista di artisti e giovani con le braccia al cielo al ritmo delle chitarre e dei dj. Inizia il momento del silenzio, delle lacrime, della Marsigliese cantata dai cittadini con le lanterne in mano e dagli imam riuniti insieme alla comunità musulmana parigina. Un gesto, questo, che ha già lasciato il segno e che lo lascerà per il futuro. Perché il Bataclan è stato la storia della musica live e poi il teatro del più grande orrore della capitale francese, perché il Bataclan è stato faro della passione di migliaia di giovani e oggi muro del pianto: perché l’orrore non può decretare veramente la parola fine. Perché il Bataclan deve riprendere a vivere, seppur per sempre ferito nel suo cuore, deve tornare ad essere il luogo in cui i futuri Lou Reed e Jeff Buckley potranno nuovamente cantare e far cantare il pubblico francese, svelando l’innocenza e la purezza di una voce che non può essere sovrastata dal crepitio dei mitra.
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SPORT - MOMENTI DI SPORT
I 10 MOMENTI DI
Le dittature degli All Blacks, di Djokovic e della di Messi, il sogno spezzato di Valentino Rossi del nuoto. Un anno di sport volge al termine
10. IL MATCH DEL SECOLO (
Il pugilato va a picco e i cervellon cosa fanno? Si inventano a tavolino secolo. Da una parte Floyd Maywe nero, rapper, politicamente scor Manny Pacquiao, filippino, socialme il buono. Dalla contrapposizione dei esce un gigantesco giro d'affari, m vecchi e la grande boxe appartie A Miami sfilano i VIP dello spetta buono attacca, il cattivo gioca di r ai punti. Tutto molto strombazzato dimenticabile.
9. CINESE SI RITIRA IN
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Ai Mondiali di Kazan il carpig nuoto azzurro, deve vederse La loro rivalità è il sale de Paltrinieri firma il nuovo reco ruba l'oro. Sui 1500, il cines zuffa con gli atleti brasiliani ritiro. Senza l'avversario, Pa continentale, diventando il pr nella disciplina. Con grandi p
SPORT NEL 2015
a Mercedes, la missione di Bolt e la resurrezione e i veleni con Marquez, l'Italia del tennis e quella e. Riviviamolo tutto d'un fiato. In 10 momenti.
(?)
ni del marketing o la sfida del XXI eather, il cattivo, rretto; dall'altra ente impegnato, i due personaggi ma i pugili sono ene al passato. acolo. Sul ring il rimessa e vince o, ma piuttosto
N FINALE: È GIALLO!
giano Gregorio Paltrinieri, astro nascente del ela con il superuomo cinese Sun Yang. ella rassegna russa. Sugli 800 stile libero ord europeo ma Sun è una motonave e gli se è ancora favorito, finché una misteriosa i nella piscina di riscaldamento lo porta al altrinieri ha buon gioco a replicare il primato rimo italiano a conquistare il titolo mondiale promesse per Rio.
di Gianluca Corbani corba90@hotmail.it
SPORT - MOMENTI DI SPORT
8. FORMULA NOIA Nel solco di Schumacher, Sebastian Vettel guida la riscossa ferrarista nel tentativo di colmare il gap che separa Maranello dalle astronavi Mercedes. Ancora una volta, però, non c'è storia e di sorpassi in pista non se ne vedono mai troppi. Emozioni minimal, come da tradizione recente: Hamilton guida alla Senna e va in fuga, Vettel spezza il filotto dell'inglese vincendo in Malesia e poi in Ungheria. Ma proprio quando il Mondiale sembra riaprirsi, Hamilton sferra la mazzata definitiva vincendo il GP di Spa (Belgio). La Ferrari, però, ha accorciato le distanze. Nel 2016 lo scontro definitivo.
6. LITTLE ITALY
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Serena Williams s Slam stagionali e sb giro. Sembra tutto assoluta del tennis muscolose le sue b E invece, in semi Williams negli infer L'impresa di Robert Anche perché in fin Pennetta – amica e sempre. Sappiamo New York.
7. L'ULTIMA HAKA Per la prima volta nella storia del rugby, la Nuova Zelanda si conferma al vertice dell'universo ovale per due edizioni consecutive della Coppa del Mondo. Se nel 2011 gli All Blacks avevano trionfato in casa, stavolta il bis arriva nel tempio londinese di Twickenham, al termine del derby oceanico con l'Australia. È l'apogeo di una generazione leggendaria: Dan Carter alza il trofeo e saluta la nazionale, Richie McCaw si ritira dal rugby da vincente. Poche settimane più tardi la Nuova Zelanda dice addio a Jonah Lomu, l'uomo che più di tutti ha scolpito la leggenda degli All Blacks, placcato da una malattia degenerativa dei reni.
Y
strapazza qualsiasi avversaria nei primi tre barca allo US Open per completare il grande pronto per l'incoronazione della dominatrice moderno. Troppo potente Serenona, troppo braccia, troppo forte la spinta del destino. ifinale, una pugliese cocciuta catapulta la ri giocando un tennis apollineo e surreale. ta Vinci spiazza l'America e galvanizza l'Italia. nale, con Renzi in tribuna, la Vinci sfida Flavia rivale dall'infanzia – nella finale più italiana di tutti com'è finita. Il cielo è stato azzurro, sopra
SPORT - MOMENTI DI SPORT
5. IL RITORNO DEL MESSI(A) Asciugato da un dietologo friulano, motivato dai successi di Cristiano Ronaldo, stimolato dalla nuova partnership con Neymar e Suarez. Il nuovo Lionel Messi, spavaldo e tatuato, sboccia nel 2015 dopo aver fatto la pace con Luis Enrique. Con Leo al top nel tridente più spettacolare di sempre, il Barcellona decolla rielaborando il vecchio integralismo del tiki-taka in una versione più flessibile e verticale. In semifinale di Champions League i blaugrana ritrovano Guardiola. A Messi bastano i primi 90' per demolire il Bayern. E in finale, a Berlino, anche la Juve deve inchinarsi alla legge del più forte.
3. IL CANNIBALE
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''Provateci voi, a sotto le bombe. Qu grandi, su un camp non avrete più pau Novak Djokovic è montagne e del cresciuto dietro il ba pizzeria dei genitori, orrori del conflitto b 14 anni era già un in giro per l'Europa di formazione decisiva in Germania, dove ha capito che da quella quelle paure si poteva costruire una volontà di ferro. A 27 anni, il 12 luglio 2015, quel bambino fuggitivo sfida il d Federer sull'erba sacra di Wimbledon per il secondo anno di fila. D cannibalizzando qualsiasi torneo, ma ha perso lo Slam di Parigi co svizzero (Wawrinka) e sa che il destino, ancora una volta, passa d di Church Road. In quei giorni il tennis di Federer è probabilmente sempre e i londinesi tifano Roger. Ma le risposte di Djokovic, sem trapassano la bellezza del rivale e la preferenze del pubblico inglese 3 set a 1. E il suo regno non avrà fine.
E
ad allenarvi uando sarete po da tennis, ura di nulla''. figlio delle lla guerra, ancone della , prima degli balcanico. A n vagabondo a, con tappa rabbia e da
divino Roger Djokovic sta ontro un altro dal Centrale il migliore di mplicemente, e. Nole vince
4. SCONTRO TRA TITANI Lebron James contro Steph Curry. La forza contro la leggerezza, la classe del condottiero contro il talento libero. Il ciclo delle Finals racchiude il meglio del basket NBA: mentre Lebron trascina di peso Cleveland a pochi canestri dalla Storia, Curry disegna triple magiche esaltando il sistema offensivo di Golden State. In gara-5 James gioca 1 vs 5 e arriva a contatto, incendiando un duello fantastico con il rivale, che risponde con un quarto game fantascientifico e lancia i Warriors verso l'Anello. In gara-6 il match point di Golden State.
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2. VELENO IN PISTA Un thriller sportivo senza precedenti. A Sepang, penultima gara della stagione, Valentino Rossi corre per il decimo Mondiale. Quello della leggenda, della beatificazione eterna, della grande festa italiana. Il rivale è Jorge Lorenzo, ma la collaborazione sospetta di Marc Marquez – ormai tagliato fuori dal Mondiale – in favore del connazionale scatena la rabbia di Vale, che alla vigilia della Malesia picchia duro in conferenza stampa. Marquez incassa col sorriso, ma in pista scatena il putiferio: cerca Rossi, lo provoca, partono sportellate, finché Vale cede e stacca il piedino dalla pedana. L'episodio invade i social e i giornali di tutto il mondo. Italia e Spagna si dividono. Lo scontro diventa nazionale e generazionale. A Valencia il triste epilogo, con Rossi penalizzato e ultimo in griglia di partenza, Marquez a completare il “biscottone” e Lorenzo con la faccia di legno a prendersi il Mondiale.
1. BOLT VINCE PER LO SPORT
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Il tramonto di Usain Bolt era già stato scritto e pronosticato. La triste uscita di scena del Re dell'atletica leggera, del giullare delle piste, avrebbe aperto l'epoca buia di Justin Gatlin, l'ex dopato tornato dalla squalifica. E lo sport ne sarebbe uscito a pezzi, forse in modo definitivo. Perché Bolt non è solo un'icona globale senza macchia, ma anche uno dei pochissimi sprinter di alto livello mai toccati da inchieste o anche sospetti di pratiche illecite, l'ultima bandiera da sventolare rimasta ai difensori d'ufficio dell'atletica di fronte al dilagare di casi di doping. Proprio per questo la vittoria di Bolt nei 100 metri dei Mondiali di Pechino è stato il momento sportivo più alto del 2015: non c'era in palio solo un titolo, o un record, ma un pezzo di credibilità dello sport. A quasi 30 anni, Usain è diventato battibile, ma quando sembrava arrivare da Marte e tutti sapevano che avrebbe salutato gli avversari a metà strada c'era molto meno pathos nelle sue cavalcate. Questo Bolt, invece, è molto più umano e emozionante. Che il Dio dei Giochi Olimpici ce lo conservi integro per Rio de Janeiro. Fino a doping contrario.
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SPORT MINORI - WIFE CARRYING
WIFE CARRYING CON LA MOGLIE IN SPALLA
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Arriva dicembre, La Pausa si sposta in Lapponia a trovare Babbo Natale e anche la nostra rubrica segue l’onda natalizia. di Nicola Guarneri guitartop@libero.it
Le terre nordiche sono infatti patria di diversi sport che definire “strani” sarebbe quantomeno limitativo. Che sia colpa delle poche ore di luce o degli ottimi alcolici non è dato sapere, certo è che nel 1992 i finlandesi hanno istituito il primo campionato mondiale di “Trasporto della moglie”, meglio conosciuto come Wife Carrying. Il nome dice già tutto: alla competizione (definita da Wikipedia come “umoristico/ sportiva”) partecipano coppie miste, non necessariamente marito/moglie. L’uomo deve portare la donna attraverso un percorso a ostacoli variegato, la cui lunghezza è esattamente 253,5 metri, e il cui punto più arduo è un fossato alto un metro e pieno d’acqua. Come potrete immaginare la competizione è assai avvincente, anche perché se la “moglie” cade, alla squadra viene inflitta una penalità di 15 secondi. Per questo nel corso degli anni sono state studiate vere e proprie tecniche: la classica “piggyback”, con la moglie che cinge i fianchi dell’uomo con le gambe e il torso con le braccia, la “fireman’s carry”, con la moglie portata a spalle in posizione laterale, e infine la complicata ma funzionale “Estonian-style” con la moglie a testa in giù. Ricordiamo che per poter essere ammesse alla competizione le signor(in)e devono avere almeno 17 anni
e pesare almeno 49 kg, pena l’utilizzo di zavorre per raggiungere il peso minimo. Se pensate che per vincere basti cercare una “moglie” magra, sappiate che c’è una seconda faccia della medaglia: il vincitore infatti, oltre ad essere insignito del premio di campione del mondo, vince una quantità di birra pari al peso della moglie. Se parliamo di campioni del mondo non possiamo non nominare l’estone Margo Uusorg, diventato pentacampione nel 2006 dopo aver vinto anche le edizioni del 2000, 2001, 2003 e 2005 (con tre mogli diverse: Birgit Ullrich nelle prime due edizioni, Egle Soll nella terza e nella quarta, Sandra Kullas nella quinta). Uusorg detiene anche il record mondiale, con il tempo di 55,5 secondi registrato nell’edizione del 2000. Quest’anno la competizione è stata vinta da Ville Parviainen e Janette OksmanVantaa che hanno chiuso i 250 metri abbondanti di gara con il tempo di 1 minuto 3 secondi e 75 centesimi. Vi sembrano tanti? Non vi resta che caricarvi una donna in spalla e… correre! Le iscrizioni per la competizione del 2016 apriranno a breve!
SPORT CERTIFICATI: PEC - LE PAURE DEL PIATTELLO
LE PAURE DEL PIATTELLO di Roberto Carnevali robertocarnevali@eutelia.com
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È risaputo da sempre che ogni sport provoca nell’atleta incontenibili paure, emotività, sensazioni a volte tali da poter danneggiare l’andamento di una gara. Soprattutto negli sport individuali – tiro a volo, sci, ciclismo, nuoto, atletica, tennis ecc. – questi stati d’animo possono diventare tanto opprimenti da pregiudicare, durante i pochi istanti della gara, un’intera annata di sacrifici e rinunce. Purtroppo lo sport è così, cari amici: devi pagare lo scotto per aver fatto alcuni errori che potevi benissimo evitare. Nel tiro a volo (la disciplina che personalmente amo più di ogni altra cosa) questi inconvenienti sono maggiormente frequenti. Stabilità mentale e fisica, continuità e metodica abnegazione sono le costanti più palpabili di cui ogni atleta (professionista o meno) deve assolutamente dar conto a
se stesso per l’intera stagione agonistica. Basta poco, un niente, per buttare al vento tante ore di pedana, di palestra, di progetti realizzati per un unico fine: rompere il bersaglio. Sport statico (se lo paragoniamo al nuoto, al tennis, al calcio), il tiro al piattello finisce tuttavia col rivelarsi paradossalmente sorgente di una grande erogazione di energia – motoria e psichica – che si sprigiona in una manciata di secondi. L’unica certezza, derivante dalla mia lunga esperienza nei campi di tiro, è che in questa disciplina sportiva ciò che nasce costantemente in chi pratica è la famigerata “paura del piattello”. A tutti sarà capitato di incappare in periodi in cui tutto sembra facile. Sei disteso, sicuro, concentrato; non ti fa paura niente quando sei in pedana. Poi d’improvviso, quando credi di sapere tutto, comincia la discesa libera: mille pensieri, mille dubbi ti assalgono freneticamente. Non riesci più a capirci niente. Ecco che incombe la cosiddetta paura del piattello. Sei solo contro di lui in pedana, ma ti fa paura – se non lo rompi. E allora gli zeri fioriscono come non mai. Cerchi le soluzioni, cerchi di risolvere più in fretta possibile ciò che non ti era mai capitato prima. I mille pensieri che vacillano nella tua testa diventano centomila, enormi come macigni. Allora perdi la speranza, la fiducia in te stesso, sfiori l’idea di abbandonare tutto per non soffrire proprio di ciò che più ami. Sono davvero momenti bui: un labirinto in cui non riesci a trovare il filo di Arianna. Simili stati d’animo capitano spesso anche ai grandi Campioni. Figuriamoci se non capitano soprattutto a noi tiratori del sabato e della domenica. La differenza tra loro e noi (per loro è un lavoro professionale), è che quei tiratori riescono a mantenere un determinato equilibrio durante il percorso di una gara iniziata malauguratamente male. Per noi,
invece, gli errori si moltiplicano; perché la nostra mente non è bene allenata a indulgere verso quelli già commessi, e a rimettere in corsa il nostro fisico in modo da completare la competizione in maniera positiva. La paura del piattello si vince se sei consapevole dei tuoi mezzi e limiti. Non devi strafare, ma solo riuscire nell’intento che ti sei prefissato con semplicità e umiltà. Arrabbiarsi dopo una prova deludente non è necessario. Ciò aumenta, anzi, l’ossessione della paura e provoca un’inevitabile perdita di autostima. Essere invece consapevoli degli errori commessi fa sì che si cominci a percepire quello che debba o non debba essere fatto. Se si aggiunge a tutto ciò l’ausilio di un buon istruttore, si ritornerà in tempi ragionevoli ai livelli che si erano assaporati prima di entrare in questo tunnel di sofferenza. Un esempio è stata la grande prova di Giovanni Pellielo all’ultimo mondiale del 2015 tenutosi a Lonato. Sembrava perso. Ma lui, stoffa di vero campione e lottatore fino in fondo, con fermezza e concentrazione è riuscito a prendere un argento, e ha perso l’oro all’ultimo piattello del “medal match” malgrado la prova sotto tono del primo giorno. Un esempio che noi tutti dovremmo imitare; non tanto per il valore numerico, ma per la determinazione da mettere fino all’ultimo piattello. Mai dire mai nello sport!
SOCIOLOGIA - SOCIAL NETWORK E COPPIE IN CRISI
SOCIAL NETWORK
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E COPPIE IN CRISI di Nia Guaita
Nell’era del web tutto ruota intorno alla rete, ma pare che i social network facciano male alla coppia e siano causa di tradimenti e gelosie, spesso infondate. Secondo i dati dell’Associazione degli avvocati matrimonialisti, Facebook rappresenterebbe una delle cause principali di divorzio: sempre più coppie, giovani o anche sposate da anni, arrivano alla separazione a causa di tradimenti – reali o virtuali – consumati attraverso la rete. Ma cerchiamo di capire meglio cosa accade. Anzitutto: perché una coppia litiga? Chi crede che le coppie perfette siano quelle che non litigano mai, si sbaglia. Il litigio all’interno della coppia è qualcosa di fisiologico, dettato dalla negoziazione di una linea comune, che si crea dal confronto tra due punti di vista differenti. Ma, a volte, i motivi del litigio sono dettati da interferenze esterne e complicano di gran lunga le cose. Anni fa, le coppie litigavano principalmente per le intromissioni esterne, che avvenivano soprattutto da parte della famiglia d’origine. La famigerata suocera — incubo di tutte le nuore — che, coi suoi piatti
perfetti e il suo essere moglie e madre impareggiabile, era sempre pronta dietro l’angolo a bacchettare la neosposina su ogni cosa. Qualche litigio per il disordine maschile, per qualche partita di calcio di troppo. E oggi? Le intromissioni esterne arrivano principalmente dai social network. Immaginiamo una coppia moderna. Nonostante non lavorino insieme, sono costantemente connessi: email, whatsapp, sms, skype, facebook, twitter. Ci si collega sui social con persone che spesso non fanno parte della nostra vita reale ormai da anni – come vecchi compagni di scuola – o che addirittura della nostra vita reale non ne hanno mai fatto parte. Si condividono idee, foto, commenti. Ci si telefona mentre si è fuori casa, ci si videochiama a qualsiasi ora. Con gli sms e le applicazioni come skype e whatsapp tramite il cellulare, in qualsiasi parte del mondo, si è costantemente rintracciabili. Sempre. Ci si esprime in pochi caratteri, spesso di fretta e distrattamente, cercando di condensare pensieri complessi che siamo convinti che l’altro capirà
SOCIOLOGIA - SOCIAL NETWORK E COPPIE IN CRISI
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esattamente come noi li abbiamo concepiti, nonostante manchi tutta quella quota di ragionamento e di comunicazione non verbale che vi è intrinsecamente nascosta dietro. Ecco allora che esplode una vera e propria epidemia di litigi. E le coppie che credono di essere — così — più vicine tra loro tramite la tecnologia, sono in realtà affette da una vicinanza fittizia, che rischia sempre più di indebolire, anziché consolidare il legame. E proprio rispetto alla tecnologia si aprono mille domande che riguardano i legami: è giusto sapere sempre cosa fa il proprio partner? E controllargli il telefono o il PC per sapere a chi e cosa scrive o a chi telefona? Se scherza su facebook con un’altra donna che magari non si conosce, ci starà tradendo? Nell’era tecnologica del “so esattamente dove sei e con chi” e del “posso controllare tutto ciò che fai o dici”, il senso fittizio di controllo — che da una parte la tecnologia ci dà — è minato dalle infinite interferenze esterne; che non sono più incarnabili nella semplice suocera o nella partita di calcio con gli amici. Tutto è sociale,
tutti sono iperconnessi. E questa iperconnessione fittizia, creata da relazioni perlopiù virtuali, risulta alla lunga fortemente destabilizzante per il legame. Come farvi fronte dunque? È utile ricordarsi sempre che, sebbene la tecnologia ci faccia sentire più vicini e meno soli, essa non è equiparabile alla comunicazione che avviene nella vita reale, vis-àvis. Noi comunichiamo in molti modi: col tono della voce, con la gestualità, con lo sguardo, con l’espressione del viso. Le parole sono la cornice di un quadro che, solo con la complessità della totalità della comunicazione, è davvero comprensibile. E, anche in quel caso, spesso capitano fraintendimenti e incomprensioni. Come possiamo dunque credere che — se già con una comunicazione completa di tutto, spesso si fatica a comprendersi — ci si possa comprendere attraverso quei freddi e inespressivi pochi caratteri nei quali si tenta invano di condensare tutto? La tecnologia non è certo una nemica. Ma bisogna rieducarsi ad usarla e imparare a gestirla in modo corretto, consci del limite intrinseco che nasconde in se stessa.
ARTE - ALVAR AALTO
ALVAR AALTO
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“Progetta sempre una cosa considerandola nel suo più grande contesto, una sedia in una stanza, una stanza in una casa, una casa nell’ambiente, l’ambiente nel progetto di una città“.
di Susanna Tuzza susannatuzza@gmail.com
Alvar Aalto (1898-1976) nasce a Kuortane, in Finlandia. È oggi riconosciuto come uno dei grandi maestri dell'architettura moderna. Nel corso della sua lunga e prolifica carriera, il lavoro di Aalto abbraccia quasi tutte le principali istituzioni pubbliche: municipi, teatri, chiese, biblioteche e università, così come abitazioni standardizzate e abitazioni private. La sua architettura è tipicamente finlandese, caratterizzata da una calda intimità e forte individualità. I suoi edifici derivano il loro speciale carattere estetico dal rapporto dinamico con l'ambiente naturale; sono a misura d'uomo, con dettagli superbamente eseguiti e un trattamento unico di materiali, uso ingegnoso di illuminazione interna ed esterna. In poche parole una perfetta architettura
organica della quale è considerato maestro con l'architetto americano Frank Lloyd Wright. Come tutta la grande arte, l'architettura di Aalto trascende i confini nazionali. Il suo lavoro non è di esclusiva proprietà della Finlandia, ma fa parte di un patrimonio culturale comune di rilevanza europea e mondiale. Alvar Aalto ha inoltre iniziato a progettare mobili come una naturale e fondamentale estensione del suo pensiero architettonico. Il suo primo pezzo moderno di arredamento è stato creato nel 1931 per il sanatorio in Paimio: la bellissima poltrona con l'utilizzo di legno arcuato senza congiunzioni metalliche che si è rivelato essere il suo successo internazionale. Attraverso le innovazioni formali, l'utilizzo del legno curvo e la linea morbida nati nei suoi progetti di mobili, il nome di Alvar Aalto è diventato un'icona nella storia del design. In realtà Aalto ha prima raggiunto la fama in Europa continentale e nel mondo come designer di mobili e, solo in seguito, come architetto. Il suo contributo è tra i successi più importanti perché seme di molte idee dove i giovani architetti e designer contemporanei traggono costantemente ispirazione.
CASA & DESIGN - DESIGN E ARCHITETTURA LAPPONE
AALTO, I SÁMI E L’ARTE DI
SEGUIRE LA NATURA DESIGN E ARCHITETTURA LAPPONE AL SERVIZIO DELLA MADRE TERRA di Gaia Badioni gaia.badioni@hotmail.it
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La Lapponia nell’immaginario collettivo è solitamente identificata con alcuni elementi simbolici ben precisi: la neve e il ghiaccio, gli igloo e le slitte trainate dai cani, l’Aurora Boreale, Babbo Natale con le sue renne e il suo il villaggio. Ed effettivamente tutte queste caratteristiche ci sono, in quella regione così lontana e fredda, che comprende la parte settentrionale di Norvegia, Svezia, Finlandia e una penisola russa. Ma c’è ovviamente anche dell’altro. Per esempio, in Lapponia non ci sono gli Esquimesi (dell’Alalska), ma sopravvive l’unico popolo indigeno dell’Unione Europea — i Sámi Lapponi — che parla una propria lingua, canta i joik e mantiene in vita tradizioni millenarie con tanto orgoglio ed entusiasmo. Qui tutto segue un principio molto semplice che si basa sull’armonia con la natura. In un luogo così prepotentemente sublime, ostico e rigido non ci si può permettere di fare i supponenti, ma ci si deve necessariamente piegare allo scorrere naturale delle cose. Questo i Sámi lo sanno bene e hanno passato tale perla di saggezza di generazione in generazione, per formare un pensiero collettivo solido e duraturo nel tempo. La massima concretezza di questo pensiero la si può notare nel design e
Bicicletta Jupo
nell’architettura lappone finlandese, in quei piccoli oggetti che profumano di bosco, e che non passano mai di moda perché pensati per intrecciarsi con il ritmo quotidiano e accompagnarlo nel suo accordo con la natura circostante. Nel 1965 la casa di produzione finlandese Helkama lancia sul mercato le biciclette Jopo, ovvero “la bicicletta per tutti”. Colori e design a “taglia unica”, facile e veloce da modificare, regolabile per ciascun componente della famiglia, con un’ottima durabilità, guida in posizione eretta e pedalata senza resistenza; la bicicletta Jopo esprime al meglio il pensiero filosofico-progettuale (e di vita) lappone: struttura semplice e duratura, estremamente regolabile. Reintrodotta sul mercato nel 2000 con un modello aggiornato Jopo è stata definita in un articolo del Financial Times come “la bicicletta che potrebbe diventare per Helkama ciò che rappresenta la Mini per la BMW”. Tuttavia, il massimo esponente di questo pensiero è stato, senza ombra di dubbio, l’architetto modernista Alvar Aalto, firma di alcuni progetti cardine dell’architettura contemporanea, ma anche di oggetti di design immortali prodotti dall’azienda Artek, fondata nel 1935 insieme alla moglie Aino, come la sedia Paimio o lo Pianta della città di Rovaniemi a “corna di renna” sgabello Stool 60.
CASA & DESIGN - DESIGN E ARCHITETTURA LAPPONE
ALVAR AALTO
Alvar Aalto ha rappresentato uno dei più importanti esponenti della cultura architettonica finlandese del Novecento. Nato nel 1898 nella Finlandia sud-occidentale, studia architettura al Politecnico di Helsinki con i maestri Usko Nyström e Armas Lindgren, due docenti esponenti di quella corrente neoromantica che si contrapponeva alla dominazione classicheggiante della cultura russa. L’idea aaltiana si ritrova soprattutto nei suoi edifici, caratterizzati da una poetica organica nella quale l’interesse per la natura costituisce un elemento di continuità con l’approccio progettuale, al punto che nelle sue opere è possibile scorgere un vero e proprio “culto della natura”. L’unione tra costruzione e natura consiste nel trasformare e inglobare la natura dentro e fuori gli edifici e renderla un elemento della composizione, ricorrendo all’imitazione del suo ordine. “L’architettura non deve sostituire né la foresta né la fattoria, bensì porsi come completamento di entrambe”, diceva
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Veduta esterna del Lappia Hall
Veduta dell’esterno Rovaniemi
della
biblioteca
di
guardando soprattutto alle sconfinate dimensioni della natura finlandese originaria. A partire dalla seconda metà degli anni ’30, Alvar Aalto intraprende una ricerca più libera e personale, fondata da un lato sulla riscoperta dei materiali tradizionali, dall’altro sulla centralità dell’uomo come principale fruitore dello spazio. Questa sua nuova interpretazione dello spazio è ben visibile nel progetto per la ricostruzione del centro di
Rovaniemi, capoluogo della Lapponia, che durante la seconda guerra mondiale vide le truppe tedesche abbattere circa il 90% degli edifici cittadini. Potete comunque leggere un approfondimento su Alvar Aalto nell’articolo di arte che segue a questo.
LA RICOSTRUZIONE DI ROVANIEMI
Il disegno per la ricostruzione del centro di Rovanieni – cominciato nel 1944-45, ma realizzato a partire dagli anni ’50 –, è pensato come una composizione di edifici che formano la testa di una renna: due rami del parco centrale escono dal tessuto verde come le corna dell’animale, altri due creano la testa e uno indica la schiena. Per questo motivo il piano urbanistico della città viene chiamato “Piano a corna di renna”. Tutti i palazzi del centro della città manifestano il senso di comunità e la cultura tipica del luogo, e ribadiscono l’importanza storica della città come centro e crocevia di traffici economici verso il Nord. Gli edifici che Aalto progetta per Rovanieni sono la Biblioteca, la Lappia Hall, l’edificio per la Famiglia Aho, l’area residenziale di Korkalorinne e la Rovaniemi Town Hall; quest’ultima completata solo nel 1988 dopo la sua morte.
può sfruttare al meglio la luce durante l’inverno); nella parte bassa, attorno ai tavoli della sala lettura, troviamo la stessa luce dorata penetrare da dietro le scaffalature e attraversare i libri a ricreare un accordo caloroso tra i diversi ambienti. Il teatro di Rovaniemi, la Lappia Hall, che comprende anche una sala concerti e uno spazio per congressi, vede in pianta una differenziazione degli spazi; che si identificano chiaramente nel prospetto esterno dell’edificio, creato da volumi gentilmente curvi e morbidi a ricordare le montagne attorno alla città. Per la Hall Aalto utilizza materiali e colori a lui cari (ceramica blu notte e setti in acciaio laccato bianco, marmo lappone per la pavimentazione), che enfatizzano l’unità della struttura nella quale emergono luci Contigui sulla piazza centrale troviamo bianche e blu a dominare l’intero edificio, la Biblioteca (1961-65) e la Lappia Hall sia al suo interno che all’esterno. (1961, 1968-72, 1973-75), due edifici spettacolari dal punto di vista progettuale, Bagliori, riflessi, marmo o legno sono tutti elementi che richiamano la Madre con caratteristiche uniche. La biblioteca è un esempio di Terra lappone, ghiacciata e profumata di sperimentazione luminosa: nel grande quercia. open space nel quale convivono livelli Lasciandosi cullare da un canto differenti a seconda della destinazione tradizionale, attraverso quelle sfumature, dello spazio, la luce naturale non entra si può anche intravedere la magia direttamente, ma s’insinua delicatamente dell’Aurora, il punto dal quale tutto attraverso finestre collocate lungo comincia e a cui tutto fa ritorno. Elemento una curvatura del tetto (ben visibile fondante di un popolo e dei suoi oggetti nel prospetto sud, lato dal quale si preziosi.
CURIOSITÀ DICEMBRE
Curiosità DICEMBRE di Sylvie Capelli sylvieannacapelli@gmail.com
Musée d’Orsay
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In occasione dell’esposizione universale del 1900 a Parigi, viene costruita sulla riva sinistra della Senna una stazione ferroviaria con hotel di lusso, per ospitare i visitatori. Essendo in centro città e nei pressi di palazzi di pregio quali il Louvre, la struttura metallica è stata rivestita interamente in pietra calcarea secondo le indicazioni dell’architetto Victor Laloux. Dopo diversi anni di lavori, il 1° dicembre del 1986 la stazione si trasforma completamente diventando uno dei maggiori musei parigini, con diversi milioni di visitatori ogni anno. Non solo quadri, ma sculture, fotografie e arti decorative si svelano agli amanti dell’arte. La scelta delle opere è legata al periodo tra il 1848 e il 1914: quello ricchissimo dell’impressionismo e post-impressionismo.
Cambio di sesso
Il 1° dicembre 1952 il New York Daily News pubblica in prima pagina una notizia che fa epoca: “Ex soldato diventa una bella bionda!” Christine Jorgensen, una donna transessuale danese, è la prima persona a sottoporsi, con esito positivo, all’operazione chirurgica per il cambio di sesso. In realtà queste operazioni venivano eseguite fin dal 1930, ma Christine si è prestata volentieri a essere portavoce di transessuali e transgender, raccontando la sua esperienza nei campus universitari americani e ovunque qualcuno desiderasse ascoltarla. Una sua celebre affermazione è quella di aver dato “un bel calcio nei pantaloni” alla rivoluzione sessuale.
CURIOSITÀ DICEMBRE
Frigorifero
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Ormai fa parte della nostra vita quotidiana e non possiamo immaginare le nostre case senza questo elettrodomestico utilissimo, brevettato il 7 dicembre 1851. Nell’antichità i modi più efficaci per conservare il cibo erano la salagione e l’essicazione, metodi utilizzati ancora oggi per alcuni prodotti (ad esempio i prosciutti e lo stoccafisso). Poi è stato scoperto che il freddo aveva la funzione di rallentare la crescita di batteri e la conseguente decomposizione degli alimenti. Conseguentemente sono state costruite delle ghiacciaie: vere e proprie stanze, dove la presenza di ghiaccio manteneva la temperatura costante. Il frigorifero ne è l’evoluzione. La temperatura media di un frigorifero è di +4°C. In alcuni modelli c’è una parte destinata alla conservazione di alimenti surgelati, la cui temperatura è -18°C.
Casinò di Monte Carlo
Il principe Florestano I di Monaco fu lungimirante quando, nel 1854, liberalizzò il gioco d’azzardo. Il 14 dicembre 1856 ci fu l’inaugurazione del casinò in un quartiere nuovo del Principato, che venne chiamato Monte Carlo. Gli introiti del casinò e la speculazione immobiliare nell’area fecero la fortuna sia degli amministratori che della famiglia regnante, con la conseguenza che Carlo III decise di abolire ufficialmente tutte le tasse nel Principato di Monaco. Oggi Monte Carlo comprende il casinò, un teatro e la sede del balletto di Monte Carlo: ideale una visita, quindi, non solo per gli amanti del gioco d’azzardo di tutto il mondo.
Proverbi Italiani Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi. Dicembre imbacuccato grano assicurato. Dicembre mese di bruma: davanti mi scalda e dietro mi consuma. Santa Lucia. Il giorno più corto che ci sia.
- UNCHARTED 4
GAMES
UNCHARTED 4: Fine di un ladro di Nicola Guarneri guitartop@libero.it
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Il prossimo marzo uscirà il quarto e ultimo capitolo di Uncharted, una vera chicca per i videogiocatori. “Ogni tesoro ha il suo prezzo”. Campeggia questa scritta sulla pagina della Playstation 4 dedicata al quarto capitolo della saga Uncharted, uno dei titoli con maggiori aspettative per l’anno 2016. Nathan Drake sbarca quindi per la prima volta, dopo innumerevoli avventure, su Playstation 4. Era il 15 novembre 2013 quando veniva annunciato lo sviluppo del gioco: ci sono voluti più di due anni alla software house Naughty Dog per mettere a punto l’ultimo capitolo della saga, che si preannuncia come scoppiettante e ricco di novità. Per i novelli: Nathan Drake è il classico cacciatore di tesori, un moderno Indiana Jones (la Naughty Dog si è ispirata a Harrison Ford in fase di costruzione del personaggio). Impavido e coraggioso ma anche “un personaggio simpatico” (cit. critici importanti) afferma nel primo capitolo della saga “Drake’s Fortune” di essere il discendente di Sir Francis Drake, il corsaro inglese che nel secondo ‘500 portò la flotta inglese a sconfiggere l’Invincibile Armata spagnola, anche se una rivelazione nel terzo capitolo sembra smentire la parentela.
Nonostante non siano stati rivelati molti particolari su Uncharted 4, è stata rilasciata una breve trama: “Nate” è un po’ invecchiato – sono passati tre anni da Uncharted 3 “L’inganno di Drake” – e il nostro personaggio si è ritirato dalla caccia ai tesori. La vita però riserva sempre qualche sorpresa, come la comparsa del fratello Sam, in pericolo di vita. Sam propone un’avventura cui Drake non può resistere: nella fitta foresta del Madagascar, in una colonia pirata chiamata Libertalia, è nascosto il tesoro del capitano pirata Henry “John” Every. Il 6 dicembre 2014 è stato diffuso il primo gameplay (potete vederlo cliccando qui, mentre il trailer in italiano dello scorso anno potete trovarlo qui): in compagnia del fido Sully, vediamo Drake contro il solito branco di nemici in un’isola che sembra proprio nel Madagascar (probabilmente Île Sainte-Marie). Il passaggio alla Playstation 4 mostra un grande salto qualitativo soprattutto nella grafica, che si preannuncia ancora più spettacolare e realistica. Nel corso della storia ci sarà anche il modo di incontrare Elena Fisher, anch’ella invecchiata dopo tre capitoli: un altro interrogativo sarà proprio relativo alla sua storia d’amore con Drake (li avevamo lasciati abbracciati e con Nate che le consegnava un anello di fidanzamento). Insomma, ci sono tutti gli elementi affinché la saga Uncharted chiuda con il botto: bisogna solo aspettare il 18 marzo 2016, data ufficiale di uscita. Per i più curiosi, altri particolari verranno resi noti in questi giorni a San Francisco durante il PlayStation Experience; se ancora non vi basta, potete già acquistare il gioco in prevendita su GameStop o Amazon per un prezzo che varia dai €74.98 dell’edizione base ai €129.90 dell’edizione da collezionisti.
SPAZIO POSITIVO - UN MODO DIVERSO DI SENTIRE IL NATALE
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UN MODO DIVERSO DI SENTIRE IL NATALE Laura Gipponi info@lauragipponi.com Se vogliamo riconquistare il vero senso del Natale e quindi allontanarci da quell’immagine irreale che sempre di più i mezzi di comunicazione di massa vogliono mostrarci, dobbiamo iniziare a guardare noi stessi con un’ottica diversa. Il mio suggerimento è quello di sentirci, innanzitutto, esseri spirituali. Consideriamo che il nostro corpo non è nient’altro che un contenitore, un abito che indossiamo quando veniamo alla luce e che ci accompagna per tutto il tempo della nostra vita, ci dà modo di vivere insieme agli altri, di fare esperienze, provare emozioni, ridere, piangere, correre, avere freddo, caldo e mille altre cose; sostanzialmente di sperimentare ogni tipo di cosa su questa terra. Ma la nostra vera natura è spirituale, noi siamo essenza, siamo energia. La parte migliore di noi e di tutto è l’invisibile. Se solo ognuno iniziasse ad avere consapevolezza di questo, senza dubbio si arriverebbe ad un mondo migliore. È importante avere fiducia nell’invisibile, avere fiducia che a fianco a noi costantemente, anche se in una diversa dimensione, esiste una grande energia positiva e buona alla quale rivolgerci ogni momento per essere migliori, per essere aiutati e affiancati in ogni momento della vita. Perché non rivolgerci ancora di più in occasione del Natale per portare tante cose buone, tanto amore fra di noi? In tutto il mondo c’è tanto bisogno, e uno per uno insieme possiamo fare tanto! Buon Natale cari lettori!
RICETTA SALATA CON VINO ABBINATO
Filetto in crosta
di Sylvie Capelli - sylvieannacapelli@gmail.com
INGREDIENTI: 1 chilo di filetto di manzo (unico pezzo tagliato nella parte più spessa), 50 grammi di burro, 1 cipolla, 1 tuorlo d’uovo, olio extra vergine di oliva, sale, pepe Per la pasta brisée: 250 grammi di farina00, 100 grammi di burro, ½ bicchiere di acqua fredda, 1 pizzico di sale
Preparazione:
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Il giorno prima affettare la cipolla e farla rinvenire in un tegame ampio con il burro. Unirvi il filetto rosolandolo da ogni lato. Toglierlo dal fuoco e lasciarlo raffreddare. Porlo in frigorifero, coperto con la pellicola, per una notte. Preparare la pasta brisée: amalgamare con le mani farina, burro e sale; aggiungere l’acqua in seguito (un cucchiaio alla volta) e lavorare poco l’impasto fino a renderlo uniforme. Coprire con la pellicola e far riposare in frigorifero per un’ora circa. Un’ora prima della preparazione togliere il filetto dal frigorifero per fargli raggiungere la temperatura ambiente. Pre-riscaldare il forno a 190°C. Salare e pepare il filetto su ogni lato. Stendere la pasta brisée su una placca da forno unta di olio e disporre il filetto al centro. Richiudere la pasta sigillandola ermeticamente. Creare un “camino” nel centro utilizzando della carta di alluminio in modo che l’umidità che si svilupperà durante la cottura possa uscire. Spennellare con tuorlo d’uovo e infornare per circa 30 minuti. Lasciare riposare per 10 minuti prima di servire.
Barolo Monprivato 2010 Giuseppe Mascarello Rosso Docg Nebbiolo 100% Per finire bene l’anno non potevamo farci mancare un’escursione in terra langarola. Oggi parliamo dell’azienda Giuseppe Mascarello e del suo Barolo Monprivato, un gioiello che ha fatto breccia nel cuore dei puristi del grande nebbiolo. Quindici ettari di vigneto tra i comuni di Castiglione Falletto e Monforte D’Alba, conduzione a carattere familiare, caparbi sostenitori della tradizione fatta di lunghe macerazioni e utilizzo di grandi botti di rovere di Slavonia. Granato al colore, non smentisce al naso la sua esemplare eleganza. Floreale di rosa e violetta, balsamico d’eucalipto e aghi di pino, fruttato di fragoline di bosco e confettura di lamponi, spezie fini e bastoncino di liquirizia. Al gusto è pieno, dai tannini ancora graffianti, ma ben integrati nella struttura.
RICETTA DOLCE CON VINO ABBINATO
Biscotti di Natale
di Sylvie Capelli - sylvieannacapelli@gmail.com
INGREDIENTI: 350 grammi di farina00, 250 grammi di panna, 150 grammi di zucchero, 2 tuorli d’uovo, 1 bustina di lievito per dolci, un cucchiaio di zest (buccia gialla) di limone grattugiato, 1 pizzico di sale, 150 grammi di zucchero a velo
Preparazione:
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In un recipiente versare la panna fresca (non montata) e aggiungere la farina setacciata mescolando bene, in seguito lo zucchero, il lievito, i tuorli, lo zest di limone e il sale. Amalgamare tutti gli ingredienti e, nel caso in cui l’impasto risultasse troppo “appiccicoso”, aggiungere a piccolissime dosi altra farina setacciata. Avvolgere l’impasto nella pellicola e lasciare riposare in frigorifero per un’ora. Stendere l’impasto a un’altezza di circa 4/5 millimetri, e tagliare i biscotti con formine diverse in base alla vostra fantasia. Pre-riscaldare il forno a 180°C. Ricoprire una teglia di carta forno e trasferire i biscotti ben distanziati tra loro per evitare che si “fondano” l’uno con l’altro durante la cottura, ma mantengano la forma desiderata. Cuocere i biscotti per 10 minuti. Toglierli dal forno e lasciarli raffreddare. Decorare con zucchero a velo prima di servire.
Colli Orientali del Friuli Cialla Picolit 2009 Ronchi di Cialla
di Carlo Cecotti - carlocecotti@yahoo.it
Bianco Dolce Docg Picolit 100% Nei primissimi anni settanta, Paolo e Dina Rapuzzi decisero di abbandonare la frenetica vita della città per trasferirsi in quel di Cialla, piccola valle incantata e ormai famoso cru a pochi chilometri da Cividale del Friuli, decretando così l’inizio della loro avventura enoica. L’azienda, oggi fiore all’occhiello della viticoltura friulana, ha saputo distinguersi nel corso del tempo per avere scommesso sulla riscoperta e valorizzazione dei vitigni di antica usanza locale. Dorato brillante alla vista, maestoso l’impianto olfattivo. Albicocca disidratata, pesca e ananas sciroppati, un delicato sentore di papaia. Floreale di mimosa e dolci sensazioni di pasticceria, brioche alla crema e miele di tarassaco. Una lieve nota iodata a chiudere. Al palato è cremoso ma non eccessivamente zuccherino, dal finale sapido e vigoroso. Vino versatile che si presta a diverse tipologie di abbinamento.
Diana Ghisolfi, Cremona
Inviaci le tue foto a info@lapausa.eu
Irene Ravara, Casalbuttano
LETTERA DELL'EDITORE Cari lettori, con il numero di dicembre, La Pausa Magazine si prende un periodo di riflessione. In quanto direttore editoriale non avrei mai voluto arrivare a scrivere queste righe ma, come potete immaginare, talvolta la vita impone scelte difficili. Auraoffice Edizioni nasceva solo tre anni fa, e in pochi mesi i prodotti editoriali della nostra casa editrice si sono moltiplicati oltre le più rosee aspettative: Il Tesoro della Mente e La Pausa sono stati i “pionieri” di questa nuova avventura, e proprio per questo spiace soccombere alle congiunture economiche e sacrificare un prodotto che per tre anni è stato un appuntamento fisso. Se la raccolta pubblicitaria e i canoni promozionali non sono stati all’altezza delle aspettative, certo non posso incolpare voi lettori: anzi, posso solo ringraziarvi. Siete stati Voi a permettere la pubblicazione di ben 28 numeri, con il vostro calore e i vostri commenti, le vostre letture e le vostre condivisioni. Oggi purtroppo le nostre energie sono impegnate nella promozione degli altri prodotti editoriali e, piuttosto che offrirvi un magazine che non sia all’altezza degli standard che ci hanno fatto sfondare il muro dei centomila lettori, preferiamo prenderci un periodo di riflessione; dopo il quale ci auguriamo di tornare più forti, belli e interessanti di prima. Una volta una persona mi disse: “Le cose belle finiscono solo perché ne inizino di più belle”. Seppur convinta di non aver ancora scritto la parola fine nella storia de La Pausa, non posso quindi che invitarvi a seguire il nostro magazine Cronaca&Dossier, i libri pubblicati da Auraoffice Edizioni e tutte le novità che abbiamo in serbo per il 2016. Ancora una volta, grazie a tutti. Senza di voi tutto questo non sarebbe stato possibile. Laura Gipponi