La Pausa N. 21

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C PI

ANNO 3 NUMERO 21

O A G R U AT

A IT

EXPO 2015

Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita

Sport

I quarti di finale della Champions League

Musica

Storia W

NE

Il raid aereo su Tokyo dell’aprile 1942

Hand. Cannot. Erase. Il nuovo album di Steven Wilson


GREEN

STORIE DI VITA VISSUTA Da Genova a Bali

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VIAGGI Israele

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NATURA Mar Morto

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ANIMALI Scorpione

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RED

TELEFILM Better Call Saul

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LIBRI Bombardare Auschwitz

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STORIA Raid aereo su Tokyo

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MUSICA Steven Wilson

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MODA La moda è morta?

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BLUE SPORT Champions League 2015

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SPORT MINORI Downhill

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SPORT CERTIFICATI Tiro al piattello

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MOTORI Kawasaki ER - 6F

YELLOW

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ARTE Museo d’arte di Tel Aviv

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CASA & DESIGN Tel Aviv

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SPECIALE Expo 2015

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LA PAUSA COMICA

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CURIOSITA’ Marzo

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PINK

ANNO 3 N. 21 Rivista on-line gratuita DIRETTORE RESPONSABILE Pasquale Ragone DIRETTORE EDITORIALE Laura Maria Gipponi GRAFICA E IMPAGINAZIONE Giulia Dester HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO Laura Gipponi, Diana Ghisolfi, Nicola Guarneri, Gaia Badioni, Simone Zerbini, Luca Romeo, Maria Solinas, Susanna Tuzza, Matteo Pigoli, Raffaele d’Isa, Sylvie Capelli, Gianluca Corbani, Gianmarco Soldi, Valentina Viollat, Roberto Carnevali, Christian Paone, Carlo Cecotti.

GAMES Adventure Rooms

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SPAZIO POSITIVO L’immaginazione

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RICETTA SALATA VINO ABBINATO

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RICETTA DOLCE VINO ABBINATO

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Testi e foto non possono essere riprodotti senza autorizzazione scritta dall’Editore. Le opinioni espresse negli articoli appartengono ai singoli autori dei quali si intende rispettare la piena libertà di espressione.

FOTO DEL LETTORE

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ANTICIPAZIONI

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Registrato al ROC n°: 23491 Iscrizione al tribunale N: 1411V.G. dal 29 ottobre 2013

DIREZIONE/REDAZIONE/PUBBLICITA’ AURAOFFICE EDIZIONI S.R.L. a socio unico Via Diaz, 37 / 26013 Crema (CR) Tel 0373 80522 / Fax 0373 254399 www.auraofficeedizioni.com


STORIA DI VITA VISSUTA - DA GENOVA A BALI

Da Genova a Bali 4

Data la distanza, abbiamo fatto l’intervista via Skype con qualche problema tecnico dal momento che a Bali il servizio internet è davvero pessimo. La voce è allegra e la voglia di raccontarsi tanta; nella speranza che la sua esperienza possa essere utile ad altri italiani che volessero intraprendere questo tipo di vita, ecco la storia di Michele. di Sylvie Capelli sylvieannacapelli@gmail.com


Come ti chiami e quanti anni hai? Mi chiamo Michele Griffo e ho 30 anni.

Dove vivi, da quanto tempo, per quale motivo? Vivo a Bali da circa 3 anni per lavoro.

Che lavoro fai?

Sono “operation manager” in un beach club che comprende due ristoranti (uno di cucina internazionale e uno di cucina indonesiana), una piscina, un bellissimo prato per prendere il sole. Mi occupo della gestione da vari punti di vista: amministrazione, finanza, budget, ma anche supervisione di servizio e cucina.

Cosa ti ha spinto a trasferirti all’estero?

La grande passione per le lingue, soprattutto l’inglese. Dopo essermi iscritto alla facoltà di Scienze Politiche, mi sono reso conto che non c’era la possibilità di approfondirne realmente la conoscenza, e quindi, malgrado le iniziali resistenze familiari, a 19 anni ho deciso di partire per 3 mesi in Gran Bretagna, dove ho trovato un impiego nella cucina di un ristorante come… lavapiatti! Stavo bene e i 3 mesi previsti sono diventati presto un anno. A quel punto sono andato in Svizzera, dove ho fatto l’università diplomandomi in Marketing Hospitality Management. Varie esperienze lavorative tra Svizzera e Gran Bretagna e poi il salto verso il magico oriente, prima due anni in Cina, poi uno a Kuala Lumpur (l’esperienza meno interessante) e ora eccomi a Bali.

Qual è stata la prima impressione del paese in cui vivi?

All’arrivo sono stato investito da una sensazione incredibile di rumore e caos, ma anche dal profumo avvolgente dei chiodi di garofano che inizi a percepire non appena sceso dall’aereo e che non ti lascia più. In Indonesia sono molto di moda sigarette profumate con questo aroma. E poi l’accoglienza della gente.

Descrivi una tradizione caratteristica (usanze, aneddoti, superstizioni) Il capodanno induista Nyepi (qui siamo nel 1937) che quest’anno si è celebrato il 21 marzo – la data cambia in base al calendario lunare – noto come “giorno del silenzio”. In questo giorno tutta Bali si ferma… completamente! Non si esce


BALI

STORIA DI VITA VISSUTA - DA GENOVA A

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di casa, non si accendono le luci (consentite le candele), l’aeroporto stesso è chiuso e se la polizia ti trova in giro per le strade o fai troppo rumore, rischi addirittura l’arresto. Nyepi è il giorno in cui gli spiriti scendono sulla terra e bisogna lasciarli fare senza intralciarli; altrimenti il rischio è che si impossessino del tuo corpo con conseguenze letali.

nella sua vita. Ovviamente mi sento straniero, ma benvenuto e non tenuto a distanza. Bisogna tenere presente che a Bali un uomo bianco è in genere un turista, quindi da “spremere”, ma dal momento che ora parlo anche indonesiano vengo accettato ancora di più e considerato sempre meno “farang” (termine che in tutto l’oriente indica lo straniero, spesso in senso negativo).

Ti sei sentito o ti senti stranie- Descrivi i pro e i contro di ro? Come sei stato accolto? essere italiano all’estero Sono stato accolto benissimo, la gente di Bali è molto ospitale e ti coinvolge

Ci sono sicuramente più pro che contro; gli italiani sono visti come persone


creative e simpatiche, per contro vengo- to di vista professionale che personale. Aggiunto al curriculum sicuramente aiuta no considerati un po’ “furbetti”. anche a trovare lavoro in Italia. Credo che genere gli italiani non facciano grandi Cosa ti manca dell’Italia? (se in sforzi per trovare lavoro, ci vuole elasticic’è qualcosa che ti manca) tà e capacità di adattamento iniziale anIl concetto di città, di ritrovarsi in piazza, che a lavori apparentemente umili – ho al bar con gli amici, una passeggiata in iniziato come lavapiatti – per far decollare centro, il panificio sotto casa con la sua una carriera soddisfacente. focaccia insuperabile, il cibo e… il vino! (qui è principalmente importato dall’AuHai già pensato alla tua prosstralia ed è carissimo).

sima meta?

Mi piacerebbe provare ad andare in Sud America che non conosco ancora, ma la magia del continente asiatico è una calaAl 110%. A mio parere un’esperienza di mita che mi tiene bene ancorato a questa lavoro all’estero arricchisce sia dal pun- realtà.

Consiglieresti a un italiano di seguire le tue orme?

La pagella di Michele Offerte di lavoro 6,5

A Bali c’è molta competizione, devi avere un buon curriculum per farcela; ma in generale in Asia ci sono opportunità enormi in molti campi.

Stipendio medio 7

Gli stipendi si basano su un contratto di “expatriate package”, vengono erogati in dollari USA e comprendono la casa, il permesso di soggiorno, uso di telefono e mezzi pubblici, un volo all’anno per tornare in Italia e l’assicurazione. Tutto sommato sono più alti rispetto a uno stipendio medio in Italia.

Costo della vita

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Il costo del cibo è bassissimo (riesci a trovare dei piatti anche a 1 Euro), per contro i vini

sono carissimi e per un mega di internet al mese pago 80 Dollari USA (e con una qualità davvero scarsa).

Difficoltà linguistiche

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Personalmente conosco inglese, francese, spagnolo, ovviamente italiano. In genere in Asia l’inglese è abbastanza diffuso, soprattutto nella ristorazione. Quando ero in Cina ho imparato un po’ di mandarino, che ora ho sostituito con l’indonesiano.

Relazioni sociali

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Molto facile a Bali entrare in contatto con la popolazione locale. Mentre nei tre anni in Cina ho conosciuto bene un paio di persone soltanto, qui ho moltissimi amici.


VIAGGI - ISRAELE

ISRAELE

Gerusalemme prega e Tel Aviv si diverte Dove nel deserto crescono le fragole e il rumore delle discoteche fa da sottofondo alle preghiere

8 di Maria Solinas solinasmaria1989@gmail.com


porto turistico in tutto Israele), vicino alla città di Tel Aviv. Che siate cristiani o meno, una tappa fondamentale è di certo Gerusalemme: qui, oltre al famosissimo Muro del Pianto, è possibile visitare la Spianata delle Moschee, la Basilica del Santo Sepolcro, la Tomba di Maria e la Chiesa dell’Ascensione, oltre che l’Orto del Getsemani e il Monte degli Ulivi, da cui potrete godere di un panorama mozzafiato. Passeggiando per i vicoli della Città Vecchia, racchiusa all’interno delle antiche mura nelle quali si aprono le magnifiche porte,

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Pensando a Israele, non si può non pensare all’ebraismo; pensando all’ebraismo, non si può non pensare a tutto il resto. Pensando a tutto il resto, non si può non pensare alla forza di un popolo che, dopo essere stato annientato, è rinato dalle proprie ceneri ed è riuscito ad ottenere uno stato; stato che è diventato una superpotenza mondiale alla velocità della luce. E tuttavia, pensando alla forza di questo popolo, non si può non pensare all’oggi, costellato di contraddizioni e violenze. Un turista che voglia davvero scoprire e capire Israele deve lasciare a casa ogni tipo di superficialità e pregiudizio e portare invece in valigia una bella scorta di curiosità, rispetto e spirito critico. Prima di partire, è vivamente consigliato di informarsi (consultando per esempio il sito della Farnesina) riguardo la sicurezza del paese nel periodo scelto per la vacanza, soprattutto se si intende visitare i territori limitrofi, nei pressi della Striscia di Gaza. La questione della sicurezza viene affrontata con molta serietà all’interno dell’Aeroporto Ben Gurion (unico aero-

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VIAGGI - ISRAELE

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ci si sente immersi nella storia e si percepisce il fascino spirituale che emana la Città Santa; Gerusalemme tuttavia non è soltanto città cristiana delle origini, in quanto la presenza di ebrei e arabi è molto forte e, di conseguenza, il turista avrà il privilegio di poter ammirare monumenti, edifici, quartieri e stili di vita appartenenti alle tradizioni delle tre grandi religioni monoteiste in un unico sito. Altra meta molto gettonata è Betlemme: qui si possono visitare la Chiesa della Natività e la Grotta, anche se la fila sarà interminabile (e, se si tratta di un viaggio nei mesi di luglio e agosto, potenzialmente ‘fatale’). In tutto il territorio israeliano sono presenti luoghi della tradizione biblica facilmen-

te raggiungibili e visitabili: un turista ha quindi la possibilità di costruirsi un proprio itinerario di fede, una sorta di pellegrinaggio personalizzato, oppure di seguire i tanti itinerari proposti. Israele non è soltanto sinonimo di spiritualità e solennità: Tel Aviv è oggi una metropoli da più di un milione di abitanti, occidentale nello stile di vita, avanzata economicamente e tecnologicamente, all’avanguardia dal punto di vista sociale e culturale. Negli ultimi anni è diventata una delle capitali mondiali del divertimento e della vita notturna e, grazie al proliferare di locali per giovani e discoteche, è da molti soprannominata la ‘Miami d’Oriente’. Israele non va sottovalutato neanche


dal punto di vista ‘balneare’: le sue spiagge, pulitissime e dorate, si stanno imponendo sul mercato turistico, configurandosi come mete d’elite; gli hotel di lusso spopolano e i b&b intimi e accoglienti attraggono altrettanti avventori, mentre nei ristoranti il palato viene a contatto con originali mix di oriente e occidente. Israele è dunque un’entità duplice: un volto ha l’espressione solenne della religione e la smorfia sofferta della storia; l’altro volto somiglia a quello di un giovane d’oggi, libero e spensierato, guidato dalla voglia di divertimento. Ma ai due volti non corrispondono due sole anime, bensì una moltitudine di anime diverse, ognuna con

tradizioni particolari, fedi forti e radicate nei secoli dei secoli, cicatrici indelebili e ricordi eterni. Se esiste un paese che va affrontato con la leggerezza di un incontro sulla spiaggia e allo stesso tempo con la serietà di un collegio vescovile, questo è senza dubbio Israele.


NATURA - MAR MORTO

IL MAR MORTO MARE O LAGO?

12 di Diana Ghisolfi dianaghiso@gmail.com


Il mar Morto è in realtà suddiviso in due bacini, quello superiore di profondità elevate e quello inferiore che è quasi prosciugato, mantenuto in vita da un canale. L’unico immissario importante è il Giordano e non è presente nessun emissario, quindi geologicamente il mar Morto è un bacino endoreico. Le coste sono basse e uniformi, nella parte meridionali sono invece paludose.

MARE O LAGO?

Il mar Morto, nonostante abbia l’appellativo di mare, viene anche definito come lago. Si definisce lago un “grande volume libero di acque in superficie, che riempie una depressione del terreno, attorniato da terre per la totalità delle sue rive e senza contatti diretti con gli oceani”. Il mar Morto infatti corrisponde a questa condizione. La salinità dell’acqua non è una caratteristica che permette di distinguere un mare da un lago: esistono diversi laghi salati, che non sono differenti dai mari interni.

NOME

gnifica “mare del sale”. Il nome deriva dall’alta salinità del mare e dalla conseguente assenza di vita. Nell’antichità classica era chiamato Asfaltide.

DOVE SI TROVA

A est confina con la Giordania e a ovest In ebraico si traduce Yam HaMelah e si- con Israele.


NATURA - MAR MORTO

DIMENSIONI e MISURE

La superficie si estende per 650 chilometri quadrati. Lungo 67 chilometri e largo 18, la sua profondità massima è di 306 metri. La superficie dell’acqua si trova a 415 metri sotto il livello del mare, difatti il mar Morto è il lago salato più basso del mondo, occupa la più bassa depressione che esista sulla Terra.

SALINITÁ

Un altro record è quello della salinità: 240% in media che corrisponde a 240 grammi di sale disciolti in 1 chilogrammo di soluzione. Nemmeno gli oceani arrivano a questi livelli, la salinità del mar Morto rientra tra i valori massimi riscontrati nel mondo. La salinità aumenta con la profondità, in superficie l’acqua è meno salata perché diluita con l’acqua degli immissari, ovvero del fiume Giordano e di altri piccoli corsi d’acqua.

FLORA E FAUNA

Non ci sono animali né vegetali che popolano le acque e le rive del mare. Sul fondale sono stati trovati crateri dai quali sgorga acqua dolce, dove vivono diverse specie sconosciute di batteri.

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BENEFICI TERMALI

Oltre a restare perfettamente a galla, il mar Morto è meta turistica molto ambita per le proprietà curative che l’acqua e l’aria possiedono. L’aria è purissima e ricca di ossigeno, l’umidità è praticamente inesistente e questo giova alle vie respiratorie. L’acqua ha una particolare concentrazione di calcio, magnesio, bromina e bitume, tutti elementi molto utili per la cura della pelle perché rispettivamente eliminano le impurità, hanno effetti antiallergici, rilassanti e antinfiammatori.

MANOSCRITTI

Presso le rive occidentali del Mar Morto sono rinvenuti a partire dal 1947 una serie di manoscritti e frammenti di manoscritti appartenenti a un’antica comunità ebraica sviluppatasi tra il II secolo a.C. e il II secolo d.C.

PERICOLO DI SCOMPARSA

In quanto punto più basso della Terra, il mar Morto è anche uno tra i più caldi e l’evaporazione dell’acqua non viene compensata in maniera sufficiente dall’afflusso delle acque degli immissari. Inoltre le industrie del carbonato di potassio danneggiano l’ambiente aumentando la discesa del livello dell’acqua. L’idea per salvare questo mare dal pericolo di estinzione è quella di prelevare i cumuli di sale generati dalla lavorazione industriale nella zona meridionale e inviarli attraverso nastri trasportatori sul versante opposto. Un altro progetto è quello di collegare il mar Morto con il mar Rosso. Ma la situazione politica altamente instabile rende difficile la realizzazione di qualsiasi piano di salvataggio.


Aneddoto Un tuffo nel Mar Morto

di Sylvie Capelli – sylvieannacapelli@gmail.com

Dopo un’entusiasmante giornata nel deserto durante la quale mi sono emozionata nell’ammirare paesaggi, colori, cielo di un azzurro quasi irreale, eccomi sulle rive di un grande lago salato: il Mar Morto. Ascolto un po’ impaziente le raccomandazioni del personale dello stabilimento: “Controllate eventuali piccole ferite, evitate movimenti bruschi per non rischiare che una goccia d’acqua vada negli occhi”. Finalmente eccomi sulla riva… il sole alto nel cielo… il mare/lago azzurro con sfumature bianche… non c’è un filo di vento. Mi tolgo rapidamente i vestiti e immergo il primo piede nell’acqua salmastra, poi il secondo, poi qualche passo barcollante con la paura di cadere e ritrovarmi con gli occhi brucianti dal sale! Penso: “Ora mi sdraio prona per accennare qualche bracciata”… ci provo e non ci riesco: la spinta dell’acqua salata è talmente forte che mi gira supina costringendomi a una posizione semi-seduta. È divertente, davvero si potrebbe leggere un libro o un giornale in questa condizione. Il gioco è terminato, esco dall’acqua e mi ritrovo con uno strato biancastro sulla pelle che inizia a seccarsi; una rapida doccia per toglierlo e la pelle è bella e levigata.


ANIMALI - SCORPIONE

Quando la fama di essere un tipo pericoloso ti rovina la reputazione

LO SCORPIONE Velenoso sĂŹ, ma molto timido

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di Diana Ghisolfi dianaghiso@gmail.com di Diana Ghisolfi dianaghiso@gmail.com


CHI È

Lo scorpione è un invertebrato dalla temibile coda velenosa che però risulta innocuo per l’uomo, tranne in rarissimi casi. Appartiene al phylum (tipo) degli artropodi e alla classe degli aracnidi: di scorpioni ne esistono circa 2000 specie al mondo. Gli scorpioni nascono milioni di anni fa come animali acquatici e solamente nel corso del tempo hanno sviluppato le caratteristiche che li classificano come specie terrestre.

COME È FATTO

Solitamente lungo qualche centimetro, il più grande, quello sudafricano, raggiunge una lunghezza di 20 centimetri; in Italia, invece, il più grande misura 5 centimetri. La testa, il torace e l’addome sono ricoperti da un esoscheletro, uno strato duro di chitina, detto anche carapace. La testa, detta prosoma, è la parte che comprende gli occhi, le chele e internamente il cervello, l’esofago e i muscoli di controllo delle zampe. Due larghi occhi mediani occupano l’estremità superiore, mentre lateralmente ci sono degli ocelli, il cui numero varia da due a cinque, a seconda della specie. Nonostante ciò la vista non è ottima. Le chele, cioè i due pedipalpi, vengono usate per catturare le prede e per difendersi. L’addome è suddiviso in dodici segmenti: cinque compongono la coda, la quale termina con il telson (o pigidio), dove si trovano le ghiandole velenifere e l’aculeo incurvato. Otto sono le zampe che si espandono dai lati dell’addome, divise a loro volta in otto segmenti. Tra il terzo e il quarto paio di zampe fino all’apertura genitale, lo scorpione è provvisto di pettini, organi sensoriali più grandi nel maschio.

COSA MANGIA

Grilli, locuste, blatte, ragni e larve di lepidotteri.

COME SI RIPRODUCE

Ovoviviparo o viviparo. La femmina emana un odore che richiama il maschio, così inizia il complesso rito di corteggiamento e se il maschio non compie il suo dovere rischia di essere ucciso. Se la danza finisce bene, allora la spermatofora viene depositata sul terreno e la femmina la introduce nel proprio orifizio genitale. La gravidanza può durare alcuni mesi oppure un anno e mezzo (a seconda della specie), in questo periodo i piccoli si sviluppano da embrioni nelle ovaie. Nascono una ventina di piccoli, i quali vengono aiutati dalla madre ad arrampicarsi sul suo dorso, dove restano per una


ANIMALI - SCORPIONE

o due settimane, cioè finché non avviene la prima muta. La femmina resta da sola ad accudire i piccoli, il maschio serve solo per la fecondazione. Una volta scesi conducono una vita indipendente e raggiungono la maturità sessuale dopo cinque mute, ovvero dopo due o sei anni.

Ogni specie possiede una miscela di neurotossine unica. La coda viene puntata contro altri artropodi e contro le prede con lo scopo di bloccare il nemico, ma se non vengono disturbati risultano innocui. In realtà sono animali dal comportamento timido. I soli scorpioni pericolosi per l’uomo fanno parte della famiglia Buthidae, tra cui lo scorpione giallo Ovunque: deserto, praterie, foreste, ca- che diventa letale se punge un bambiverne, savane e persino a 3600 m di al- no, un anziano o una persona con partitudine sotto rocce ricoperte di neve. In ticolari problemi di salute. In realtà gli scorpioni non sono in grado di uccidere Italia si trova il genere Euscorpius. un adulto sano, la puntura al massimo provoca dolore, gonfiore e sensazioni di sfinimento.

DOVE SI TROVA

CARATTERE E ABITUDINI

Cacciatori notturni. Vivono dai tre ai quindici anni (a seconda della specie). Oltre al rapporto madre-piccolo, possono essere formati gruppi durante l’inverno per condividere cibo e ripari.

CURIOSITÀ

Se esposto alla luce ultravioletta, l’esoscheletro diventa fluorescente.

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VELENO



TELEFILM - BETTER CALL SAUL

BETTER CALL SAUL Gli spin-off al potere di Nicola Guarneri guitartop@libero.it

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La prima stagione dello spin-off di Breaking Bad sta per terminare negli USA raccogliendo l’entusiasmo di pubblico e critica. Alzi la mano chi si aspettava un fiasco. Chi scrive, come molti, lo scorso anno è rimasto orfano di una delle migliori serie tv di sempre (sul podio personale insieme a Lost e al sottovalutato Fringe). Normale non aspettarsi troppo dallo spin-off incentrato sulle vicende di Saul Goodman, l’avvocato assunto da Walter White in Breaking Bad per riciclare l’enorme mole di denaro derivato dai suoi traffici di metanfetamina. E invece il debutto è stato una bomba: il


primo episodio di Better Call Saul (lo slogan dell’avvocato in BB) è risultato essere la prima con il maggior numero di ascolti di sempre per una tv via cavo, con 7,7 milioni di spettatori. Fin dalla prima inquadratura è chiaro che l’universo narrativo è lo stesso di BB. Con un grande flashback le vicende tornano all’anno 2002, ovvero 7 anni prima delle avventure di Walter White e Jesse Pinkman. Saul Goodman si chiama ancora James McGill, fa l’avvocato d’ufficio e arriva a malapena a pagare l’affitto del suo ufficio, il retrobottega di un negozio cinese di pedicure. Fin dalle prime puntate emergono alcuni protagonisti di Breaking Bad: da Tuco Salamanca, che capita casualmente nelle avventure di Saul, fino a Mike, regular della stagione e sul quale gli sceneggiatori sembra abbiano piani ben precisi. D’altronde Vince Gilligan ha dimostrato più e più volte di avere le idee chiare circa lo sviluppo dei suoi lavori: come dimenticare il pupazzo mezzo bruciato di Breaking Bad all’inizio della seconda stagione, che poi richiama la morte di Gustavo Fring

due stagioni dopo, forse uno dei cattivi più controversi della storia della televisione? Albuquerque e il New Mexico fanno ancora da sfondo alle vicende, con le solite storie di droga, cartelli e criminalità, anche se il primo obiettivo di Saul è quello di imporsi come avvocato di successo. La presenza del fratello Chuck, che vive solo in una casa a lume di candela a causa di una presunta allergia ai campi magnetici, è una delle poche forze che trattiene il giovane Saul alla tentazione della cattiva strada, così come quella di Kim, amica/fidanzata e anche avvocato concorrente. Insomma, ci sono tutti gli ingredienti per una serie di successo, tanto che lo show è già stato rinnovato per una seconda stagione di 13 episodi. Forse non raggiungerà mai i picchi di Breaking Bad, ma Better Call Saul potrebbe essere il primo caso di spin-off a vivere di luce propria.

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LIBRI - BOMBARDARE AUSCHWITZ

BOMBARDARE AUSCHWITZ Perché si poteva fare, perché non è stato fatto di Luca Romeo luca.rom90@yahoo.it

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Auschwitz? Un pericolo «sottovalutato». Non si tratta, ovviamente, di una frase pronunciata ai giorni nostri, bensì nel 1944, anno fatidico in cui la seconda guerra mondiale sta per volgere al termine, con la Germania nazista che sta andando incontro alla sua fine. Mentre gli Alleati (soprattutto Stati Uniti e Inghilterra) cercano di disinnescare ogni possibile ripartenza hitleriana, i campi di sterminio vengono visti come luoghi da smantellare of course - ma senza fretta. Obiettivi secondari, che vengono dopo le basi militari tedesche. A svelare queste notizie è lo scrittore e storico Umberto Gentiloni Silveri, che ha da poco messo sul mercato il nuovo saggio Bombardare Auschwitz.

Molti libri di storia, in maggioranza fino a pochi anni fa, hanno sempre sostenuto che i lager nazisti fossero solo una «voce» che circolava all’interno di un’Europa travolta dalla guerra, ma che il mondo non era realmente a conoscenza di tale scempio. Il libro di Gentiloni, però, ribalta totalmente questa tesi, sostenendo che le forze nemiche a Hitler conoscessero bene la situazione, tanto da aver pensato di distruggere il campo più grande, quello del complesso Auschwitz-Birkenau, tramite un raid aereo. Bombardare il lager dall’alto: è questo il piano militare di Roosevelt e Churchill che però, secondo lo storico autore del saggio, alla fine preferiscono bloccare i punti chiave legati alla guer-


terminata. Bombardare Auschwitz non solo ci parla di una possibilità di fermare un disastro; ci parla anche di come potrebbe cambiare la Storia, se i capi del mondo mettessero - ogni tanto - l’umanità davanti alla strategia bellica.

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ra, risparmiando energie per quella che sarebbe stata una mossa più «umana» che funzionale alla vittoria del conflitto. Docente di Storia contemporanea all’università La Sapienza di Roma, Gentiloni scrive che le forze Alleate sono ben a conoscenza dell’esistenza dei campi di sterminio fin dal 1942, per quanto mai si parli ufficialmente e apertamente del loro utilizzo e di un modo per chiuderli. Tant’è che Auschwitz resterà aperto fino al termine della guerra, anche in quel 1944 in cui Hitler sa già che non potrà mai realizzare i suoi folli sogni di potere e conquista. Mentre Usa e Inghilterra stanno ormai riconquistando l’Europa, infatti, centinaia di migliaia di ebrei, rom, omosessuali e dissidenti politici continuano a morire in quei lager che - forse - sarebbero potuti essere distrutti in precedenza. L’attenzione italiana non può che spostarsi anche sul caso degli Imi, gli internati militari italiani prigionieri in Germania per il solo fatto di essere nati in Italia, dopo il «tradimento» alla Germania dell’8 settembre 1943. Se gli Alleati sapevano dell’esistenza dei lager, probabilmente erano a conoscenza anche dei campi di lavoro dei nostri ex soldati, i quali hanno vissuto in condizioni miserabili fino al 25 aprile del 1945, quando la guerra è effettivamente

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STORIA - RAID AEREO SU TOKYO

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Il raid aereo su Tokyo

nell’aprile del 1942: opportunità politica o mossa militare vincente?

di Raffaele d’Isa compagniadelthe@gmail.com


Questo mese di aprile ricorre l’anniversario di una delle più temerarie operazioni militari mai compiute: il raid aereo americano su Tokyo del 18 aprile 1942 in risposta al proditorio e devastante attacco delle forze aeronavali giapponesi a Pearl Harbor del 7 dicembre 1941. Pearl Harbor fu una vera batosta per la flotta americana del Pacifico, praticamente tutta distrutta a eccezione delle portaerei della U.S. Navy. Agli inizi degli anni ’40 gli Stati Uniti stavano lentamente uscendo dalla Grande Depressione del precedente decennio; si trattava di un Paese con uno sviluppo economico prevalentemente rivolto al benessere della società civile, molto diverso dall’idea di assoluta potenza militare che si affermerà in seguito nell’immaginario collettivo mondiale. L’urto con l’agguerritissimo Impero nipponico fu un vero e proprio trauma per il cittadino americano. Il militarismo del Sol Levante sembrava invincibile e inarrestabile, e i giapponesi erano convinti che il sacro suolo del loro arcipelago fosse assolutamente inviolabile da parte di potenze nemiche. Con la possibilità di fare affidamento solo su portaerei e aeronautica, il presidente Roosevelt gettò le basi – immediatamente dopo Pearl Harbor – per rispondere in qualsiasi modo al Giappone pur di dare una scossa alla tracotanza nipponica e risollevare, in qualche misura, il depresso umore dell’opinione pubblica americana. Il piano fu formulato, in termini tecnici, dal tenente colonnello James Doolittle; e a prima vista lo si sarebbe potuto considerare come il frutto della mente di un folle. Senza basi su terraferma a una distanza accettabile dal Giappone, Doolittle pianificò un decollo di 16 bombardieri dalla portaerei USS Hornet a una distanza di diverse centinaia di chilometri dalle coste giapponesi.

Dopo accurata selezione, la scelta cadde sul B-52 Mitchell, un bombardiere bimotore a medio raggio che aveva fornito le migliori possibilità di adattamento a un tipo di missione per la quale non era stato assolutamente concepito. Sembrava arduo far decollare un bombardiere, idoneo a staccarsi solo da una pista su terra, dal ponte di una portaerei; e fu necessario alleggerire l’aeromobile eliminando la mitragliatrice nel vano inferiore, oltre a tutto ciò che non fosse strettamente necessario, per alloggiare un serbatoio supplementare. I B-52 non avrebbero potuto far ritorno sulla portaerei, perché non più in grado di atterrarvici sopra, una volta decollati ai limiti delle loro possibilità. Il piano prevedeva di bombardare Tokyo, e qualche altra località sul piano di volo, per poi dirigersi verso le coste della Cina, sul cui territorio gli aerei sarebbero atterrati col permesso delle autorità cinesi. I bombardieri non sarebbero nemmeno stati accompagnati dai caccia di scorta. Avrebbero semplicemente volato a poca distanza dalle onde in prossimità dell’obbiettivo, per non farsi intercettare, prima

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STORIA - RAID AEREO SU TOKYO

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di scaricare le bombe su Tokyo. Un piano davvero ai limiti della tecnica militare aeronavale. E d’altra parte si trattava dell’unica mossa operativamente possibile in quel momento ai danni del Giappone. Giocava a favore della missione l’effetto sorpresa. Il governo del Sol Levante non si risparmiava, con la sua propaganda, nel ribadire alla popolazione nipponica che gli scenari di guerra erano e sarebbero rimasti distanti dal territorio nazionale; e un simile attacco non era quindi lontanamente immaginabile dai militari giapponesi. A partire dal primo input dato all’operazione dallo stesso Roosevelt nel dicembre del 1941 — appena dopo Pearl Harbor — il piano fu costruito meticolosamente fino ai primi di aprile, con il definitivo approntamento dei bombardieri e l’addestramento dell’ottantina di militari coinvolti nell’operazione (I B-52 necessitavano di un equipaggio costitu-

ito da 5 componenti per aereo). All’alba del 18 aprile 1942, la squadriglia dovette perfino anticipare il pericoloso decollo a una distanza di 1.200 km da Tokyo, a causa dell’avvistamento di un vascello giapponese che aveva rischiato di compromettere l’operazione. Il volo procedette regolarmente per circa sei ore e, arrivati intorno a mezzogiorno sui cieli di Tokyo, il raid ebbe inizio. Le bombe sganciate colpirono qualche obbiettivo militare, e anche altre strutture; ma la portata dei danni fu complessivamente limitata. I bombardieri si diressero subito dopo verso il Mar Cinese Meridionale. Ma l’arrivo in Cina fu contrastato dal cattivo tempo e dal sopraggiungere della notte. Le operazioni di atterraggio furono tutte di fortuna e ogni aeromobile andò completamente distrutto. Ma la maggior parte dei membri dell’equipaggio riuscì a mettersi in salvo con l’aiuto delle autorità o di semplici civili cinesi. I


morti furono complessivamente sette, su più di ottanta militari. Uno dei bombardieri puntò — perché a corto di carburante — sulle più vicine coste dell’Unione Sovietica. Gli Stati Uniti avevano cercato un accordo in collaborazione con Stalin, ma il governo sovietico aveva stipulato un patto di non aggressione col Giappone, vietando quindi agli americani l’uso del proprio territorio per l’operazione. L’equipaggio, atterrato presso Vladivostok, fu quindi internato dai russi (ma i militari americani sarebbero stati rilasciati dopo circa un anno). Quale fu il bilancio del “Doolittle Tokyo raid”? Lo stesso comandante Doolittle fu colto dalla disperazione in Cina, con tutti i bombardieri andati distrutti; e temette per sé la corte marziale. Ma giornali e radio americani amplificarono la notizia con sorprendenti effetti sul sollevamento dell’umore dell’opinione pubblica americana, ancora depressa dai fatti di Pearl Harbor. E il Giappone si ritrovò a dir poco sotto shock per l’accaduto. Si potrebbe apparentemente concludere che il raid di Tokyo fu un piano ideato più per finalità politico-propagandistiche che per le sue implicazioni militari, dati gli altissimi rischi dell’operazione e gli esigui

risultati effettivi. Ma le cose non stanno esattamente così. Dopo il bombardamento di Tokyo, i vertici militari giapponesi si convinsero che la flotta americana andava definitivamente distrutta, e che la potenza nipponica avrebbe dovuto impossessarsi di avamposti insulari collocati sempre più in direzione del territorio degli Stati Uniti, per una strategia che voleva far coincidere la difesa con l’attacco. Fu proprio il leggendario e influente ammiraglio Yamamoto che, senza sapersi dare pace dopo il raid aereo su Tokyo, concepì un piano che avrebbe dovuto replicare il successo di Pearl Harbor: la conquista dell’isola di Midway. Purtroppo per lui le cose andarono diversamente; e la battaglia di Midway, che avvenne solo nel giugno successivo, fu invece un disastro per la flotta giapponese. Quella sconfitta invertì i rapporti di forza e la direzione dell’intero conflitto, che sarebbe però durato altri tre anni. Midway è un’altra storia, ma i motivi che indussero il Giappone a quella mossa falsa si devono in gran parte proprio ai destabilizzanti effetti psicologici che il bombardamento di Tokyo del 18 aprile 1942 ebbe sugli strenui difensori dell’ordine nipponico.


MUSICA - STEVEN WILSON

Steven Wilson Hand. Cannot. Erase.

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di Gianmarco Soldi gianmarcosoldi@gmail.com


Sembra destinata a non esaurirsi la verve creativa di Steven Wilson, storico frontman e leader della progressive band Porcupine Tree - formazione messa in naftalina per concentrarsi, appunto, sui più recenti esperimenti solistici. Con Hand. Cannot. Erase. la produzione wilsoniana si impreziosisce di una nuova perla, un mix di reminiscenze e avanguardie incredibilmente fresco e sorprendentemente innovativo dopo più di vent’anni di incensata carriera. La formazione a supporto dell’eclettico Steven è la stessa del precedente album, The Raven That Refused To Sing, con

in particolare i soliti Guthrie Govan (chitarra) e Marco Minnemann (batteria) perfettamente calati nel mood dell’album. Il disco è semplice e complesso allo stesso tempo, incentrato sulla storia di una giovane donna che viene lentamente risucchiata dall’indifferenza della vita metropolitana fino a scomparire nel nulla. Tema che, paradossalmente, non si tramuta nelle melodie scure e tenebrose che hanno sempre caratterizzato le produzioni di Wilson, ma in una pregevole alternanza tra arie frizzanti dal retrogusto pop/post e reminiscenze malinconiche supportate da sprazzi strumentali


MUSICA - STEVEN WILSON

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finemente elaborati. Sin dal primo brano, momenti di grande groove (incastrati alla perfezione dalla coppia Minnemann/Beggs) si alternano a strofe melodiose e chitarre acustiche dall’inconfondibile gusto neo prog. Dopo qualche spunto di richiamo alla tradizione più classica in stile Gentle Giant, Genesis e Yes, immediatamente l’album ritorna su strutture che strizzano l’occhio alla moderna elettronica e al cantautorato più introspettivo. La title track e Perfect Life sono i due momenti più accessibili dell’album e – forse paradossalmente per un artista che ha sempre fatto degli orpelli e del labor limae qua-

si estremo il suo elemento distintivo – più emblematici del nuovo sound di Steven Wilson: la prima si snoda tra influenze pop rock e ritmi sincopati che ben si innestano in una struttura piacevolmente orecchiabile, mentre la seconda è un pezzo dalle belle texture elettroniche su cui poggiano vocal delicate, quasi eteree. Se in Routine le linee melodiche si accompagnano alla voce della cantante israeliana Ninet Tayeb, nelle ultime tracce dell’album vi è un parziale ritorno alle timbriche prog metal già assimilate nei precedenti lavori, con l’inseguirsi mozzafiato di assoli tra Adam Holzman e Guthrie Govan. L’ultimo brano, Happy returns, è


l’epitaffio ideale di un album di livello eccelso, sia per struttura, coinvolgimento emotivo, che per coraggio nel miscelare tecniche e influenze molto distanti tra loro. Raramente, prima d’ora, passato, presente e futuro avevano così ben convissuto all’interno di un album di stampo progressive. Ma Steven Wilson ha ormai abituato a stupire gli ascoltatori lavoro dopo lavoro. Hand. Cannot. Erase. è in sintesi un’ulteriore opera d’arte finemente cesellata che dona una nuova veste allo stesso Wilson, il quale a quasi cinquant’anni si dimostra ancora una volta uno dei musicisti e compositori più poliedrici del panorama rock internazionale.

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MODA - LA MODA Ăˆ MORTA?

Il futuro prossimo e anteriore della Moda. La fine di un discorso ma non delle tante parole?

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di Valentina Viollat shoppingamoremio@gmail.com


Li Edelkoort, una delle 25 più influenti trend setter secondo Time Magazine, ci illustra le ragioni per cui la moda è ormai estinta: un mondo autoreferenziale sempre più distaccato dalla società, che coltiva il mito dello stilista prodigio dalla personalità unica e non promuove una visione collettiva della creazione, basata sullo scambio. Un mondo per nulla socio-eco sostenibile, in cui il marketing ha fagocitato la visione, la ricerca e la libera espressione. All’ombra della tirannia del profitto e dell’egomania degli addetti ai lavori, si svolgono i funerali della moda. Sempre più vestiti, sempre meno visione, afferma lapidaria la guru. Ma come riguarda, tutto ciò, le persone che, con i creativi dell’immagine, hanno in comune solo il gesto quotidiano di coprirsi con degli abiti? È una questione che ci riguarda tutti, poiché è una questione di comunicazione. La nostra stessa esistenza, in presenza di un altro, è comunicazione. Silenzi, parole e gesti, sorrisi o sguardi indifferenti. Sono tutti atti comunicativi. Come l’abbigliamento. Anche quando scegliamo di vestirci a caso, solo per coprirci ed essere comodi, stiamo comunicando: che abbiamo scelto di badare solo all’aspetto funzionale dell’abito. Da sempre la semiotica della moda, la teoria dei suoi segni e significati, racconta lo spirito del tempo, la visione di una società. Mettiamoci dunque l’animo

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“È morta la moda per come la conosciamo” tuona Li Edelkoort dalle pagine del magazine di design e architettura Dezeen.

in pace. Che siate modaioli convinti, o che le tendenze le snobbiate, non fa differenza: stiamo tutti comunicando attraverso ciò che indossiamo. Ma se la moda muore, cosa accadrà ai nostri guardaroba e al nostro modo di esprimerci? Sicuramente continueremo a vestirci, a comprare più abiti di quanti ce ne servano, ad esprimere la nostra

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MODA - LA MODA È MORTA?

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personalità attraverso di essi. La parte interessante del discorso di Li Edelkoort è che la moda è morta così come la conosciamo. È morto il sistema moda che l’ha resa nel secolo scorso un impero culturale, estetico ed economico, che imponeva di stagione in stagione una visione. Non è più l’epoca in cui affermare - attraverso i vestiti - una visione del mondo, un cambiamento sociale, una nuova donna e un nuovo uomo. Muore un discorso declamato, chiaro e riconoscibile. Restano molte frasi, parole singole, parcellizzate. Che forse non dicono più niente. Ma che sono lì per essere colte al momento, per esprimere un’impressione, un’emozione momentanea. Nessuno statement, tanti state of mind, pennellati come suggestioni, senza la necessità di comunicare un pensiero preciso. Ad esempio, questa primavera sono di moda gli anni 70 e le stampe vegetali e floreali. Indossando giardini lussureggianti come creature della giungla o vestite di erbari acquarellati, cosa vorremo dichiarare? Comunicheremo un profondo desiderio di comunione con la natura? L’esigenza di rivolgersi alla potente forza del rinnovamento stagionale, per far fronte ai tempi cupi in cui viviamo? No, semplicemente, quegli abiti a fiori incarneranno un’esclamazione: “Bello!” “Fresco!” “Delicato!” Niente di più. Allo stesso modo le psichedeliche e geometriche citazioni anni 70 non testimonieranno null’altro che nostalgia vaga e indistinta, come per i ricordi d’infanzia. Momentanei sussulti emotivi in forma di abbigliamento. La Moda è morta? Al suo funerale andiamoci col nostro migliore vestito.



SPORT - CHAMPIONS LEAGUE 2015

CHAMPIONS LEAGUE 2015 Otto sorelle sulla via di Berlino 38

di Gianluca Corbani corba90@hotmail.it


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La strada per Berlino passa sempre da Dortmund. Il riferimento geografico al 2006 è fin troppo suggestivo, e di certo non sarà un parallelismo a portare la Juve in finale, ma un precedente esiste e anche l’immaginazione in fondo vuole la sua parte. Per la prima volta nella storia della Coppa dei Campioni la finale si giocherà nella capitale tedesca, all’Olympiastadion, l’impianto monumentale che celebrò le imprese di Jesse Owens ai Giochi del 1936 e i record di Usain Bolt nel 2009. Quello di Berlino, però, è e resterà per sempre lo stadio del quarto trionfo mondiale azzurro. Sul campo del Borussia, gli squarci nella tela di Tevez e Morata hanno sostituito le pennellate di Grosso e Del Piero. E in proporzione il significato dell’impresa sembra lo stesso: la presa di coscienza definitiva di un gruppo destinato a vincere. Se non subito, in tempi ragionevolmente brevi. Il resto l’ha fatto il sorteggio, che ha apparecchiato ai bianconeri un quarto di finale

tutt’altro che tremendo. Il Monaco, quarta forza del torneo francese, può essere un avversario rognoso se preso sottogamba (Arsenal docet) ma, tra le 7 possibili avversarie, l’urna ha regalato ad Allegri quella certamente più morbida. Nell’unico precedente, semifinali di Champions ‘98, la tripletta di Del Piero e il gol di Zidane blindarono la qualificazione già all’andata

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SPORT - CHAMPIONS LEAGUE 2015

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(4-1) con sconfitta indolore al ritorno (2-3), prima della finale maledetta di Amsterdam persa di misura con il Real Madrid. Resta la tegola dell’infortunio di Pogba, recuperabile per l’eventuale finale di inizio giugno: con Pirlo sempre più appesantito dallo scorrere del tempo e Vidal ancora distante dal top della condizione, solo Marchisio sembra in grado di sostenere ad alti livelli un centrocampo che potrebbe seriamente accusare l’assenza prolungata del francesino più corteggiato d’Europa. Pogba o meno, il magro bilancio delle italiane in Champions nell’ultimo decennio (solo tre semifinaliste dal 2006) aumenta la responsabilità della squadra di Allegri nei confronti di tutto il calcio italiano. La Juve ha il dovere di superare i monegaschi. Posto che la squadra di Allegri rispetti il pronostico, il vero ostacolo saranno le semifinali, terra di incroci fra le superpotenze dello scenario europeo. Il tabellone dei quarti offre un menu


terminale feroce in grado di dare profondità ed efficacia al gioco. Al fianco di Messi e Neymar, l’uruguaiano compone probabilmente il più straordinario mix di velocità e talento mai visto su un campo di calcio. Consapevolezza che non sfugge a Luis Enrique, bravo a smussare alcuni angoli del suo integralismo in favore di un calcio più elastico e legato alle fiammate in campo aperto dei solisti, nel quale il centro di potere del gioco si è ormai spostato dai califfi del tiki taka Iniesta-Xavi al magnetismo di Messi. In chiusura, Bayern-Porto, in partenza il più sbilanciato tra i quarti di finale. Il successo in Coppa del Mondo a Rio ha aumentato - se possibile - l’autostima e la consapevolezza di un gruppo che ora è pronto a riprendersi tutto anche a livello di club. Il tempo dirà se le sofisticate sperimentazioni di Guardiola, pensate per offrire sempre nuovi stimoli a una supersquadra condannata a vincere, saranno un limite o un valore aggiunto.

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per palati fini e cuori forti, a partire dal derby tra Real e Atletico Madrid, sequel della drammatica finale di Lisbona 2014. Simeone, fresco di rinnovo fino al 2020, può sferrare la mazzata definitiva al traballante Ancelotti e confermare la maledizione del secondo anno, che dal 1990 impedisce alla stessa squadra di rivincere la competizione. L’ultimo a riuscirci fu il Milan di Sacchi. La riconoscenza, evidentemente, non è di casa al Bernabeu e solo l’’’Undicesima’’ salverebbe Carletto, uno che per restituire equilibrio dopo le partenze estive di Alonso e Di Maria è stato costretto a fare i salti mortali, lavorando all’utopia di un centrocampo di soli creativi con Kroos, Modric, Isco e James. Da palati fini Psg-Barcellona. Verratti e Ibrahimovic salteranno l’andata causa squalifica e questo sarà un fattore. La condizione straripante del Barcellona visto negli ultimi tempi fa pendere il pronostico dalla parte dei blaugrana, che in Suarez hanno finalmente trovato quel

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SPORT MINORI - DOWNHILL

DOWNHILL Giù per la montagna

di Simone Zerbini simone-z90@hotmail.it

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Con l’arrivo del primo sole e del primo calduccio non ho potuto fare a meno di notare lo sciame di ciclisti che ha invaso le strade. Con questo articolo ci rivolgiamo agli amanti della bicicletta e non, ma parlando di uno sport a due ruote non proprio tradizionale. Il downhill, disciplina della mountain bike nata circa quarant’anni fa (risale al 1976 la prima gara ufficiale tenutasi a Fairfax in California) e praticata su percorsi preparati lungo pendii anche molto ripidi. Lungo questi tracciati vengono posizionati numerosi ostacoli che prevedono salti e gradoni, ma spesso si ricorre ad ostacoli ambientali già presenti sulla pista come

rocce, radici e parti disconnesse del terreno; a volte ci si costruisce i circuiti da soli (trailbuilding). Le biciclette utilizzate per il downhill non sono semplici mountain bike, ma vengono modificate appositamente per resistere agli urti: telaio molto robusto ma leggero, manubrio largo e sospensioni anteriori e posteriori, il tutto per consentire accelerazioni e frenate rapide. Solitamente vengono montati freni a disco idraulici e rapporti di trasmissioni adatti per sostenere le alte velocità che si raggiungono in discesa, pari o a volte superiori agli 80 km/h. I downhiller indossano protezioni robuste che comprendono casco inte-


Solitamente gli appassionati di downhill si recano a praticare lo sport in luoghi con impianti simili a quelli sciistici chiamati bikepark, presenti in tutto il mondo, dalle Alpi alle Ande, dai Balcani alla Scandinavia, dal Regno Unito all’India e alla Tailandia. In Italia molte piste di Bardonecchia usate durante le Olimpiadi del 2006 in estate vengono utilizzate dai downhiller; altre località sono Pila, Canazei, Livigno, Finale Ligure e la Val Di Sole, dove nel 2008 si sono tenuti i Campionati Mondiali. Forza, ammettete che vi è venuta voglia di abbandonare la vostra tradizionale bicicletta per prendere una mountain bike e lanciarvi giù da una montagna a ottanta all’ora...

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grale e mascherina, equipaggiamento che ricorda quello dei motocrossisti. Le competizioni, inserite nella Coppa del Mondo UCI (Unione Ciclistica Internazionale) dal 1993, prevedono una gara a cronometro individuale, spesso abbinata a gare di dual slalom e four-cross. Una delle varianti più note del downhill è la downhill marathon, competizione in cui tutti i partecipanti partono contemporaneamente e scendono in massa: forse l’evento più famoso è la Megavalanche, gara che si svolge sull’Alpe d’Huez, in Perù e sull’Isola Reunion e si articola su tre giorni. Il primo giorno è consacrato alla pratica, al fine di allenarsi e conoscere al meglio il tracciato; il secondo è giorno di qualificazioni, che determineranno i 50 biker che la giornata seguente, quella della gara, potranno partire con condizioni più agevoli.

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SPORT CERTIFICATI: PEC - TIRO AL PIATTELLO

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La realtà del tiro a volo in Umbria di Roberto Carnevali robertocarnevali@eutelia.com

L’Italia sportiva non è solo calcio: Roberto Carnevali, esperto di tiro al piattello, ci racconta l’esperienza di uno sport che ha sempre portato grandi soddisfazioni ai colori azzurri e che ha in una regione, l’Umbria, il suo centro nevralgico

Lo sport è pura fonte di vita per tutti gli esseri viventi. Vita sana in corpo sano, come gli antichi volevano riconoscersi. Detto questo, il tiro a volo oggi ha raggiunto, grazie alla grande profusione delle varie federazioni internazionali, un indice di ascolto e di pratica agonistica certamente rilevante e soddisfacente sia dal punto di vista dei numeri che dei risultati; basti pensare che la nostra nazione, alle varie partecipazioni olimpiche, porta sempre a casa un ricco medagliere. Ciò è frutto del grande lavoro del vivaio giovanile che periodicamente riesce ad elevare alle massime

espressioni tiravolistiche. Detto questo, mi vorrei soffermare, per quanto conosca la realtà della Regione Umbria (nulla togliendo alle altre regioni) per evidenziare una grande realtà ben coesa e soprattutto fatta di nomi che si stanno affermando in campo nazionale e non. La Regione Umbria, supportata da un consiglio ben improntato per il futuro di giovani promesse, ha realizzato e sta continuando in questo progetto, la massima espressione del tiro a volo. Gloriosa in passato di nomi illustri che hanno fatto di questa regione il fiore all’occhiello della nostra Italia, oggi come


oggi si avvale di numerosi volti nuovi, capaci di continuare una realtà tramandata nel tempo. Per citare alcuni nomi, Alessio Franquillo, Mirco Acciari, Diego Valeri, Leonardo Franceschini, Emanuele Romolini, Davide Allegrucci, Edoardo Massarelli, Emanuele Fioroni, Luca Roscini, Lorenzo Buratta, Fiammetta Rossi sono i nomi nuovi (nella specialità fossa olimpica) che grazie alla costante visione di istruttori qualificati ed affermati sono una piena garanzia per rappresentare questa regione. Molti di loro li vedremo in un futuro non molto lontano, ai vertici delle classifiche, altri ne verranno fuori con pazienza e volontà, per quanto lo richieda questo sport. Personalmente, conoscendo abbastanza bene tutto ciò che naviga intorno agli addetti ai lavori per la realizzazione di questo progetto, credo nello specifico, soprattutto in certe garanzie cha il comitato della Regione Umbria possa confermare a breve termine.

La realtà dei giovani in Italia, è un patrimonio da salvaguardare senza ombra di dubbio, soprattutto alimentando la fiducia che la nostra federazione può apportare laddove ci sono carenze; migliorando qualitativamente i centri CAS, le strutture logistiche, gli impianti sportivi, e concedendo una prospettiva possibile a tutti coloro che vogliono cimentarsi in questa attività. Per cui, facciamo di tutto, affinché il tiro a volo continui a dare tante soddisfazioni e soprattutto a riconoscerlo come una fonte di vita per i nostri ragazzi.

L’ emozione di una finale È mattina, ti svegli, o meglio... ti alzi, perché tutta la notte non hai mai dormito. Devi affrontare una finale. L’emozione si fa già sentire nella tua pelle, scivola ma non va via. Cerchi di non pensarci, prepari tutto secondo il classico rito: il fucile, le cartucce, il giubbino e ti avvii verso il campo di gara. C’è tanta gente, vedi le bandiere sventolare sul podio. L’emozione dilaga nel cuore. Devi affrontare la tua prima finale in una gara, la più importante della tua vita. Un amico si avvicina a te, sussurrandoti un “dai forza, ci sei, dai il massimo, fai un ultimo sforzo... in bocca al lupo”. L’emozione è questa. Una frase, uno sguardo di chi crede in te, di chi ti conosce da una vita e sa cosa stai provando. Tutto è pronto. I tiratori prendono il loro posto e un silenzio cala surreale, si apre il sipario. L’emozione è anche questa. Piano piano, con il tempo di un tam tam, la gara prende il ritmo.Si odono solo gli spari. Comincia a suonare il campanello: zero, zero, zero. Tu invece, piattello dopo piattello, vai avanti. “Sei pieno” (in gergo) l’emozione è questa. Dai, un ultimo sforzo. Gli ultimi cinque, quattro, tre piattelli. Hai il cuore in gola, batte all’infinito. Cominci a sudare, l’emozione è questa. L’ultimo piattello e via, senti uno scroscio di batter di mani, ce l’hai fatta! Il sogno della tua vita, i tuoi occhi luccicano di gioia, una lacrima ti bagna il viso: l’emozione è questa. Nemmeno il tempo di realizzare e vieni circondato: uno stringere di mani, le pacche sulle spalle, la gente che ti ammira. L’emozione è questa, adesso è dentro di te. Alzi lo sguardo al cielo e ringrazi. Tutto questo si chiama emozione, la tua vita è un’emozione. Vivila e cogli l’attimo... della felicità.


MOTORI - KAWASAKI ER - 6F

La moto che ho scelto, quando il sogno è 46

diventato realtà! di Christian Paone christianpaone93@yahoo.it


Dall’età di quattordici anni, la moto è sempre stata per me il sogno che cercavo di toccare con una mano. Sono nato in una famiglia di motociclisti, da mio padre a diversi zii. E, prima ancora di cominciare a comprendere la moto leggendo le riviste di settore, le due ruote sono state per me la magia della libertà con il rombo del tuono. A ventun anni, il sogno è finalmente diventato realtà. Raggiunta l’età della patente, e con un primo lavoro che mi ha dato la possibilità materiale di fare questo passo, mi sono trovato nelle condizioni di comprare la mia prima moto. Ma ben presto ho capito che la scelta non sarebbe stata un’operazione semplice. Certo, le questioni di gusto hanno il loro giusto peso. Sono da anni un appassionato dei prodotti giapponesi. Il confort di guida, l’ergonomia, l’elettronica raffinatissima, e alcuni sensori automatici che facilitano la vita al motociclista, hanno ristretto il mio campo di ricerca; che alla fine si è chiuso sulla Kawasaki ER-6f (650 cm cubi, bicilindrica 4 tempi).

Questo modello ha un telaio ridisegnato e rinforzato rispetto al modello appena precedente. Potevo anche permettermi un diverso modello Kawasaki a quattro cilindri, ma ho seguito i consigli dei motociclisti esperti, che suggeriscono ai principianti di affidarsi a una più docile “due cilindri” per evitare il rischio di scatti improvvisi in accelerazione, mentre intanto si affinano le capacità di controllo fisico di una moto simile. Proprio perché da sempre affascinato dal design e dalla manifattura giapponese, ho scartato marche come Aprilia; oppure la Ducati, che pure offre motori dalle prestazioni singolarmente efficienti sulle lunghe percorrenze in pendenza. La mia esigenza fondamentale è stata la versatilità di uso della mia moto. Abito in una grande città come Milano, ma fuggo appena posso sul Lago Maggiore, e non disdegno qualche puntatina in Svizzera. Fare tanti chilometri in autostrada è impegnativo con qualunque moto. Ma a chi avesse esigenze simili alle mie, consiglio


MOTORI - KAWASAKI ER - 6F

senz’altro di preferire un modello come il mio, dotato di carenature, rispetto al tipo naked, che però non mi sento di escludere per chi fosse convinto di fare un uso prevalentemente cittadino della propria moto. Con una moto carenata, la muscolatura del corpo è sollecitata meno duramente durante le lunghe tirate autostradali, grazie alla maggior resa aerodinamica del mezzo. La manifattura delle moto è oggi affidata a macchinari di precisione che ottimizzano la collimazione delle parti meccaniche come non era possibile in passato. Molti sono convinti infatti che il rodaggio della propria moto appartenga al mondo dei vecchi motociclisti quando, a proposito di precisione meccanica, gli spazi tra pistone e cilindro erano costellati di importanti micro asperità metalliche che andavano eliminate progressivamente e dolcemente; e cioè facendo attenzione ad evitare i fuorigiri nel cambio di marcia. Molti motociclisti alle prime armi sono convinti che il problema non sussista più oggi; ma l’attrito delle parti meccaniche nuove non è perfetto nemmeno

con la più avanzata robotica di fabbrica disponibile negli ultimi anni. Oggi il rodaggio resta ancora una fase delicata nella gestione della propria moto, per la permanenza, malgrado in quantità inferiore, delle microscopiche e insidiose imperfezioni che devono essere “smussate” evitando i fuorigiri per i primi 1000 km di uso della moto. Anche l’olio per la lubrificazione del motore gioca un ruolo importante. Chi fa un rodaggio attento, sa bene che sta nel frattempo usando un olio estremamente fluido, proprio perché il fuorigiri è ”vietato” in questa fase. Quando poi si passa a sollecitare a pieno la moto dopo il rodaggio, non bisogna commettere l’errore di continuare a tenere l’olio fluido. A regime occorre passare a un olio molto più denso, adatto all’esercizio della moto matura, quando il contagiri può fare infine il suo balzo in avanti. Spero insomma che la mia esperienza di “appassionato di professione” alla moto sia utile anche a qualche altro coetaneo alle prime armi e, dimenticavo… sistemate sempre il casco con attenzione!

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“La Kawasaki ER-6f blu nel modello “naked”. Foto a cura di Glen Mac Larty”


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ARTE - MUSEO DI TEL AVIV

Un origami in vetro e cemento Il Museo di arte moderna di

Tel Aviv

di Susanna Tuzza susannatuzza@gmail.com

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Il Museo d’arte di Tel Aviv è il più importante museo di Belle Arti in Israele. Comprende la più grande collezione di arte israeliana nel mondo. È stato inaugurato nel 1932 dal primo sindaco di Tel Aviv Meir Dizengoff, nella sua residenza privata ancora prima che lo stato di Israele nascesse il 14 maggio 1948. Da allora ha cambiato sede e oggi vanta una collezione permanente che comprende grandi nomi come Cézanne, Chagall, Dalí, Monet, Picasso, Kandinsky e una galleria di arte israeliana che può essere vista come una linea del tempo perché racconta la storia del popolo ebraico, dalle tradizioni antiche alla nascita dello stato d’Israele, le guerre e i tempi contemporanei. Arrivando al museo, stupisce il contrasto tra la parte vecchia e quella nuova. Il palazzo più vecchio, costruito negli anni ’50 e ’60 è imponente e massiccio, poco luminoso e con linee nette, mentre l’ala nuova è bianca, geometrica e leggera. La nuova struttura è stata realizzata all’inizio del XXI secolo dall’architetto americano Preston Scott Cohen che non voleva superare in altezza il vecchio museo per cui, sfruttando la profondità, ha trovato spazio e luce anche in un piano sottoterraneo. Il risultato all’interno dell’edificio è un gioco di ombre e raggi che, insieme alle pareti di cemento, ricordano lo scafo di una nave. La bellezza del palazzo visto dall’esterno, invece, è data dalla forma dei pannelli che ricordano un origami giapponese. Per dare spazio ai raggi del sole, Cohen ha immaginato una vera e propria “cascata luminosa” per orientare i visitatori. La collezione del museo comprende opere dei più grandi artisti del XX secolo, Chaïm Soutine, Gustav Klimt, Vasilij Vasil’evič Kandinskij, Joan Miró e Pablo Picasso. Dal 1950 il museo si è arricchito della collezione Peggy Guggenheim, che raccoglie 36 opere di artisti astratti e surrealisti come Jackson Pollock, William Baziotes, Richard Pousette-Dart, Yves Tanguy e della Pop Art.



CASA & DESIGN - TEL AVIV

Dove moderno e modernità dialogano:

TEL AVIV

Una viaggio alla scoperta della Città Bianca di Tel Aviv a pochi passi dal più innovativo centro dirigenziale israeliano di Google

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di Gaia Badioni gaia.badioni@hotmail.it


tà acquisì lo stile essenziale e moderno che sostituì l’eclettismo orientalista che aveva dominato fino a quel momento e si concretizzò nella realizzazione della cosiddetta “Città Bianca”, un unico quartiere residenziale nel cuore della città, considerata ora il più grande museo a cielo aperto del mondo di questo rinomato stile. Le abitazioni e le strutture realizzate in quegli anni in stile Bauhaus rispecchiavano alla perfezione – nelle loro forme semplici, nello stile, nei materiali, nella funzionalità degli spazi e nei colori – le idee alla base della nuova società moderna israeliana, una società multi sfaccettata e in crescita, proiettata verso la costruzione di un nuovo futuro. Lo stile Bauhaus si prefiggeva l’obiettivo di creare un nuovo, semplice linguaggio architettonico basato sulla chiarezza e l’essenzialità delle forme al fine d’incontrare i bisogni quotidiani della gente. A Tel Aviv ha dato origine a un particolare stile israeliano perché adattato al caldo clima Mediterraneo. Il quartiere comprendeva in origine circa quattromila edifici, dei quali attualmente ne rimangono circa mille. Dalle forme squadrate e dal colore candido (che da il nome al quartiere), questi edifici ancora oggi presentano una bellez-

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Woody Allen, così come il Maestro Moni Ovadia, ci ha insegnato e trasmesso negli anni la grande ironia che caratterizza il popolo ebraico. Non stupisce quindi questo detto popolare israeliano che recita: “Gerusalemme prega e Tel-Aviv si diverte…”. La più grande città d’Israele è infatti da sempre centro multiculturale e crocevia di artisti e menti che, proprio in questa terra “sorta dalle dune”, hanno trovato un punto d’incontro. Fondato nel 1909 da un gruppo di residenti della vicina città di Giaffa, il nome della città fa riferimento a un passo del Libro di Ezechiele nel quale la “collina della primavera” (questo il significato del nome della città) è considerato il luogo dove trovano casa i fuoriusciti che rientrano in patria dopo l’esilio. Nomen Omen. Nel 1925 l’urbanista di origini scozzesi Patrick Geddes venne incaricato di ridisegnare il piano cittadino, soprattutto la zona vicina al mare. Il suo progetto aveva come obiettivo quello di imprimere, attraverso gli edifici, un nuovo carattere alla città, che rispecchiasse la cultura del luogo e si adattasse bene alle condizioni climatiche mediterranee. Le vicende degli anni ‘30 in Europa costrinsero gli studenti di architettura (di religione ebraica) della scuola del Bauhaus, fondato da Walter Gropius a Weimar nel 1919, a tornare in Palestina; presto l’architettura della cit-

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CASA & DESIGN - TEL AVIV

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za austera, ma con dei giochi di simmetrie vari e sfaccettati. Le finestre a nastro, segno distintivo della scuola modernista, si fanno più ampie e alte, per consentire una fruizione migliore del panorama e, in linea con la grande ospitalità israeliana, le ampie terrazze di queste case servono da punto di incontro per i residenti e per i vicini. Proprio per questa sua peculiarità la città di Tel Aviv è stata inserita nel 2003 nella lista dei siti Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO. Per scoprire la Città Bianca, nel 2008 è stato inaugurato il Bauhaus Museum, un edificio realizzato nel 1932 su progetto di Salomon Gepstein, una delle personalità più originali tra gli architetti della Città Bianca. L’edificio in origine ospitava sei unità abitative, trasformate nel corso degli anni Cinquanta in uffici comunali a servizio del vicino municipio. Nel 1985 è stato completamente abbandonato ed è rimasto quasi allo stato di rovina fino al 1996, anno in cui è stato acquistato da un collezionista di mobili e oggetti Bauhaus. Nella sede, oltre ad organizzare esposizioni temporanee di architettura e fotografia, si organizzano anche tour per la Città Bianca, perché, in fondo, il vero museo è all’esterno. Spingendosi circa 4 km più all’interno, nel 2013 è stato aperto un altro centro simbolo dell’innovazione architettonica e tecnologica della città: i nuovi uffici di Google, a conferma del fatto che Tel Aviv non era solo negli anni ’30 un centro di avanguardia e sperimentazione, ma continua ad esserlo.

Collocati all’interno della Electra Tower, uno dei grattacieli più alti della città, gli uffici di Google sono stati progettati equilibrando design moderno ed elementi naturali tipici del paesaggio israeliano. La ricerca progettuale ha cercato dei temi, insieme ad un gruppo di Googler, in grado di esprimere, simbolicamente, l’identità locale attraverso la caratterizzazione dei diversi ambienti: stretti corridoi ciottolati, che richiamano alla mente il centro storico della città; l’utilizzo di listelli ondulati in legno nella hall, che ricordano il paesaggio del porto di Tel Aviv; le aree relax ricordano i frutteti e i vigneti, con decine di alberi e tavoli da picnic da cui ammirare la vista su Tel Aviv; e la sala riunioni è invece ispirata a una spiaggia per surfisti. Un’attenzione, quindi, verso gli spazi comuni attuata per liberare la creatività e incoraggiare l’interazione e la collaborazione tra i dipendenti. Ma anche un grande rispetto della diversità e della specificità di chi abita questo luogo: i tre ristoranti interni propongono, infatti, differenti menù in funzione del Kasherut, ovvero le regole alimentari della religione ebraica. Inoltre, il progetto è stato pensato con una forte attenzione alle tematiche della sostenibilità, ed è attualmente in attesa della certificazione ‘Platinum’ LEED, che rappresenta la prima categoria in ambito di risparmio energetico in Israele. Cambiano le epoche, cambia la storia, cambiano gli stili, ma Tel Aviv continua a creare e costruire guardando al futuro e pensando alla sua terra e chi la abita.


APPARATI

Nel 1934 il fotografo Avraham Soskin decise di spostare la sua casa e il suo studio nel nuovo quartiere di Tel Aviv, al numero 12 di Lilienblum Street. Considerato il primo e più importante fotografo israeliano per i suoi servizi sulla città nascente, commissionò la costruzione dell’edificio all’architetto Ze’ev Rechter, appena rientrato in patria dopo gli studi compiuti a Parigi. Composta in pieno stile Bauhaus, la facciata di Casa Soskin si divide in due grandi blocchi studiati a partire dalla Sezione Aurea: il primo, orientato ad Est, è un rettangolo in posizione verticale che àncora l’intera struttura al terreno; il secondo, disposto orizzontalmente, caratterizzato da un angolo stondato aperto da un terrazzo e da lunghe finestre a nastro. Fedele alle regole della scuola di Weimar, l’abitazione (ristrutturata nel 2005) presenta i caratteri tipici del Bauhaus: l’asimmetria dei blocchi compositivi, la progettazione per volumi e forme semplici (cubi, semicerchi), finestre a nastro, pilastri al piano terra che innalzano l’abitazione, ampi vuoti e aperture che muovono la facciata e il tetto a terrazza.

CREDITS

Le foto di Google sono state realizzate dal fotografo israeliano Itay Sikolski.

PER UNA VISITA VIRTUALE NELLA CITTA’ BIANCA http://www.white-city.co.il/english/index.htm

Soskin House, 1933, Arch. Ze’ev Rechter


SPECIALE - EXPO 2015

EXP

La sfida di Milano: “Nutrire Ma i lavori so A un mese dall’apertura della grande Esposizione Internazionale meneghina qualche proposta e i grandi assenti di Expo Milano 2015 di Gaia Badioni gaia.badioni@hotmail.it

Expo Milano 2015 è l’Esposizione Universale che l’Italia ospiterà dal primo maggio al 31 ottobre 2015 e sarà il più grande evento mai realizzato sull’alimentazione e la nutrizione. In un’area espositiva di 1,1 milioni di metri quadrati, più di centoquaranta Paesi e Organizzazioni internazionali saranno i protagonisti di questa piattaforma, aperta al confronto di idee e soluzioni condivise sul tema dell’alimentazione e promotrice di innovazioni per un futuro sostenibile.

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Nate nell’Ottocento come fiere commerciali e mostre scientifico-culturali, le Esposizioni Universali rispondevano anche all’esigenza di esaltare le produzioni industriali nazionali e il ruolo guida di questo o quel Paese nell’economia mondiale. Organizzate ogni cinque anni nelle più importanti città del mondo, dal 1851, anno della prima Grande Esposizione tenutasi a Londra, queste manifestazioni accompagnarono passo passo lo sviluppo industriale del secolo, diventando la maggiore vetrina mondiale delle innovazioni tecnologiche. Con il passare dei decenni venne accentuato sempre di più l’aspetto ricreativo e spettacolare delle esposizioni, che si accompagnavano alle fascinazioni pro-


PO 2015

il Pianeta, Energia per la Vita” ono solo al 25% dotte all’interno della “galleria delle macchine”: nel 1889 a Parigi, ad esempio, il fulcro fu la presentazione della Tour Eiffel, ma anche lo spazio che la città diede alle arti, alla musica, ai costumi dei paesi lontani, evidenziando in questo modo il carattere internazionale e multidisciplinare dell’evento. L’interruzione causata dai due grandi conflitti mondiali del ‘900 porterà alla ripresa delle Esposizioni depurate dal loro originario significato culturale e scientifico, ma comunque attinenti alle regole dettate dal BIE (Bureau International des Expositions): una esposizione universale è caratterizzata dall’avere una frequenza quinquennale, deve durare sei mesi, i Paesi partecipanti devono presentare e costruire i propri padiglioni nel Paese ospitante, non ci devono essere dimensioni dell’area espositiva definite e si deve seguire un tema generale. Il tema proposto per Expo Milano 2015 è “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” durante il quale i Paesi partecipanti mostreranno il meglio delle proprie tecnologie per dare una risposta concreta a un’esigenza vitale: riuscire a garantire cibo sano, sicu-

ro e sufficiente per tutti i popoli, nel rispetto del Pianeta e dei suoi equilibri. La riflessione sul tema verrà sviluppata lungo cinque percorsi tematici, fisici e ideali, che collegheranno le aree e gli spazi del Sito Espositivo: “Storia dell’Uomo, storie di cibo”, “Abbondanza e privazione: il paradosso del contemporaneo”, “Il futuro del cibo”, “Cibo sostenibile = mondo equo”, “Il gusto è conoscenza”. Partendo da una riflessione storica sul cibo e sulle tecniche di coltivazione e allevamento si passerà ad analizzare il grande paradosso dell’era contemporanea, ossia la compresenza di grandi disponibilità di cibo e di intere popolazioni che ancora vivono in condizione di sotto-nutrizione e impossibilità di accesso all’acqua potabile; inoltre si parlerà dell’importanza della conoscenza e della tecnologia alimentare per la formazione del capitale umano del domani, per la responsabilizzazione dell’Uomo affinché mantenga uno sviluppo equilibrato tra la produzione del cibo e lo sfruttamento delle risorse, ma soprattutto verrà esaltato il piacere del palato come strumento di conoscenza e avvicinamento tra culture e storie diverse.


SPECIALE - EXPO 2015

I progetti paralleli

Creatività e sperimentazione caratterizzeranno il fitto portafoglio di accompagnamento alla esposizione, che in città e nel sito espositivo porterà eventi artistici e musicali, convegni, spettacoli, laboratori creativi e mostre. Tra i molti progetti collaterali troviamo “We-Women for expo”, “Childrenshare, bambini e condivisione” e “Aquae Venezia 2015”, quest’ultimo ospitato nel padiglione polifunzionale progettato dall’Architetto Michele De Lucchi (autore anche del Padiglione Zero dell’Expo di Milano) a Venezia-Marghera, struttura che resterà alla città anche dopo l’anno dell’Expo per accogliere fiere, esposizioni, eventi culturali e sportivi. Aquae Venezia 2015 avrà la stessa durata di Expo (da maggio a ottobre 2015) e mirerà a raccontare, rappresentare, testimoniare le eccellenze della ricerca e dell’impresa, dei valori simbolici e concreti legati all’acqua, alla base del quale è la consapevolezza dell’importanza dell’oro blu come risorsa fondamentale per la vita e bene limitato. L’area esterna del padiglione sarà occupata dal parco a tema interattivo incentrato sulla figura del giovane Leonardo da Vinci.

I cluster e il sito espositivo

L’area adiacente alla Fiera di Milano, a Rho Pero, verrà completamente stravolta e trasformata in una sorta di città iper tecnologica e futuristica sul modello delle città romane. Divisa, infatti, da Cardo e Decumano ospiterà, a fianco dei padiglioni nazionali, nove strutture definite Cluster dedicate ciascuna all’analisi di un tema specifico, ovvero dei padiglioni collettivi dedicati a Paesi che hanno in comune una caratteristica agricola o geografica e che sviluppano in un unico spazio espositivo, seppur autonomamente, un tema comune. I temi selezionati per questa grande e vera novità dell’Expo, pensati per essere espansi ad ulteriori padiglioni nazionali creando veri e propri percorsi tematici, sono: Bio-Mediterraneo, Cacao, Caffè, Cereali e Tuberi, Frutta e Legumi, Isole, Riso, Spezie, Zone Aride. Cuore simbolico dell’intera area sarà il Palazzo Italia, destinato a rimanere an-

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che nel periodo post-Expo come polo dell’innovazione tecnologica al servizio della città. Dalle forme essenziali come un’opera di Land Art e con un occhio strizzato alla sostenibilità, perché concepito come un “albero-foresta”, che scambia energia con l’ambiente attraverso particolari accorgimenti tecnologici, l’edificio di rappresentanza dello Stato e del Governo Italiano offrirà una vista sull’intera esposizione dalla sua terrazza panoramica e sarà punto di partenza, dalla sua piazza, per il percorso tra i padiglioni. Nell’area ci saranno anche la Lake Arena, un lago artificiale alimentato dal canale Villoresi; la Collina Mediterranea, una delle quattro strutture cardine che sorgono agli estremi del Cardo e del Decumano, dove verranno riprodotte alcune tra le più tipiche vegetazioni e colture dell’ecosistema mediterraneo; la Cascina Triulza, un’antica costruzione rurale già presente all’interno del Sito Espositivo, come simbolo del paesaggio nei dintorni di Milano; l’Area Mercato riservata a piccoli produttori, attività commerciali e organizzazioni che promuovono prodotti e servizi attenti alla qualità, all’ambiente e ai diritti dell’uomo. Da sempre, però, l’attrazione principale delle Esposizioni sono i padiglioni nazionali, gestiti dai Paesi partecipanti, che si aggiungono ai padiglioni tematici dell’organizzazione. Storicamente ogni esposizione è stata sempre caratterizzata da particolari strutture, divenute simbolo dell’esposizione, nonché talvolta della città organizzatrice o del Paese organizzatore stesso (per citarne alcuni, il Padiglione Bacellona che Mies Van Der Rohe presentò nel 1929, divenuto simbolo della poetica dell’Architetto modernista). Aderendo a Expo Milano 2015, ogni Paese aderente ha potuto scegliere di partecipare con un proprio spazio espositivo da realizzare autonomamente in un’area di oltre 150.000 metri quadri all’interno del sito espositivo. Il Decumano, proprio per l’affaccio delle varie strutture internazionali, prenderà il nome per quel tratto di World Avenue. Questa disposizione, che offre a tutti una posizione di primo piano e grande visibilità, sarà così abitata da architetture avveniristiche, vetri specchianti, riflessi di verde sulle facciate, progettate nel rispetto di una serie di regole che garantiscano al visitatore un’esperienza di visita irripetibile ed ecocompatibile possibile grazie all’utilizzo di materiali sostenibili e riciclabili, ad un facile smaltimento dell’edificio alla fine della manifestazione, alla produzione di consumi energetici ridotti, ad una grande attenzione verso la cura del verde e del paesaggio, lasciando metà dell’area del lotto occupata da uno spazio aperto.

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SPECIALE - EXPO 2015

Diamo un po’ di numeri

Tutti questi accorgimenti e innovazioni dovrebbero servire ad accogliere nel miglior modo possibile i 24 milioni di italiani e stranieri previsti in città. Secondo le previsioni elaborate da Explora (società creata da Camera di commercio di Milano, Expo 2015, Regione Lombardia e Unioncamere Lombardia, per la promozione e commercializzazione dell’offerta turistica legata alla manifestazione universale) i picchi massimi di visitatori dovrebbero avvenire a giugno (19%), ottobre (18%) e a maggio (17%), ovvero durante i periodi di apertura e chiusura dell’evento. L’Ansa ha anche dichiarato che “in media i turisti passeranno dai quattro ai sei giorni in Italia durante il semestre di Expo con circa il 40% degli stranieri, che arriveranno per visitare la manifestazione, che intende prolungare la permanenza nel Paese”.

Ma Milano è pronta?

Ad un mese dall’apertura dell’Expo, dal sito ufficiale expo2015.org si legge che i lavori sono circa al 25% e il ritardo non coinvolge solo il sito espositivo, ma l’intera città. La linea 5 della Metropolitana non sarà portata a termine per quest’anno e la linea 4, “la Blu”, sarà consegnata nel 2022. I lavori per l’indispensabile tratta che dall’Aeroporto di Linate portano in città, approvati nel lontano 2005, sono partiti solo il mese scorso rendendo la città una vetrina composta da buchi e gru. Gli stessi vuoti si presenteranno nell’area City Life, il grande progetto di riqualifica dell’ex quartiere fieristico di Milano, nel cuore della città. Delle tre torri svettanti firmate grandi Archi Star, “Lo Storto”, “Il Curvo” e “Il Dritto”, solo quest’ultimo grattacielo è stato consegnato. Altro quartiere in piena riqualificazione è il nuovo Milano Portello, vicinissimo all’area Expo. Fresco di apertura e simbolo di questo nuovo distretto, a fianco del Parco Vittoria Centro Residenziale, è il palazzo del Milan, rosso laccato con una serie di figure scattanti alla sua sommità. Forse una visione troppo ambiziosa, visto che per terminare il tutto servirebbe un miracolo, ma qualcuno una volta disse: “Italia, popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori e trasmigratori”. Serviranno tutti loro per compiere la grande impresa di terminare in tempo.

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Si consiglia...

La Triennale di Milano in occasione di Expo 2015 ha pensato ad un programma ad hoc, sia per durata che per tematica, di mostre di arte e design, oltre che ad un vero e proprio padiglione allestito al Palazzo della Triennale. “Arts & Foods” infatti sarà l’unica area tematica di Expo realizzata in città a cura di Germano Celant; aperta dal 9 aprile fino al 1 novembre, si disporrà su 7.000 metri quadrati (tra interno ed esterno) lungo i quali si metteranno a fuoco attraverso vari linguaggi tutti quegli elementi che sono ruotati attorno all’idea di cibo e convivio dal 1851 – anno della prima Expo – ad oggi in una “prospettiva stratificata e plurisensoriale”. Sempre firmata Germano Celant, e aperta al pubblico dal 9 aprile 2015, anche l’ottava edizione del Triennale Design Museum dal titolo “Cucine & Ultracorpi”, ispirata al libro di fantascienza L’invasione degli Ultracorpi di Jack Finney. In ultimo, esposti al Cafè della Triennale e disponibili in vendita presso lo shop della Fondazione e in alcuni punti vendita della citta, la collezione di design De Gustibus ispirata all’Expo 2015 e composta da oggetti progettati dai più importanti designer contemporanei. I vari oggetti, che spaziano dall’apribottiglia alla saliera e all’oliera, oltre a costituire l’unica collezione di oggetti di design pensata per Expo, avrà prezzi contenuti non superiori ai 120 euro.

Info

Per maggiori informazioni e per monitorare l’avanzamento dei lavori www.expo2015.org

Immagini e didascalie

Le immagini di Expo (mappa, padiglioni) sono per la maggior parte dei rendering dei progetti. Le immagini della Torre Isoazaki e del Quartiere Portello sono di Federico Lechner.


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LA PAUSA COMICA


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CURIOSITÀ

Curiosità Aprile di Sylvie Capelli sylvieannacapelli@gmail.com

Pesce d’aprile

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Forse il primo pesce d’aprile nella storia è stato quello di Cleopatra contro Antonio: lui la sfidò a una gara di pesca e per essere certo di vincere, chiese a un servo di attaccare un pesce al suo amo; lei lo scoprì e convinse il servo ad ubbidirgli, ma utilizzando un pesce finto. Giornali e televisioni hanno sempre approfittato di questa giornata per prendere in giro, a volte bonariamente, a volte meno, i propri utenti: ad esempio la BBC nel 1957 annunciò un reportage sulla raccolta degli spaghetti da alberi in Svizzera e più recentemente un documentario su una particolare razza di pinguini volanti. Le ultime tecnologie stimolano la fantasia di chi ama fare scherzi: tra le più recenti la notizia di twitter gratuito se vengono utilizzate solo le consonanti, mentre le vocali sarebbero a pagamento; Google nel 2013 presenta Google Nose: annusando il display sarebbe possibile sentire gli odori di ogni parte mondo.


Origine del nome di aprile

Secondo alcune interpretazioni il nome deriva dal latino aperire (aprire) per rappresentare il periodo in cui piante e fiori si schiudono (si aprono appunto). Secondo altre invece il nome deriva dall’etrusco apro, a sua volta ispirato dal greco Aphrilis o Aprilis che significa spuma. Secondo il mito greco, proprio dalla spuma del mare di Cipro nacque Afrodite, dea dell’amore, della bellezza e della fecondità cui il mese è dedicato. Nel mito romano, Afrodite si chiama Venere, nata non dalla spuma del mare, bensì da una conchiglia. In suo onore il 1° aprile venivano celebrati i Veneralia: una cerimonia per garantire alle devote, nubili e sposate, bellezza e nobiltà. Le donne si recavano al tempio di Venere per il sacro lavacro della sua statua, poi accedevano ai bagni pubblici maschili coperte da rami di mirto a simboleggiare la leggenda secondo la quale Venere fu sorpresa nuda a fare il bagno da alcuni satiri, si denudavano offrendo incenso e infine sorbivano una bevanda a base di latte, miele e papavero: la stessa bevuta da Venere nel giorno delle sue nozze con Vulcano.


CURIOSITÀ

Il Palazzo del Reichstag

Il 19 aprile 1999 il Palazzo del Reichstag di Berlino torna a essere sede del Parlamento tedesco. Inaugurato nel 1894 quale sede delle riunioni del Reichstag e successivamente Parlamento della Repubblica di Weimar fino al 1933. Nell’ottica di eliminare gli altri partiti, Hitler fece incendiare il palazzo, incolpandone l’opposizione di sinistra. L’operazione fu un successo: venne sospesa la costituzione democratica. Il palazzo rimase semidistrutto: una specie di simbolo della democrazia abbattuta. I lavori di restauro furono completati nel 1961 e il palazzo venne usato per mostre ed esposizioni, mentre la grande piazza antistante ospitò diversi concerti rock. Il più noto risale al 1987 con la partecipazione dei Genesis, di David Bowie e tanti altri artisti che deliziarono oltre 75000 fan in piazza, e molti altri al di là del muro dove iniziarono le ribellioni alla polizia. Nel 1995 il palazzo venne “impacchettato” per due settimane in tela argentata dall’artista bulgaro Christo e dalla moglie Jeanne-Claude; al termine di questa installazione, iniziarono i restauri e la creazione della nuova cupola spettacolare: oggi uno dei luoghi più visitati della città.

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Cellulare portatile

La prima telefonata da un cellulare portatile fu possibile il 3 aprile 1973. L’ing. Martin Cooper che lavorava per Motorola, scese in strada a New York con l’idea di “togliersi un sassolino dalla scarpa” e si recò davanti alla sede dell’azienda concorrente Bell. Qui giunto, chiamò il collega e rivale John Engel canzonandolo e annunciandogli che lo stava chiamando da un apparecchio senza fili in strada. Ci vollero però dieci anni prima che il telefono cellulare comparisse sul mercato alla modica cifra di 4000 dollari; ed era talmente pesante e poco maneggevole, che venne soprannominato the brick (il mattone). Nel decennio successivo ci fu una grande accelerata con l’avvento del GSM grazie al quale venne introdotto il servizio SMS. L’ultima “rivoluzione” è del XXI secolo grazie alla tecnologia smartphone che ha reso il cellulare portatile un vero e proprio computer.

Proverbi italiani Aprile, ogni giorno un barile L’aprile piovoso fa il maggio grazioso Ogni goccia di aprile fa mille lire Aprile dolce dormire


- ADVENTURE ROOMS

GAMES

ADVENTURE ROOMS 60 minuti per scappare. Ce la farete? Dopo aver conquistato il mondo Adventure Rooms arriva anche in Italia, precisamente a Firenze. Con sedici sedi aperte in tutto il globo, il brand leader a livello mondiale di giochi dal vivo sta riscuotendo enorme successo anche in Toscana. Ma cosa bisogna fare esattamente?

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di Nicola Guarneri guitartop@libero.it


Il gioco.

Il regolamento è molto semplice: voi e i vostri amici (i partecipanti possono variare da un minimo di 2 a un massimo di 6) sarete rinchiusi in una stanza e ammanettati. Avrete 60 minuti di tempo per riuscire a scappare, cercando indizi e risolvendo enigmi che vanno dalla pura logica all’intuizione più acuta, spesso dovendo affidarvi a tutti i sensi, olfatto compreso. Fondamentali sono il gioco di squadra e la cooperazione, mentre la forza fisica è quasi del tutto inutile. I numeri dicono che la difficoltà è estrema: solo pochi gruppi riescono nell’impresa di evadere al primo tentativo, nonostante il Game Master sia sempre presente e in caso di difficoltà potrebbe darvi qualche aiuto.

In televisione.

Il successo di questo tipo di attività è sottolineato dalla grande attenzione dei mass media: in The Big Bang Theory i protagonisti (non ve li ricordate? Cliccate qui) riescono ad evadere in pochi minuti, ma solo grazie alle loro elevate capacità intellettive.

Le origini.

Il prezzo.

Varia in base ai partecipanti ma le cifre sono comunque accessibili: dai €17 a €25. Attualmente sono disponibili due tipi di avventura: la “Sfida Originale” e la “Regina Nera”. In base ai commenti di TripAdvisor l’esperienza è assolutamente da provare: gli organizzatori assicurano che a breve verranno aperte nuove sedi, a Catania e Bologna.

Se il brand Adventure Rooms nasce in Svizzera, un celebre antenato va ricercato in Giappone sotto il nome di Walk Through, percorsi interattivi di difficoltà diverse. Uno dei più ardui è situato nel parco Fuji-Q HighLand, nei pressi di Tokyo: il complesso è denominato “La Fortezza” e bisogna uscirne in venti minuti. Peccato che le possibilità di raggiungere l’uscita siano solo una su centomila! Un numero molto ristretto di avventurosi è riuscito ad evadere (i dati aggiornati allo scorso anno parlano di due soli “evasi”), tanto da essere premiato dagli organizzatori. Insomma, che aspettate a cimentarvi nell’”Avventura Originale” o a sfidare la “Regina Nera”? Pochi click e la prenotazione è fatta!

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- L’IMMAGINAZIONE

SPAZIO POSITIVO

L’immaginazione come antidepressivo Laura Gipponi info@lauragipponi.com

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Buongiorno, il mese di aprile è caratterizzato dal fatto che è un mese di transizione tra l’inverno e l’estate, e proprio in questo periodo molte persone avvertono alterazioni legate al proprio stato d’animo; sembra che questo momento di passaggio influisca notevolmente sui nostri umori e tante volte non si sa come reagire. Un buon suggerimento può essere l’utilizzo dell’immaginazione. Molti sottovalutano le potenzialità che questa può avere su di noi mentre invece è estremamente importante perché visualizzare immagini e situazioni a livello conscio, agisce sulla nostra parte inconscia condizionando il nostro stato d’animo. Praticare l’immaginazione è più facile di quanto si possa pensare; basta semplicemente prendersi dieci minuti di relax, fare una pausa tra un’attività e l’altra trovando un posto tranquillo, come un angolo di giardino, di parco o anche in casa in una stanza, dove stare un momento da soli senza distrazioni. A questo punto chiudiamo gli

occhi e respiriamo tranquillamente; iniziamo quindi a vagare con la mente portando il pensiero su qualcosa che ci piace; può essere un oggetto, una persona o una situazione che abbiamo già vissuto e che ci ha procurato, in quel momento trascorso, un senso di benessere; oppure può essere semplicemente un desiderio che nutriamo dentro di noi, qualcosa che ci stimola positivamente e che vorremmo vedere come reale. Prestiamo attenzione ai particolari, ai colori; e soprattutto all’effetto piacevole che ognuno di questi ci provoca. Più particolari ed elementi piacevoli introduciamo, meglio è; inoltre, se intanto che immaginiamo proviamo a sorridere, questo favorirà l’arrivo del buon umore dentro di noi. Vi assicuro che funziona; se vi abituate periodicamente ad utilizzare la vostra immaginazione, non solo nei momenti “no”, ma in qualsiasi momento della giornata, meglio ancora al mattino presto, noterete i vantaggi che vi porterà giorno dopo giorno.



RICETTA SALATA CON VINO ABBINATO

Lasagne con carciofi

di Sylvie Capelli - sylvieannacapelli@gmail.com

INGREDIENTI: pasta all’uovo, carciofi, besciamelle, burro, parmigiano, olio extra vergine di oliva, aglio, salvia, rosmarino, timo, maggiorana, sale, pepe nero.

Preparazione: preparare e stendere la pasta all’uovo, mondare i carciofi 72

delle foglie esterne più legnose, delle spine, tagliarli a metà ed eliminare la “barba” interna, spellare i gambi e sminuzzare sia fiori che gambi. Scaldare l’olio in una casseruola con aglio (togliere l’aglio prima che imbrunisca), aggiungere i carciofi, salvia, rosmarino, timo, maggiorana, sale, pepe nero e farli sfrigolare per un paio di minuti rimestando per non farli attaccare. Aggiungere acqua calda e cuocere a fuoco moderato per 15 minuti. Sbollentare la pasta all’uovo in abbondante acqua salata. Preparare la besciamelle. Imburrare una teglia e formare degli strati di pasta alternati a carciofi, besciamelle e parmigiano grattugiato. Aggiungere qualche fiocchetto di burro prima di infornare a 180°C per circa 30 minuti.


Alto Adige Terlano Sauvignon Quarz 2012 Cantina Terlano

di Carlo Cecotti - carlocecotti@yahoo.it

Bianco Doc – Sauvignon 100%

Storica azienda nata nel 1893 che vanta una splendida realtà produttiva grazie all’esperienza dei suoi 143 soci conferitori. I terreni di origine vulcanica della zona donano ai vini una carica e una sapidità del tutto particolari. Ne nascono perle di raro valore, come questo Sauvignon di grande eleganza. Paglierino luminoso dal profilo aromatico molto articolato. Note di sambuco, anice e vegetali di finocchietto selvatico si alternano a quelle agrumate di lime e pompelmo per poi lasciare spazio ad una spiccata mineralità. In bocca è ampio, bilanciato con evidente freschezza gustativa che invita a ripetuti assaggi. Perfetto con lasagne ai carciofi.

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RICETTA DOLCE CON VINO ABBINATO

Pastiera napoletana

di Sylvie Capelli - sylvieannacapelli@gmail.com

INGREDIENTI: pasta frolla, 800 gr ricotta di pecora, 500 gr grano cotto, 750 gr zucchero, scorza d’arancia, 200 gr cedro candito, 400 gr latte, 30 gr burro, 8 uova intere + 3 tuorli + 1 tuorlo per spennellare, 1 bustina di vaniglia, due fiale di acqua di fiori d’arancio, zucchero a velo.

Preparazione: Preparare la pasta frolla e lasciarla riposare in frigorifero 74

avvolta nella pellicola. In una casseruola versare il grano cotto, il latte, il burro e la scorza grattugiata di arancia; cuocere per 10 minuti mescolando spesso per ottenere una crema. Lasciare raffreddare. A parte frullare ricotta, zucchero, uova, vaniglia, acqua di fiori d’arancio fino a rendere l’impasto sottile e omogeneo. Aggiungere i canditi e la crema di grano. Imburrare una teglia e stendere la pasta frolla conservando la parte eccedente per ricavarne delle strisce. Versare il composto nella teglia, ripiegare i bordi della pasta e decorare con strisce disegnando una grata di pasta frolla da spennellare con tuorlo sbattuto. Infornare a 170°C per circa 2 ore, lasciare raffreddare nel forno per farla asciugare. Spolverare con zucchero a velo prima di servire.


Mel 2012 Antonio Caggiano

di Carlo Cecotti - carlocecotti@yahoo.it

Bianco dolce Fiano 70% Greco 30% Antonio Caggiano, figura di riferimento della viticoltura campana e in particolare dell’aglianico di Taurasi, produce questo passito a base di uve fiano e greco. Nel bicchiere si presenta giallo dorato scintillante. Olfatto complesso che, dapprima, verte su sentori floreali di mimosa e camomilla per poi virare su toni legati alla frutta secca, arachide, albicocca, fichi e scorza di arancia candita. Il sorso è piacevole grazie all’ottimo equilibrio tra zuccheri e acidità. Lunga la persistenza dove sul finale si percepisce una delicata sensazione di miele di acacia. Vinificato in acciaio, matura in barrique per 12 mesi. Con la classica pastiera napoletana.

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Gaia Badioni, Oporto


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Andra Pedroni, Morbegno (SO)


STORIA

Il discorso di D’Annunzio

Esattamente un secolo fa, il 5 maggio 1915, Gabriele D’Annunzio teneva a Quarto un discorso che avrebbe suscitato enorme entusiasmo tra gli interventisti

WWW.LAPAUSA.EU/PINK

SPORT

ANTICIPAZIONI

Sul prossimo numero troverete anche...

Giro d’Italia

Parte il 9 maggio la 98° edizione del Giro in rosa: ce la farà Contador a fare la magica doppietta Giro-Tour?

GAMES Pac-Man

Il celebre videogioco ideato da Tohru Iwatani compie a maggio 35 anni! Chissà se la Atari ha in serbo qualche sorpresa per l’anniversario...

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