DOMUS DEL CRIPTOPORTICO Parco Naturalistico e Archeologico di VULCI
PIETRA LIQUIDA
PIETRA LIQUIDA DOMUS DEL CRIPTOPORTICO Parco Naturalistico e Archeologico di Vulci Viterbo 2 luglio - 28 agosto 2016 a cura di Francesco Paolo Del Re coordinamento scientifico Gianna Besson ufficio stampa Sabino de Nichilo
PIETRA LIQUIDA La forza poetica e generatrice dell’acqua
a cura di Francesco Paolo Del Re opere di
Nino Caruso Giorgio Crisafi Yvonne Ekman Massimo Luccioli Riccardo Monachesi Jasmine Pignatelli Attilio Quintili Mara van Wees
GIANNA BESSON
Delegato regionale per la Comunicazione FAI Lazio e Roma
La terra e l’acqua che la compongono, l’aria e il fuoco che la trasformano: la ceramica è materia. E della materia ha la solidità indistruttibile e precaria, liquida come la società che non conosce più certezze e flessibile come il futuro che saprà inventare nuovi intrecci di rapporti tra gli umani. Per questo la ceramica è arte che sa decifrare i codici di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Qui, tra il passato di Vulci, nei luoghi scavati dentro la terra degli antenati, la ceramica evoca l’arenaria, il tufo e l’acqua del Fiora che scorre tra il verde scuro dei boschi. L’acqua è il bene prezioso, rinnovabile ma inquinabile, deperibile, sfruttabile, la linfa della vita, la materia che ci compone e che compone il pianeta, che si beve con gesto felice e naturale, ma nei peggiori incubi non per sempre e non per tutti. La terra è l’altra sostanza, quella di cui è fatta la pietra che plasma il mondo, quella che ci lega ai luoghi e costruisce le forme dell’abitare, quella che diventa corpo con atto creativo e nella quale il corpo si dissolve. Tutte le opere qui si ispirano a liquido e a pietra, che siano le crete in movimento di Riccardo Monachesi, melodia senza suono di onde espressive, o le fluttuanti reti marine di Mara van Wees o i pesci sospesi e poetici di Yvonne Ekman; che siano le memorie oniriche petrose di Nino Caruso o i misteri luminescenti dei simboli di Attilio Quintili; che siano la molecola H2O composta di segni, punti, linee e spazi cui Jasmine Pignatelli affida il suo messaggio morse o il riferimento di Giorgio Crisafi all’acqua che culla un bambino che giace, o ancora la materia eterna delle isole sospese di Massimo Luccioli. Tutto è acqua e terra, pietra liquida.
FRANCESCO PAOLO DEL RE
Otto modi di essere pietra liquida Otto artisti per una riflessione profonda e collettiva sul tema dell’acqua. Il composto chimico di idrogeno e ossigeno alla base della vita sulla Terra è fonte di ispirazione intimamente collegata alla pratica stessa del lavoro della ceramica, materiale che proprio dall’acqua trae la possibilità di essere plasmato. L’acqua è elemento essenziale del processo alchemico della trasformazione di un’informe massa fluida nella solidità di una forma definita, che sarà il fuoco a fissare nel suo aspetto finale. Il titolo della mostra, “Pietra liquida”, vuole raccontare questo ossimoro, questa oscillazione, che rappresenta lo svolgimento nel tempo della pratica della creazione ceramica, questa ambivalenza e compresenza di anime e stati della materia, che si fanno metafora della complessità dell’esistenza. Con un oggetto rituale, una ciotola per libagioni, manufatto contemporaneo dal sapore antico, antichissimo, le “Memorie oniriche” di Nino Caruso rendono omaggio alla ceramica valorizzando il senso profondo, ancestrale, di questo nobile materiale dell’arte che discende da un passato remoto e che trova un luogo appropriato per esprimere il senso di un ritorno alle origini proprio nello spazio che ospita la mostra, gli scavi dell’antica città di Vulci. Caruso porge un oggetto da offrire, mettendo in mostra il valore più autentico dell’arte che altro non è se non un’offerta che non aspetta una contropartita, offerta pura, transitività di segni e di senso. E l’acqua è il più puro dei doni e, mettendosi al suo servizio, la ceramica si fa contenitore, veicolo di comunione, punto di congiunzione tra morte e vita, passato e futuro. In questo singolo oggetto e nelle reminiscenze archeologiche che evoca, sembrano essere sintetizzati tutti i significati e gli usi della ceramica nella storia. Materiale di pace, di costruzione, di conservazione. Sì, è vero. Oggi il suo ruolo quotidiano è stato sostituito da altri materiali, ma resta viva tutta la potenzialità creativa della ceramica, ci mostra Caruso. Per scoprire la profondità dell’installazione di Giorgio Crisafi, il visitatore deve sporgersi all’interno di un vecchio fusto di petrolio arrugginito, sul cui fondo biancheggia la testa di un bambino in ceramica smaltata. Su un blocco di argilla poco distante, un paio di scarpette sembrano raggelate e si specchiano nella loro orma. Per Crisafi l’interesse, più che per il manufatto, è per la possibilità di raccontare e così si immerge in un ragionamento geopolitico sull’acqua. Come volendo esorcizzare un’immagine che persiste sulla retina, Crisafi cita e rielabora la figura del piccolo Aylan, il bimbo naufragato sulle coste della Turchia e divenuto icona della tragedia dei migranti in cerca di fortuna
al di qua del Mediterraneo, dopo che il ritrovamento del suo corpo è stato mostrato da televisioni e giornali di tutto il mondo. Tra liquidità del mare e liquidità del petrolio, causa di tutte le guerre, alberga una speranza accentuata dal contrasto tra il bianco dello smalto e il bruno della ruggine: che il bambino stia solo dormendo e che possa essere seme di vita futura. Quindi, il “Giacimento” del titolo dell’opera è, contemporaneamente, sia un richiamo primitivo (al contesto archeologico e ai tesori minerari del sottosuolo) sia la proprietà di chi giace, in attesa forse di un risveglio. Tralasciando momentaneamente le installazioni geometriche di grandi dimensioni, Yvonne Ekman si cimenta con un lavoro insolitamente leggero, inizialmente concepito quasi come un passatempo, senza immaginare la reale dimensione che avrebbe in seguito occupato. Il punto di partenza sono singole sculture di pesci di piccole dimensioni, una diversa dall’altra, lavorate a tutto tondo e smaltate. Del divertissement questo lavoro ha la freschezza e la spontaneità, che si traduce in un’aerea attitudine all’installazione. Montata su impalpabili fili di nylon, la “Tenda di pesci” sembra infatti fluttuare nell’aria davanti agli occhi del visitatore. Le sculturine sono libere di ruotare su se stesse, sgorgando come una cascata da un’apertura del soffitto, valorizzate da un fascio di luce naturale e un fondale di vegetazione. È l’affermazione giocosa di una sovversione dei piani e degli spazi: il visitatore ha l’impressione di calpestare un fondale marino, laddove l’aria si è sostituita all’acqua, quasi citando gli immaginifici trompe-l’œil della tradizione pittorica occidentale. Una composizione disordinata di elementi figurativi che, azzardando una lettura sociologica, fa riflettere sul tema della massa, dell’identità e del conformismo, della differenza nella moltitudine. A differenza di precedenti occasioni espositive in cui erano collocate a parete, le due sculture di Massimo Luccioli assumono ora una posizione orizzontale e si lasciano sommergere dall’acqua, lasciando solo la sommità della superficie scoperta, in modo da diventare propriamente quello che lo scultore ha sempre pensato fossero, cioè delle isole. Echeggiando una pittura materica, la prima scultura è un suggestivo blocco unico di terracotta; un lavoro informale dalla marcata connotazione grafica, che mappa uno spazio interiore, un paesaggio mentale che serba la memoria di paesaggi veri, bruciati dalla canicola estiva. Una seconda scultura trasla l’informale verso un piano più figurativo, forse proponendo una chiave di lettura per l’intero intervento. Siamo di fronte a una testa umana, lavorata a bucchero e anch’essa immersa nell’acqua, in un palese
riferimento ai migranti che muoiono nelle traversate. Tarquiniese e innamorato della terracotta, Luccioli ne valorizza le qualità intrinseche attraverso l’utilizzo di tecniche antiche: coloriture brune, scure, traslucide vengono ottenute con sapienti lavorazioni delle terre nel territorio, che l’artista personalmente prepara, decanta e sottopone a una particolare cottura in riduzione. Poter dare una consistenza fisica, materiale, quasi tattile al più mobile degli elementi, a ciò che per eccellenza, sin dagli esordi della filosofia occidentale, è metafora dell’imprendibile, della mutevolezza, della fluidità e del transeunte: raccontare l’acqua, lo scorrere, il flusso è una sfida per la scultura di Riccardo Monachesi. La riflessione sulla liquidità è da tempo in circolo nel suo percorso di ricerca, se si considera che tra le fonti di ispirazione degli “Pneuma” realizzati in anni recenti ci sono le mangrovie, fertile intrico di piante e di radici tropicali che proprio nell’acqua affondano. Monachesi ha peraltro da sempre una vocazione seriale, che si esprime attraverso la ripetizione di moduli, secondo una concezione della scultura profondamente architettonica e relazionale. L’installazione site specific “Aqua/e” dissemina nello spazio, appunto, cerchi concentrici di elementi modulari con l’obiettivo di tracciare l’itinerario esperienziale dell’acqua intesa come mezzo di comunicazione e via di collegamento, fluido dialogante e immaginario connettivo/ collettivo di una convivenza che si fa memoria, identità, condivisione e comunione. Una vocazione mediterranea, insomma, si coniuga con la necessità di far parlare l’arte attraverso un linguaggio universale, transnazionale e metaculturale. Rarefare la ceramica fino a farle assumere una dimensione concettuale, extraterritoriale, è l’impresa non semplice con cui si cimenta Jasmine Pignatelli. Ponendosi in dialogo diretto con le grandi esperienze artistiche del secondo Novecento, la scultrice compie un’operazione di semplificazione assoluta, di riduzione ai minimi termini del discorso, al fine di ampliarne il potenziale comunicativo. Innanzitutto a essere ridotto è il contenuto, il tema: l’acqua si racchiude così tutta nella definizione scientifica della sua molecola (da qui il titolo “H2O”). Sul piano formale, invece, Pignatelli si colloca direttamente dentro il flusso della comunicazione e ne amplifica le possibilità, lavorando all’interno di un alfabeto vero e proprio, quello più universale: il codice Morse. Punti e linee diventano elementi ceramici, tangibili, componendo un enunciato di luminosa evidenza. Nella formulazione del nome della molecola attraverso il Morse prende vita il sogno di creare un “segnale d’arte”,
celebrazione dell’umano, “antenna” che comunichi al pubblico un invito alla presenza, alla scoperta, all’interazione. Non è tutto: l’opera è infatti anche abbinata a un suono e diventa crossmediale, grazie a un QRcode che permette di ascoltarlo anche su internet. Attilio Quintili presenta a Vulci il completamento di un progetto installativo già esposto alla Pinacoteca di Città di Castello con il titolo “Inglobale”. Propone per la precisione il “Nucleo”, finora mai mostrato, da cui derivano le sculture in ceramica nera con inserti di resina trasparente viste nell’esposizione umbra. A monte, ritroviamo l’esplosione come processo creativo che caratterizza l’arte di Quintili, che plasma l’argilla fresca non con le mani, ma attraverso una carica di esplosivo che, deflagrando, libera energia creativa e imprime alla materia una forma. Fondamentale, per l’artista, è il concetto di rinascita, un auspicio che dà forma sia alla vita interiore che al mondo fuori di noi in una perfetta corrispondenza tra alto e basso, macro e micro, interno ed esterno. Acqua e terra si compongono per diventare materia viva, accogliendo fuoco e aria e, quindi, lo spirito che tutto pervade e sostiene. Pertanto l’acqua non è tematizzata, non è oggetto dell’opera in mostra, ma diventa per Quintili soggetto, elemento costitutivo e fecondante, all’origine della vita e dello stesso atto creativo dell’artista, prerequisito, pretesto. Per una riflessione profonda sull’umano, condotta attraverso i simboli di un linguaggio cifrato. Costante nel lavoro di Mara van Wees è l’attenzione rivolta al tema dell’equilibrio e alla sua precarietà. Questi temi si ritrovano anche nell’installazione “Netting”, che gioca con la forma di una rete ondulante, perennemente in bilico, che cattura e che separa, assemblando singoli moduli totalmente irregolari che trovano un bilanciamento tra di loro. La differenza rispetto alle sculture a cui l’artista ci ha abituato sta nell’assenza dei volumi e nell’uso delle trasparenze. Tra le maglie della rete, fanno qua e là capolino rari elementi figurativi, stelle marine e pesciolini, che donano al lavoro una leggerezza quasi gioiosa. È, fondamentalmente, un lavoro sul movimento, come spesso avviene nell’arte di van Wees. L’osservazione non si pacifica su una superficie piana, ma un effetto fluido, sinuoso, mosso come mare, di gusto futurista, viene ottenuto dalla giustapposizione dei reticolati e amplificato dall’installazione che prevede la presenza, al centro, di uno specchio. Allo spettatore il compito di districarsi tra le mille maglie della rete in cui lo sguardo indugia alla ricerca di un ordine, di una via d’uscita o forse di un’illuminazione.
Nino Caruso Giorgio Crisafi Yvonne Ekman Massimo Luccioli Riccardo Monachesi Jasmine Pignatelli Attilio Quintili Mara van Wees
MEMORIE ONIRICHE, 2007 terracotta smaltata
Nino Caruso parte dalle forme arcaiche della ceramica per esplorare un universo di segni aperto alle sperimentazioni. Oltre a confrontarsi con nuovi materiali, soprattutto il metallo, negli anni Sessanta Caruso passa alla tecnica del colaggio che gli permette di approfondire sistemi di composizione plastica. Approfondisce poi le possibilità espressive derivanti dall’interazione delle forme modulari nello spazio architettonico. Con molti riconoscimenti all’estero, autore dei più importanti manuali di ceramica, oggi Nino Caruso è uno dei più alti rappresentanti della scultura ceramica italiana.
NINO CARUSO
GIACIMENTO, 2016 installazione tecnica mista, ceramica, argilla cruda, bidone
Nella sua attività artistica Giorgio Crisafi alterna da sempre teatro, poesia e arte. Nell’ambito specifico delle arti visive, pur operando con l’argilla e il fuoco, elementi tipici del mondo della ceramica, utilizza anche materiali e tecniche inusuali, portando un contributo originale a questa antica arte. Le sue creazioni comunicano una preziosa dimensione aristocratica, derivante da suggestioni differenti, tra arcaismi e visioni di modernità.
GIORGIO CRISAFI
TENDA DI PESCI, 2000/2010 installazione 1000 elementi in cottura raku
Musicista e scultrice, Yvonne Ekman privilegia quale canale espressivo l’argilla, elaborando le sue caratteristiche plastiche in uno stile originale che coniuga la ricerca sulla forma e sui colori con una sensibilità verso le tematiche civili e sociali. Dopo aver adoperato per anni la tecnica raku, attualmente si dedica a porcellana, grès e paper clay, anche con interventi in spazi aperti e integrati nel paesaggio naturale.
YVONNE EKMAN
ISOLE, 2014 installazione terracotta a riduzione e smalto
Massimo Luccioli sperimenta diverse modalitĂ espressive, passando dalla scultura in terracotta alla pratica della pittura. Porge particolare attenzione al disegno, elaborato come sintesi di pittura e installazione performativa, come ad esempio nelle esperienze della “grafia dei rotoliâ€?. Negli ultimi anni si dedica soprattutto a lavori in terracotta e disegni su carta.
MASSIMO LUCCIOLI
AQUA/E, 2015 installazione semirefrattario e smalti
Ha radici profonde il “fare manuale” che da sempre sprona la scultura di Riccardo Monachesi. È nelle forme della ceramica che si consolida una necessità espressiva che non potrebbe trovare spazio, per questo artista, attraverso altri media. Architetto di formazione, fuggendo a qualsiasi tentazione di design, Monachesi ambisce a progettare attraverso la ceramica l’emozione che sempre muove la sua mano e il suo lavoro.
RICCARDO MONACHESI
H2O, 2016 installazione ceramica e suono (qr code)
La ricerca di Jasmine Pignatelli si sviluppa intorno alle nuove “possibilità spaziali” determinate dalle modalità combinatorie ed espressive del modulo e del segno plastico. La ceramica è strumento che combinato ad interventi video o suoni diventa generatore di comunicazione: anche il linguaggio viene tradotto in moduli con i punti, linee e spazio che sono alla base del codice ad intermittenza Morse.
JASMINE PIGNATELLI
NUCLEO, 2014 ceramica, resina, ferro
Attilio Quintili specializzato nella tecnica del lustro dalla fine degli anni Novanta cerca di adattare questa pratica a un lavoro piĂš attinente ai linguaggi artistici contemporanei. Segue le orme della tradizione umbra, radicata soprattutto nella sua Deruta, cittĂ dove risiede da tempo, cercando di rileggerla attraverso modalitĂ nuove e indagando il mistero della materia cromatica che cambia attraverso il fuoco.
ATTILIO QUINTILI
NETTING (da Luigi), 2015 installazione ceramica smaltata
Per Mara van Wees, sin dagli anni dell’accademia, la ceramica scultorea è tra i linguaggi espressivi preferiti. Ha realizzato murales, ha lavorato come scenografa e come stilista nel campo della moda, per poi tornare negli anni Novanta a concentrare la sua attività intorno alla ceramica. Le sue opere propongono una composizione e un bilanciamento tra volumi asimmetrici e in bilico tra di loro.
MARA VAN WEES