Girolamo Arnaldi, Pagine quotidiane - PRIMA PARTE

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GIROLAMO ARNALDI

un processo di profonda trasformazione della struttura produttiva di base: la signoria fondiaria. A pagare le spese della riconversione signorile erano chiamati naturalmente i rustici, la cui «mise en condition» non fu senza destare reazioni violente, che si imposero all’attenzione degli operatori specializzati di pace. Perciò contro le spinte egualitarie che venivano tutte dal Mezzogiorno e dall’Italia i vescovi benpensanti del Settentrione, all’alba del secondo millennio, non si limitarono a riproporre l’antica distinzione, enunciata da papa Gelasio alla fine del quinto secolo, fra la «sacra autorità dei vescovi» (gli oratores) e il potere dei re e dei principi secolari (i bellatores), più che mai indispensabile ora che si trattava di irreggimentare le squadracce di «cavalieri» (i milites), ma, nella loro proclamazione di un ordine ideale antinomico rispetto al disordine presente, si risolsero a fare posto anche ai coltivatori della terra, la cui fatica, assunta nel mondo dei valori, veniva presentata come un prezzo da pagare in cambio della salvezza dell’anima e della sicurezza fisica, garantite rispettivamente da oratores e bellatores, giustificandosi così, in una sorta di meccanismo di tolleranza repressiva, la durezza inaudita del nuovo «modo di produzione signorile». La prevalenza dei monaci sul clero secolare (è il secolo di Cluny), la lotta per le investiture (che restituì attualità alla distinzione gelasiana) e, soprattutto, la crisi del potere regio, che i vescovi del Mille si erano illusi di poter surrogare, spiegano – secondo il Duby, che dedica a questo vuoto la sezione centrale del suo libro – l’eclissi dello «schema trifunzionale», che tornerà in auge nella seconda metà del sec. XII in una situazione radicalmente mutata. Ora, a servirsene non sono più gli oratores, ma il re, la cui corte è un microcosmo in cui convivono fianco a fianco i «chierici» della cappella regia, con tutto il prestigio della loro cultura universitaria, i «cavalieri», con tutto il fascino della loro cultura e dei costumi cortesi, e i «plebei» – borghesi arricchiti –, con tutto il peso del loro denaro. In riferimento al terzo


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