don Giuseppe Dossetti

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Don Giuseppe Dossetti La chiamata alla vita sacerdotale

LA VITA

La visita a Cavriago

La Comunità Monastica

L’impegno politico

LA PARTECIPAZIONE AL CONCILIO VATICANO II

Un uomo di Dio prestato alla politica


Giuseppe Dossetti nacque a Genova il 13 febbraio del 1913 da Ines Ligabue e Luigi Dossetti; dopo due mesi dalla nascita del loro primo figlio la famiglia si trasferì a Cavriago, un paese in provincia di Reggio Emilia.

Nel 1922 cominciò a frequentare le scuole nella città emiliana; terminato nel 1930 il liceo classico, si iscrisse all’Università di Bologna alla facoltà di Giurisprudenza, si laureò nel 1934 con il professor Magni, discutendo una tesi di Diritto Canonico, intitolata “La violenza nel matrimonio canonico”.

Frequentò inoltre la Scuola di perfezionamento in Diritto romano presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; fu un periodo significativo e di particolare importanza per la formazione professionale di Dossetti, che in questi anni incontrò alcuni personaggi, come Mons.Olgiati, che segnarono la sua esistenza.

Don Giuseppe con il padre e il fratello

Nel 1940 vinse il Concorso nazionale di Assistente di ruolo nella cattedra di Diritto Canonico, nel 1942 ne conseguì la libera docenza; nel 1947 divenne insegnante di Diritto Ecclesiastico all’Università di Modena e proprio in questi anni iniziò la carriera politica di Dossetti. Egli, entrando nel C.L.N. (Comitato di Liberazione Nazionale) provinciale di Reggio Emilia nel 1943, divenne presidente di tale associazione nel dicembre dello stesso anno, assumendo il ruolo di rappresentante della Democrazia Cristiana.


Partecipò nel 1945 al Consiglio nazionale della D.C. e fu scelto tra i 18 membri eletti all’Assemblea Costituente per partecipare alla stesura della Costituzione Italiana. Il 27 marzo del 1947 tenne un discorso sui rapporti fra la Chiesa e lo Stato democratico e nello stesso anno fondò la rivista “Cronache Sociali”, nella quale vennero esposte tutte le sue idee politiche e religiose; nel 1948 venne eletto alla Camera dei Deputati. Nel 1952, nominato vicesegretario della DC, si dimise per contrasti di tipo politico con Alcide De Gasperi. Sempre nello stesso anno, fondò a Bologna il centro di documentazione per le scienze religiose e quattro anni dopo si dimise anche dalla carica di docente, in quanto ruolo non compatibile con le proprie scelte religiose: infatti venne ordinato sacerdote nel 1959. Partecipò, come esponente del cattolicesimo di base, al Concilio Vaticano II. Nel 1972 si trasferì in Palestina, nella città di Gerico, dove divenne il capo di una comunità di preghiera formata da cristiani, musulmani ed ebrei. In seguito, al ritorno dalla Terra Santa, fondò a Monteveglio, un paese in provincia di Bologna, una comunità religiosa secondo regole monastiche, alternando la sua presenza fra Gerico e Monteveglio. L’ultima sua partecipazione politica in pubblico avvenne nel 1995, dove alla presenza di oltre duemila persone, tenne un discorso ai giovani universitari e non. Nei suoi ultimi anni di vita, dinanzi ai rischi gravi per la democrazia del paese, la sua voce si fece sentire in difesa della Costituzione: i suoi ideali riguardavano la pace, la giustizia, la fratellanza, la solidarietà e per essi combattè durante tutta la sua vita, organizzando incontri e tenendo discorsi anche nella nostra scuola. Don Giuseppe Dossetti morì a Monte Sole il 15 dicembre 1996 alle ore 6:30, lasciando un segno incancellabile nella storia politica e religiosa dello stato italiano.


LA VISITA A CAVRIAGO Il 13 Febbraio 1988, in occasione del suo settantacinquesimo compleanno, don Giuseppe Dossetti venne a visitare la sua Cavriago, il paese d'origine in cui aveva trascorso l'infanzia e l'adolescenza, nonchè il luogo in cui il Consiglio Comunale, per la sua partecipazione attiva alla vita di Cavriago, gli volle conferire la cittadinanza onoraria.


LA VISITA A CAVRIAGO Gli anni trascorsi in questo paesino emiliano furono fondamentali per la sua formazione spirituale e politica; egli ricordava spesso, e ricordò particolarmente quel giorno, che le relazioni tessute a Cavriago e i rapporti che aveva instaurato con i cavriaghesi erano unici e indimenticabili.


LA VISITA A CAVRIAGO Si ricordava dei momenti in cui da bambino aveva visto il Maresciallo dei Carabinieri andare di casa in casa ad annunciare la morte di un familiare; era rimasto impresso nella sua mente in modo ancor piĂš forte l'affetto dei cavriaghesi e il loro stringersi intorno alle famiglie che avevano perso un loro caro. Non aveva dimenticato nemmeno gli incontri con i poveri della San Vincenzo, quando da piccolo accompagnava la mamma a fargli visita; nĂŠ si era dimenticato di citare la forza con cui Cavriago cercava di affrontare la miseria causata dalle due guerre mondiali.


LA VISITA A CAVRIAGO Era un uomo colto e saggio, ma riteneva che il suo carattere non fosse stato forgiato dagli intensi studi universitari, bensì fosse stato determinato dai giorni trascorsi qui. La familiarità, la convivialità paesana e la solidarietà che distinguevano Cavriago dagli altri paesi della provincia emiliana, erano aspetti della vita ai quali don Dossetti teneva molto: proprio il giorno della sua visita nel nostro paese pronunciò un discorso nella sala del Consiglio Comunale, in cui si sentiva in dovere di ringraziare Cavriago, per tutto quello che di buono gli aveva dato.


LA VISITA A CAVRIAGO Dal suo discorso e dal suo atteggiamento era ben chiaro l'amore che don Dossetti aveva nei confronti di Cavriago che, fin da piccolo, lo aveva reso partecipe della vita paesana; parlò in modo molto chiaro ed aperto anche ai giovani, visitando le scuole e salutandoli con la mano quando li vedeva girare tra le piazze del paese. Nella sua visita non dimenticò certo gli ammalati e i poveri della Casa della Carità, con i quali celebrò la Messa e si intrattenne a parlare. Da tutti i suoi atteggiamenti, dalle sue parole, dalle sue azioni, riusciamo a capire bene quale fosse il carattere di quest'uomo cavriaghese, così pieno di bontà e generosità verso il prossimo.


IL DISCORSO DI DOSSETTI A CAVRIAGO IL 13/02/88 “Io sento di avere un grande debito verso Cavriago. La convivialità paesana è stata una delle dimensioni fondamentali della mia esistenza sin dai primi anni della mia fanciullezza. Mi ha dato una dimensione profondamente familiare della vita e profondamente comunitaria che poi è sbocciata in una coscienza più vasta, sia pure iniziale ma ravvivata poi da grandi eventi. Essere nati nel 1913 vuol dire aver vissuto la guerra da bambino. Ho ricordi vivi della passione e della sofferenza di un piccolo paese poco progredito economicamente, in quegli anni di lutti, difficoltà e fame per tutti. Questi lutti paesani vissuti in una sofferenza comune hanno formato, hanno impresso profonde orme nella mia vita sin dalla fanciullezza, e mi hanno dato sin dalla prima infanzia questa dimensione di solidarietà, di comprensione, di non estraneità alle sofferenze degli altri, di convivialità nella gioia e di compartecipazione nel dolore, nella sofferenza dei poveri.” “Io debbo a Cavriago una parte sostanziale della mia formazione esistenziale. Gli studi, l’università, l’impegno scientifico post-universitario, direi che non mi hanno dato tanto quanto mi ha dato esistenzialmente Cavriago. Se io fossi stato solo l’universitario o anche il professore di diritto, potrei dire adesso che sono stato ben povero, forse ricco maggiormente di scienza, ma certo più povero e più limitato, meno aperto su tanti problemi dell’esistenza. Quindi se ho fatto l’università a Bologna, direi che ho fatto l’università degli studi a Bologna, e l’università della vita a Cavriago. Il problema più importante è quello di un rinnovamento etico dell’uomo e di un rinnovamento del senso comunitario, del senso di quella piccola comunità. Proprio quello che ho appreso qui, la vita di comunità, l’impegno di solidarietà, la lealtà assoluta reciproca. Questo rinnovamento dell’uomo, della sua coscienza, della sua lealtà, del suo senso di solidarietà, della sua dimensione spirituale, umana, comunitaria, è ancora più urgente delle riforme istituzionali.”


paura, se voi accogliete un uomo come uomo o come fratello non vi verrà altro che del bene, se voi lo accogliete con riserva e mettete una certa bandiera, e vi volete difendere da lui, preparate la disgrazia per voi. Quindi accogliete, e abbiate rispetto dell’altro, del diverso, di colui che magari ci contrasta. Il contatto con un altro uomo, specialmente se un uomo diverso per razza, per costumi, per religione, è un contatto che non ci può lasciare indifferenti, non ci può lasciare come eravamo prima di quel contatto. Ci deve trasformare, altrimenti ha sempre in sé un germe di conflittualità, non è spirito di pace, non è spirito di vera fraternità umana e tanto meno di carità cristiana. Se vi posso fare una raccomandazione, è proprio questo, che a Cavriago cresca sempre un senso di solidarietà senza confini.”


LE NOSTRE RIFLESSIONI ……. Leggendo i pensieri di Don Dossetti, abbiamo capito che era un grande uomo, voleva solo il bene per tutta la comunità. Era una persona che ha lasciato un segno nella storia e nei cuori della gente per le sue parole, ma soprattutto per i suoi gesti. L’amore, la pace e l’aiuto erano per lui tre cose molto importanti. Già da ragazzo le voleva far conoscere alla gente, per far si che le persone vivessero in pace. Per lui non c’era differenza tra persona e persona, tutti avevano il diritto di vivere felici. Nessuno era inferiore agli altri. Secondo noi, il suo desiderio era quello che un giorno tutti potessero vivere in pace e tranquillità, accettando le differenze razziali, culturali e religiose. Noi a scuola, viviamo ogni giorno con compagni provenienti da paesi lontani come lo Sri Lanka, la Cina, il Brasile, il Sudan, l’Egitto, la Tunisia, il Marocco, e cerchiamo di instaurare un rapporto di amicizia e di rispetto reciproco. Bisognerebbe che al mondo ci fossero tante persone antirazziste che la pensano come Dossetti, perché negli ultimi anni il razzismo è riapparso. Dopo la fine della guerra, si pensava che fosse scomparso del tutto, ma non è così e man mano che passa il tempo aumentano gli episodi gravi e spiacevoli di razzismo, basta osservare gli striscioni e i comportamenti mostrati da alcune tifoserie durante importanti partite di serie A. Molta gente non crede che ciò sia possibile, ma se non ci impegneremo come ha fatto Don Dossetti, quel mostro del razzismo crescerà e potrebbero ripetersi tutte le cose orribili che sono già successe.


LA RESISTENZA Tra l’impegno civile di Don Dossetti a livello universitario e quello politico sta l’esperienza della Resistenza, che sarà tra le più significative della sua vita e caratterizzerà la successiva attività parlamentare. Anche questa scelta, che farà prendendo il nome “Benigno”, come tutte le scelte successive, non fu immediata, ma graduale, e non senza sofferenza morale. Egli parteciperà alla lotta di liberazione da non violento divenendo il presidente del Comitato di Liberazione di Reggio Emilia, rifiutando sempre però di portare le armi. Non solo dirigerà politicamente la resistenza, ma certamente eserciterà anche un’azione di moderazione per cercare di calmierare in qualche modo la violenza. Riportiamo di seguito l’intervista alla Sig. Gioia Silvi che ha conosciuto personalmente Dossetti.


L’INTERVISTA ALLA SIG. GIOIA SILVI Quando ha conosciuto Don Dossetti e in che occasione? Don Dossetti … l’abbiamo conosciuto in tempo di guerra nel ’42-’43….in quel periodo lì. Don Dossetti era uno studioso, era di famiglia benestante, la sua mamma era figlia di un grande avvocato, il suo papà faceva il farmacista,… durante la guerra ha capito che, come tutte le guerre, era ingiusta, chi soffriva erano i poveri e i soldati che andavano al fronte e quelli a casa, che non avevano da mangiare, perché quando c’è la guerra tutto quello che la nazione produce lo mette lì, nella guerra …. Dossetti, che era un uomo di Chiesa, era per il Signore, pregava e diceva: “Aiutaci Signore perché noi da soli non ci riusciamo e questa guerra ci rovina”. Alcuni suoi amici che non andavano in chiesa avevano capito però che questo uomo di studio aveva ragione, bisognava aiutarlo! …. Così lo hanno aiutato. Hanno cominciato a trovarsi nelle case da contadini fuori da Cavriago, lontane dal paese… e i ragazzi più grandi di me andavano ad ascoltare Dossetti e i suoi amici … i ragazzi di Chiesa si univano con quelli che non erano di Chiesa perché contro i tedeschi e i fascisti bisognava stare uniti. …. Dossetti ha sempre detto a noi: “Io sono un uomo del Signore, ma sono stato prestato alla politica perché in questo periodo dobbiamo combattere queste persone che con la scusa di volere un impero fanno una guerra e fanno soffrire i più deboli, dobbiamo stare uniti.” Quindi assieme ai partigiani sabotavano quello che facevano i tedeschi, per esempio se c’era una ferrovia per portare le armi al fronte, loro gliela facevano saltare….


L’INTERVISTA ALLA SIG. GIOIA SILVI A Dossetti, che era credente, queste cose non piacevano, perché a lui non piaceva essere violento, lui voleva che la guerra finisse, in pace. Lui pregava e basta, ma pregare non era abbastanza in quel periodo lì. Per convincerci a entrare nella lotta partigiana faceva delle riunioni nei cortili, i cattolici si riunivano sempre con Dossetti perché era lui che ci voleva convincere a lavorare insieme ai partigiani “rossi”, perché diceva che in quel momento si doveva stare uniti. Diceva: “Anch’io faccio fatica, ma mi sento chiamato dal Signore, il Signore mi chiede di fare questo sacrificio, di entrare in politica per fermare questa strage!” … C’è un episodio particolare che desidera raccontare a proposito di Don Dossetti ? Nel cortile della Chiesa di San Bartolomeo … noi eravamo lì seduti, era l’autunno del ’44 e lui ci ha detto: “Sapete, dove abito io (a Reggio)...tutte le sere quando vado a casa, sotto il tunnel della ferrovia c’è una donna che dorme col suo bambino, coperta di stracci. Noi vogliamo entrare in politica...quando sarà finita la guerra faremo le elezioni, ci presenteremo e chiederemo il voto agli italiani… noi vogliamo vincere perché quella donna che dorme sotto il tunnel abbia una casa. Tutti i figli di Dio devono avere la dignità di abitare in una casa. Non pensate a tante leggi economiche e finanziarie … voi mettetevi in mente che quello che stiamo facendo adesso e quello che faremo con le elezioni, è perché questa donna come tante persone in Italia abbia una casa.” Ci ha fatto capire quello che dovevamo fare e ci ha contagiato tutti! …Ci ha fatto capire che l’ingiustizia va combattuta. Siccome il periodo era molto brutto sono dovuti scappare in montagna perché qui venivano sempre ricercati dai tedeschi e dai fascisti. Anche lui è scappato, sono fuggiti verso la montagna, dove avevano più possibilità di nascondersi. In ogni chiesa che incontravano, entravano; lui apriva il tabernacolo, c’era la pisside con dentro le ostie, si comunicavano mangiando tutte le ostie! Allora Bacci Renato gli ha chiesto: “Perché?” e lui: “Se passano i tedeschi, dalla rabbia prendono la pisside e buttano via il corpo del Signore. Questo non possiamo permetterlo!” Han mangiato tutte le ostie che hanno incontrato da Cavriago a Quara di Toano, “al dis che nan magnè ‘na scudela pina acsè, nin priven più”!


L’INTERVISTA ALLA SIG. GIOIA SILVI Quello che lui faceva più volentieri era meditare e pregare e poi insegnare agli altri … Lui non si dimenticava mai di essere un uomo prestato dalla Chiesa alla politica, non si è mai dimenticato di essere un uomo di fede, in ogni circostanza aveva la necessità …di comunicarsi. Quando veniva a fare le riunioni qui da noi nelle case dei contadini, prima voleva dire una messa, sennò non cominciava, oppure voleva fare dieci-quindici minuti di preghiera inginocchiati nelle stalle, perché lui diceva che era molto più importante pregare che andare a mettere una bomba sulla ferrovia. Diceva: “Dobbiamo pregare perché il Signore ci perdoni questi atti violenti.” Aveva una fede immensa, ma aveva anche la capacità di estraniarsi per soffermarsi sui problemi piccoli di tutti i giorni, dell’operaio che poverino non aveva la bicicletta … dell’altro che stava male perché l’avevano licenziato dalle Reggiane… A quali valori o ideali lei associa la figura di Don Dossetti ? Il valore è il valore dell’uomo, l’uomo che è figlio di Dio, quindi ha la dignità del figlio di Dio e va rispettato, sempre, indipendentemente se è bello, se è brutto, se è ricco, se è povero, il valore è la solidarietà, il valore è il rispetto …


LA CARRIERA POLITICA Alcide De Gasperi chiamerà a Roma il giovane professore della Cattolica per affidargli subito un incarico importante. La sua carriera politica nella Democrazia Cristiana sarà rapidissima: Vice Segretario del partito nel 1945, il 2 giugno del 46 verrà eletto alla Costituente e nominato membro della “Commissione dei 75”, incaricata di elaborare il testo della Costituzione. Dossetti svolgerà un lavoro intenso nella prima sottocommissione, che si occuperà dei “diritti e doveri dei cittadini”.

Riportiamo di seguito alcuni importanti articoli della Costituzione.


Art. 2 La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. “Questo è senza dubbio un principio indiscutibile, non si troverà mai un uomo giusto che non sia d’accordo con quest’affermazione. Dalle prime civiltà fino ai giorni nostri si è sempre cercato di far valere il diritto del popolo e si è lottato per esso. Ogni uomo ha gli stessi diritti e solo ricordando il passato, non si ricadrà in persecuzioni, torture, razzismo e pregiudizio.”


In questo documento è espresso in modo molto chiaro il rapporto Persona-Stato. Lo stato è il più importante fra gli enti pubblici ed esercita la sua autorità su tutto il territorio nazionale e su tutta la popolazione. La prima forma di autorità che impariamo noi ragazzi è quella dei genitori che decidono tutte le cose che riguardano la nostra vita e noi le accettiamo spontaneamente. Crescendo veniamo a contatto con altre forme di autorità. Il vigile urbano, il medico, l’insegnante ci impartiscono spesso comandi e divieti, e possono punirci se non li osserviamo. Essi però non esercitano la loro autorità autonomamente, ma in nome e per conto di un organizzazione (Ente) di cui fanno parte: il vigile è un impiegato del Comune adibito al controllo del traffico, il medico presta il suo servizio alle dipendenze della regione, l’insegnante è un impiegato dello stato abilitato all’insegnamento nella scuola pubblica. In questo modo, a tutti i cittadini è garantito lo stesso trattamento: tutti devono fermarsi quando il semaforo è rosso e a tutti coloro che non lo fanno il vigile farà pagare la stessa contravvenzione.


Art. 3 Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese.

“la legge è uguale per tutti ed è per questo che è giusto riservare lo stesso trattamento per tutte le persone ree di aver commesso un reato. Ogni persona ha una propria dignità che non va violata, anzi va riconosciuta.”


Art. 11 L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, consente, in condizioni da parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni, promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. “La guerra non è assolutamente il rimedio giusto per risolvere le controversie internazionali. La guerra è inutile quando ci sono rimedi migliori, perché si può perfettamente mettersi intorno ad un tavolo e discutere. La guerra è uno strumento di discriminazione e di offesa che non può essere assecondato da un paese come l’Italia. La guerra mette in gioco il diritto più importante dell’essere umano: LA LIBERTA’.” Oscar Luigi Scalfaro dice: “Questo articolo è di una chiarezza impressionante, non ho mai saputo chi fu, tra i componenti, colui che trovò questa parola:“ripudia”. Ripudia è un verbo che è una scultura, è formidabile, definitivo. Non c’è discorso, è il NO alla guerra senza appello.”


LA COSTITUENTE E I PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA COSTITUZIONE “Con la caduta del fascismo erano cadute tutte le istituzioni. E un popolo uscito stremato dalla guerra, con città e vie di comunicazione distrutte, con un numero di morti civili che per la prima volta era stato superiore a quello dei morti militari, in quella realtà aveva il diritto di chiedersi < Cosa sono? >, < Chi sono? >, < Quali norme ci sono per la nostra convivenza e per il rapporto con gli altri popoli? >. Mancando tutto, ecco l’ineluttabilità dell’Assemblea Costituente, bisognava scrivere daccapo una legge fondamentale che servisse per la vita di questo popolo e per i rapporti di pace con gli altri popoli.” (tratto da “La mia Costituzione” p.11, di Oscar Luigi Scalfaro)

Questa è la premessa di Oscar Luigi Scalfaro ex presidente della Repubblica Italiana, che descrive la situazione esistente poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Scalfaro visse la guerra bambino e, come tale, dice di aver avuto ricordi vaghi sulla dittatura di Mussolini, ma con il tempo ha potuto approfondirli. Dice: “Mi colpirono anche da bambino momenti particolari, perché ricordo perfettamente quando fu ucciso Matteotti. Avevo sei anni. I ricordi riguardano ciò che mi spiegarono in casa. O quello che a noi scolari disse la maestra. [ ] Avevano ammazzato a bastonate uno che in Parlamento aveva parlato contro chi comandava. Crescendo ebbi modo di mettere ancora più a fuoco la vicenda.” ((tratto da “La mia Costituzione” p.14)


LA COSTITUENTE E I PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA COSTITUZIONE

Il 23 giugno 1946, un anno dopo la liberazione, l’ex presidente si recò a Roma assieme ad altri deputati, eletti, per prendere parte all’Assemblea Costituente con l’obiettivo di elaborare una nuova Costituzione in sostituzione dello Statuto Albertino, calpestato negli anni precedenti da Benito Mussolini. “Il 25 dello stesso mese iniziò l’opera legislativa e ben 556 deputati di differenti partiti collaborarono, uniti dagli ideali comuni, per produrre una Costituente ben scritta, asciutta, senza sbavature e chiarissima alla lettura. “Da tante impostazioni diverse è stato trovato un denominatore comune” (tratto da “La mia Costituzione” p.53)

Don G. Dossetti Anche Don Dossetti partecipò alla stesura della Costituzione, giacché egli dedicò gran parte della sua vita alla politica, nonostante avesse egli stesso affermato di aver ricevuto la chiamata da Dio antecedentemente la sua carriera. Dopo di essa si fece monaco, ma dovette tornare al suo impegno politico sotto richiesta del cardinal Lercaro. Continuò quindi a far sentire la sua voce parlando di pace e uguaglianza. Per commemorare ciò, riportiamo qui di seguito i tre articoli della Costituzione che più ci sono parsi significativi, accompagnati d alcune riflessioni personali.


LE DUE ANIME ALL’INTERNO DELLA DEMOCRAZIA CRISTIANA: DOSSETTI E DE GASPERI Al Congresso di Venezia nel ’49 Dossetti non riuscì ad imporre al partito la svolta in senso sociale e questo fu il preludio dell’abbandono della vita politica. Ormai si esprimevano due anime all’interno della DC: quella del partito di De Gasperi e quella degli ideali di Dossetti; e la seconda avrebbe potuto essere lo stimolo, il motivo ispiratore della prima.

Dossetti con De Gasperi e Fanfani a Venezia nel 1949 al congresso della DC


CON L’ON. ALDO MORO


CON L’ON. NILDE IOTTI


Giuseppe Dossetti lasciò la politica attiva nel 1952, con una breve “riapparizione” nel ‘56, per obbedienza al cardinal Lercaro, per contendere, invano, a Dozza la carica di Sindaco di Bologna. Questo fu il suo ultimo impegno politico.

Un uomo di Dio prestato alla politica


Dopo aver abbandonato la carriera politica, Giuseppe Dossetti si dedicò alla vita religiosa. Il giorno dell’Epifania del 1956 pronunciò i voti religiosi nelle mani del cardinal Lercaro, il quale aveva dato la sua approvazione pochi mesi prima alle regole della sua comunità monastica la “Piccola Famiglia dell’Annunziata”. Questa comunità era basata su alcuni principi fondamentali come il silenzio, la preghiera, il lavoro e la povertà e Dossetti vi era già legato come terziario francescano.


L’ORDINAZIONE SACERDOTALE

Tre anni più tardi, nel 1959, sempre nel giorno dell’Epifania, Giuseppe Dossetti fu ordinato Sacerdote. Poco tempo dopo diventerà pro-vicario generele della diocesi di Bologna.


Don Giuseppe con il cardinal Lercaro, il fratello Ermanno e il nipote Giuseppe Dossetti jr.


L’ABBAZIA DI MONTEVEGLIO Situato sulle prime colline dell'Appennino bolognese (a circa 20 km. dal capoluogo), il borgo di Monteveglio costituisce uno dei più affascinanti complessi medievali della regione. Conteso tra romani e bizantini, tra bizantini e longobardi, tra Papato e Impero, tra bolognesi e modenesi, porta le tracce di queste dominazioni e di queste culture sui suoi muri millenari. L'Abbazia è romanica ma affonda le sue radici nel V sec. d.C., come testimonia la suggestiva cripta. L'edificio come ci appare oggi è frutto della ricostruzione operata da Matilde di Canossa nel 1000. In questo luogo inizialmente si stabilirà la comunità di Don Dossetti, che in seguito si trasferirà a Monte Sole.


LA COMUNITÀ DI MONTE SOLE Padre di una comunità di fratelli e sorelle, don Giuseppe condurrà la vita monastica dapprima a Monteveglio, poi in Terrasanta, quindi ancora in Italia fino a stabilirsi definitivamente a Monte Sole.


DON DOSSETTI E IL CARDINAL BIFFI CONCELEBRANO A MONTE SOLE Monte Sole, non sarà una scelta casuale, in precedenza sede di grandi violenze, diventerà luogo di pace e preghiera. Qui, il cardinale Giacomo Biffi, incaricherà espressamente i monaci di vegliare sulla memoria dei martiri di quella terra.


DON DOSSETTI CELEBRA LA MESSA DI ORDINAZIONE DI UN MONACO A NONTE SOLE


UNA MONACA DELLA “PICCOLA FAMIGLIA DELL’ANNUNZIATA” IN TERRA SANTA


“Ho ammirato la sua dirittura di coscienza, la coerenza mai piegata piegata a smussature” E’ morto Don Giuseppe Dossetti. Era ammalato da tempo, ma sempre lucido. Ed ora era più difficile incontrarlo per la precarietà precarietà della sua salute. Ero riuscito a salutarlo per pochi minuti dopo Pasqua, Pasqua, non ci ero riuscito quand’ero salito a Monte Sole con i nostri nostri chierici. Si era tornato a parlare di lui in questi ultimi anni perché perché s’era trovato promotore di Comitati in difesa della Costituzione, Costituzione, nei tempi in cui c’era chi sembrava volerla cambiare a tutti i costi. E faceva tanto tanto più meraviglia perché Dossetti, che aveva lasciato una brillante brillante carriera politica (era stato membro della Costituente e vicesegretario nazionale nazionale della Dc di De Gasperi) per fondare un Istituto monastico monastico e farsi sacerdote, ora usciva improvvisamente dal chiostro per un impegno impegno così specificatamente “terreno”. Ma era stato protagonista dell’incontro e della collaborazione collaborazione delle tre culture (Cattolica, Liberale, Socialcomunista) Socialcomunista) per una Costituzione così equilibrata (e perciò così invidiata nel mondo), e temeva che che essa potesse venire rimaneggiata con intenti meno solidali, favorevoli favorevoli ai settori già più affermati o privilegiati. Un altro impegno forte era stato quello di appoggiare ilil Papa nell’appello alla Pace della vigilia della guerra del Golfo; Golfo; e l’aveva incontrato allora nella residenza dei suoi monaci in Giordania, alle falde del Monte Nebo. Nebo. Quando aveva lasciato la politica - per divergenze con De Gasperi, ritenuto forse troppo moderato o troppo dipendente dall’America – era venuto a Bologna (lui proveniva da Reggio Emilia e insegnava diritto ecclesiastico all’Università Cattolica di Milano) dove aveva fondato un Centro di documentazione religiosa ed un Istituto per preparare culturalmente i Cristiani che volessero dedicarsi alla alla politica. Il Card. Lercaro l’aveva poi obbligato a presentarsi come candidato a sindaco di Bologna: non aveva vinto, ma le giunte socialcomuniste per molti anni avevano applicato le intuizioni del “Libro bianco” bianco” preparato da lui e dai suoi collaboratori (tra cui il prof. Ardirò), Ardirò), a cominciare dalla divisione della Città in Quartieri. Poi si era ritirato con la Piccola Famiglia dell’Annunziata dell’Annunziata da lui fondata (alcune religiose e due o tre religiosi), prima prima presso il santuario di S. Luca, in seguito nell’Abbazia di Monteveglio, Monteveglio, ad una ventina di Km. dalla città. Era stato ordinato Sacerdote Sacerdote dal Card. Lercaro che lo volle suo “esperto” al Concilio Vaticano II, e fu di aiuto determinante nell’arte di determinante non solo nella preparazione dei discorsi ma anche nell’arte muoversi tra le schermaglie dei regolamenti conciliari, spesso utilizzati utilizzati per soffocare sul nascere le aperture più nuove prospettate prospettate da alcuni episcopati o da singoli Vescovi. Nel pomeriggio, poi, insieme insieme a Raniero La Valle riassumevano l’andamento della mattinata, mattinata, pubblicando su “L’Avvenire d’Italia” stampato allora a Bologna e diretto da La Valle, relazioni documentate e stimolanti che facevano facevano conoscere al mondo esterno (ma spesso… anche a noi Vescovi) quanto era avvenuto nell’Aula Conciliare. Col. Card. Lercaro s’era dedicato soprattutto allo sviluppo della Chiesa in particolare particolare bolognese; e il Cardinale lo apprezzava e lo amava per i suggerimenti preziosi e nello stesso tempo per un’obbedienza un’obbedienza pronta e sincera. L’aveva fatto Vicario Generale dopo la mia partenza: pare anzi che avesse insistito con Paolo VI per averlo successore sulla Cattedra di S. Petronio. Con il Card. Poma aveva invece accentuato l’attenzione all’incontro tra le grandi religioni, religioni, con insediamenti e lunghe permanenze in Israele e in Giordania. Giordania. Più di una volta aveva accettato di parlare ai nostri preti o ad un nostro nostro pellegrinaggio. Quando le diocesi di Bologna avevano fatto memoria dei sacerdoti e della gente (bambini, donne, anziani) assassinati dai dai tedeschi nelle chiese e nei cimiteri di Montesole, Montesole, la montagna sopra Marzabotto don Dossetti aveva accettato di insediarsi insediarsi con una comunità maschile in una cascina ristrutturata e di prepararne una non lontana per la comunità femminile, perché vi fossero testimoni di fede e di preghiera dove s’era sparso tanto sangue innocente. Ed in quel cimitero dov’erano dov’erano state uccise e sepolte tante vittime delle barbarie ha chiesto chiesto di riposare per sempre. La sua famiglia religiosa (una ventina di monaci, una sessantina sessantina di monache) si nutre di Parola di Dio (due ore di meditazione meditazione al giorno) e di preghiera, e vive nella povertà e nella semplicità mentre colloquia colloquia e studia nelle principali lingue antiche e moderne gli approfondimenti ed i commenti della S. Scrittura. Ne abbiamo avuto avuto testimonianza, nella preparazione al nostro recente Sinodo, attraverso la parola del monaco Don Umberto Neri. Quello che ho sempre ammirato in Don Dossetti è stata la sua dirittura dirittura di coscienza, la sua coerenza, mai piegata a smussature, quindi pronta sempre a sentirsi contestata o in minoranza, ma sempre fiduciosa fiduciosa nella forza della verità. In minoranza nel Partito, spesso anche nella Chiesa, la sua voce era però particolarmente autorevole, ed imponeva quanto meno riflessioni e valutazioni serie . Il suo ricordo, il suo esempio, esempio, la sua amicizia ci aiutino. Vescovo Luigi Bettazzi


IL CIMITERO DI MONTE SOLE DOVE E’ SEPOLTO

DON GIUSEPPE DOSSETTI


LA PARTECIPAZIONE AL CONCILIO VATICANO II Dossetti fu chiamato al Concilio Ecumenico Vaticano II dal Cardinal Lercaro, che lo volle con sé come suo perito personale. Al concilio, don Giuseppe non si limitò ad offrire le sue competenze di giurista, ma espresse anche la sua ansia e il suo desiderio di una Chiesa “povera” per i poveri. Al Concilio scrisse il “Regolamento” impedendo l’approvazione di testi già preparati, facendo in modo che si aprisse una reale discussione sui problemi. Anche al Concilio Dossetti lavorerà intensamente per esprimere le sue idee sulla pace.



La ricerca è stata curata dalle Prof. Vincenza Petrilli, Prof. Patrizia Acquatici, L’intervista dalla Prof. Alessandra Cocconi. Con la collaborazione dei Prof. Nino Piazza e Prof. Giuseppe Migliore. La realizzazione dell’Ipertesto è stata curata dalla Prof. Patrizia Acquatici


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