AmericaNa - Storie e itinerari di dodici scrittori americani a Napoli e in Campania

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Pier Luigi Razzano

AmericaNa isbn 9788874211593 © Edizioni Intra Moenia 2015 Il Distico Srl Via Costantinopoli 94, 80137 - Napoli www.intramoenia.it | info@intramoenia.it Rivisti e ampliati appaiono qui i testi pubblicati nell’estate del 2014 sull’edizione napoletana di “La Repubblica” Progetto grafico e impaginazione: Luca Mercogliano I diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o parziale e con qualsiasi mezzo (compresi microfilm e copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.


Pier Luigi Razzano

AmericaNa Storie e itinerari di dodici scrittori americani a Napoli e in Campania James Fenimore Cooper • Herman Melville • Mark Twain Henry James • John Dos Passos • Francis Scott Fitzgerald William Faulkner • Truman Capote • John Steinbeck John Fante • John Cheever • Gore Vidal



Introduzione

Una nuova frontiera. Napoli, tanti luoghi della Campania, dall’inizio dell’Ottocento fino al secolo scorso, furono tappa per numerosi scrittori americani in cerca di un territorio vergine, seppur stratificato di storia come la vecchia Europa, che potesse rinnovare il proprio immaginario, proteggere l’ispirazione, capovolgere il punto di vista. Il viaggio oltreoceano timbrò a ognuno di loro la memoria. E i luoghi visitati, vissuti, non sparirono appena ritornati in America. Proseguirono con lo spirito dei viaggiatori del Grand Tour ammirando le bellezze dell’antichità, curiosi dei reperti visitarono i musei o la millenaria distesa di case di Pompei. Però fu anche un viaggio sentimentale, inseguendo odori, gesti, atteggiamenti incomprensibili, il caos delle strade di Napoli a ogni ora del giorno - così simile a New York per molti di loro - incrociando volti indimenticabili, storditi da un’incontenibile e naturale gioia a ogni angolo, senza mai distogliere lo sguardo dalla povertà, dalle afflizioni. La partecipazione al luogo è emotiva, l’immersione nella vita napoletana che scorre impetuosa è completa. Ne ricavano una visione articolata, la complessità di cui hanno fatto esperienza distanzia, per poi 5


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annullare, l’immagine cartolinesca e unidimensionale. Il contatto continuo con la vita reale scansa luoghi comuni, compie un salto in avanti rispetto alla sicurezza di sterili considerazioni da parte di chi li considera turisti eccellenti, ma solo di passaggio, distaccati a collezionare paesaggi, come accadde al giovane Truman Capote alla fine degli anni Quaranta appena sbarcato in Europa. Accogliendolo un amico gli disse: «Che cosa meravigliosa dev’essere per un americano viaggiare per la prima volta in Europa: voi non potrete mai farne parte, così nessuna delle sue pene è vostra, non dovrete mai sperimentarle. Sì, per voi c’è solo la bellezza». Un giudizio errato. Ogni scrittore entrando a Napoli, visitando la Campania, si concede alla scoperta di un nuovo territorio, conquista un personale e inedito spazio geografico e umano che si completa, cresce, prende un ulteriore forma attraverso la trasfigurazione letteraria che aiuta a penetrare più a fondo l’esperienza che hanno vissuto. Spinti dalla necessità, durante il soggiorno, oppure a distanza di tempo, rientrati negli Stati Uniti, sentirono di annotare su diari, comunicare via telegrammi, dedicare un racconto, dei versi, un reportage, brani di romanzo: ricomposero letterariamente il viaggio che aveva lasciato più di un segno. E quel segno inserito all’interno della loro produzione artistica offre la mappa di un territorio al quale sentono di appartenere, che ha modificato e potenziato la visione dell’America da cui sono partiti. Con la loro opera è come se alla terra di appartenenza si aggiungesse un nuovo pezzo, generando una stretta connessione tra l’America e Napoli. La loro disposizione interiore allarga e cancella confini, dalla realtà nasce un territorio 6


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immaginario, un accogliente rifugio personale cui ho dato il nome di “AmericaNa”. “AmericaNa” è il racconto del viaggio di dodici autori e degli itinerari che hanno seguìto: il testo parte da James Fenimore Cooper, l’autore de “L’ultimo dei Mohicani”, il padre dell’epopea western, che nel 1829 sbarcò a Napoli, trascorse l’estate a Sorrento, da lì visitò numerosi luoghi della Campania, e ritornato negli Stati Uniti rifece il viaggio nel nuovo mondo a bordo della memoria attraverso la composizione dei “Gleanings in Europe”, un diario di bordo ricucendo spigolature di aneddoti e le sensazioni ancora vive. Segue il tentativo di Herman Melville durante il carnevale di Napoli del 1857 di sanare il dolore per l’insuccesso di “Moby Dick”, e la lunga trasfigurazione in versi dello sconcerto provato per come Ferdinando II “Re Bomba” trattava la popolazione stremata dagli stenti. Poi i vagabondaggi di Mark Twain nel 1867, irriverente di fronte al miracolo di San Gennaro, armato dello stesso spirito spaccone di Huckleberry Finn mentre visitava Pompei. Per ben tredici volte Henry James visitò l’Italia, disseminandone in tanti romanzi l’amore e le esperienze vissute, che culminarono in “Italian Hours” e in quel capitolo finale, “Il pomeriggio del santo patrono e altro”, composto tra il 1900 e il 1909 per ritrovare l’unicità della luce pomeridiana ammirata da una rupe di Capri, in grado di temperare il dilagare prepotente della modernità e allontanare ogni disillusione. Fuggire alla continua paura della morte è necessario a John Dos Passos. La partenza per Napoli e la vista ai templi di Paestum nella primavera del 1918 spengono per poche, indimenticabili ore di licenza, l’orrore delle bombe e delle trincee di Bassano. 7


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Capri, invece, durante i primi mesi del 1925, fu per Francis Scott Fitzgerald tappa di revisione de “Il grande Gatsby” e tentativo di ricomporre l’amore tormentato con Zelda Sayre. Poi Ischia, fatta conoscere da Truman Capote agli americani nel 1950 attraverso le pagine della rivista “Mademoiselle” con un lungo articolo al confine tra letteratura e cronaca, di non-fiction novel. Positano, arroccata, primitiva, prima di divenire chiassosa e glamour incantò il Premio Nobel John Steinbeck. Nel 1953 seguì il consiglio di Moravia per sfuggire al caldo infernale di Roma. Trovò il luogo ideale in Positano, il soggiorno fu una lunga scoperta della vita di pescatori e artigiani, ne ricavò un agrodolce reportage per le pagine di “Harper’s Bazaar”. Napoli fu occasione, luogo di opportunità per John Fante, arrivato a Napoli in un afoso agosto del 1957 per scrivere la sceneggiatura di un film che non fu mai realizzato, e raccontò attraverso dolcissime lettere alla moglie Joyce le asprezze, la fame che incontrava ogni giorno tra i vicoli. Nello stesso anno John Cheever si aggirava trafitto dall’angoscia nella Napoli ancora sventrata dalle bombe, divorata dalla speculazione edilizia, come riporterà nei diari e in un gruppo di racconti frutto della sua esperienza italiana. In più “AmericaNa” contiene un caso limite. La strana vicenda di William Faulkner. Nel 1925 era su una nave ferma nel porto di Genova. Prevedeva di proseguire verso Napoli, invece l’arresto di un amico cambiò l’itinerario. Dalle vicende che accaddero a Genova, dal resoconto ascoltato, compose il racconto “A Napoli si divorzia”. Un’occasione mancata restituita dalla letteratura, caricando la Napoli degli anni ‘20 di misteriosa sensualità. Ultima tappa di “AmericaNa” è Gore Vidal. Negli anni Settanta si trasferì a Ravello. Sul costone 8


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di roccia de La Rondinaia trovò la sua patria di elezione, una terra vergine, meno ipocrita e perbenista, per poter guardare l’America da lontano.

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Che nobili storie, viaggiatori incredibili, nei vostri occhi profondi come il mare! Su, dei vostri ricordi mostrateci gli scrigni, gli splendidi gioielli fatti d’etere e di astri! Senza vele o vapore vogliamo navigare! Per alleviare il tedio delle nostre prigioni, sui nostri spiriti, tesi come tele, esponete gli squarci d’orizzonte della vostra memoria! Che avete visto, diteci?

Charles Baudelaire, da “Il viaggio”


Il più europeo degli scrittori americani, Henry James, nacque a New York nel 1843. Acuto osservatore della società moderna attraverso i molti romanzi, da “Roderick Hudson” del 1875 in cui già dichiara il suo amore per l’Italia, e i tanti racconti come “La tigre nella giungla” del 1903, stabilì un costante rapporto tra la società americana e il Vecchio Continente. Crebbe in un’atmosfera culturale fervida di stimoli; figlio del pensatore religioso

Henry e del fratello filosofo William, James fu un viaggiatore vorace, curioso, sempre attento, uno spirito cosmopolita in contatto con i più grandi scrittori dell’Ottocento, tra cui Zola, Maupassant, Turgenev e Flaubert; visse a lungo a Londra, dove si trasferì nel 1876. Affianco ai suoi capolavori - “L’americano” (1877), “Ritratto di signora” (1879), “I bostoniani” (1876), “Giro di vite” (1898) - numerose opere di viaggio, come “Transatlantic sketches” (1875) e “Un pellegrino appassionato” (1875), ricche di aneddoti, di dettagliate descrizioni, puntellate sempre da una narrazione con cui penetra i meccanismi psicologici. Muore a Londra nel 1906.


Henry James 1908-1909

Capri, poi Posillipo. In quel cielo che conserva la poesia

Un amore incontrastato lo accompagna per tutta la vita. Se l’esule Henry James, stanco d’America, considerava Londra adatta alla concentrazione, e la vivacità dei circoli letterari di Parigi ideali per circondarsi di brillante mondanità, l’Italia fu sempre un’esaltante lovely land, adorable country, land of promise, come dichiarato in “Ritratto di signora” del 1881. Luogo capace di riaccendere la speranza al James pellegrino appassionato, assiduo viaggiatore che la visitò ben tredici volte nell’arco di quarant’anni. Avvertiva di essere affetto da the luxury of loving Italy di fronte all’incredibile sequenza di monumenti in cui immergersi, circondato da paesaggi unici. A Henry James bastava il semplice lampeggiare di un momento, il ricordo che scocca simile a una scintilla, in una dimensione totalmente diversa, lontano dall’Italia, come in quel cantuccio verde e grigio del nord in cui si trova nei giorni di inizio Novecento, perché la memoria diventi incontenibile, per immergersi nel passato, riappropriarsi di un’emozione che rischia di restare seppellita, prima di perdersi. Se il viaggio era stato una forma d’arte e non il passatempo di un turista ingordo di emozioni da ammassare indistinta43


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mente, per James doveva essere replicato inseguendo anche il riflesso di un ricordo. Mai restare indifferente all’improvvisa folgore che ripropone la baia di Napoli inseguita dalla rupe di Capri. Ha colore dorato, esce dalle nebbie del ricordo, restituisce intatta tutta la sua luminosità. E non si può lasciar fuggire quell’istante. Il frammento va assecondato, bisogna ricomporre gli attimi che furono, prima che il tempo li sommerga. Ci sono ore diverse, insostituibili, vanno almanaccate con rigorosa precisione, stesso procedimento per lui che è stato l’architetto del romanzo moderno e vuole raccontare al pubblico americano con le “Ore italiane” - memoriale di viaggio apparso nel 1909 - l’amore provato per l’Italia. A bordo del vaporetto, lasciandosi alle spalle Sorrento da dove è partito, si compone il profilo di Capri, «prodigiosa isola, bellissima», però subito dopo diventa anche «orrenda», perché popolata dalla presenza di schiamazzanti turisti americani e tedeschi che non appena sbarcati - come soggiogati dall’ansia di vedere e consumare - subito formano file per dirigersi verso la Grotta Azzurra oppure in cerca di ristoranti e birrerie. E macchiano la poesia annidata nella luce che l’atmosfera offre: «una lucentezza ampia» stretta tra cielo e mare, accudita dal sottile vapore che avvolge le rocce dell’isola. Affamati di attrazione, i turisti si addentrano nella Grotta Azzurra; James seguendo l’incanto delle onde spera che si gonfino, e magicamente, per volontà della natura, nessuno di loro possa riapparire. Sono come dei barbari con un unico sentimento di vorace appropriazione, sedendo «su queste sponde irresistibili a ruminare, digerire». Il loro vociare opprime il cielo, l’unica possibilità è distanziarsi, percorrere strade alternative, acciuffare con infini44


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ta pazienza e passione un sentiero, scalarlo per giungere su una rupe, guardare «il mare da una posizione vertiginosa e che riconobbi come il mio particolare punto di riferimento», che con emozione offre «più di quanto mi aveva promesso». La land of promise. Capace di cancellare la volgarità del presente. Da lì si inerpica verso Anacapri, attraverso «una di quelle magnifiche imprese ascensionali che le razze latine, grandi costruttrici di strade, realizzano dovunque estendano il loro dominio, senza particolare enfasi o ampollosità». Sopra di lui, sempre il cielo, con una luminosità che rischiara ogni cosa, confermando che lì si annida la poesia. Henry James di fronte al paesaggio caprese sente la propria emozione traboccare. A ogni passo lo squadernarsi di una sorpresa che diventa puro godimento per il «meraviglioso raggrupparsi e disperdersi di stanze, angoli, cortili, gallerie, pergolati, archi, lunghi corridoi bianchi e vertiginosi punti panoramici». Il ricordo delle giornate trascorse a Capri si ricompone con precisione: tessera dopo tessera il mosaico dell’immaginazione che insegue il bello si amplia, fino a ricostruire anche il brusio più caldo e accogliente del pomeriggio in cui si festeggia Sant’Antonio, patrono di Anacapri, su un pianoro riparato da «splendenti e ombrose logge», mentre in fondo riluce l’azzurro del golfo. Henry James ritorna al giorno della festa tra «polvere, luci, sudore» di giugno, in una religiosità allegra e rumorosa, esaltata da odori inebrianti, al tal punto penetranti che sprigionano una carnalità eccitante, quella che appartiene a ogni abitante del sud, e sostiene la statua che esce dalla chiesa. La sacralità dei festeggiamenti meraviglia per la semplicità con cui è celebrata. Una partecipazione numerosa, eppure sembra di stare in famiglia. 45


Lo scrittore Henry James resta emozionato di fronte alle bellezze di Capri e descrive il ÂŤmeraviglioso raggrupparsi e disperdersi di stanze, angoli, cortili, gallerie, pergolati, archi, lunghicorridoi bianchi e vertiginosi punti panoramiciÂť.


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«È davvero tutto come a casa propria quello che accade in questa comunità insulare rannicchiata qui in alto». Lo sguardo da esteta sbircia vorace e discreto ogni angolo, si sofferma sulle maioliche policrome che compongono il pavimento; ascolta, spostandosi verso un’ombra mediterranea accogliente, le donne «più anziane che stavano lavorando a maglia, parlottando tra loro, sbadigliando e muovendosi con passo strascicato». È ciò che definisce uno «straordinario tempio dell’arte e dell’ospitalità». Anche il portico dove può assaggiare del «vino purpureo» da grossi fiaschi rivestiti di paglia è un altro punto privilegiato, colmo di promesse, «dove ogni cosa era bianca e luminosa, salvo l’azzurro della grande baia, così come appariva in basso, da lontano, oppure quando la si osservava tra l’una e l’altra delle colonne splendenti, con i gomiti appoggiati al parapetto». Intanto, in quella che gli appare un’atmosfera di grandiosità - addirittura «penetrava nelle narici e sembrava giungere da fonti troppo numerose» - sullo sfondo spiccano Sorrento, il Vesuvio, «Napoli ancora più distante, dissolta, nel mezzo del quadro in una luccicante e innocente evanescenza». In quell’atmosfera si ricongiunge con l’essenza della Storia. Con il passato c’è un contatto continuo. «Il presente sembra diventare ancora una volta realmente classico». La suggestione è rintuzzata dalla visione della villa di Tiberio, a strapiombo sul mare. «I bianchi archi e le fresche stanze offrivano ad ogni passo qualche tenero, vecchio frammento del passato: un pilastro 47


Capri viene definita da Henry James come una “prodigiosa isola, bellissima”. Però il luogo rischia di tramutarsi in “orrendo” perché popolato dalla presenza di schiamazzanti turisti. Quasi un’anticipazione della odierna realtà del luogo. Nella foto, un anziano pescatore dell’isola.


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tondeggiante di porfido che fungeva da base ad un busto, una colonna di pallido alabastro posta a sostegno di una pergola, una figura mutila di marmo, qualche ruvido bronzo sopravvissuto a stento». Quando scrive il capitolo finale di “Ore italiane”, “Il pomeriggio del santo patrono e altro”, James blandisce il passato, è lenitivo per il presente, ci si rifugia: ricucire quel momento è come sentirne ancora la continua promessa, tutto lo slancio che lo proiettava nel futuro. E tra i momenti da consacrare al ricordo ne appare un altro. Ripesca dalla memoria altri pomeriggi; James sgrana la corona delle tante visite a Napoli, «dalla prima, intrisa della più estenuata sensibilità giovanile di quarant’anni addietro, a quest’ultima». Quanto il mondo è cambiato, nel 1909. E lui può visitarla a bordo del mostro, come chiama un’automobile che sfreccia da Roma verso Posillipo. Al pellegrino appassionato si possono schiudere finalmente «mete di piacere che di necessità ricadevano nella sfera dell’irraggiungibile». La velocità della modernità piomba in quei luoghi; Posillipo, poi Baia, tra sentieri che prima aveva solo potuto vedere da lontano, o immaginare. La visione a bordo dell’automobile permette il «ramificarsi della curiosità tra i vari regni della terra». L’incanto generato da luci, odori, si offre in maniera totale. Se da un lato fa spavento quel modo diverso di viaggiare, James non soggiace, sente di poter dominarlo. E nella sequenza di immagini, sotto un orizzonte perlaceo, modera istintivamente la velocità: gli si offre dinanzi un giovane contadino, adagiato nei pressi di una siepe. Nonostante la modernità della macchina che piomba con il suo fragore, prevale l’uomo, che «incarnava dinanzi ai nostri occhi la felicità rara di quel suo sguardo totale». 49


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A Napoli scopre che l’emozione nasce sotto altra forma: «La contemplazione si è fatta tutt’una con l’azione e la soddisfazione con il desiderio». L’immediatezza di nuovi tempi che non esclude però la luce da conservare, «il tutto luminoso e azzurro» da portare sempre con sé, sempre, raggiungendo «straordinari livelli di splendore» che inseguendo la memoria può rivedere anche quando ormai è lontano. E rinnovare in futuro, di continuo, il suo amore.

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Indice

Introduzione

pag. 5

james fenimore cooper La Campania: questo mondo dove l’uomo è ancora inserito nella natura

pag. 13

herman melville Napoli. immergersi nella pazza folla per uscire dall’angoscia

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mark twain Pompei. È viva se si aprono gli occhi sul passato con innocenza

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henry james Capri, poi Posillipo. In quel cielo che conserva la poesia

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john dos passos Paestum. L’incantesimo di felicità che scaccia la guerra

pag. 53

francis scott fitzgerald Capri. Per ricomporre la felicità del passato

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truman capote Ischia. Un paradiso per scacciare i demoni

71

william faulkner Napoli. Un’illusione nel buio carica di sensualità

77

john steinbeck Positano. Una realtà verticale contro il furore del mondo

87

john fante Napoli. Uno scrigno inesauribile di vita

95

john cheever Napoli. All’improvviso l’odore del mare dopo la curva

103

gore vidal Ravello. Una trincea piena di luce per sorvegliare l’America

113

Bibliografia

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finito di stampare per conto delle edizioni Intra Moenia nel mese di febbraio 2015 presso Vulcanica Print - Torre del Greco (NA)


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