Ticino7

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occhi dei familiari, tutti presi solo dalla bellezza di quell’evento straordinario che è la nascita. Non riescono minimamente a capire che una madre possa essere in difficoltà e stare male. Per loro si deve essere per forza felici. Così le madri non interpretano il loro disagio in termini di depressione che necessita un aiuto specifico. Hanno vergogna dei loro pensieri, non osano parlarne, rimangono nel silenzio e dunque troppo spesso la depressione rimane nascosta. In questi casi, insisto, un ruolo fondamentale lo ha il partner della donna, non solo come sostegno ma come possibilità di cogliere il prima possibile i sintomi che possono ricondurre a una depressione. La cosa migliore è incoraggiare la madre nel chiedere aiuto; nella maggior parte dei casi, se si agisce con tempestività, l’intervento è semplice e si risolve in alcuni colloqui con uno specialista. Anche se a volte può essere necessario l’uso di farmaci”.

E le conseguenze per il bimbo? “Se questa modalità relazionale diventa duratura spesso ha delle ripercussioni su tutto l’ambiente familiare della donna e principalmente sul bambino, che può ritirarsi in se stesso, non avere più curiosità per l’ambiente intorno a lui, dormire e alimentarsi male, sviluppare della paure. A lungo andare può presentare un certo rallentamento del suo sviluppo psico-fisico. Attenzione però, bisogna valutare caso per caso, perché non tutte le situazioni sono uguali e portano per forza a conseguenze irreversibili...”. Ci sono delle categorie di donne maggiormente a rischio? “Penso che più che in termini di fattori di rischio sia più utile parlare di fattori di protezione. Il migliore fattore di protezione

è quello dell’ambiente familiare, che aiuta la donna neo-mamma o crea il rischio che la depressione diventi manifesta. E in questo senso l’intimità affettiva con il proprio compagno, l’ambiente emotivo della famiglia hanno un ruolo fondamentale per la donna in un periodo cosi sensibile di sua vita”. Chi sta accanto alla donna ha quindi un ruolo fondamentale... “Il compagno, la famiglia, tutta le rete di amici della donna, il suo «entourage» hanno un ruolo fondamentale nell’essere vicino e sostenere la madre in difficoltà. A volte, però, non è sufficiente e la depressione si manifesta comunque. La cosa più complicata è che in molti casi la depressione post-partum non viene diagnosticata. Desidero sottolineare come l’aspetto più complesso è che le madri che soffrono e vivono un disagio con il loro bambino si sentono delle «cattive madri», e hanno così timore di apparire in questo modo agli

» di Roberto Roveda; fotografia di Reza Khatir (1985)

a fare la mamma, di fallire nel suo ruolo, mettendola in difficoltà nella relazione con il suo bambino”.

Qual è la situazione nella Confederazione e nel nostro Cantone? E, secondo lei, si fa abbastanza rispetto a questo tipo di problematica? “Il nostro Paese è allineato con le altre nazioni occidentali per quanto riguarda le caratteristiche e la diffusione della depressione post-partum. Per quanto riguarda l’informazione sul tema, la stampa ha un ruolo fondamentale, poiché permette di rendere noti al pubblico l’esistenza di questi disturbi e la loro portata sociale. Un altro aspetto importante è la sensibilizzazione di tutte le figure professionali che lavorano con le donne in gravidanza, e che sono a stretto contatto con loro e il loro bambino prima e dopo il parto: medici di base, ginecologi, ostetriche, pediatri, infermiere specializzate in pediatria. Il loro ruolo è vitale nella prevenzione e nella diagnosi del disturbo. E sono anche loro che possono, se necessario, indirizzare le madri alle strutture in grado di prendersi a carico queste donne e il loro problema”. Dottoressa, un’ultima domanda che è quasi una curiosità: esiste una depressione post-partum anche per i neo-padri...? “Essere genitori implica sentire, desiderare di volere allevare dei figli, avere raggiunto una maturità psichica che permette alla coppia di avere dei figli, cioè di passare della relazione di coppia alla relazione con i propri figli. In qualche caso, l’essere genitori al livello biologico non coincide con l’esserlo come capacità psichica di volere crescere i figli. E in questo senso anche i papà possono essere deficitari, essere cioè in difficoltà nello sviluppo della loro genitorialità...”.


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