100 immagini di libri di scuola. Il Fondo Antiquario del Museo Nazionale della Scuola di Firenze

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INDIRE Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa



INDIRE

100 immagini

di libri di scuola Il Fondo Antiquario del Museo Nazionale della Scuola di Firenze ( secoli XVI-XVIII )

a cura di Alessandra Anichini e Pamela Giorgi con la collaborazione di Rita Ercole e Dario Berbeglia


Apparato iconografico: tutte le illustrazioni sono tratte dai volumi del Fondo antiquario di INDIRE, Via Buonarroti 10, Firenze Progetto grafico e impaginazione: All’Insegna del Giglio s.a.s. In copertina: Niccolò de la Croix, Geografia sacra ossia descrizion de’ paesi e de’ luoghi quali si parla nelle Sante Scritture, in Claude Buffick, Geografia Universale, presso Giacomo Storti, Venezia, 1795, illustrazione. ISBN 978-88-7814-595-5 © 2013 All’Insegna del Giglio s.a.s. Stampato a Firenze nel dicembre 2013, Nuova Grafica Fiorentina Edizione e distribuzione: All’Insegna del Giglio s.a.s. via della Fangosa, 38; 50032 Borgo S. Lorenzo (fi) tel. +39.055.8450.216; fax +39.055.8453.188 sito web www.edigiglio.it; e-mail redazione@edigiglio.it


Indice

Presentazione, di Flaminio Galli . . . . . . . . . . . . . p. Premessa, di Giovanni Biondi . . . . . . . . . . . . . . . »

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Introduzione, di Giorgio Chiosso . . . . . . . . . . . . . » Il fondo librario antiquario INDIRE: origine e prospettive future, di Pamela Giorgi . . . . . . . . . . . . . . . . . » Il libro per imparare, dall’età moderna al secolo dei Lumi. Tracce per una storia da scrivere, di Alessandra Anichini . »

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Secolo XVI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Grammatica, retorica, dialettica e lingua italiana; Aritmetica e geometria; Divulgazione scientifica; Ginnastica; Educazione femminile; Educazione dei religiosi; Arte della memoria; Classici; Editoria

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Secolo XVII . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Grammatica, retorica, dialettica e lingua italiana; Aritmetica e geometria; Divulgazione scientifica; Educazione dei nobili; Educazione civile; Arte della memoria; Riflessioni sull’educazione; Editoria

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Secolo XVIII . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Grammatica e belle lettere; Aritmetica e geometria; Geografia; Storia; Ginnastica; Educazione del popolo; Educazione femminile; Educazione dei nobili; Riflessioni sull’educazione; Editoria

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Appendice Sistemi scolastici nei secoli XVI-XVIII, a cura di Pamela Giorgi . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 175 Elenco dei titoli dei volumi presentati, a cura di Alessandra Anichini . . . . . . . . . . . . . . . » 183 Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 187



Presentazione

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orrere verso il futuro senza avere la curiosità di guardarsi intorno o di voltarsi per ricordare cosa abbiamo lasciato lungo la nostra strada ci avvicina alle macchine o ai primati. Comprendere la realtà significa prenderla tutta insieme, collazionare il passato con il futuro. Ho sempre supposto e poi creduto, che il ruolo di INDIRE debba avere a che fare con il movimento del pendolo che oscillando occupa tutto lo spazio nel quale si trova. L’innovazione può essere una parola vuota di senso se non si riesce a capire con lucidità che essa non spinge semplicemente in avanti qualcosa, ma che, in realtà, trascina dietro di sé il passato che a volte sembra un peso altre volte una parte della sua forza motrice. Qualunque figlio ha un genitore e chiunque è ciò da cui proviene e sarà migliore se sarà in grado di tenerlo sempre a mente. Il presente volume, proposto alla fine di un complesso 2013, nasce proprio dalla consapevolezza del valore e del senso da cui INDIRE trae le proprie origini e dal debito culturale che ha nei confronti di un passato non trascorso. Questa pubblicazione è allora l’occasione per inaugurare un nuovo corso che, parallelamente all’attività di propulsione verso l’utilizzo consapevole ed esperto delle tecnologie, l’ineludibile spinta al futuro, recuperi quanto di prezioso proviene da una tradizione che non cade nella dimenticanza. Flaminio Galli Direttore Generale di INDIRE

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Premessa

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uesto ricco fondo librario, conservato oggi negli spazi dello storico Palazzo Gerini di via Buonarroti, trae la sua origine dall’antecedente istituzionale di INDIRE, cioè la Mostra Didattica Nazionale aperta a Firenze alla metà degli anni Venti e poi trasformata da Bottai nel Museo Nazionale della Scuola. Si tratta di una raccolta che è testimone dell’attività scolare dei secoli XVI-XIX e che rivela, tra le varie cose, l’importanza di quello che ancora oggi rappresenta lo strumento principale del fare scuola: il libro, anzi il “libro di scuola”, per secoli centrale per l’insegnante, ma soprattutto per lo studente nelle sue attività di studio, a casa. Le immagini contenute nei libri aprono un altro spaccato estremamente interessante, poiché rappresentano una fondamentale integrazione del testo e in molti casi raccontano più del testo stesso, rimanendo poi negli occhi e nella mente di molte generazione di studenti. Lo sguardo sul passato riconduce inevitabilmente al presente e, in particolare, all’attuale fase di profondo e non rinviabile ripensamento che il mondo dell’editoria scolastica sta oggi attraversando, ridiscutendo tutti i propri paradigmi culturali ed economici. Ripensamento in cui istituti come INDIRE svolgono un ruolo importante. L’attività di selezione, raccolta e catalogazione dei volumi di questo fondo antiquario si colloca sorprendentemente, dopo oltre novanta anni, ancora in continuità con le attuali finalità dell’ente, che ha mutato negli anni le sue denominazioni ma è in qualche modo rimasto fedele ai propri obiettivi, certamente declinandoli, rappresentandoli e interpretandoli in modi diversi, più o meno efficaci, ma sempre avendo come momento centrale d’interesse la Scuola e l’innovazione ad essa applicata.

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Una raccolta, non solo libri ma “tecnologie”, materiali di insegnanti e lavori di studenti, sorta per sostenere concretamente l’innovazione di un modello educativo fino ad allora troppo centrato sulla ripetizione del testo spesso imparato a memoria. Una dimostrazione che voleva essere concreta testimonianza della possibilità di fare scuola coinvolgendo direttamente i ragazzi in attività che li rendessero protagonisti: l’ente costituì per la scuola di allora, come ancora oggi, un luogo di rappresentazione e di sostegno ai processi di innovazione. Se nei primi anni del secolo l’istituto ha raccolto quei documenti e quei volumi che nel corso della storia si erano rivelati più significativi in ambito didattico, oggi si propone di reperire e valorizzare tutte le risorse che la rete mette a disposizione, frutto del lavoro sia del mondo della ricerca anche internazionale, di molti progetti finanziati dalla UE, ma anche di insegnanti che si cimentano nella sperimentazione e nella produzione dei nuovi testi, esprimendo al meglio tutta la ricchezza comunicativa dei nostri anni. Il valore profondo di questo nostro patrimonio librario deriva anche dal fatto che, se debitamente trattato, può essere una memoria progettuale della scuola, della sua connaturata vocazione a pensare al passato per creare il futuro. L’idea di valorizzarlo con una pubblicazione di questo tipo rappresenta il tentativo di offrire motivi di riflessione sulla storia e la vita dell’istituzione scolastica. Del resto, per innovare è fondamentale conoscere il proprio passato. E far questo, forse, può aiutare a guardare alla scuola come ad una straordinaria avventura plurisecolare fatta di emozioni, di lavoro, di delusioni e soddisfazioni, di un ambiente sociale sempre nuovo e ricco con i suoi caratteri originali e i suoi personaggi straordinari: un ambiente vivo e continuamente in evoluzione, anche se talvolta, per la sua dimensione, inevitabilmente inerziale. Giovanni Biondi Presidente di INDIRE

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Introduzione di Giorgio Chiosso

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on c’è forse altro ambito della ricerca storica che, come quello che indaga il mondo dell’infanzia, della scuola e della pedagogia, sia connotato da una straordinaria varietà di fonti restate spesso inesplorate. Negli ultimi decenni la storiografia educativo-pedagogica – a lungo coltivata per lo più attraverso la consultazione dei documenti ufficiali e l’analisi critica dei testi della riflessione teorica – ha cominciato a farvi ricorso con risultati che oggi consentono di delineare con maggiori dettagli la vita educativa e scolastica del passato. Non secondaria – nel delinearsi di questo più ampio approccio alla ricostruzione storica, accanto ad altre ragioni – è stata la spinta venuta dall’apertura di numerosi Musei della scuola e dell’educazione. Esperti museali, linguisti, antropologi e naturalmente le punte più avanzate della ricerca specializzata hanno immesso in circolo un nuovo modo – più realistico e più aderente ai fatti – di guardare in specie all’educazione scolastica e ai rapporti tra adulti e bambini/e. Lo sguardo si è spostato, per esempio, dalla scuola idealmente disegnata dai testi pedagogici o dalle riforme tracciate dalla politica, alla scuola “reale e quotidiana”. Sono state valorizzate nuovi fonti come le raccolte di quaderni e le collezioni di giornali professionali destinati agli insegnanti (in specie ai maestri); sono stati studiati i progetti di costruzione degli edifici scolastici e gli arredi, dai banchi alle lavagne; attenzione puntuale è stata prestata alla fattura dei sussidi didattici e al loro impiego (alfabetieri e pallottollieri, mappamondi, carte geografiche, cartelloni storici e naturalistici), ai giocattoli con finalità didattiche (il più celebre è senz’altro il “piccolo chimico”), agli attrezzi impiegati negli esercizi ginnastici e a quanto altro può rappresentare una tangibile testimonianza della vita


Giorgio Chiosso

dell’infanzia del passato, maschile e femminile, normale e disabile. Specifiche e approfondite indagini sono state inoltre, e forse soprattutto, riservate ai libri a scopi d’istruzione e di educazione, da quelli propriamente ad uso scolastico o precettoriale, a quelli poi racchiusi nel XIX secolo sotto la dicitura “libri di lettura amena”, ai testi compilati per l’istruzione popolare con tematiche sia di carattere pratico sia con finalità religiose e devozionali. I libri per l’educazione sono una spia di incalcolabile portata per cogliere la mentalità e le ritualità pedagogiche di un’epoca. Come fa notare anche Alessandra Anichini nello scritto che introduce alla rassegna illustrata del libro di scuola (espressione nella quale si raccolgono, a sua volta, svariate tipologie di testi) l’editoria per l’istruzione e l’educazione è posta in un crocevia nel quale s’incrociano l’introduzione al rispetto delle regole della vita sociale, l’idea di scuola che a queste si accompagna, le consuetudini didattiche e, più indirettamente ma non meno incisiva, una precisa concezione dell’infanzia e della fanciullezza. I testi educativi e scolastici o “per imparare” (magari anche al di fuori della scuola) costituiscono perciò un tassello non eludibile nella ricostruzione delle strategie perseguite dalle classi di età adulte per assicurare il passaggio generazionale. Visti nell’ottica delle fonti essi ci consentono di raccogliere elementi decisivi sia per la comprensione dei modelli pedagogici che li animano e sia per stabilire le pratiche della lettura e dell’insegnamento. Detto in altro modo essi costituiscono per l’appunto una via (certamente non l’unica, ma comunque privilegiata) per entrare nella scuola “reale e quotidiana”. Come accade per qualunque libro, anche quelli educativi, scolastici e di lettura amena sono, poi, un oggetto editoriale e sono sottoposti, d’un lato, alle leggi della produzione tipografica e dall’altro, a quelle del mercato, leggi, queste ultime, sempre più cogenti a mano a mano che questo tipo di editoria, con il diffondersi dell’istruzione e della scolarizzazione, acquisisce – in specie a partire dalla seconda metà del XIX secolo – una rilevanza anche economica nient’affatto secondaria. Come documenta questa pubblicazione i libri di scuola hanno una lunga storia. Se l’editoria specifica (la cosiddetta

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Introduzione

“scolastica”) giunge a maturazione piena solo tra Otto e Novecento, le sue origini risalgono molto indietro nei secoli: fin dai primi tempi della tipografia moderna una quota di testi fu destinata alla “gioventù studiosa”. Era prassi degli stampatori riservare uno spazio dell’attività della tipografia per mettere sotto torchio, accanto a immagini religiose e devozionali, anche foglietti con l’alfabeto e le sillabe, piccole grammatiche e libretti di calcolo elementare. Si trattava di prodotti che avevano sicuro smercio e che potevano consentire di annullare le perdite provocate da altre iniziative di maggior prestigio, ma anche esposte a più alti rischi economici. La raccolta di immagini presentate in questo volume e conservate presso il fondo antiquario dell’Indire di Firenze (la cui genesi e rilevanza viene messa in giusta luce da Pamela Giorgi) offre l’opportunità di accostare un’ampia scelta di libri di scuola tra XVI e XVIII secolo. Si può, dunque, percorrere un significativo tratto di storia dell’educazione in età moderna attraverso le coperte e i frontespizi dei testi che si trovano nel prezioso fondo. La pubblicazione presenta un doppio motivo di attenzione e di interesse. Si tratta, in primo luogo, di una forma non consueta di fare “storia dell’educazione” mediante il ricorso alle fonti iconografiche. Non sono soltanto i documenti scritti ad avere la prerogativa di consegnarci il passato. Le pagine che seguono suggeriscono, poi, che la ricerca sui libri di scuola (e l’editoria specializzata che ne scaturirà) vada condotta da più prospettive: tenendo conto della normativa sui programmi di insegnamento, con un occhio attento alla circolazione pedagogico-didattica e, più in generale, alla temperie culturale e politica, ma anche guardando agli aspetti tipografici ed editoriali. Come si è già fatto cenno il libro “per imparare” è sempre un prodotto da immettere in un mercato ed esso sarà tanto più appetibile nella misura in cui se ne percepiranno l’utilità e la praticità. Fin da tempi lontani, non a caso, è manifesta la preoccupazione di pensare a soluzioni grafico-editoriali più o meno rudimentali in grado di facilitare l’apprendimento. Lo scorrere delle immagini consente una duplice esperienza: godere delle meravigliose icone cinque-sei-settecentesche che adornano i frontespizi e che fanno anche, in molti casi, di questi testi opere tipografiche di rilievo, e constatare la

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Giorgio Chiosso

sostanziale stabilità nel tempo lungo della concezione della scuola “alta” e cioè destinata, sia attraverso i collegi sia nella forma del precettorato, alla formazione dei ceti dirigenti. Poco ci è invece restato della scuola “povera” (le “petites écoles”, le “scuole di carità”) i cui testi erano più facilmente soggetti all’erosione del tempo e alla consunzione dovuta al loro uso plurimo. Ben lontani dal consumismo editoriale dei nostri tempi nelle famiglie di modesta condizione i libri erano un bene prezioso posto infatti al servizio di più figli. Ma ancor più spesso accadeva che chi andava a scuola non possedesse neppure i libri e che l’avviamento alla lettura, per esempio, avvenisse principalmente attraverso la pratica e la memorizzazione delle preghiere religiose. Solo nel tardo Settecento apparvero i primi testi abbecedari destinati a sostituire gradualmente, ma molto lentamente, la medievale Charta o il più moderno Libretto de’ nomi in uso nelle scuole primarie asburgiche o altri analoghi strumenti introduttivi al leggere. È troppo facile cedere alla tentazione di confrontare la lunga storia del libro di scuola con la prospettiva, ormai reale, dell’ebook e delle potenziali risorse disponibili in rete in grado di dare nuova fisionomia alle pratiche di apprendimento. Difensori e critici del libro sono spesso schierati su sponde opposte. Non entro in questa complessa discussione aperta, forse, a soluzioni che è difficile oggi prevedere. Mi limiterò soltanto a segnalare che un fecondo campo di indagine, ancora in larga misura inesplorato e peraltro di grandissimo interesse anche oggi, è rappresentato dal rapporto intercorso (e che ovviamente tuttora intercorre) tra il libro scolastico, l’evoluzione delle discipline e le metodologie didattiche ritenute più adeguate. Si tratta di un altro stimolante snodo storico attraverso la cui analisi è possibile cogliere le vie non sempre lineari mediante le quali si sono via via trasformati i canoni delle diverse materie fino alla definizione di quel nucleo di sapere reputato oggetto di conoscenza indispensabile (ieri come oggi) per chi ha frequentato i vari gradi scolastici ed è chiamato a entrare nel consorzio adulto.

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Il fondo librario antiquario INDIRE: origine e prospettive future di Pamela Giorgi

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a costituzione dell’importante collezione antiquaria oggetto del presente volume e conservata tra i fondi librari dell’Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca educativa (INDIRE), si lega indissolubilmente alla nascita del suo antecedente istituzionale, il Museo Nazionale della Scuola, erede della Mostra didattica Nazionale del 1925. Era il marzo del 1925 quando a Firenze venne inaugurata la Mostra Didattica Nazionale. Questa aveva alle proprie spalle due figure di pedagogisti insigni: Giuseppe Lombardo Radice (Direttore generale all’Istruzione elementare dal 1922 al 1924 ed una delle anime della Riforma del Ministro Giovanni Gentile) e Giovanni Calò (già sottosegretario del Ministero della Pubblica Istruzione per le antichità e le belle arti durante il primo Ministero Facta e professore ordinario di Pedagogia all’Università degli Studi di Firenze)1, che presiedeva il suo comitato ordinatore. La Mostra veniva così annunciata dalle pagine della rivista I diritti della scuola: «Il I marzo si aprirà in Firenze la Mostra didattica nazionale posta sotto l’Alto Patronato di S.M. il Re. L’avvenimento, che è un segno della rinnovata attività educativa della Nazione, riuscirà senza dubbio importante ed offrirà agli insegnanti di ogni grado larga messe di osservazioni e di studi [...]. Le competenti autorità dovranno, nei limiti del possibile, facilitare al maggior numero di maestri e di professori il modo di recarsi a Firenze; e il Comitato della Mostra procurerà, ove sia precedentemente avvisato, di ridurre al minimo le spese di soggiorno per gli insegnanti raccolti in comitiva»2. La mostra, rimasta ufficialmente aperta fino al 19 aprile dello stesso anno, era principalmente finalizzata alla raccolta e alla valorizzazione di numeroso materiale didattico, proveniente

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dalle scuole di ogni ordine e grado di tutta Italia. Si andava, in sostanza, a documentare il livello raggiunto dal sistema scolastico italiano nel periodo di prima applicazione della Riforma, presentando le migliori pratiche educative prodotte dalle scuole e alle quali gli insegnanti avrebbero dovuto ispirarsi nell’ambito della propria attività»3.

Ulteriore precisazione sul principale fine della Mostra veniva data da Calò in un articolo, comparso il 25 gennaio 1925, sempre su I diritti della scuola. «Una mostra non è soltanto, o non deve essere soltanto, una parata; dev’essere anzitutto mezzo d’informazione e di studio, luogo di ritrovo e di comparazione di fatiche, di programmi di lavoro, di tentativi, di metodi che spesso reciprocamente si ignorano, aiuto a una visione d’insieme, registrazione del fatto e impulso a fare […]»4.

Erano ben diciassette le sezioni in cui la mostra si articolava, aventi ad oggetto: l’edilizia scolastica; il materiale didattico e di arredamento; la stampa scolastica; l’igiene e l’educazione fisica; le istituzioni integrative e prescolastiche; l’insegnamento primario e le scuole di carattere speciale; l’insegnamento secondario; le scuole e gli istituti di Belle Arti; l’insegnamento professionale (artistico, industriale, commerciale, agrario); gli istituti per i minorati; i collegi, gli educandati pubblici e privati; le scuole coloniali e le scuole italiane all’estero; la bibliografia scolastica; la mostra storica dell’insegnamento; l’esposizione internazionale del materiale didattico. Queste vennero distribuite in quattro diversi spazi espositivi: il nucleo centrale, nel Palazzo delle Esposizioni al Parterre di San Gallo, a questo si affiancavano le sedi distaccate di Palazzo Medici Riccardi, degli Uffizi (all’epoca sede dell’Archivio di Stato) e delle ex-Scuderie Reali di Boboli a Porta Romana. A pochi mesi dalla chiusura della mostra, nel settembre del 1925, in un lungo articolo5 Calò perorava la causa della sua musealizzazione: egli asseriva che, in quasi tutti gli Stati si era prima o poi sentito il bisogno d’integrare l’attività scolastica con un organo di studio e d’esperienza come un Museo didattico. Non riferendosi con ciò a quei Musei che avessero mera funzione strumentale rispetto all’attività d’una singola scuola, o carattere e limiti di istituzione cittadina, ma a quelli che aspiravano allo status di vere e proprie istituzioni

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nazionali, destinate a riflettere la vita scolastica di tutto il Paese e a soddisfare ai bisogni, almeno più generali, d’insegnanti e di studiosi d’ogni regione. A suo parere, inoltre, occorreva evitare che il Museo fosse cosa morta e stazionaria, avrebbe, invece, dovuto essere luogo di osservazione e di studio e fucina di lavoro esso stesso, raccolta di mezzi di ricerca. Asseriva Calò che esso doveva offrire: una raccolta completa e sempre aggiornata, tanto da render possibili le istruttive comparazioni, di tutto il materiale didattico o d’arredamento che l’industria specializzata o il lavoro quotidiano dei singoli insegnanti andava offrendo alla vita scolastica; una raccolta, rigorosamente selezionata, dei prodotti dell’attività scolastica degli alunni, nella misura strettamente necessaria a documentare i risultati di determinati metodi d’insegnamento o ad offrire materiale particolarmente significativo alla comunità degli studiosi; una biblioteca pedagogica. A questo si sarebbe dovuto affiancare un Museo retrospettivo, cioè una raccolta di quanto (materiale didattico e scientifico d’altri tempi, figurazioni d’ogni genere, modelli, pubblicazioni rare, documenti, autografi di maestri e scolari, ecc.) potesse servire all’illustrazione storica dell’evoluzione del sistema scolastico in Italia. Alla fine Calò la spuntò e si ottenne che la parte più originale del materiale esposto restasse permanentemente ordinata a Firenze in quello che fu chiamato Museo Didattico Nazionale e che ebbe iniziale disposizione in due ampi saloni posti a pianterreno delle ex-Scuderie Reali, per poi essere annesso all’Università degli Studi di Firenze e collocato nella sede della Facoltà di Scienze politiche e sociali. Lo stesso Giuseppe Lombardo Radice si dichiarò immediatamente entusiasta di questa apertura in un articolo comparso sulla rivista Educazione nazionale, che all’epoca, dopo il suo allontanamento dagli incarichi ministeriali, dirigeva: «Vediamo, con gran piacere, che la nostra idea di non disperdere il ricco materiale confluito a Firenze per la Mostra didattica, e di dotare Firenze d’un museo didattico, di cui quel materiale può costituire il primo nucleo, è stata accolta»6 .

Il progetto si definì però compiutamente qualche anno dopo, con il Regio Decreto 11 ottobre 1929 n. 1948, per mezzo del quale il Museo Didattico Nazionale venne eretto in ente morale e Calò nominato suo direttore. Questo si dotò

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subito di una rivista ufficiale, Vita scolastica, dalle cui pagine il neo direttore ribadì subito la sua concezione di museo: «A che serve, anzitutto, un Museo? La domanda è ovvia e comune. Frequente e facile, anche, il rispondere: “A nulla!”. Ma le risposte più facili e più frequenti sono anche spesso, appunto perché tali, le meno meditate e le meno concludenti. Il fatto è che i Musei si moltiplicano, malgrado lo scetticismo e la non rara irrisione di coloro che nella vita vedono soltanto il momento creativo, l’aspetto dinamico, lo slancio inesauribile e inarrestabile verso l’azione, e non anche il momento contemplativo, quello dell’osservazione e della meditazione, e, se volete, quello persino della tregua e del riposo […] E del resto, chi ha detto che un Museo deve essere soltanto e necessariamente una morta collezione di cose inattuali, un cimitero di ricordi? Perché non potrà esso costituire un’officina di lavoro, un campo di osservazioni, un organo di ricerche e di studi? Perché non potrà esso fare del suo materiale uno strumento d’indagine scientifica, un mezzo a fini di propaganda pratica o di diffusione della cultura? Il Museo non esclude il Laboratorio, i veri Musei sono, anzi, dei Laboratori»7.

Qualche anno più tardi con il Regio Decreto 26 agosto 1937 n. 1570, il Museo Didattico Nazionale assunse la denominazione di Museo Nazionale della Scuola. Alla direzione fu confermato Calò, che mantenne la carica fino al 1938, quando gli subentrò Nazareno Padellaro, al suo fianco quello che poi sarà uno storico sindaco di Firenze, Piero Bargellini. Il nuovo museo si proponeva di raccogliere ogni forma di documentazione relativa alle condizioni edilizie e di attrezzamento dei vari ordini di scuola, i lavori e i compiti degli alunni, così come il materiale didattico esemplare, oltre ai documenti relativi alla storia dell’educazione attraverso i secoli e, cosa che ci preme maggiormente in questa sede, fu dotato anche un collezione libraria che comprendeva: la stampa periodica per l’infanzia, i libri di testo e quelli di letteratura infantile, oltre ad un cospicuo numero di volumi antiquari di argomento educativo che costituivano parte integrante dell’allestimento museale. Si venne così costituendo un primo prezioso nucleo librario che poi fu destinato ad implementarsi negli anni. Grazie alle intercessioni di Padellaro, l’allora Ministro dell’Educazione Nazionale, Giuseppe Bottai, garantì al museo

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l’attribuzione di una nuova prestigiosa sede: Palazzo Gerini. Lo storico edificio del quartiere di Santa Croce fu sottoposto per l’occasione ad un radicale intervento di risanamento: il restauro avvenne sotto la direzione del capo dell’Ufficio comunale delle Belle Arti, l’architetto Ezio Zalaffi, mentre al ben noto architetto Giovanni Michelucci fu affidato il progetto degli interni, mobilio compreso8, che egli fece in collaborazione con Leonardo Ricci e Giuseppe Gori, figlio dell’ebanista Gregorio Gori che realizzò materialmente tutti gli arredi9. Il nuovo museo si articolava in varie stanze, organizzate a propria volta in tre distinte sezioni: la sezione dedicata alla storia della scuola, quella dedicata alla scuola secondaria e all’istruzione tecnica e quella dedicata alla scuola materna ed elementare. L’ingente quantità dei finanziamenti concessi per la realizzazione della nuova sede del museo e l’estrema cura con la quale si procedette al restauro, alla decorazione e all’arredamento dei suoi locali palesano il forte interesse del regime nei confronti di questa istituzione fiorentina: il Ministro Bottai la volle, infatti, come un luogo in cui mettere in luce i benefici della sua riforma scolastica10, tesa in primo luogo al potenziamento dell’istruzione tecnica, che infatti vi era largamente rappresentata. La consacrazione dell’istituto fiorentino a livello nazionale giunse con il Regio Decreto 19 luglio 1941, con il quale Bottai istituì – accanto al museo, che vi veniva incorporato – il Centro Didattico Nazionale (CDN), alla cui direzione fu posto Nazareno Padellaro, mentre Calò ne fu nominato presidente. La nuova sede del museo fu inaugurata il 28 ottobre 1941. Nel progetto bottaiano di riforma del sistema scolastico nazionale, il CDN avrebbe dovuto svolgere un ruolo di primaria importanza, coordinando l’attività di altri dieci centri didattici, istituiti su tutto il territorio nazionale con Legge 30 novembre 1942 n. 1545 e relativi ai diversi ordini e gradi scolastici. Con Decreto interministeriale 25 gennaio 1943 al CDN fu assegnata una duplice finalità: I) documentare figure ed eventi della tradizione educativa italiana; II) costituire il centro d’irradiamento per il rinnovamento didattico della scuola italiana. Tuttavia, solo pochi mesi più tardi, la deposizione di Benito Mussolini (25 luglio 1943), il passaggio del fronte e

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l’imperversare degli eventi bellici fecero sì che si dovesse optare per la chiusura dell’istituto. Il Museo voleva dare ai visitatori la possibilità di osservare direttamente, attraverso una documentazione varia, la storia della Scuola italiana nei secoli: fotografie, facsimili, documenti originali e autografi, cimeli, infine, testi storici di pedagogia e di letteratura, in edizione sovente originale, incunaboli. Un patrimonio illustre ed unico nel suo genere che costituiva la testimonianza di un complesso processo storico – evolutivo. La prima sala in cui i visitatori si trovavano era quella della Romanità, cui facevano seguito quella Etrusca e quella che offriva vari elementi della cultura scolastica (ma non solo) italiana del Medioevo. Anche la Sala del Rinascimento ospitava opere originali, facsimili e fotografie di opere che illustravano la prodigiosa attività educativa, letteraria e artistica sviluppatasi a partire dagli ultimi decenni del Trecento fino a tutto il Cinquecento. Fu proprio per approfondire alcuni aspetti dell’insegnamento in quel periodo storico che si acquisirono molti libri andando a costituire il primo nucleo della biblioteca antiquaria. Una sezione della sala era dedicata a Giovanni Boccaccio (la cui figura dominava nella riproduzione a grandezza naturale di un’opera di Andrea del Castagno nel cenacolo dell’exconvento di Sant’Apollonia di Firenze), che con Francesco Petrarca aveva dato inizio al movimento di rinascita degli studi classici, alla fondazione di biblioteche, alla ricerca di testi latini. In quella stessa stanza si trovava poi un facsimile di una traduzione del Phormio di Terenzio, dei primi esercizi di scrittura greca, dell’approvazione della Signoria di Firenze per la lettura dell’opera di Dante. Ancora libri, autografi, facsimili e stampe arredavano la sala del Seicento, che comprendeva ciò che era relativo alla scuola dell’età Barocca del Concilio tridentino nei primi anni del secolo XVIII, quando fu interessata e investita da tutta le necessità della controriforma cattolica. La controriforma favorì tra le altre cose il sorgere dei collegi fondati dagli Oratoriani, dagli Scolopi e dai Gesuiti, che ebbero in Italia uno dei momenti più importanti della loro storia. Questi, che si proponevano di giungere alla formazione morale e spirituale

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dei giovani attenendosi ai principi della religione cattolica, divennero una delle più importanti roccaforti della Chiesa di Roma contro la Riforma protestante. Anche la sala del Settecento conservava libri ed originali manoscritti, documenti, facsimili, attestanti uno dei momenti più importanti della storia della pedagogia sia per l’incremento numerico e d’importanza delle scuole che si vollero pubbliche e sotto la tutela dello Stato, sia per l’avanzamento del problema educativo e didattico in primo piano. Chiudeva il percorso la sala dell’Ottocento in cui erano disposti trattati sull’educazione del XIX secolo, testi scolastici, piani di studio, opere sulla storia delle istituzioni scolastiche ed educative11. L’acquisizione dei volumi che sono poi andati a costituire il fondo ‘antiquario’ è dunque da ricondurre a questa prima fase dell’attività istituzionale dell’ente e alla sua funzione museale. Sebbene per la presente pubblicazione i curatori prendano in considerazione solo le serie Cinquecento (103 unità), Seicento (100 unità), a corredo della sala del Rinascimento, e Settecento (392 unità), a corredo della sala del Settecento, il fondo comprende molti altri testi per un ambito cronologico più ampio che giunge sino al termine del XIX secolo12. L’estrema ricchezza e articolazione di questa raccolta e il suo rilievo, specie per il periodo che va dal Rinascimento all’Illuminismo, è sottolineata nel volume di Paul F Grendler, Schooling in Renaissance Italy 13, qui si apprende che i libri conservati in INDIRE sono ben noti allo studioso statunitense e certamente ad ora sono più conosciuti e valorizzati all’estero che in Italia. Se è da tutti accolto il significato di questo arco temporale nell’evoluzione dei sistemi scolastici, occorre tenere presente che il settore antiquario di INDIRE ne conserva una traccia importante e si rivela giacimento culturale prezioso. Per di più la collezione libraria in questione è stata pensata e organizzata in modo affatto casuale ma specifico, tanto da far emergere i libri che lo compongono nella piena evidenza della loro ratio essendi. Questo è un aspetto che deve essere considerato come elemento di valore aggiunto, poiché, in mezzo agli infiniti testi possibili della ricchissima produzione libraria del periodo tra Umanesimo e Illuminismo, non

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sarebbe tanto semplice individuarli e poterli studiare in riferimento alla vita scolare se gli stessi titoli esemplari fossero dispersi, per esempio, nei cataloghi della Biblioteca Nazionale Centrale. Infatti, proprio in quell’ottica di allestimento museale, di cui sopra abbiamo detto per sommi capi, chi cercò e raccolse questi libri negli scaffali del Museo Nazionale della Scuola aveva già orientato la sua selezione verso una bibliografia ‘ideale’ che oggi sarebbe facilmente valorizzabile, seppur con un numero adeguato di risorse, umane e tecnologiche, ad essa consacrate. Del resto è ormai da lungo tempo che la ricerca sta presentando il fenomeno dell’invenzione della stampa come elemento innovatore dei processi di alfabetizzazione e di apprendimento e come aspetto di una grande rivoluzione culturale. Una collezione come questa di INDIRE, così precisamente pensata e organizzata, può contribuire a ricordare questa svolta epocale (passata attraverso i glossari, repertori, il lavoro di tipografi, come il celebre veneziano Aldo Manuzio) che ebbe anche larghe ripercussioni sulla vita scolare. Sarebbe un’occasione ulteriore per approfondire la linea di studi storico-educativi che dal libro di testo tradizionale giunge sino alle ultime forme legate alle nuove tecnologie e per una riflessione ulteriore sui fondamenti delle strategie educative, sui modi in cui esse si sono costruite. Ci auguriamo che valorizzare questi volumi14 possa essere un contributo significativo in tal senso. Iniziamo oggi con un catalogo come questo che pubblichiamo adesso, accompagnato da schede ragionate dove il singolo pezzo non è solo descritto, ma inserito nelle coordinate informative dell’autore, della sua fortuna, delle tecniche educative, etc., proseguiremo con altre iniziative di valorizzazione, per esempio, sotto forma di mostra virtuale. Tutto sta anche a testimoniare la forte volontà di recupero del patrimonio del primo Museo della Scuola italiano, ripensato però con criteri e iconografia più moderni.

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il fondo librario antiquario Indire

Bibliografia Biondi Giovanni e Imberciadori Fiora, Voi siete la primavera d’Italia... L’ideologia fascista nel mondo della scuola (1925-1943), Paravia, Torino 1982. Calò Giovanni, La Mostra didattica nazionale (Firenze, I marzo-15 aprile 1925), in «I diritti della scuola», n. 14 (1925). Calò Giovanni, Dalla Mostra di Firenze al Museo didattico nazionale in «I diritti della scuola», n. 26 (1925).

Giorgi Pamela (a cura di), Dal Museo Nazionale della scuola all’Indire. Storia di un Istituto al servizio della Scuola italiana (1929-2009), Giunti, Firenze 2010. Gozzer Giovanni (a cura di), Guida D. Annuario della scuola e della cultura, Capriotti editore, Firenze-Roma 1951. Grendler Paul F., Schooling in Renaissance Italy: Literacy and Learning (1300-1600), Johns

Hopkins University Press, Baltimora 1989. Liscia Bemporad Dora, Giovanni Michelucci, il mobilio degli anni giovanili, Spes, Firenze 1999. Lombardo Radice Giuseppe, Museo didattico nazionale in «Educazione nazionale», n. 4 (1925). Petrini Enzo (a cura di), Venticinque secoli di storia dell’educazione in Italia, cur. CDNSD, Firenze 1971.

servata presso l’Archivio storico comunale di Firenze nella serie «Comune di Firenze, Belle Arti». Si segnala inoltre che alcuni degli arredi di Michelucci sono ancora presenti nella sede di INDIRE, mentre un’altra parte si trova (in comodato d’uso) presso la Fondazione Michelucci di Fiesole. Si veda anche la ricostruzione virtuale dell’allestimento museale realizzata nel 2013 da Archivio storico INDIRE: http://www.indire.it/ museonazionaledellascuola/pianta. php. 10 La Carta della Scuola del 1939 mirava a conformare l’intero sistema scolastico al moderno umanesimo fascista, fondato, oltre che sulla classicità, sulle scienze economiche e militari, sulla tecnica e sul lavoro produttivo. Con essa si cercò, in particolare, di potenziare la scuola “artigiana” e la scuola “professionale”, che nel Museo Nazionale della Scuola di Firenze ebbero ampia rappresentazione. 11 In proposito si veda: Gozzer 1951, pp. 335-401; Petrini 1971, pp. 337-92; Pamela Giorgi, L’istituto

nel secondo dopoguerra (1945-1974), in Giorgi 210, pp. 33-65; 12 L’istituto fiorentino conservava, fino a poco tempo fa (oggi quasi tutto giace in scatole in attesa di ricollocazione), presso la sede storica di Palazzo Gerini uno dei più rilevanti patrimoni librari italiani a carattere pedagogico ed educativo. In base ad una recente verifica dell’entità, risulta che il suddetto ammonta a 85.872 volumi e 1.620 testate periodiche, tra cessate e correnti, suddiviso come segue: Fondo «Antiquariato» (2.230 volumi, di cui 3 edizioni del ’400, 102 edizioni del ’500, 66 edizioni del ’600, 392 edizioni del ’700, 1.667 edizioni dell’800); Biblioteca Pedagogica Nazionale (36.455 volumi); Fondo «Letteratura giovanile» (ca. 40.000 volumi); Fondo «Giovanni Calò» (3.677 volumi); Fondo «Alberto Simonetta» (995 volumi); Fondo «Lucio Lombardo Radice» (402 volumi); Fondo «Giuseppe Fanciulli» (118 volumi); Fondo «Umberto Margiotta» (non censito); Donazioni librarie varie (oltre 375 volumi).

Note 1 Juri Meda, Nascita e sviluppo dell’istituto nel periodo fascista (1929-1943), in Giorgi 2010, p. 17. 2 Calò 1925, p. 268. 3 Per una prima ricostruzione della storia dell’istituto nel periodo fascista: Biondi, Imberciadori 1982; Juri Meda, Nascita e sviluppo dell’istituto nel periodo fascista (19291943), in Giorgi 2010, pp. 9-22. 4 Calò 1925, p. 209. 5 Calò 1925, pp. 610-1. 6 Lombardo Radice 1925, p. 52. 7 Giovanni Calò, Presentazione, in «Vita scolastica», I, n. 1 (1929), pp. 4-6. 8 Dora Liscia Bemporad, Giovanni Michelucci, il mobilio degli anni giovanili, Spes, Firenze 1999, pp. 62-87. 9 Si segnala che la documentazione relativa ai lavori di ristrutturazione di Palazzo Gerini – costituita da piante di rilevazione, fotografie della via Buonarroti prima dello sventramento, disegni tecnici, progetti e dalla corrispondenza intercorsa tra il Podestà, Paolo Venerosi Pesciolini, Giovanni Calò e il Ministro Bottai – è con-

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Grendler 1989. Ristampato in Italia dall’editore Laterza nel 1991 con il titolo: La Scuola nel Rinascimento italiano. 14 L’alluvione del fiume Arno del 1966, che devastò la città di Firenze, non risparmiò neppure il Palazzo Gerini. Nelle sale storiche del piano terreno il patrimonio era quasi interamente perduto: mobili, dipinti, lampade, così come parte il materiale librario e documentario, le collezioni rare del cinquecento e seicento, le miscellanee del settecento e dell’ottocento. Rimaneva 13

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ben poco di quanto era stato raccolto in anni di pazienti ricerche ed attente scelte di acquisti di antiquariato del libro e dell’illustrazione. La sala che ospitava le raccolte più preziose, quella del Rinascimento, era un’intera rovina, l’acqua si era salvato solo l’antico soffitto dipinto a tempera. La grande vetrina degli incunaboli – tra cui quelli rarissimi del Vergerio – era rovesciata a terra, gli armadi laccati, sfondati dall’acqua, erano stati completamente svuotati del loro contenuto. Così le salette del Seicento e quella

del Settecento. Tuttavia, nonostante la gravità dell’evento, già le foto del 5 dicembre del 1966 attestano un portone ritornato sui cardini e all’interno un fervente lavoro di ricostruzione e di ripristino: molte le persone al lavoro, i volumi appena estratti dal fango cosparsi di segatura e posti verticalmente sugli scalini del palazzo, i locali rimasti asciutti adattati ad asciugatoi. Negli anni seguenti il restauro dei volumi fu affidato alle suore benedettine del convento di clausura di Rosano, nei pressi di Firenze.


Il libro per imparare, dall’età moderna al secolo dei Lumi. Tracce per una storia da scrivere di Alessandra Anichini

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el 1508, l’editore Manuzio pubblica a Venezia gli Adagia di Erasmo, una raccolta di proverbi commentati ad uso dei giovani studenti. Il volume si colloca in una tradizione editoriale dedicata alla produzione di libri per lo studio, volumi che hanno come obiettivo quello di raccogliere, selezionare, presentare, commentare alcuni elementi di base dell’eredità classica, per proporli agli allievi. Corrispettivo delle moderne antologie, i volumi in questione rappresentano il tentativo di avviare lo studente alla conoscenza dei classici e allenarlo anche all’arte del commento. Il commento dell’autore è, infatti, parte integrante della trattazione e serve ad abituare l’allievo a riflettere, dopo aver imparato a memoria molti dei passi prescelti. Seguendo l’esempio del maestro, i discenti sono incoraggiati a commentare a loro volta i passi letti, utilizzando taccuini o lavorando direttamente sul volume, intervenendo su quegli spazi bianchi che lo stampatore ha intenzionalmente lasciato tra rigo e rigo o ai margini, pensando proprio alle note chirografiche di un eventuale lettore. Sono questi i primi esempi di testi a stampa pensati per lo studio, ideati e realizzati con lo scopo di sostenere la didattica, sia essa svolta da un precettore che lavora con un unico allievo, piuttosto che esercitata nei collegi religiosi e laici. Proseguono, certo, una tradizione già inaugurata con la produzione manoscritta, ma perfezionano, in qualche modo, la loro funzione didattica. Accanto all’opera di Erasmo, altri maestri si profondono in questo tipo di scrittura, tra di essi, Ravisius Textor allestisce una vera e propria raccolta di fatti storici, quasi aneddoti, riuniti nella sua Officina, con l’intento di offrire allo studente esempi di comportamenti da giudicare e imitare1.

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Il commento, l’interpretazione del testo classico rappresenta la visione del docente trasferita sulle pagine del libro. Talvolta ci si preoccupa di elaborare sistemi secondo cui lo studente stesso possa leggere e interpretare i testi della storia. Jean Bodin, ad esempio, con il volume Methodus ad facilem historiarum cognitionem, esprime il tentativo di istruire lo studente a costruirsi una propria antologia di testi storici, setacciando quanti più libri sia possibile. Questi libri di testo hanno un forte impatto, più esteso dell’insegnamento di un qualunque singolo maestro. Propongono e diffondono per tutta Europa un modo di fare scuola, diventano, insomma, un modello destinato a durare negli anni, che condiziona profondamente il modo di concepire lo studio e la didattica. I libri per lo studio rappresentano, d’altra parte, una delle categorie più richieste dal pubblico dei lettori e tra i primi libri stampati a Magonza, assieme alla celebre Bibbia, c’è proprio la grammatica latina di Elio Donato, la famosa Ars minor per i principianti, uno dei testi propedeutici più importanti della tradizione medievale. Sembra che Gutenberg ne abbia prodotte una ventina di tirature, con i suoi proto-caratteri in stile gotico, che presero appunto il nome di «caratteri del Donato»2. Se volessimo tentare la ricostruzione della storia del libro per imparare, una storia molto antica, ancora in parte da scrivere, dovremmo risalire però fino ai tempi della Grecia classica o dell’antica Roma e poi procedere negli anni attraverso il Medioevo fino all’età umanistica. Nato come strumento di conservazione della conoscenza, il libro per apprendere trova la sua affermazione con la diffusione della stampa prima (sec. XV) e con l’istituzione della scuola popolare poi (sec. XVIII). In Francia si è soliti indicare come primo esemplare di libro scolastico un volume dal titolo Gasparini pergamensis clarissimi oratoris epistolarum liber, pubblicato nel 1470. Tra i volumi didattici degli anni seguenti si annovera poi l’Orbis pictus di Comenio, un volume risalente al 1658, costituito per lo più da illustrazioni. Prima ancora della stampa, del resto, molti codici manoscritti erano stati realizzati in maniera tale da favorire l’apprendimento o la memorizzazione di concetti, la conservazione di conoscenze. È implicito nella forma assunta dal libro l’intento didattico: pensiamo ad esempio all’uso degli indici, così diffuso durante tutto il Medioevo, ai capilettera istoriati, veri

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e propri sommari anteposti alla trattazione, o, ancora, agli schemi, agli alberi, alle strutture logiche inserite come tavole all’interno dei testi, elementi funzionali alla memorizzazione e al recupero delle informazioni3. Nella tradizione retorica, ricordare diventa sinonimo di ‘ritenere un testo’; durante l’Umanesimo, il compito del maestro sarà quello di dar forma al materiale raccolto, una forma adatta alla memorizzazione del testo. Si tratta di costruire il ‘manuale perfetto’, dal momento che preparare il sapere per la memoria è diventato il primo compito dei letterati. Il secolo XVIII inaugura la stagione del libro di scuola così come lo abbiamo concepito fino ad oggi. Certo, per poter parlare di ‘manuale scolastico’ nell’accezione odierna del termine, dovremo attendere qualche decennio, ma, come Alain Choppin4 ci ha ben spiegato, il manuale è solo un sottoinsieme della categoria ‘libro di scuola’, una categoria così larga e composita da sfidare ogni tentativo di classificazione. Sotto il cappello di quello che definiamo ‘libro di scuola’ si possono annoverare, infatti, forme editoriali le più disparate, che vanno dal libro di lettura per la gioventù, alla raccolta di fiabe ‘edificanti’, fino al vocabolario, ai libri di abaco o ai trattati di divulgazione scientifica del secolo XVII. Ci sono poi i volumi che non si caratterizzano come libri di scuola, ma sono comunque strumenti destinati agli educatori, riflessioni sull’arte di educare, indicazioni pratiche e teoriche da spendere nel momento in cui ci si accosta a questo difficile compito. Quando utilizziamo il termine ‘manuale’, poniamo l’attenzione soprattutto sulla sua caratteristica fisica, sul fatto di essere facilmente trasportabile, tenuto in mano e consultato all’occorrenza proprio grazie a quella «Enchiridii forma» proposta a Venezia da Aldo Manuzio, agli inizi del 1500, e arrivata fino a noi. Ma i termini utilizzati per indicare questo oggetto sono diversi anche tra paese e paese, nelle differenti realtà territoriali d’Europa e del mondo5. Alcuni storici del libro fanno risalire la comparsa del manuale scolastico ai tempi della Rivoluzione francese quando, la necessità di diffondere la cultura popolare fa pronunciare a Talleyrand, davanti all’Assemblea Costituente una frase che riassume in breve la funzione principale del libro di testo: «Il faut que des livres élémentaires, clairs, précis, méthodiques, répandus avec profusion, rendent universelles toutes les vérités et épargnent d’inutiles efforts pour les apprendre»6. Prima di allora, tuttavia, già esistono altri

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esempi significativi in questo senso. Potremmo citare, infatti, il caso del granducato di Sassonia-Weimer, nella prima metà del 1600, dove un’ordinanza impone l’obbligo scolastico e il duca Ernesto di Sassonia-Gotha chiama, nel 1640, il pedagogo Andreas Reyher a riformare il sistema scolastico. Ha così inizio una collaborazione tra Reyher e lo stampatore Peter Schmid per la produzione di libri scolastici, testi ufficiali da utilizzare nelle scuole, composti proprio in virtù di quanto previsto da un’istituzione governativa7. Si stabilisce una stretta relazione tra programma di studio e libro di testo che sarà una delle caratteristiche fondamentali negli anni a seguire. Nel 1776 escono a Milano le Novelle Morali ad uso de’ Fanciulli di Francesco Soave, un volume proposto come libro di lettura nelle prime classi di scuola. L’autore, incaricato di una riforma dell’istituzione scolastica in Lombardia, sostiene un nuovo metodo di insegnamento basato sulla pratica di lezioni collettive da effettuarsi tramite l’uso della «tavola nera», la lavagna di ardesia. Sono i primi segnali di un interesse diffuso nei confronti della formazione delle classi popolari, fra illuministica affermazione dei diritti dell’uomo e rivoluzione industriale, che da quel momento in poi diverrà centrale, ponendo in maniera decisa anche la questione dei testi di studio. Dal secolo XVIII in poi, il manuale assolverà diverse funzioni fondamentali: si proporrà come depositario di un sapere certificato, sarà vettore di una cultura e di un sistema di valori, diverrà uno strumento fondamentale per l’apprendimento e per l’insegnamento, costituirà un archivio di risorse selezionate e validate. Con la proclamazione del Regno d’Italia, nel 1861, sorge l’esigenza di avviare un processo di formazione della coscienza nazionale. Il libro di testo assume allora una funzione politica e si connota di sfaccettature morali, civili e religiose, con l’obiettivo di costruire i valori condivisi della nuova nazione. Il libro di testo diverrà poi unico negli anni Trenta del Novecento, quando il fascismo imporrà testi comuni, strumenti di propaganda, così come gli apparati, i riti proposti a tutte le scuole del territorio nazionale. Dopo la guerra, dopo la lenta e difficile ricostruzione, si diffondono in Europa idee alternative, legate al movimento delle scuole nuove. L’idea di libro di scuola cambia profondamente, anche grazie all’attività di Célestin Freinet, sostenitore della produzione in proprio dei manuali di studio.

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Il libro, tuttavia, sopravviverà nelle forme e nei modi che sono noti fino ad oggi, fino al momento in cui l’avvento del digitale innesca una profonda trasformazione nella forma e negli usi di questo strumento. Oggi, a distanza di molti anni, il manuale è, prima di tutto, un oggetto didattico, uno strumento concepito per favorire l’apprendimento degli studenti, ma anche per sostenere il lavoro dell’insegnante. La sua funzione prevalente è stata, negli anni, quella di garantire l’attinenza ad un programma di studio definito e di rappresentare, allo stesso tempo, il veicolo principale di idee, principi, valori culturali di una società. In quanto oggetto, è sottoposto a precise regole di produzione, all’interno di un particolare contesto economico e politico. La legislazione ne regola la produzione e l’uso, nei diversi sistemi di istruzione. La sua produzione è altresì soggetta all’evoluzione delle tecniche e delle tecnologie di realizzazione e diffusione. In virtù di questo, risulta chiaro come il libro scolastico stia vivendo oggi una nuova fase della sua storia, che prelude a ulteriori radicali trasformazioni nelle pratiche didattiche e di studio, con ripercussioni sulle modalità di produzione e distribuzione. In questo delicato momento di passaggio, si rende necessaria una riflessione culturale che sostenga l’innovazione, riproponga la questione del libro di scuola in genere, recuperando l’attenzione alle finalità educative, alle motivazioni didattiche che hanno indotto, negli anni, a sostenerne l’adozione, facendone uno degli strumenti privilegiati dei percorsi di formazione. La storia del libro di testo e dei suoi usi, la sconfessione che di esso si è fatta in anni recenti, sono fondamentali per interrogarsi sul ruolo che ancora può assumere nella formazione delle giovani generazioni8. Si tratta di riflessioni che possono aiutarci a comprendere appieno i vantaggi e le reali opportunità che il digitale ci offre, anche per il potenziamento di alcune funzionalità che oggi possono trovare, per la prima volta, una piena applicazione. Si pensi, ad esempio, alle nuove possibilità di manipolazione del testo e al ruolo che lo studente può più chiaramente assumere nei confronti della lettura, o della ricchezza espressiva, fatta di una commistione di codici, che oggi l’autore ha a disposizione. Il fondo antiquario di INDIRE testimonia il valore di un ambito editoriale tutto particolare, che interessa un arco temporale molto ampio, prima di giungere ad una definizione

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più canonizzata. Sfogliare i testi in questione rappresenta l’occasione per comprendere la storia di un artefatto che sta divenendo qualcosa di nuovo sotto i nostri occhi, dal momento in cui la diffusione della testualità digitale sta modificando l’approccio alla lettura e soprattutto allo studio delle discipline. Ricostruire la sua storia, seguirne le tracce per capire il profondo rapporto tra pratiche di insegnamento e natura dei testi, tra oggetti di studio e discipline, rappresenta oggi una grande opportunità per riflettere in maniera sapiente e consapevole sulla funzione e sulla natura di un oggetto ancora centrale nelle pratiche didattiche. Tra i testi presenti, ci si imbatte in volumi destinati a chi educa, nella forma di trattati, indicazioni rivolte a genitori, alle madri, ad educatori in genere, libri che affrontano il tema dell’educazione in ambito privato. Nei volumi del secolo XVI come del XVII si guarda all’educazione del principe o delle classi nobiliari, mentre tra i volumi del secolo seguente, quelli dell’età dei Lumi, compare qualche titolo espressamente dedicato all’educazione popolare, primo cenno di un interesse per la funzione sociale che l’istituzione scolastica avrebbe assunto da lì in avanti, per tutti gli anni a seguire. Ci sono poi grammatiche, volumi di divulgazione scientifica che poco hanno da invidiare ai nostri contemporanei; testi che introducono ai primi rudimenti delle discipline matematiche, compendi di geometria o di algebra, manuali nel senso più moderno del termine; antologie di testi selezionati al fine di costruire percorsi dedicati alla formazione sentimentale delle giovani generazioni, della loro sensibilità o del loro senso civico. Accanto a questo, abachi, testi illustrati, vocabolari, strumenti per accrescere le conoscenze. I ‘classici per l’infanzia’ completano la serie, in quanto testi non espressamente scritti per la scuola, ma consacrati a questo uso grazie ai contenuti ‘edificanti’ in essi trattati. Al di là del valore storico, di una ricchezza che ci consente di tracciare alcune delle fondamentali linee di sviluppo di questo straordinario oggetto, i volumi in questione aprono la strada ad una riflessione più trasversale, che considera una serie di elementi che possono essere oggetto di attenzione anche per la produzione odierna dei testi di scuola. Il primo punto su cui vale la pena spendere qualche parola riguarda l’attenzione che, negli anni, gli estensori dei libri

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di scuola hanno posto nella selezione dei contenuti trattati e soprattutto la corrispondenza che si stabilisce tra gli argomenti proposti e l’esperienza, ovvero il nesso tra la trattazione teorica e le implicazioni pratiche dell’apprendimento. Ce lo rivelano già da un primo esame i titoli assai parlanti di alcuni volumi sull’apprendimento della Matematica, come ad esempio il volume di Pietro Cattaneo, Le pratiche delle due prime matematiche di Pietro Cattaneo con la aggionta, Libro d’abaco geometria con il pratico e vero modo di misurar la terra, non più mostro da altri, pubblicato a Venezia nel 1559, presso lo stampatore Giovanni Griffio, oppure la Pratica di Geometria in carta e campo. Per istruzione della nobile Gioventù, scritta da Sébastien Le Clere e pubblicata nella Stamperia del Bernabò e Lazzarini, nel 1746 a Roma. Nei volumi in questione è evidente la stretta connessione tra le nozioni illustrate e la loro applicazione nelle professioni o comunque nella vita di ogni giorno, lo stretto rapporto che il libro stabilisce con la realtà. Il secondo punto riguarda l’attenzione alla forma del testo, a quella che potremmo definire una tipografia funzionale all’apprendimento. Il libro è spesso strutturato per consentire un rapido recupero delle informazioni laddove si dota di indici analitici e glossari alfabetici, o si propone di favorire la fissazione dei concetti, oltre che la memorizzazione della trattazione. L’evoluzione della forma del libro, intesa in senso lato come insieme di caratteristiche tipografiche e paratestuali, dalle prime esperienze di stampa fino alle più moderne soluzioni, è legata agli elementi sopra enunciati; elementi che sono necessariamente collegati all’apprendimento. Il flusso ininterrotto di parole disseminate nello spazio bianco di una pagina sembra presupporre un apprendimento di tipo mnemonico, dove ad assumere rilievo è proprio l’aspetto sonoro del testo. Le parole diventano un discorso tanto fluido quanto lo è quello che si pronuncia ad alta voce e si recita di fronte ad un maestro. Lo studio condotto in silenzio, la consultazione rapida di un testo alla ricerca di informazioni prevede, invece, il ricorso a quegli aspetti visivi, capaci di costruire un paratesto funzionale alla leggibilità e alla comprensione del testo. Informazioni editoriali, formati, spaziature, suddivisione in capitoli, paragrafi, indici, ma anche elementi tipografici più fini come capilettera, corsivi, sono gli elementi studiati da una sapiente competenza editoriale per favorire la lettura

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individuale e silenziosa di un volume, per trasformare il libro in un mediatore efficace di contenuti, capace di parlare, di spiegare e di creare le condizioni necessarie per la costruzione della conoscenza. Terzo punto, l’uso delle illustrazioni. L’arte di corredare di immagini i libri rivolti all’infanzia e destinati alla formazione in genere nasce molto presto nella storia dell’editoria. Il già citato Orbis sensualium pictus di Comenio, rappresenta in questo senso uno degli esempi più significativi. L’autore stesso giustifica il ricorso all’uso delle immagini nella premessa al testo: «Lucida erit, ac per id firma et solida, si, qui quicquid docetur et discitur, non obscurum sit aut confusum, sed clarum distinctum, articulatum, tamquam digiti manuum. Huius rei fundamentum est, ut sensualia recte praesententur sensibus, ne capi non possint […] Dico et alta voce repeto, postremum hoc reliquorum omnium esse fundamentum: quia nec agere nec loqui sapienter possumus, nisi prius omnia, quae agenda sunt et de quibus loquendum est, recte intelligamus. In intellectu autem nihil est, nisi prius fuerit in sensu». (dalla Praefatio ad lectorem)

Il ricorso alle immagini può sostituire l’esperienza diretta e la visione serve a compensare l’impossibilità di entrare in contatto diretto con alcuni oggetti di studio. Le immagini sono, inoltre, generalmente gradite ai giovani studenti e contribuiscono a rendere più allettante l’apprendimento («Notum enim est, pueros (ab ipsa propemodum infantia) picturis delectari, oculosque his spectaculis libenter pascere»), sono lo stratagemma attraverso cui si tiene avvinta l’attenzione di chi apprende e permettono un approccio ludico all’acquisizione delle conoscenze. L’Orbis raffigura oggetti della vita quotidiana, anche quelli immateriali, in semplici rappresentazioni, riportate in centinaia di tavole della grandezza di carte da gioco. L’uso delle immagini (e ora, con il digitale, anche del video o dell’audio) come espediente per favorire l’apprendimento trova riscontro, prima, nelle edizioni illustrate dei testi scientifici del 1500, così attenti a divulgare quella conoscenza del corpo umano e della natura appresa attraverso l’osservazione minuziosa degli elementi e la loro rappresentazione visiva, e prosegue, in maniera emblematica, con l’operazione condotta dagli estensori dell’Encyclopédie, consapevoli del fatto che

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l’immagine potesse rappresentare una modalità assai funzionale alla trasmissione di alcune nozioni, della conoscenza, anche presso le classi meno colte. Le conseguenze di questo tentativo di ridurre la fatica dell’apprendere, attraverso l’uso delle figure, saranno segnalate da Walter Benjamin, che denuncerà la tendenza ad un uso prevalente dell’immagine sul testo scritto. Riferendosi proprio all’Orbis pictus scriveva: «Questa opera è uno dei risultati più grandi e inconsueti nell’ambito del libro pedagogico per l’infanzia, e se ci si pensa bene appare come l’indizio di uno sviluppo assai gravido di conseguenze e ancora oggi, dopo due secoli e mezzo, non concluso. Anzi: oggi meno che mai»9.

Siamo ai primi del Novecento, ma la discussione risulta ancora oggi aperta e pone alla nostra attenzione uno dei nuclei fondanti della riflessione sul rapporto tra semplificazione e banalizzazione dei concetti insegnati. Il ricorso, nei nuovi libri di testo, ad elementi visuali, ad una ricchezza di codici che il supporto digitale consente di assemblare, rappresenta senza dubbio una questione aperta. In particolare, si tratta di riconsiderare il ruolo assegnato al testo scritto, in un panorama sempre più caratterizzato dall’uso del parlato e delle immagini anche per l’acquisizione di nozioni e conoscenze. Un ruolo che è stato ribadito più volte, anche in volumi divulgativi di recente pubblicazione10. Insomma, dall’analisi del fondo antiquario INDIRE, di fronte alla complessità e alla varietà di un patrimonio librario che fa dell’attenzione ai contenuti e della ricchezza espressiva uno dei motivi principali della ricerca di qualità, potremo trarre qualche suggerimento per l’oggi. Recuperare, ad esempio, la capacità di trattare i contenuti e la loro forma comunicativa come un tutto unico, lavorando nella direzione di quella sintesi virtuosa che ancora ci lascia senza parole davanti alle pagine ingiallite di un libro vecchio di cinquecento anni. Potremo provare a cogliere le specifiche che rendono singolari le trattazioni in base alle diverse discipline e che riescono a trasferire sulla carta di un volume precise e riconoscibili idee sulla formazione, sui diversi metodi e sugli approcci didattici. I libri digitali per la scuola, i nuovi testi per imparare, potranno così proseguire sulla strada di una ricerca avviata molti secoli fa e non ancora conclusa.

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Bibliografia Anichini Alessandra, Nel libro e in altri media, in AA.VV., Comunicazione formativa, Apogeo, Milano 2012. Anichini Alessandra, Il testo digitale, Apogeo, Milano 2010. Barbier Frédéric, Storia del libro Dall’antichità al XX secolo, Edizioni Dedalo, Bari 2004. Barbieri Edoardo, Guida al libro antico. Conoscere e descrivere il libro tipografico, Le Monnier, Firenze 2006. Benjamin Walter, Ombre corte, Scritti 1928-1929, Einaudi, Torino 1993. Casati Roberto, Contro il colonialismo digitale. Istruzioni per continuare a leggere, Laterza, Roma Bari 2013. Chartier Roger, Cavallo Gugliemo, Storia della lettura, Laterza, Roma Bari 1995. Chiosso Giorgio, La stampa pedagogica e scolastica in Italia (18201943), La Scuola, Brescia 1997.

Chiosso Giorgio, TESEO ’900. Editori scolastico-educativi del primo Novecento, Editrice Bibliografica, Milano 2008. Chiosso Giorgio, TESEO. Tipografi e editori scolastico-educativi dell’Ottocento, Editrice Bibliografica, Milano 2003. Choppin Alain, Le manuel scolaire, une fausse évidence historique, “Histoire de l’éducation” 117, 2008, pp. 7-56. Choppin Alain, Les Manuels scolaires en France de 1789 à nos jours. Les Manuels d’anglais, INRP Klincksieck, Paris 1999. Choppin Alain, Voyage en Lecture. L’évolution des manuels de lecture, trace de l’évolution de l’École, Savoir Livre, Paris 2002. Epstein Jason, Il futuro di un mestiere. Libri reali e libri virtuali, Sylvestre Bonnard, Milano 2001. Freinet Célestin, Le mie tecniche, La Nuova Italia, Firenze 1971. Freinet Célestin, Nascita di una pe-

dagogia popolare, Editori Riuniti, Roma 1973. Leonardi Claudio, Morelli Marcello e Santi Francesco (a cura di) Fabula in Tabula. Una storia degli indici dal manoscritto al testo elettronico. Atti del convegno di studio (Firenze 21-22 ottobre 1994), Spoleto 1995. Maragliano Roberto, Didattica del libro, Edizioni Anicia, Roma 1992. McKenzie Donald F., Bibliografia e sociologia dei testi, Sylvestre Bonnard, Milano 1999. Petrucci Armando, Libri, scrittura e pubblico nel Rinascimento, Universale Laterza, Roma Bari 1979. Richardson Brian, Stampatori autori e lettori nell’Italia del Rinascimento, Sylvestre Bonnard, Milano 2004. Rossi Paolo (a cura di), La memoria del sapere, Laterza, Roma Bari 1988.

signification. Ainsi l’épithète “classique”, outre son sens étymologique “réservé aux classes”, a pris une acception plus restreinte dans les textes législatifs (par opposition à élémentaire); son champ sémantique s’est par la suite considérablement étendu dans l’expression «librairie classique), jusqu’à englober les livres de pédagogie, de vulgarisation, les livres de lectures instructives et récréatives pour la jeunesse et... les cartes et tableaux muraux!. L’expression «manuel scolaire», en plus de sa signification première – ouvrage que l’on tient à la main ou à por-

tée de la main – s’applique également à “un livre qui expose les notions essentielles d’une discipline donnée, à un niveau donné” ou bien, “outre les livres destinés explicitement aux classes depuis l’école élémentaire jusqu’à l’université...” “...ce qui a un caractère didactique exclusif, ce qui découpe, explique, résume, adapte, oriente...”» (Choppin 2008. Si veda anche Alain Choppin, Dictionnaire encyclopédique de l’éducation et de la formation, Nathan Université, 2ème éd., Paris 1998). 6 Da Choppin 2008. 7 Barbier 2004, p. 316.

Note 1 Si veda Anthony Grafton, L’umanista come lettore, in Chartier, Cavallo 1995, pp. 199-242. 2 Si veda Armando Petrucci, I percorsi della stampa da Gutemberg all’ “Encyclopédie”, in Rossi 1988 3 Si veda Leonardi, Morelli, Santi 1995. 4 Da Choppin 2008. 5 «Ce flottement sémantique s’est même manifesté dans le vocabulaire officiel: livres élémentaires ou livres classiques, mais aussi ouvrages classiques, livres de classes, livres scolaires, manuels scolaires, etc. Par ailleurs, le même mot ne recouvre pas toujours la même

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il libro per imparare, dall’età moderna al secolo dei lumi

Si veda in proposito il lavoro commissionato dal Ministero francese nel 2010, una pubblicazione sul manuale di scuola che raccoglie interventi di noti studiosi, Le manuel scolaire à l’heure du 8

numérique. Une “nouvelle donne” de la politique de ressources pour l’enseignement (di: Alain Séré, Alain-Marie Bassy, Catherine Becchetti-Bizot; Gérard Bonhoure; Yves Cristofari; Jean-Louis

Durpaire; Paul Mathias; Michel Pérez; Pascal-Raphaël Ambrogi; Patrice Bresson; Alain Brunet; Alain Dulot). 9 Benjamin 1993, p. 417. 10 Casati 2013.

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Secolo XVI

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a sezione “Cinquecentine” del fondo librario antiquario conservato in INDIRE è composta da 103 volumi, che costituivano parte dell’allestimento della Sala del Rinascimento del Museo Nazionale della Scuola, interno al Centro Didattico Nazionale insediato nel 1941 in Palazzo Gerini, a Firenze. La sala ospitava opere e documenti illustranti l’attività educativa, letteraria e artistica dagli ultimi decenni del Trecento a tutto il Cinquecento, quando alla tradizionale scuola medievale strutturata in Trivio (grammatica, dialettica, retorica) e in Quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia e musica), l’Umanesimo aveva apportato alcuni importanti mutamenti, il primo dei quali fu la preponderanza data all’istruzione classica. Il metodo di Guarino da Verona (1374-1460) costituì, accanto a quello di Vittorino da Feltre (1378-1446), uno dei principali modelli della scuola umanistico-rinascimentale, che comprendeva: un corso elementare dove si insegnava a leggere e poi si proseguiva con la grammatica latina; un corso retorico, in cui si studiava soprattutto Cicerone retore, per poi passare allo studio delle sue orazioni e delle sue più divulgate opere filosofiche, accompagnate dallo studio di Platone e Aristotele. Secondo il metodo e le direttive di questi due grandi educatori, la scuola si svolse fino alla seconda metà del XVI secolo. Ad essa neanche il trionfo del volgare comportò grandi modifiche. Da segnalarsi come la collezione libraria INDIRE metta in evidenza l’avvio della riflessione sull’attività educativa. P.G.

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Grammatica, retorica, dialettica e lingua italiana

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Grammatica, retorica, dialettica e lingua italiana

Vincenzo Ferrini da Castelnuovo di Garfagnana, Primo Alfabeto essemplare, presso Erasmo Viotti, Parma, 1586, a. frontespizio, b. pp. 10-1.

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Grammatica, retorica, dialettica e lingua italiana

Aldo Manuzio, Orthographiae ratio ab Aldo Manutio, Venezia, 1566, frontespizio.

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Emanuele Alvari, De Institutione Grammatica, presso gli Eredi di Melchiorre Seffe, Venezia, 1581, a. frontespizio, b. p. 3, c. pp. 428-9.


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Aritmetica e geometria

Pietro Cattaneo, Le pratiche delle due prime matematiche. Libro d’abaco e geometria con il pratico e vero modo di misurar la Terra, non più mostro da altri, presso Giovanni Griffio, Venezia, 1559, frontespizio.

Sull’autore Pietro Cattaneo (o Cataneo) nacque a Siena dove morì nel 1569 (ca.). Fu teorico dell’architettura, architetto, matematico, ingegnere militare, allievo di Baldassarre Peruzzi e cognato di Domenico Beccafumi. Poco si sa della sua attività progettuale: forse completò alcune opere senesi di Peruzzi. Ebbe alcuni incarichi dalla Repubblica senese per la manutenzione delle fortificazioni. Viene ricordato soprattutto per il suo trattato di architettura I primi quattro libri d’architettura e fu autore inoltre di questo celebre trattato di matematica e geometria. (P.G.)

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Aritmetica e geometria

Sullo stampatore Appartenente ad una famiglia di tipografi tedeschi, Giovanni Griffio (il nome è l’italianizzazione di Greyff o Greif ) portò a Venezia la competenza tipografica ereditata da Sebastian (Reutlingen 1493 - Lione 1556), attivo a Lione dal 1528. (A.A.)

Pietro Borghi, Libro de abacho, presso Bernardino de Bindoni, Venezia, 1540, frontespizio.

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Aritmetica e geometria

Abaco

N

el periodo rinascimentale le scuole d’abaco furono i luoghi preposti per la formazione dei tecnici. Fondate nel XIII secolo, ebbero, anche nei secoli seguenti, come fine prioritario quello di venire incontro alla necessità degli artigiani, dei mercanti, dei tecnici e di altre categorie professionali di istruirsi e di addestrarsi. L’insegnamento era basato sulla matematica, spiegata con metodi applicativi: l’allievo, o meglio dire l’apprendista, infatti, si formava tramite i metodi dell’osservazione e dell’esercitazione su problemi congruenti al mestiere che avrebbe poi dovuto svolgere. I manuali a uso di queste scuole erano sempre redatti in volgare. Pietro Borghi, Libro de abacho, presso Bernardino de Bindoni, Venezia, 1540, p. 83.

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Aritmetica e geometria

Pietro Borghi, Libro de abacho, presso Bernardino de Bindoni, Venezia, 1540, p. 84.

Durante tutto il Cinquecento si diffuse, poi, la produzione e l’uso di testi detti ‘Abachi’. Il metodo venne praticato nelle omonime scuole, ma coinvolse la riflessione di matematici di alta levatura ed entrò anche nel mondo universitario. Tra gli autori più noti ricordiamo: Gerolamo Cardano (1501-1576), professore all’Università di Bologna, Pavia e Milano, che nel 1539 pubblicò il volume Practica arithmetice et mensurandi singularis, in lingua latina; Cristoforo Clavio (1537-1612), matematico della Compagnia di Gesù, che fu consulente scientifico di papa Gregorio XIII per la riforma del calendario e intrattenne rapporti con noti studiosi del suo tempo tra cui Galileo, Ticho Brahe, Keplero. Clavio fu autore, nel 1586, dell’Aritmetica pratica. (P.G.)

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Aritmetica e geometria

Pietro Borghi, Libro de abacho, presso Bernardino de Bindoni, Venezia, 1540, a. p. 8, b. p. 9.

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Aritmetica e geometria

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Aritmetica e geometria

Francesco Galigai, Pratica d’Arithmetica, presso i Giunti, Firenze, 1552, frontespizio.

Sullo stampatore I Giunti furono una celebre famiglia di Librai, che rivestì fra i secc. XV-XVI una grande importanza sia nel commercio librario, sia nella produzione tipografica. Le loro attività si estesero anche a tutto il sec. XVII ma con minor fortuna. La famiglia era originaria di Firenze, alcuni suoi membri rimasero a svolgere la professione in Italia, mentre altri migrarono. Case librarie Giunti aprirono a: Venezia, Madrid, Burgos, Lione. La casa di Firenze fu fondata da Filippo Giunti (14501517), egli fu non solo commerciante ma anche erudito, come si evince dalle premesse di alcuni volumi da lui pubblicati. (A.A.)

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Francesco Galigai, Pratica d’Arithmetica, presso i Giunti, Firenze, 1552, a. pp. 70-1, b. pp. 73-4.


Aritmetica e geometria

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Divulgazione scientifica

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Divulgazione scientifica

Juan Huarte, Essame de gl’ingegni de gl’huomini per apprender le scienze, presso Aldo Manuzio, Venezia, 1590, frontespizio.

Juan Huarte, Essame de gl’ingegni de gl’huomini per apprender le scienze, presso Aldo Manuzio, Venezia, 1586, pp. 94-5.

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Ginnastica

Girolamo Mercuriale, L’arte della ginnastica, presso Iuntas, Venezia, 1569, frontespizio.

Sull’opera Questo trattato del medico forlivese Girolamo Mercuriale fu pubblicato per la prima volta a Venezia nel 1569 ed inaugurò la nascita della medicina dello sport. Dedicato al Cardinale Alessandro Farnese, ebbe negli anni successivi numerose ristampe a Venezia e conobbe anche un’edizione parigina. Suddiviso in sei libri tratta una storia

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Ginnastica

della ginnastica – divisa in tre categorie: la bellica, la legittima o medica e la viziosa o atletica – secondo un approccio medico. In particolare, il quarto libro è dedicato all’utilità degli esercizi ginnici per i soggetti sani, malati e convalescenti. Vi si descrive la maniera di esercitarsi, il tempo, il luogo e la durata ottimali per gli esercizi, tra i quali son compresi: vocalizzazioni, lettura, riso e pianto, considerati utili a regolare gli umori in eccesso nell’organismo. (p.g.) Girolamo Mercuriale, L’arte della ginnastica, presso Iuntas, Venezia, 1569, p. 1.

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Educazione femminile

Lodovico Dolce, Dialogo della Institution delle donne, presso Gabriel Giolito de Ferrari, Venezia, 1547, frontespizio.

Sull’autore Lodovico Dolce nacque a Venezia nel 1508 da un’antica famiglia che aveva accesso al Maggior Consiglio. Rimasto ben presto orfano venne affidato al doge Loredan e alla famiglia Corner; terminati gli studi, svolti a Padova, tornò a Venezia dove, per sopravvivere, non poté far altro che mettere a frutto la sua educazione letteraria. Risolutiva in questo senso, anche se mai lucrosa, fu la collaborazione in qualità di curatore di testi con la grande impresa tipografica della famiglia Giolito, professione che il Dolce esercitò fino alla morte, avvenuta nel 1568. Fu uno dei primi esempi di una nuova figura professionale: il redattore, il curatore redazionale, organicamente legato alla struttura

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produttiva, la quale divenne in quegli anni il committente pressoché esclusivo per gli operatori culturali. Scrittore in versi e in prosa, il Dolce si cimentò in tutti i generi letterari, soprattutto in quelli più in voga e aderenti alla temperie culturale e sociale del secolo – il trattato in forma di dialogo e il testo teatrale, tragedia e commedia – trasportando all’interno della sua produzione creativa l’attenzione alle richieste del mercato librario, esercitata nel quotidiano mestiere redazionale. Il Dialogo della instituzione delle Donne, pubblicato dallo stampatore veneziano Giolito una prima volta nel 1545, fu poi ampliato nelle successive edizioni del 1547 e del 1553. (P.G.)


educazione femminile

Sullo stampatore Nato a Trino da Giovanni il Vecchio e Guglielmina Borgominieri, Gabriele Giolito de Ferrari si stabilì a Venezia nel 1523 dove aprì la sua stamperia in prossimità del ponte del Rialto. La bottega era conosciuta come Libreria della Fenice e la fenice era anche il logo prescelto assieme al motto «Della mia morte eterna vita vivo». Venezia non fu l’unica sede delle tipografie Giolito, poiché di lì

a qualche anno vediamo la famiglia attiva anche a Napoli, Bologna e Ferrara. La tipografia Giolito si specializzò nella stampa di opere in lingua volgare tra cui la famosa Divina Commedia del 1555, le Rime del Petrarca, il Decameron, l’Orlando Furioso e altre opere di autori suoi contemporanei, oltre a traduzioni dallo spagnolo. (A.A.)

Lodovico Dolce, Dialogo della Institution delle donne, presso Gabriel Giolito de Ferrari, Venezia, 1547, p. 1.

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educazione dei religiosa

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educazione dei religiosa

Istruzione religiosa e laica

N

el mondo cattolico della Controriforma, il concilio di Trento se confermò, da un lato, i punti dottrinali messi in dubbio dal movimento protestante, mirò, dall’altro, ad agire anche con un’opera di moralizzazione interna alla Chiesa, prendendo misure contro immoralità e ignoranza del clero. Vennero pertanto istituiti nuovi seminari per formare in maniera rigorosa i futuri sacerdoti, sia dal punto di vista culturale che morale. Questo comportò anche un rinato interesse per lo studio della lingua latina e la scolastica. L’ordine religioso gesuita, fondato da sant’Ignazio di Loyola (1491-1556), occupò un ruolo centrale in questa fase storica. Accanto all’ordine dei Gesuiti ve ne furono anche altri sorti con intenti prevalentemente educativi. Si ricorda, tra i vari, una figura atipica, perché non molto legata alla linea pedagogica controriformisitca, quella di san Giuseppe Calasanzio (1556-1648) fondatore delle Scuole Pie e poi dei Padri scolopi: egli creò nei quartieri poveri di Roma le prime scuole popolari in cui si insegnavano molte materie pratiche e professionalizzanti, come le scienze fisiche, la geometria, l’aritmetica e la musica. Quanto al mondo protestante, occorre tener presente che fondamento del pensiero protestante è che la verità non sta nell’insegnamento della Chiesa, ma nelle Sacre Scritture, che tutti i fedeli devono conoscere e saper interpretare. Da questa visione discese sia il tema della diffusione della scuola pubblica, gestita o dallo Stato (nel caso dei luterani) o dalla Chiesa (nel caso dei calvinisti) sia quello dell’obbligatorietà dell’istruzione. Questa era considerata fondamentale dai protestanti che, sostenendo la libera lettura dei testi sacri, dovevano fornire ai fedeli strumenti per permettere loro di leggere. D’altro canto, però, la Riforma con la sua idea dell’individuo come totalmente guidato nel suo cammino dal volere di Dio impoverì le idee pedagogiche promosse dall’Umanesimo, a favore di una formazione dove l’educazione religiosa diveniva centrale.

Antonio Possevino, Coltura de gl’ingegni, presso Giorgio Greco, Vicenza 1598, frontespizio.

(P.G.)

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educazione dei religiosa

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Arte della memoria

L’Arte della memoria

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ffermava Pier Paolo Vergerio (1498-1565) che «La memoria senza ingegno ha poco merito, ma viceversa un ingegno privo di memoria poco vale o punto, se in specie si ha riguardo alla dottrina: ché altra è la faccenda poi nella pratica, dove può impiegarsi invece della memoria, la scrittura» (Epistole di P. P. Vergerio, a cura della Deputazione Veneta di Storia patria, 1887, Epistola X). Usate nell’antichità dai grandi oratori, le tecniche di memorizzazione erano molto importanti prima della diffusione dell’alfabetizzazione, poiché la conoscenza e la tradizione culturale venivano tramandate oralmente. Quello dell’arte e del funzionamento della memoria (o mnemotecnica) fu un settore classico della ricerca filosofica e molti dei grandi filosofi e retori (Cicerone, Quintiliano, Sant’Agostino, San Tommaso, Giordano Bruno, etc.) furono studiosi di questa disciplina. Notissimo, tra tutti, il nome di Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494) di cui è rimasta letteralmente proverbiale la prodigiosa capacità di tenere a mente numerose opere, grazie a cui fondò la sua vasta cultura enciclopedica. Si dice che sapesse recitare l’intera Divina Commedia, impresa che pare gli riuscisse con qualunque poema appena terminato di leggere. (P.G.)

Antonio Possevino, Coltura de gl’ingegni, presso Giorgio Greco, Vicenza, 1598, p. IV.

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Arte della memoria

Lodovico Dolce, Del modo di accrescere e conservar la memoria, presso gli Eredi di Marchiò Sessa, Venezia 1570, a. frontespizio, b. p. 53, c. p. 54, d. p. 55, e. p. 56.

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Arte della memoria

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Classici

Orazio Toscanella, I modi più communi con che ha scritto Cicerone le sue epistole, presso Bolognino Zaltieri, Venezia, 1558, frontespizio.

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Orazio Toscanella, I modi più communi con che ha scritto Cicerone le sue epistole, presso Bolognino Zaltieri, Venezia, 1558, a. pp. 14-5, b. pp. 22-3.


Classici

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Classici

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Orazio Toscanella, Precetti necessarii overo miscellane sopra diverse cose pertinenti alla Grammatica, Retorica, Topica, Loica, Poetica, Historia & altre facoltà, presso Lodovico Avanzo, Venezia, 1567, a. frontespizio, b. p. 43.


Riflessioni sull’educazione

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editoria

Editoria a Venezia

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alla Germania, dove l’arte della stampa prese avvio alla fine del 1400, gli artigiani tedeschi diffusero la nuova tecnica anche nella nostra penisola. Tra le altre città italiane, Venezia aveva le condizioni economiche, politiche e geografiche più favorevoli allo sviluppo dell’attività Aldo Manuzio, Eleganze insieme con la copia della lingua Toscana e Latina, presso Aldo Manuzio, Venezia, 1559, frontespizio.

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editoria

editoriale, e nell’arco di pochi anni divenne il più importante centro europeo del libro a stampa producendo, con le sue 150 stamperie, quasi la metà dei libri pubblicati in Italia. Anche il governo intervenne nella regolamentazione di questa fiorente attività che rappresentava una delle principali fonti di reddito per la città. Alla metà del XVI secolo, il Consiglio dei Dieci deliberò la nascita di un’Università dei librai e degli stampatori. L’immatricolazione serviva ad ottenere il privilegio, ovvero il diritto di proprietà letteraria. La questione della proprietà era, allora, solo agli inizi: autori e stampatori avevano avviato quel processo di tutela della propria opera avvalendosi dei privilegi, licenze che garantivano il diritto esclusivo di stampa e di vendita di un libro per un certo numero di anni. I privilegi erano tuttavia limitati ad un preciso ambito territoriale; solo al papa era concesso il diritto di rilasciare privilegi con valore universale. L’attività editoriale era spesso sostenuta da alcune famiglie patrizie, che vi investivano i propri capitali: nacquero così le prime grandi imprese editoriali, con un numero elevato di dipendenti e precisi progetti editoriali. Esse si avvalevano di collaboratori esterni: Pietro Bembo ed Erasmo collaborarono, ad esempio, con Manuzio che si avvalse anche dell’esperienza tecnica di Griffo. Oltre alla tipografia di Aldo Manuzio, erano presenti a Venezia altri editori-librai, tra cui i Giunti, Giovanni Griffio, i Giolito de Ferrari, i Marcolini. I primi si specializzarono presto in editoria religiosa e scientifica, creando una rete di vendita europea, dalla Spagna fino alla Polonia. I Giolito produssero soprattutto libri in volgare, tra cui le opere di Dante, Petrarca e Boccaccio. Il libro, intanto, stava assumendo la forma che ancora oggi conosciamo: il frontespizio con il titolo, il nome dell’autore, dell’eventuale dedicatario, dello stampatore. Comparvero indici e suddivisione in capitoli, il formato si ridusse fino a diventare tascabile. La lettura era diventata un’attività più diffusa, praticata da fasce sempre più ampie di popolazione. (A.A.)

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editoria

Sullo stampatore Aldo Manuzio In una Venezia che è divenuta il maggiore centro europeo per l’attività editoriale, si apre tra il 1494 e il 1495, la stamperia di Aldo Manuzio (1450 ca. - 1515). Nella prefazione alla grammatica greca Erotemata di Costantino Lascaris, pubblicata tra febbraio e marzo 1495, lo stampatore dichiara espressamente il suo intento. Aldo Manuzio ha studiato latino e greco, ha fatto l’istitutore per diversi anni e il suo principale obiettivo è quello di diffondere la cultura classica pubblicando e traducendo opere della tradizione ellenica e romana. Nel 1498 escono i 5 volumi della monumentale edizione di Aristotele e le opere di Aristofane, a seguire altre opere di autori latini. L’impegno filologico si unisce all’attenzione per la qualità della stampa, alla forma del libro, agli aspetti tipografici. Nel 1499 il Polifilo di Colonna si distingue per l’uso delle illustrazioni inserite all’interno del testo che ne fanno uno dei volumi più pregiati del Rinascimento. Le edizioni Manuzio si distinguono anche per la sperimentazione di piccoli formati: il Virgilio del 1501, in 8° piccolo (enchiridii forma) e stampato nel corsivo inciso da Francesco Griffo (carattere detto ben presto italico o aldino) rappresenta il primo vero esempio di libro moderno. Il nuovo carattere particolarmente leggibile anche a dimensioni assai ridotte, si adatta al piccolo formato. Il nuovo formato contribuisce ad una più ampia diffusione del libro, come è testimoniato anche da tanta ritrattistica del primo Cinquecento o anche da fonti letterarie. «Partitomi del bosco, io me ne vo a una fonte, et di quivi in un mio uccellare – scriveva Niccolò Machiavelli nella famosissima lettera a Francesco Vettori del 10 dicembre 1513 –. Ho un libro sotto, o Dante o Petrarca, o un di questi poeti minori, come Tibullo, Ovvidio et simili: leggo quelle loro amorose passioni et quelli loro amori, ricordomi de’ mia, godomi un pezzo in questo pensiero». (A.A.)

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editoria

Aldo Manuzio, Eleganze insieme con la copia della lingua Toscana e Latina, presso Aldo Manuzio, Venezia, 1559, p. 16.

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Secolo XVII

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a Sezione “Seicentine” si compone di 100 unità, che andavano ad arricchire l’allestimento della stanza del Seicento del Museo Nazionale della Scuola, ove erano raccolti ricordi, documenti e volumi originali relativi a scuola ed educazione nel secolo XVII. I volumi rappresentano bene alcuni aspetti salienti della scuola dell’età barocca: caratterizzata in prevalenza dalle necessità della Controriforma Cattolica. Di qui il sorgere di ordini religiosi dedicati esclusivamente alle attività educative, come i Barnabiti, gli Scolopi e, soprattutto, i Gesuiti, che andarono elaborando un nuovo tipo di istituto scolastico in cui retorica e cultura classica venivano richiamate ad una funzione morale. Fu favorito, il sorgere dei Collegi che ebbero in Italia il momento più importante della loro storia: essi si proponevano, infatti, di giungere alla formazione spirituale e morale dei giovani attenendosi ai principi della religione Cattolica. La Chiesa, attraverso gli ordini religiosi e il controllo delle autorità diocesane, giunse quasi al monopolio della scuola, anche se non mancarono casi di scuole laiche, come quello che il Comune di Verona affidò ad Orlando Pescetti, ma anche queste si uniformarono al modello di insegnamento Controriformistico. I ragazzi fin dall’età di cinque anni venivano iniziati agli studi letterari (che comprendevano grammatica, cioè insegnamento del latino e del greco, la poetica, la retorica, la dialettica, la storia, un po’ di autori italiani), l’insegnamento dell’aritmetica era prevalentemente limitata a uso degli affari pratici, mentre le scienze matematiche erano considerate troppo alte per esser adeguate dalle menti dei fanciulli, che venivano comunque educati alle facoltà di ragione e di memoria ritenute parte dello spirito. Agli studi giovanili seguivano tre anni di


Grammatica, retorica, dialettica e lingua italiana

un corso filosofico con indirizzo retorico-umanistico e quindi gli studi universitari. Non mancavano gli esercizi fisici che comprendevano: equitazione, scherma e caccia. (P.G.)

Gérard Pelletier e Buon Bourbon, Reginae eloquentiae palatium sive exercitationes oratoriae, presso S. Bénard, Parigi, 1664, a. frontespizio, b. dedicatoria.

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Gérard Pelletier e Buon Bourbon, Reginae eloquentiae palatium sive exercitationes oratoriae, presso S. Bénard, Parigi, 1664, incisione.

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Grammatica, retorica, dialettica e lingua italiana

Onofrio Orobuoni da Piacenza, Osservazioni sopra la lingua volgare, Stampa Ducale di Giovanni Balzachi, Piacenza, 1667, frontespizio.

Giacomo Pergamini da Fossombrone, Il memoriale della lingua italiana, presso Giovan Battista Ciotti, Venezia, 1617, frontespizio.

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Grammatica, retorica, dialettica e lingua italiana

Sull’autore Giacomo Pergamino (o Pergamini), nato a Fossombrone nel 1531 e morto a Roma nel 1615, svolse attività di lettore di diritto a Bologna, fu canonico a Roma e Fossombrone e segretario presso vari prelati. La sua opera principale, il Memoriale della lingua, uscì per la prima volta nel 1602 e fu ripubblicata dopo la morte dell’autore, ad opera del nipote Orazio Negri. L’opera presenta una rassegna ampia di termini attinti da autori della letteratura italiana di varie epoche, raccolti e selezionati di prima mano. (A.A.)

Sul volume Il volume, edito per la prima volta nel 1602, presso Giovanni Battista Ciotti, ebbe diverse ristampe, tra cui questa, una del 1617 e una del 1656, presso Guerigli. L’edizione, già pronta nel 1608 ma pubblicata postuma dal nipote del Pergamini Orazio Negri, venne accresciuta con l’aggiunta di molti autori del Cinquecento, tra cui Bembo, Trissino, Speroni e Tasso. Il merito dell’autore consiste nell’aver compiuto una revisione completa dei materiali a disposizione senza affidarsi ai vocabolari precedenti, con una ricchezza di autori e di testi assai notevole. Lo scopo del volume è principalmente didattico: si spiega l’attenzione alla pronuncia, i riferimenti grammaticali, le corrispondenze latine. Le definizioni sono spesso semplici equivalenze sinonimiche o corrispondenze antonimiche o ancora sono costruite con perifrasi. (A.A.)

Giacomo Pergamini da Fossombrone, Il memoriale della lingua italiana, presso Giovan Battista Ciotti, Venezia, 1617, p. 5.

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Grammatica, retorica, dialettica e lingua italiana

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Grammatica, retorica, dialettica e lingua italiana

Giacomo Pergamini da Fossombrone, Il memoriale della lingua italiana, presso Giovan Battista Ciotti, Venezia, 1617, appendice.

Eleganze Insieme con la copia della lingua toscana, e latina, Scielte da Aldo Manutio, presso Altobello Salicato, Venezia, 1609, frontespizio.

Sullo stampatore La tipografia di Altobello Salicato, specializzata nella stampa di testi giuridici, aveva la sua sede nel Campo San Canciano di Venezia, nel sestiere di Cannareggio. Il suo logo era la Fortezza, una donna in piedi che sorregge la parte superiore di una colonna spezzata, il motto prescelto «Materiam superat opus».Tipografo e libraio attivo fino dal 1569, lavorò da solo e in società con Pacifico Da Ponte, Giacomo Vincenzi, Andrea Muschio, Domenico Nicolini da Sabbio. Nel 1609 la sua sottoscrizione venne sostituita da quella degli eredi. (A.A.)

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Grammatica, retorica, dialettica e lingua italiana

Johann Amos Comenius, Nathanaël Duëz, Ianua Aurea reserata quatuor linguarum (latinam, germanicam, gallicam & italicam), presso Sumptibus Ioannis de Tournes Reip. & Academiae Tipographi, Ginevra, 1643, frontespizio.

Eleganze Insieme con la copia della lingua toscana, e latina, Scielte da Aldo Manutio, presso Altobello Salicato, Venezia, 1609, pp. 4-5.

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Aritmetica e geometria

Francesco Feliciano Veronese, Libro di aritmetica e geometria Speculativa e practicale, presso Giovanni Giacomo Herz, Venezia, 1659, frontespizio.

Sull’autore

Johann Amos Comenius, Nathanaël Duëz, Ianua Aurea reserata quatuor lingua rum (latinam, germanicam, gallicam & italicam), presso Sumptibus Ioannis de Tournes Reip. & Academiae Tipographi, Ginevra, 1643, a. pp. 18-9, b. pp. 48-9.

Francesco Feliciano fu un matematico, nato a Lazise (Verona) nella seconda metà del 1400. Già autore di un Libro de abaco nel 1517, pubblicò il Libro di aritmetica et geometria speculativa et praticale per la prima volta nel 1526. Per anni fu docente della pubblica scuola di Verona, per incarico del Consiglio comunale. In questa scuola allestita a sua cura «insegnava leggere, scrivere, sumare, sottrarre e far conti d’ogni sorte, et altro che apertiene alle mathematice». (A.A.)

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Aritmetica e geometria

Insegnamento dell’aritmetica e della geometria

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partire dalla metà del Cinquecento cominciò a diffondersi nell’Europa cattolica una considerevole rete di Collegi, in gran parte affidati alla Compagnia di Gesù, dedicati all’istruzione dei giovani. La Ratio studiorum consisteva in due corsi triennali, uno grammaticale e uno filosofico; l’argomento principale degli studi era la lingua latina. L’insegnamento della matematica era inserito nel corso filosofico, affiancando la teologia scolastica, la filosofia naturale e la logica aristotelica. I contenuti dell’insegnamento erano simili a quelli della cattedra di matematica delle Università del tardo medioevo, che comprendeva la lettura dei primi sei libri degli Elementi di Euclide e la Sfera del Sacrobosco (Giovanni di Holywood, docente all’Università di Parigi, XIII secolo),

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Francesco Feliciano Veronese, Libro di aritmetica e geometria Speculativa e practicale, presso Giovanni Giacomo Herz, Venezia, 1659, a. p. 1, b. pp. 196-7.


Aritmetica e geometria

che era un compendio dell’Almagesto di Tolomeo. Nel Cinquecento molti insegnanti gesuiti produssero manuali per riproporre la filosofia e la teologia scolastica nel quadro delle grandi responsabilità che l’ordine assumeva sul piano dell’istruzione: la matematica disciplinare fu sottoposta a approfondimenti e revisioni per merito principalmente di Cristoforo Clavio (1537-1612), curatore di un’edizione degli Elementi di Euclide, cui aggiunse commenti e spiegazioni. Alle opere di Clavio nella seconda metà del Seicento si sostituirono, per l’insegnamento nei Collegi dei Gesuiti, due manuali del matematico belga Andreas Tacquet (1612-1660, anch’egli appartenente alla Compagnia di Gesù), l’Arithmeticae theoria et praxis, e gli Elementa geometriae planae ac solidae, finalizzati all’insegnamento dell’aritmetica e della geometria. (P.G.)

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Aritmetica e geometria

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b Giuseppe Maria Figatelli, Ristretto aritmetico, presso Andrea Cassiani stampator ducale, Modena, 1664, a. frontespizio, b. illustrazione, c. p. 3.

Sull’autore Giuseppe Maria Figatelli da Cento nacque nei dintorni di Cento (Ferrara) nel 1611. Cappuccino dal 1632, fu destinato all’ufficio di predicatore e a quello di guardiano. Divenne presto noto per le sue pubblicazioni di ambito matematico tra cui il Ristretto aritmetico, pubblicato a Modena nel 1664 e il Trattato aritmetico, dedicato all’algebra. Nel 1667 pubblicò a Forlì un trattato di gnomonica, Retta linea gnomonica.Le sue opere seguono due filoni complementari, quello della matematica teorica e quello della matematica applicata. Trascorse gli ultimi anni nel convento di Mirandola, nel Modenese, dove morì nel 1682. (A.A.)

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Aritmetica e geometria

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Aritmetica e geometria

Giuseppe Maria Figatelli, Ristretto aritmetico, presso Andrea Cassiani stampator ducale, Modena, 1664, pp. 210-1.

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Aritmetica e geometria

Cristoforo Clavio Bambergense, Aritmetica prattica, presso Stefano Curti, Venezia, 1686, frontespizio.

Sull’autore Forse originario della Germania (il suo nome potrebbe essere la latinizzazione di Christoph Klau), studiò presso i Gesuiti e nel 1560 si iscrisse al Collegio Romano dove insegnò matematica fino alla sua morte. Interessato all’astronomia, fu autore di un notevole numero di volumi tra cui gli Elementi di Euclide (1574), un commento alla Sfera di Sacrobosco (1581), libri di aritmetica pratica, di geometria, di algebra. Nel 1579 entrò a far parte della Commissione pontificia per la riforma

del calendario giuliano. Il nuovo calendario gregoriano, adottato nel 1582 è lo stesso ancora oggi utilizzato nei paesi occidentali. Clavio fu sostenitore del modello geocentrico, anche se ne riconobbe alcuni limiti. Nel 1611 ricevé Galileo e discusse con lui riguardo alle osservazioni eseguite con il telescopio. Clavio si dimostrò aperto nei confronti delle nuove scoperte, pur mantenendo sempre fede alla visione tradizionale del tempo. (A.A.)

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Aritmetica e geometria

Cristoforo Clavio Bambergense, Aritmetica prattica, presso Stefano Curti, Venezia, 1686, pp. 200-1.

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Divulgazione scientifica

Divulgazione scientifica

I

n Italia, fino al Quattrocento, il campo dell’elaborazione e della comunicazione scientifica fu costituito quasi solo da traduzioni in volgare di opere latine, arabe e greche. Queste versioni contribuirono ad estendere i confini di diffusione delle opere tradotte oltre la cerchia degli ecclesiastici. Ancora per tutto il Cinquecento le scritture d’ambito scientifico erano ben lontane dallo statuto del testo tecnicoscientifico moderno. La svolta si ebbe nel Seicento, quando la formazione di moderne terminologie tecnico-scientifiche differenziate nelle diverse discipline e la scelta di Galileo Galilei e della sua scuola di adottare l’italiano per la composizione di opere di ricerca scientifica contribuirono alla definizione di un linguaggio scientifico italiano (in particolare della fisica) stilisticamente caratterizzato e ‘alto’. All’arricchimento della comunicazione scientifica corrispose, anche cronologicamente, la formazione del giornalismo culturale, che tuttavia per decenni oscillò tra le due finalità: l’informazione-aggiornamento della comunità internazionale dei dotti e la divulgazione delle più recenti opere, invenzioni e scoperte della scienza e della tecnica. In Italia, oltre alle traduzioni di testi stranieri, le prime opere di carattere e finalità specificamente e dichiaratamente divulgative cominciarono a comparire solo nei primi decenni del Settecento: dai Dialoghi sopra l’ottica neutoniana (1737), di Francesco Algarotti, al trattato Dell’elettricismo (1746) del medico veneziano Eusebio Sguario. (A.A.)

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Divulgazione scientifica

Ruini Carlo, Del cavallo infermità et suoi rimedii, presso Fioravante Prati, Venezia, 1618, a. frontespizio, b. p. 41, c. p. 247.

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Sull’opera Considerata uno dei primi trattati scientifici di anatomia veterinaria, Dell’Anatomia e dell’infirmità del cavallo del bolognese Carlo Ruini (1530-1598 si distingue per la qualità e la ricchezza delle immagini. Gli studi condotti sull’apparato iconografico dell’opera non hanno consentito di pervenire ad attribuzioni certe, anche se si può ragionevolmente supporre che le xilografie siano opera di valenti artisti che hanno operato sotto la diretta guida dello stesso Ruini. (A.A.)

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Divulgazione scientifica

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Educazione dei nobili

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b Alberto Caprara, Insegnamenti del vivere del conte Alberto Caprara a Massimo suo nipote, presso l’erede di Domenico Barbieri, Bologna, 1672, a. frontespizio, b. p. 1.

Sull’autore Alberto Caprara (Bologna 1627 – Bologna 1691), fratello del Cardinale Alessandro Caprara, fu diplomatico, inviato speciale dell’Imperatore Leopoldo I. Soggiornò a Roma tra il 1654 e il 1660. Fu autore di molte opere, tra cui gli Insegnamenti del vivere del conte Alberto Caprara a Massimo suo nipote, pubblicato a Bologna, per l’erede di Domenico Barbieri nel 1672; i Precetti del matrimonio da Plutarco dettati à Polliano, ed Euridice e di nuouo spiegati dal conte Alberto Caprara... al senatore conte Alessio Orsi, e contessa Artimisia Caprara suoi nipoti, stampati a Roma presso la R.C.A. nel 1684; la Relatione del presente Governo ottomano fatta dal sig. Alberto Caprara, stato ultimamente internunzio a quella corte, pubblicata a Lucca, presso Iacinto Paci nel 1684. (A.A.)

Il principe infante ovvero dell’educatione del principe, presso Matthias Perlin, Francoforte, 1619, a. frontespizio, b. indice delle cose notabili, c. indici.

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Educazione dei nobili

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Alberto Caprara, Insegnamenti del vivere del conte Alberto Caprara a Massimo suo nipote, presso l’erede di Domenico Barbieri, Bologna, 1672, illustrazioni.


Educazione dei nobili

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Educazione dei nobili

Luigi Giuglaris, La scuola della verità aperta a’ Prencipi. Con occasione della Regia Educazione data al serenissimo Carlo Emanuele II, Duca di Savoia, Prencipe di Piemonte da Madama Reale Christiana di Francia sua madre, Bologna, 1650, frontespizio e (pagina a fronte) indici.

Sull’autore Luigi Giugularis (Nizza Marittima 1607-Messina 1653), proveniente da famiglia nobile, entrò nel 1622 nella Compagnia di Gesù. Fu presto inviato come docente di retorica e matematica nel Collegio di Mondovì e successivamente in quello di Torino. Nel 1637 fu ordinato sacerdote. Nel 1650 venne chiamato a Nizza dal principe Maurizio di Savoia. Per l’istruzione dell’allievo scrisse un trattato politico pubblicato a Torino nel 1650, La scuola della verità aperta a’ prencipi dal padre Luigi Giuglaris della Compagnia di Gesù con occasione della regia educazione data al serenissimo Carlo Emanuele duca

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di Savoia… da Madama Cristina sua madre, sull’esempio dello Statista regnante composto da Valeriano Castiglione per Carlo Emanuele I. L’opera riscosse molta fortuna in Europa, venne ristampata sette volte, tradotta in portoghese e in francese. Fra i motivi dell’interesse suscitato vi è senza dubbio la polemica antimachiavellica, sviluppata attraverso un dialogo immaginario fra l’autore e il segretario fiorentino, che riproponeva stilemi e argomenti consueti per gli scrittori gesuiti (ad esempio l’identificazione fra il principe e l’Anticristo). (a.a.)



Educazione civile

Della educazione civile. Secondo la commune opinione de’ Filosofi, presso Comino Ventura, Bergamo, 1609, frontespizio e (pagina a fronte) tavola delle cose più notabili.

Sullo stampatore Giunto a Bergamo al seguito di Vincenzo da Sabbio, incaricato dal Comune di avviare nel 1577 l’attività tipografica in città, Giacomino Ventura iniziò con lui il suo lavoro di stampatore, a San Cassiano. La tipografia fu attiva dal 1578 al 1616. Con le sue 525 edizioni stampate in loco, la stamperia presenta elementi di interesse, anche per la particolare personalità del tipografo/editore che fu in grado di caratterizzare in modo personale e riconoscibile la propria proposta editoriale.

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Educazione civile

Tra la produzione del Ventura emergono, infatti, volumi stampati in caratteri ebraici, pubblicazioni sull’attualità politica europea, la raccolta in 30 volumi di lettere dedicatorie, la più ampia che sia apparsa in Italia. L’indirizzo editoriale di Comino rivela l’immagine culturale della società bergamasca di quegli anni: accanto a libri di carattere popolare e sacro, si stampano volumi di medicina, di cronaca, di politica, di educazione morale, di cultura letteraria, di agiografia, di educazione scolastica, di poesia e di filosofia. (a.a.)

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Educazione civile

Orazio Lombardelli, Gli aforismi scolastici, presso Salvestro Marchetti, Siena, 1653, a. frontespizio, b. tavola delle distinzioni. b

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Orazio Lombardelli, Gli aforismi scolastici, presso Salvestro Marchetti, Siena, 1653, a. pp. 82-3, b. pp. 112-3.


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Educazione civile

Sull’autore Caspar Schoppe (Neumarkt 1576 – Padova 1649) fu un umanista tedesco attivo in diverse università della Germania. Nel 1599 si convertì al Cristianesimo e avviò una serrata critica nei confronti delle tesi protestanti. Dal

1607 fu al servizio dell’arciduca Ferdinando, poi imperatore II. Con la sua opera Classicum belli sacri sostenne l’opportunità di una guerra di religione contro i prìncipi protestanti. (a.a.) Gasparis Scioppi Conte di Chiaravalle, Consultationes De Scholarum & Studiorum ratione, presso Paulum Frambottum, Padova, 1636, frontespizio.

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Educazione civile

Flevry Claude, Traite du Choix et de la Methode Des Etudes, presso Pierre Emery e Charles Clousier, Parigi, 1637, frontespizio.

Sull’autore Studente al Collège de Clermont, fu prima avvocato e, in seguito agli studi religiosi, abate dell’Ordine Cistercense. Più tardi esercitò il ruolo di precettore, prima dei Principi di Conti nel 1672, poi per conto di Luigi XIV che lo scelse come maestro per il figlio naturale Luigi di Borbone, conte di Vermandois (1667-1683). In seguito fu vice-precettore dei duchi di Borgogna,

d’Anjou e di Berry, nipoti di Luigi XIV. Membro dell’Académie française nel 1696, scrisse molte opere tra cui una Storia ecclesiastica in 20 volumi, pubblicata nel 1691 e tradotta in latino, in tedesco e in italiano. Numerose altre opere furono giudicate dalla Chiesa prossime al Giansenismo e messe all’indice. (a.a.)

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Educazione civile

Flevry Claude, Traite du Choix et de la Methode Des Etudes, presso Pierre Emery e Charles Clousier, Parigi, 1637, pp. 208-9.

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Arte della memoria

Arte della memoria

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Filippo Gesualdo, Plutosofia, Presso Perin libraro, Vicenza, 1600, a. frontespizio, b. illustrazione.

ietro Tomai, noto come Pietro da Ravenna, fu un famoso mnemonista e teorico dell’arte della memoria. Facendo uso del metodo ripreso dalla Rhetorica ad Herennium e da Quintiliano, utilizzò il sistema dei luoghi per insegnare l’arte della memorizzazione. Nel 1492 esce a Venezia il suo volume Phoenix seu artificiosa memoria che lo rende maestro incontrastato del suo tempo. Tutti coloro che scrivono e si occupano di memoria si rifanno in qualche modo al suo lavoro. La teoria dei luoghi insegna ad utilizzare gli spazi fisici come spazi della memoria. I luoghi, attraversati fisicamente, possono essere chiese, palazzi, strade dove si individuano angoli, porte, finestre, colonne in cui collocare le immagini da mandare a memoria. Si creano così i “teatri della memoria”. Il collegamento stabilito consente di riportare alla mente, all’occorrenza, i singoli elementi. Nei volumi su questo tema che furono pubblicati nel corso del

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Arte della memoria

Cinquecento e del Seicento si ritrova una mescolanza di linguaggi, simboli, alfabeti segreti, grammatiche che utilizzano elementi naturali o simbolici. L’arte della memoria, da semplice strumento impiegato a scopi pratici, diventa gradualmente misura di conoscenza, espediente per proporre una riforma del sapere. Nel Thesaurus artificiosae memoriae di Cosma Rosselli, l’arte della memoria si è trasformata in un sistema per classificare gli elementi dell’universo. L’arte della memoria si innesta così sul tema dell’enciclopedia, la raccolta di un sapere universale ordinato e classificato secondo un sistema controllato. È il sogno di un sistema unico che riunisca i principi di tutte le discipline e ne faccia una sorta di compendio generale del sapere. (a.a.)

Filippo Gesualdo, Plutosofia, presso Perin libraro, Vicenza, 1600, a. pp. 4-5, b. pp. 35-6.

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Arte della memoria

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Sull’autore Filippo Gesualdi (Castrovillari 1550 – Cariati 1618) fu scrittore, professore a Roma e a Padova, dove istituì l’associazione della “Scuola compuntiva”. Fu vescovo di Cariati e Cerenzia. Pubblicò scritti ascetici, esegetici e prediche. La sua opera più popolare fu la Plutosofia, una raccolta delle lezioni di mnemotecnica tenute a Palermo, pubblicate a Padova nel 1592. Di ispirazione aistotelica, l’opera si rifà anche agli scritti di Quintiliano e ad autorii cinquecenteschi (Lodovico Dolce, Giovan Battista Della Porta). (A.A.)

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Editoria

La forma del libro Dall’invenzione della stampa in poi si assiste, gradualmente, ad una tendenza alla diminuzione del formato dei libri. Mentre i libri religiosi, i trattati giuridici, le stampe di pregio mantengono un formato più ampio, in-folio o un grande in-4°, le pubblicazioni che potremmo definire popolari riducono di molto la dimensione della pagina. Il risparmio della carta consente, del resto, un notevole abbassamento dei prezzi di produzione e di vendita con una conseguente ripercussione sulla maggiore diffusione dei volumi. Contemporaneamente anche l’impaginato cambia. Compare il frontespizio, introdotto già alla fine del XV secolo, e via via più raffinato, nel corso degli anni. All’indicazione del contenuto si aggiunge presto il nome dell’autore, la marca tipografica dello stampatore e successivamente la città e l’anno di stampa. In Italia e in Francia si impone, gradatamente, il titolo breve, talvolta accompagnato da una vignetta di illustrazione. Per quanto riguarda poi la suddivisione interna del testo, i capitoli così come li conosciamo ancora oggi si affermano per gradi fino a trovare la loro definitiva sistemazione nel XVII secolo. La diffusione di una pratica di lettura silenziosa ha contribuito non poco alla definizione di una nuova organizzazione visiva del testo sulle pagine. Mentre a Venezia l’editore Manuzio sperimenta nuove forme tipografiche, in Francia l’edizione della Cronique di Philippe de Commines, pubblicata da Galliot du Pré nel 1524, presenta per la prima volta capitoli brevi separati da uno spazio bianco e introdotti da una lettera ornata. Seguiranno l’introduzione di sommari, la numerazione dei capitoli stessi e talvolta le note marginali poste a lato. (A.A.)

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editoria

Guglielmo Mechonius, Hermathene, Hoc est Mercurii ac Palladis Simulacrum, De Recta Institutione Juventutis Scholastica, presso Joannis Gorlini, Francoforte, 1673, a. frontespizio, b. indice.

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Editoria

Tecnica di stampa delle illustrazioni La xilografia era stata una delle tecniche più utilizzate per la stampa delle illustrazioni. Il vantaggio della xilografia era dovuto principalmente alla facilità con cui i calchi in legno potevano essere inseriti nei torchi e utilizzati per pagine che vedevano l’illustrazione stampata accanto al corpo del testo. Dalle tavole della Passio stampate intorno al 1450, primo esempio xilografico italiano, si giunge al volume aldino della Hypnerotomachia Poliphili, attribuita a Francesco Colonna, edita nel 1499, corredato da una serie cospicua di splendide incisioni. Nel corso del XVI secolo, tuttavia, la xilografia cede il passo ad un’altra tecnica di riproduzione delle immagini ottenuta tramite le incisioni in rame (calcografia). La nuova tecnica consente di ottenere disegni più elaborati e precisi, più raffinati e sontuosi. L’uso della nuova tecnica dà avvio alla diffusione di frontespizi istoriati, affini ai temi trattati nel volume. Nei grandi laboratori Plantin, nei Paesi Bassi, le incisioni sono affidate a Hieronymus Cock e perfino a Ruben. Nel secolo XVII compare l’uso di inserire in apertura dei volumi una tavola incisa senza testo che illustra il contenuto del volume o ritrae l’autore dell’opera. La xilografia resta per le pubblicazioni di stampo più popolare. Il legno è sempre impiegato per i capilettera o per i motivi ornamentali posti all’inizio o nei cul-de-lampe a chiusura dei capitoli. (A.A.)

Stampa tra Riforma e Controriforma

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a stampa fu considerata da Lutero un dono divino da utilizzarsi per diffondere al meglio la nuova dottrina. Non a caso, nella Germania del tempo sono numerose le stamperie che specializzeranno la loro produzione su testi sacri. Poche sono ancora le persone in grado di leggere, ma la diffusione delle letture a voce alta, in volgare, di fronte a gruppi di devoti è una pratica diffusa così come la circolazione di fogli volanti a basso costo, magari accompagnati da illustrazioni caricaturali o esplicative che raggiungono anche la popolazione analfabeta. Uno degli stampatori più noti è Christophe Plantin di Anversa, simpatizzante della dottrina protestante, ma anche protetto dal cattolico Filippo II di

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Guglielmo Mechonius, Hermathene, Hoc est Mercurii ac Palladis Simulacrum, De Recta Institutione Juventutis Scholastica, presso Joannis Gorlini, Francoforte, 1673, illustrazione.


editoria

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Editoria

Spagna, impegnato nella produzione di entrambe le parti. Grazie alla stampa, le idee di Lutero circolano in tutta Europa, ma incontrano l’opposizione della Chiesa Cattolica che ne vieta presto la diffusione atraverso una dura censura dei testi. Nel 1559 Paolo IV istituisce l’Indice dei libri proibiti, e vieta anche le traduzioni della Bibbia. La censura colpisce opere diverse e rivela un atteggiamento di generale diffidenza verso la lettura, considerata pericolosa e non adatta a tutti. Nonostante tutto continuano ad uscire opere come ad esempio il Sidereus Nuncius, un piccolo libretto che annuncia, nel 1610, le prime scoperte di Galileo. Come la maggior parte dei libri del Seicento, il Nuncius presenta un frontespizio ricco e articolato, contenente molte delle informazioni del colophon, come la data e la città, e una descrizione elogiativa del libro stesso. Anche la lunga dedica, piena di lodi e di preamboli, è in linea con il gusto barocco secentesco. Inoltre, parallelamente alle esplorazioni geografiche e allo sviluppo della navigazione, si pubblicano grandi atlanti a colori, come il celebre Ortelius (già nel Cinquecento il geografo fiammingo Gerard Mercator aveva dato un nuovo impulso alla cartografia e alla realizzazione di libri di carte geografiche). Comincia a diffondersi anche il genere del romanzo: riservato alle classi alte, è di natura mitologica o fantasiosa, oppure descrive le passioni nel mondo aristocratico; è di piccolo formato, e proprio questi libri (12°, 16°, 24°), che hanno costi di produzione ridotti, costituiscono la fortuna dei più grandi editori del secolo, gli olandesi Elzevier. (A.A.)

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Secolo XVIII

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a Sezione “Settecentine” è composta da 392 volumi. Anche questa parte della collezione libraria antiquaria andava a corredare una delle sale del Museo Nazionale della Scuola di Firenze, quella del Settecento, che accoglieva documenti, piani di studio di Università, di Collegi, di istituti culturali italiani del secolo e, infine, molte opere a stampa, collocate nella sala secondo un ordine alfabetico. La selezione dei volumi contribuiva ad illustrare gli sviluppi del sistema scolare nel secolo dei Lumi, quando la questione pedagogica si fece anche politica, ricevendo poi dalla Rivoluzione un impulso straordinario. Il Settecento fu il secolo in cui iniziò l’istituzione di scuole pubbliche promosse e controllate dallo stato (e non dai comuni, come era accaduto già dal Medioevo). Il primo stato italiano ad inaugurare la nuova politica scolastica fu il Regno di Sardegna: una serie di riforme attuate da Vittorio Amedeo II di Savoia dal 1717 al 1727 istituirono scuole laiche statali di vario grado e un apposito “Magistrato” incaricato di vigilare contro la possibile ingerenza di ordini religiosi nella materia. Nella seconda metà del secolo l’espulsione dei Gesuiti da molti stati (iniziata nel 1767 con il provvedimento preso nel Regno di Napoli) e poi la bolla papale del 1773 Dominus ac Redemptor noster, con il quale l’ordine fu soppresso, ebbero grande rilevanza nel generale processo di “secolarizzazione dell’istruzione”, anche se il più delle volte i Gesuiti furono sostituiti da altri ordini religiosi, anche per la difficoltà di trovare un adeguato numero di insegnanti laici. Con la Rivoluzione francese si affermò poi una nuova concezione della scuola, che trovò la sua formulazione più chiara e completa nel Rapport et project de décret sur l’organisation génerale de l’Instruction publique, redatto da Nicolas de Condorcet (1743-1794) nel 1792 e presentato all’Assemblea


Grammatica e belle lettere

Nazionale a nome del Comitato di istruzione pubblica: l’istruzione primaria vi era concepita come pubblica, obbligatoria e gratuita: tutti i cittadini, sia maschi che femmine, dovevano accedervi. La scuola, bandendo qualsiasi insegnamento religioso, doveva essere laica, basata, da una parte, sulla trasmissione di capacità professionali utili, contenuti verificabili e metodi razionali e, dall’altra, sulla formazione civile. (P.G.)

Daniello Bartoli, Dell’ortografia italiana trattato del P.D.B, presso Lorenzo Basegio, Venezia, 1709, frontespizio.

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Grammatica e belle lettere

Salvadore Corticelli, Regole ed osservazioni della lingua toscana ridotte a metodo, presso stamperie Remondine, Bassano, 1746, frontespizio.

Sull’opera Alla progressiva diffusione dell’opzione fiorentino-centrica relativamente alla questione della lingua vanno riportate due fortunate tipologie di testi: i dizionari (che si rivolgevano a chi non possedeva completamente il fiorentino) e le grammatiche. Circa queste ultime, il Settecento vide infittirsene il numero rispetto al passato, ma in forma diversa, poiché venivano pensate per la prima volta con un impianto didattico e dunque non rivolte solo ai dotti, ma finalizzate anche all’apprendimento (seppur per studenti selezionati, perché la conoscenza del latino rimaneva presupposto per l’accesso alla grammatica italiana). Tra le tante

grammatiche stampate nel periodo, quella di Salvatore Corticelli (1689-1758) fu una delle più fortunate e si pose, insieme a quella di Francesco Soave, il compito di sistematizzare, organizzare e ridurre a metodo il sapere in quest’ambito. Benché il riferimento fossero le regole codificate, oltre due secoli prima, da Pietro Bembo, nella grammatica del Corticelli la sintassi del periodo, generalmente trascurata dalle trattazioni grammaticali tradizionali, trovò per la prima volta uno spazio adeguato: infatti l’autore le dedica una delle tre parti di cui si compone il testo. (P.G.)

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Grammatica e belle lettere

Alessandro Zorzi, Del modo di insegnare a’ fanciulli le due lingue italiana e latina, per Giuseppe Rinaldi, Ferrara, 1775, frontespizio.

La questione della lingua

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a discussione attorno alla lingua letteraria, avviata nel corso del 1500, continua nei secoli seguenti. Nel 1612 viene pubblicata la prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca in cui si cerca un compromesso tra le posizioni più arcaizzanti, che auspicano una lingua vicina a quella degli scrittori del Trecento, e la tendenza a preferire l’uso del fiorentino vivo. Il primo vocabolario italiano rappresenta il punto di riferimento per tutte le discussioni seguenti. All’autorità della Crusca si ribellano presto intellettuali come il Baretti e gli

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Grammatica e belle lettere

illuministi appartenenti al «Caffè», tra cui Pietro e Alessandro Verri, che assumono posizioni innovatrici e antiaccademiche, in favore di un’apertura ai forestierismi. Fin dal primo Settecento, infatti, si intensifica l’attenzione al rapporto dell’italiano con le culture e le lingue straniere, in particolare col francese. Domina lo stereotipo che vede il francese lingua della ragione e l’italiano lingua della passione, mentre il nuovo prestigio del francese determina atteggiamenti che vanno dal rifiuto all’accettazione empatica. Appare centrale, in questi interventi, il concetto di «genio delle lingue», ossia il riconoscimento di tratti originari e caratterizzanti, idea che trova il suo più compiuto sviluppo nel Saggio sulla filosofia delle lingue di Melchiorre Cesarotti. (A.A)

Amato Accursi Parmigiano, Il donato al senno cioè volgarizzato secondo le regole della lingua toscana. A beneficio de’ Fanciulli principianti in Grammatica, presso Michele Conti, Faenza, 1780, frontespizio.

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Grammatica e belle lettere

Dizionario delle favole per uso delle scuole d’Italia, presso Leonardo Bassaglia, Venezia 1787, frontespizio.

Carlo Rollin, Della maniera d’insegnare, e di studiare le belle lettere, Presso Giuseppe Orlandelli, Venezia, 1792, frontespizio.

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Grammatica e belle lettere

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Grammatica e belle lettere

Etienne Bonnot abate di Condillac, Corso di studj utilissimo alla civile gioventù. Tomo I Contenente la Gramatica, presso Andrea Santini e Francesco Milli, Venezia, 1794, frontespizio.

Sull’autore Etienne Bonnot, abate di Condillac ( 1714-1780 ), nacque a Grenoble. Durante la sua permanenza a Parigi strinse amicizia con Rousseau. Visse poi a Parma dove seguì l’educazione del duca Ferdinando di Borbone, fino dal 1758. Autore del Saggio sull’origine delle conoscenze umane (1746), sostenne in questo volume molte delle convinzioni di Locke, tra cui l’idea che la conoscenza umana sia frutto di due sorgenti: la sensazione e la riflessione. Nel suo libro successivo, il Trattato sui sistemi, del 1749, criticò le idee innate di Cartesio e la concezione spinoziana della sostanza. (A.A.)

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Grammatica e belle lettere

Sull'arte di insegnare a parlare ai sordomuti Il primo educatore a diffondere il proprio metodo sull’insegnamento ai sordomuti fu Charles-Michel de l’Epée (1712-1789), sacerdote e pedagogista, che condusse la propria attività in Francia nella seconda metà del XVIII secolo. Egli si prodigò nel creare proseliti, fino a fondare la prima scuola pubblica per sordomuti proprio in Francia, che aperta nel 1760 con pochi allievi, nel 1785 contava già settanta studenti. De l’Epée fu il primo a non voler imporre a tutti i costi l’apprendimento della voce, ma utilizzò i segni (per lui mezzo naturale di espressione per i sordi) per insegnar loro a scrivere. Suo successore fu Roche-Amboise Sicard (1742-1822), il quale divenuto direttore della scuola parigina, si

prodigò nel diffondere la lingua dei segni. Anche in Italia, su questo esempio, il metodo venne introdotto dal sacerdote Tommaso Silvestri (1744-1789) e si diffuse molto fra la fine del XVIII secolo e la metà del successivo, quando vennero fondati numerosissimi istituti per sordomuti. Bisogna specificare che questi segni usati a livello scolastico in realtà non costituivano una vera e propria lingua, ma assolvevano ad una funzione di appoggio rispetto alla lingua italiana; ciò dimostrava comunque come all’epoca vi fosse chiaramente la disponibilità a riconoscere la necessità di un metodo educativo che privilegiasse, in primis, il canale percettivo della vista. (P.G.)

Giovanni Andres, Dell’origine e delle vicende dell’arte di insegnar a parlare ai sordi muti, presso d’Ignazio Alberti, Vienna, 1793, frontespizio.

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Aritmetica e geometria

Alessandro Maria di S. Matteo Romano, Documenti arimmetici, presso stamperia di S. Michele a Ripa Grande, Roma, 1724, frontespizio.

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Aritmetica e geometria

Alessandro Maria di S. Matteo Romano, Documenti arimmetici, presso stamperia di S. Michele a Ripa Grande, Roma, 1724, pp. 4-5.

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Aritmetica e geometria

Manuali per l’insegnamento dell’Aritmetica

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a faticosa introduzione dell’algebra nei curricoli dei collegi non era dovuta solo alla rigidità della separazione tra aritmetica e geometria, ma anche alle limitazioni negli orari previsti per i corsi matematici. Questi furono ampliati, pur nell’ambito degli studi tradizionali, quando la matematica fu considerata propedeutica rispetto alla fisica e fu quindi insegnata nella prima parte del corso filosofico. Tale innovazione rappresenta una conseguenza dell’affermazione del sistema newtoniano (ne I principi matematici della filosofia naturale), che determinò la reinterpretazione e ridefinizione del ruolo della matematica tra le scienze della natura. Solo dopo il 1720 però – in Italia – furono pubblicati i primi manuali aventi ad oggetto l’algebra: gli Elementa algebrae di Nicola de Martino (Napoli, 1725); l’Aritmetica comune e speciosa di Saverio Brunetti (Roma, 1731); le Institutiones analyticae di Paolino da S. Giuseppe (Paolino Chelucci, già citato); il secondo volume degli Elementa Matheseos di Boscovich; gli Elementi di matematica di Edoardo Corsini (1735-38); gli Elementa mathematicae di Fortunato da Brescia (1738-39) e, successivamente, il Sectionum conicarum compendium (Venezia, 1765) di Ottaviano Cametti (1711-89) e le Sezioni coniche (Modena, 1801) di Antonio Cagnoli (1743-1816). Il carattere didattico era la caratteristica prevalente di molti di questi scritti: dopo l’opera dei pionieri secenteschi in matematica e fisica, si andò dunque affermando un uso scolastico, con relativa dotazione manualistica. In questo processo di costituzione della nuova trattatistica, che si caratterizzò per esposizioni di tipo sistematico-riassuntivo, questo tipo di scritti scientifici di autori italiani rivestirono un ruolo importante, grazie a pregi di chiarezza e ordine espositivo. (P.G.)

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Aritmetica e geometria

Il giovane instruito nell’arimmetica pratica ed in tuttociò che le è relativo, presso Francesco Allegrini e comp., Firenze, 1780, a. frontespizio, b. tavola. a

b

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Aritmetica e geometria

Sull’autore Domenico Chelucci (1681-1754), compiuti gli studi inferiori, entrò in seminario, decidendo poi di far parte della Congregazione delle scuole pie e secondo l’uso scolopio cambiò il nome di battesimo in quello di Paolino di S. Giuseppe. Nel 1706, Clemente XI gli affidò l’educazione del nipote Alessandro Albani, futuro cardinale e suo protettore assiduo, e nel 1713 gli fece conferire la cattedra universitaria di retorica alla Sapienza. La risonanza delle sue lezioni ed il successo delle orazioni tenute in occasione dell’inaugurazione degli anni accademici, stampate a più riprese, fecero di lui quasi un’autorità ufficiale in materia di stile latino. La sua attività didattica non si svolse però solo alla Sapienza, né i suoi scritti

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si limitano alle orazioni: rientrato a Roma, la sua Congregazione gli affidò l’insegnamento della matematica al Nazareno, insegnamento che tenne per ventuno anni. Nell’ambito di questo incarico rientra la stesura di due manuali di matematica esplicitamente previsti per l’uso didattico: le Institutiones arithmeticae (Roma, 1733) e le Institutiones analyticae earumque usus in geometria (Roma, 1738). Queste sue opere ebbero un notevole successo e ampia diffusione: le Institutiones arithmeticae, arricchite in seguito di appendici, avranno una seconda edizione romana (1749), tre napoletane (1755, 1778, 1786) e ben quattro veneziane (1761, 1770, 1782, 1795). (P.G.)


Aritmetica e geometria

Il giovane instruito nell’arimmetica pratica ed in tuttociò che le è relativo, presso Francesco Allegrini e comp., Firenze, 1780, tavola 2.

Sébastien Le Clere, Pratica di Geometria in carta e campo. Per istruzione della nobile Gioventù, nella Stamperia del Bernabò e Lazzarini, Roma, 1746, frontespizio.

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Aritmetica e geometria

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Sébastien Le Clere, Pratica di Geometria in carta e campo. Per istruzione della nobile Gioventù, nella Stamperia del Bernabò e Lazzarini, Roma, 1746, a. p. 9, b. p 13.

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Aritmetica e geometria

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Aritmetica e geometria

Nicolai de Martino, Elementa geometriae planae seu elementorum euclidis, presso Lucas Valerio, Napoli, 1787.

a Maestro Giulio Acceta, Gli elementi di Euclide a migliore e più chiara maniera ridotti, presso Stamperia reale, Torino, 1753, a. frontespizio, b. p. 31

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Aritmetica e geometria

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Aritmetica e geometria Geometria Tavole, XVIII sec.

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Aritmetica e geometria

Sull’insegnamento della Geometria: Nel 1637 era stata pubblicata, in appendice al Discorso sul metodo di Descartes, La Geometria, poi ripubblicata anche separatamente, in latino, nel 1649. Questo testo ebbe un altro forte rilancio grazie anche al lavoro di Leibniz sul calcolo differenziale esposto nell’opera De geometria recondita et analysi indivisibilium atque infinito rum del 1684. Tuttavia questa influenza, che moltiplicò in Italia i lavori analitici, non riuscì, ancora per qualche decennio, a trovare spazio

nell’ambito dell’insegnamento, soprattutto nei collegi tenuti da religiosi. Solo a partire dal XVIII secolo essi si affermarono nei programmi scolastici e alla metà del secolo si ebbe anche l’introduzione dell’insegnamento delle sezioni coniche. Tra gli autori di trattati di uso scolastico sull’argomento il primo per cronologia e per diffusione fu Guido Grandi (1671-1742), che pubblicò un Compendio delle sezioni coniche (Firenze, 1744). (P.G.)

Enimmi da indovinare pubblica per diletto della gioventù, presso Stamperie Graziosi a Sant’Apollinare, Venezia, 1788, frontespizio.

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Aritmetica e geometria

Libretto di Abbaco. Per facilissima istruzione de’ fanciulli, presso Damaso Petretti, Roma, 1796, frontespizio.

a Enimmi da indovinare pubblica per diletto della gioventù, presso Stamperie Graziosi a Sant’Apollinare, Venezia, 1788, a. p. 6, b. p. 9.

b

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Aritmetica e geometria

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Aritmetica e geometria

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Libretto di Abbaco. Per facilissima istruzione de’ fanciulli, presso Damaso Petretti, Roma, 1796, a. pp. 2-3, b. pp. 4-5.


Libretto di Abbaco. Per facilissima istruzione de’ fanciulli, presso Damaso Petretti, Roma, 1796, a. pp. 6-7, b. pp. 10-1.

Aritmetica e geometria

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Geografia

Niccolò de la Croix, Geografia sacra ossia descrizione de’ paesi e de’ luoghi, De’ quali si parla nelle Sante Scritture, in Claude Buffick, Geografia Universale, presso Giacomo Storti, Venezia, 1795, frontespizio.

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Geografia

Niccolò de la Croix, Geografia sacra ossia descrizione de’ paesi e de’ luoghi, De’ quali si parla nelle Sante Scritture, in Claude Buffick, Geografia Universale, presso Giacomo Storti, Venezia, 1795, illustrazione.

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Geografia

Niccolò de la Croix, Geografia sacra ossia descrizione de’ paesi e de’ luoghi, De’ quali si parla nelle Sante Scritture, in Claude Buffick, Geografia Universale, presso Giacomo Storti, Venezia, 1795, illustrazione.

Lo stato presente di tutti i paesi, e popoli del mondo, volume ventesimo parte prima, presso Gian Battista Albrizzi, Venezia 1753, frontespizio.

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Geografia

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Geografia

Lo stato presente di tutti i paesi, e popoli del mondo, volume ventesimo parte prima, presso Gian Battista Albrizzi, Venezia, 1753, illustrazioni.

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Geografia

Sullo stampatore Giovanni Battista Albrizzi (1698-1777) fu uno stampatore ed editore veneziano, considerato il progenitore del giornalismo moderno per la pubblicazione del settimanale Novelle della Repubblica delle Lettere, poi Novelle della Repubblica Letteraria (1729-1738) e del Il Nuovo Postiglione, un giornale che trattava fatti di cronaca politica e militare, edito dal 1740. Lo stampatore deve la sua notorietà anche ad un’altra impresa editoriale, la realizzazione di edizioni illustrate di grande pregio, con la collaborazione di incisori e

disegnatori assai noti come il Piazzetta, gli Zanetti, il Pitteri. Le opere che riscossero più successo editoriale furono le Opere del Bossuet (1736-57), illustrate dal Piazzetta e da Tiepolo, la Gerusalemme Liberata (1745), con disegni del Piazzetta, l’opera del Salmon su Lo stato presente di tutti i paesi e popoli del mondo (1736-48), con numerose tavole. Si ritiene che l’editore fosse anche l’autore di una guida anonima di Venezia: Il Forestiero illuminato (1740). (A.A.)

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Storia

Sull’insegnamento della Storia

L’

insegnamento scolastico della storia nasce e si afferma solo tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento. Fino ad allora nei collegi gesuitici poteva essere assunta sotto lo studio della Grammatica e della Lingua eloquente ed i suoi oggetti erano solo costituiti dalla storia classica e dalla storia del presente. Dal secolo XVIII si aggiungono altre due tipologie di argomento: quello della storia universale (progresso) e quello della storia nazionale (identità). Occorre tener presente, tuttavia, che la storia era soprattutto racconto, lettura edificante, intrattenimento, non esercizio critico di ricostruzione del passato, ricerca documentaria o interpretazione delle fonti, cose per cui si dovrà attendere l’Ottocento, ovvero l’inizio dell’età della maturità di questa disciplina. (P.G.)

Dizionario storico, portatile, presso Remondini, Venezia, 1759, frontespizio.

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Storia

Saverio Bettinelli, Risorgimento d’Italia, presso Remondini, Venezia, 1786, frontespizio.

Sull’autore Saverio Bettinelli (1718-1808). Gesuita dal 1738, insegnò retorica presso molte città italiane. Durante i suoi viaggi in Europa conobbe Voltaire, di cui restò amico per tutta la vita. La sua fama si lega ad un’opera, le Lettere Virgiliane, premesse ai Versi sciolti di tre eccellenti autori, (Bettinelli stesso, l’Algarotti e il Frugoni) (1757). Nell’opera si finge che il poeta Virgilio si rivolga agli arcadi, giudicando severamente la letteratura italiana, in particolare anche la Divina Commedia. Al di là dei giudizi espressi, l’opera è emblematica di quello spirito di

ribellione linguistica verso il passato che caratterizza gli anni dell’Illuminismo. Alle reazioni suscitate l’autore rispose con la pubblicazione delle Lettere inglesi in cui propone un nuovo ideale di “buon gusto” e una letteratura moderna e più disinvolta. In Dell’entusiasmo delle belle arti, risalenti al 1769, egli esalta il valore dell’entusiasmo e della fantasia come fonti prime di ispirazione, secondo una visione che preannuncia il preromanticismo. Altra opera notevole è Il risorgimento d’Italia dopo il Mille del 1775. (P.G.)

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educazione del popolo

L’istruzione del popolo

N

el corso dell’età Moderna l’unico insegnamento cui potevano aspirare i ceti popolari era quello, gratuito, frammisto alla catechesi e impartito dal parroco per volontà del benefattore di turno che destinava una propria rendita per assicurare il funzionamento dell’attività scolare per i meno abbienti, o delle singole congregazioni o dei municipi più sensibili su questo piano. Gli alunni erano avviati alla scrittura ed erano insegnati loro i primi rudimenti del calcolo, competenza che appariva essenziale per chi si avviava al lavoro. Non era inoltre infrequente che, nelle famiglie artigiane e contadine, i primi rudimenti di scolarizzazione fossero impartiti dal padre stesso e in questi casi la frequenza scolastica mancava completamente. Tra Seicento e Settecento si svilupparono varie correnti di opinione in alcuni casi decisamente contrarie all’educazione

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Il giovane civile ovvero precetti di civiltà Praticati in Francia Ricordati dal Galateo e da altri autori, presso Bartolomeo Borghi, Bologna, 1752.


educazione del popolo

Pietro Chiari, La filosofia per tutti, presso Angelo Pasinelli, Venezia, 1756, frontespizio.

del popolo, ciò sulla base di ragioni economiche, sociali e morali. Era evidente, infatti, che lo studio avrebbe sottratto un gran numero di giovani alle attività manuali e in una realtà economica a bassa tecnologia l’abbondanza di braccia umane era una delle fonti principali di ricchezza nazionale. Questo timore si intrecciava inoltre con l’idea che un eccesso di persone scolarizzate fossero motivo di squilibrio sociale, anche perché la padronanza della lettura avrebbe potuto favorire la circolazione di idee contrarie alla religione e al rispetto dei costumi tradizionali e delle regole sociali. (P.G.)

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educazione del popolo

Giuseppe Antonio Pozzi, Sopra l’educazione del volgo, presso Giuseppe Galeazzi, Milano, 1776, frontespizio.

Sull’autore L’abate Pietro Chiari (1712-1715), giovanissimo seguì per qualche tempo il padre, colonnello al servizio di Venezia, ma non tardò ad accorgersi di non avere alcuna predisposizione per la carriera militare e divenne gesuita. Nell’ordine rimase sino al 1747, anno in cui, abbandonata la congregazione, si recò a Venezia ove trovò aiuto presso la potente famiglia Grimani, che gli agevolò l’inserimento nell’ambiente letterario locale. Scrisse circa una sessantina di commedie e numerosi

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libretti d’opera, oltre ad un’interessante produzione saggistica di argomento filosofico, allora alquanto diffusa, cui dedicò alcune opere, tra cui L’uomo. Lettere filosofiche (1755) e La filosofia per tutti (1756), entrambe in versi martelliani, in cui è da notare il suo impegno di un’opera di divulgazione. In seguito, dal 1761 al 1762, fu direttore della Gazzetta Veneta. Dal 1762 si trasferì a Brescia, sua città natale, ove trascorse gli ultimi anni di vita. (P.G.)


educazione del popolo

Illuminismo e istruzione del popolo

L’

istruzione del popolo e l’allargamento del sapere, secondo una diffusa convinzione di molti illuministi, erano il segno della crescita della libertà degli individui. Del resto Rousseau stesso aveva sollevato la questione dell’autonomia degli individui, che veniva fatta dipendere dal sapere. La ricerca della conoscenza e del sapere da parte delle masse divenne un viatico alla loro emancipazione, in un contesto dove i nemici da battere erano l’ignoranza, la credulità, il fanatismo religioso, il senso dell’immutabilità delle cose e delle condizioni degli uomini. Tutti questi elementi favorivano, infatti, a parere degli illuministi, la conservazione di un dominio che contrastava il cambiamento, il progresso, la perfettibilità degli uomini, i quali possono crescere e affinarsi grazie all’educazione e all’istruzione. Il grande naturalista Georges Louis Leclerc conte di Buffon (1707-1788), parlando della doppia natura dell’uomo, l’una

Girolamo Bocalosi, Dell’educazione democratica da darsi al popolo italiano, presso Francesco Pogliani e comp, Milano, 1796, frontespizio.

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educazione del popolo

animale, l’altra spirituale, scriveva: «Il principio spirituale si manifesta […] solo successivamente, e si sviluppa e si perfeziona con l’educazione. È infatti attraverso la comunicazione dei pensieri degli altri che il bambino acquista pensieri propri e diviene un essere pensante e ragionevole: senza questa comunicazione, in base al grado di attività o di inattività del suo senso interno materiale, non sarebbe che stupido o svagato». (P.G.)

Sull’autore Scarsa fu presso i posteri la fortuna di Girolamo Bocalosi (1760-1800), sia come autore, sia come uomo politico: e questo spiega in parte la mancanza di notizie precise intorno alla sua vita. Ricordato in primo luogo e soprattutto come pedagogista, nacque a Firenze, ma si formò probabilmente nell’ambiente universitario pisano, ove fu forse compagno di studi di Filippo Buonarroti e Giovanni Ristori. Si notano, infatti, molti punti di affinità fra i tre giacobini toscani: affinità maturate forse nella locale loggia massonica. Dopo il 1784 fu a Verona, allora nella Repubblica di San Marco, e l’anno successivo si trasferì a Venezia, qui pubblicava, con lo pseudonimo piuttosto significativo di Crittantropo, un volume di Saggi filosofici dedicati al patrizio veneto Ascanio Giustinian. Diversi altri saggi vennero pubblicati negli anni che intercorrono fra il 1784 e il 1790 in molti dei quali Bocalosi esprimeva già tutte le sue posizioni antiautoritarie e anticlericali. Dopo lo scoppio della Rivoluzione francese dovette passare dalla opposizione intellettuale alla concreta azione politica, nel 1792 la polizia scoprì a Verona una loggia massonica e nel darne notizia alle autorità veneziane denunciava anche la presenza di un: «fiorentino, avventuriero, residente a Verona da molti anni, insegnante prima in casa del conte Alberto Sacco e poi del conte Giuseppe Della Riva. Uomo di cultura non disprezzabile, ma di

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mente esaltata, autore fra l’altro di poesia adulatoria, ma pronto a trasformarsi all’occasione propizia in violento libellista». Alla fine del 1793 fu processato e ne fu disposta l’espulsione dalla Repubblica. Dal 1797, dopo l’arrivo dell’armata francese in Italia, visse a Milano, dove gli fu concessa, non senza difficoltà, la cittadinanza cisalpina, e dove probabilmente si trattenne fino all’arrivo degli Austro-Russi (1799). A Milano si dette a ripubblicare con notevoli variazioni e ampliamenti i propri scritti e soprattutto compose quella che rimarrà come la sua opera fondamentale: Dell’educazione democratica da darsi al popolo italiano (1796). Il suo pensiero pedagogico prendeva naturalmente l’avvio dal Rousseau dell’Émile; mentre le sue premesse politiche s’ispirano all’idea di un’Italia unita in repubblica secondo i principi del giacobinismo egualitario. Il trattato, inficiato dall’astrattismo in quanto dà come già scontata la sconfitta della reazione, presenta un completo piano di studi per il giovane, dall’infanzia fino agli studi universitari. La realizzazione di questo piano di studi spetta esclusivamente allo Stato e deve tendere a creare uno spirito unico e l’amore disciplinato di una medesima costituzione. Tutto l’insegnamento deve essere impostato secondo la razionalità più assoluta e secondo fermi principi antiaristocratici e repubblicani. (P.G.)


Educazione femminile

Scrittura e lettura per le fanciulle

N

ell’età moderna l’educazione femminile fu meno organizzata, più episodica e più lenta rispetto a quella maschile, sia nell’Europa cattolica, sia in quella protestante. I ragazzi che frequentavano la scuola erano più numerosi delle ragazze, la loro carriera scolastica più duratura e completa< questo si fondava sull’idea di un diverso destino tra uomini e donne: per i primi l’affermazione all’esterno, per

Trattato degli studj delle donne opera di un accademico Intronato, parte seconda, resso Francesco Pitteri, Venezia, 1740, frontespizio.

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Educazione femminile

le seconde una vita familiare e ritirata. Ma già a partire dalla metà del Seicento, proprio negli ambienti aristocratici o della ricca borghesia, si generalizzò la convinzione dell’utilità della scrittura e della lettura anche per le donne, per quanto prevalesse sempre una grande prudenza: l’eccesso di sapere, infatti, avrebbe esposto le donne al rischio di divenire troppo saccenti, presuntuose ed inquiete e dunque potenziale motivo di turbamento della stabilità sociale. (P.G.)

Disgrazie di donna Urania ovvero degli studi femminili, presso Bodoniani, Parma, 1753, p. 1.

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Educazione femminile

Disgrazie di donna Urania ovvero degli studi femminili, presso Bodoniani, Parma, 1753, indice.

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Educazione femminile

I luoghi della formazione

Q

uali erano i luoghi ove si svolgeva l’educazione femminile? Ruolo centrale era riservato alla famiglia e al modello domestico. L’educazione ai valori cristiani e alle norme sociali di comportamento doveva avvenire prima di tutto in casa. Mentre al padre spettavano le decisioni sul suo destino (matrimonio, monacazione), spettava alla madre impartire una buona formazione. In ambienti sociali alti la ragazza poteva avere un maestro o un precettore, ma prevaleva, rispetto all’accumulo, l’interiorizzazione dei comportamenti piuttosto che dei saperi (contegno, sguardo, etc…). Nelle famiglie più povere, invece, le fanciulle venivano istruite anche alla cura della casa, al senso del risparmio, alla cura dell’orto e all’allevamento di piccoli animali. L’influenza della Riforma ebbe conseguenze anche in questo settore, poiché anche alle bambine si aprì la possibilità di seguire le scuole di dottrina cristiana, dove accanto all’insegnamento religioso si faceva anche opera di prima alfabetizzazione. Con questo scopo sorsero, tra gli altri, le Orsoline e le Visitandine di Francesco di Sales e Jeanne de Chantal. Le scuole di dottrina cristiana, tenute in locali sovente attigui ai conventi, erano rivolte alle ragazze povere e vi si impartiva un’istruzione gratuita ed elementare, incentrata sulla conoscenza del catechismo, ma grazie alle quali potevano giungere ad una prima alfabetizzazione. Il fine era quello di preparare ragazze e spose capaci di vivere in società, colte ma non pedanti, di forti sentimenti religiosi, buone spose e madri, a meno che il soggiorno in convento non aprisse loro la vocazione religiosa. Con l’incremento della richiesta di alfabetizzazione aumentò sia l’offerta religiosa sia la presenza di maestre laiche pagate dalle comunità locali e dalle famiglie. (P.G.)

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Educazione femminile

Francois de Salignac, De l’education del filles, presso Arkstez & Merkus, Amsterdam & Leipzig, 1758, frontespizio.

Sull’autore: De l’éducation des filles (1687) di Fracois De Salignac fu una delle opere che influirono maggiormente sulla pratica educativa femminile. Per lui l’interiorizzazione del senso religioso, l’istruzione, il comportamento in società avrebbero dovuto mirare a formare una donna equilibrata, socialmente integrata. La sua proposta educativa si collocava oltre l’atteggiamento misogino di chi non tollerava la presenza femminile se non come mera decorazione da salotto, puntando invece al raggiungimento della presenza nella vita sociale che, pur nel rispetto dei limiti convenuti, sappia ricoprire in modo appropriato il proprio ruolo. (P.G.)

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Educazione femminile

Educazione delle fanciulle, presso stamperia di Carlo Palese, Venezia, 1775, frontespizio.

Verità non conosciute ovvero avvertimenti a una madre per dare saggia educazione alle figlie, presso Stamperia di San Tommaso d’Aquino, Bologna, 1782, frontespizio.

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Educazione femminile

Istruzioni per le giovani dame che entrano nel mondo e si maritano, presso Francesco Vendramini Mosca, Vicenza, 1782, frontespizio.

Formazione della ‘buona moglie’

L’

educazione femminile, ancor più della maschile, fu segnata dalla priorità di fare della bambina una buona moglie fedele e madre educatrice dei figli, nonché capace di gestire bene la casa. La regola prevedeva, dunque, un’educazione ritirata, incentrata sulla abilità nei lavori muliebri e la subordinazione al vigile controllo materno per poi passare a quello maritale. Compito dell’educatore era quello, dunque, di indirizzare le allieve verso le virtù cristiane, fortificandole e indicando dei precetti di vita basati su una rigida moralità. (P.G.)

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Educazione femminile

Istruzioni per le giovani dame che entrano nel mondo e si maritano, presso Francesco Vendramini Mosca, Vicenza, 1782, a. pp. 68-9, b. pp. 80-1.

Rosa Califronia contessa romana, Breve difesa dei diritti delle donne, presso stamperia Taglioretti al Cordusio in Milano, Assisi, 1794, frontespizio.

Istruzione femminile ed età dei Lumi

C

on l’Illuminismo si accrebbe l’attenzione all’educazione della bambina percepita sempre più come soggetto distinto dal bambino. La letteratura educativa si caratterizzò per una visione pessimistica della natura femminile su cui pesava l’antico pregiudizio teologico e la concezione riduttiva della sua educazione. Rousseau stesso trattò dell’educazione femminile sia ne L’Emile (1762) sia nella Lettera del 1763 al principe di Wutenberg sull’educazione della figlia Sophie. L’approccio di Rousseau, sostanzialmente teso all’integrazione dei due sessi, fu certamente il più moderno per l’epoca, sebbene anche lui si dicesse fermamente contrario ad un eccesso di educazione intellettuale poiché riteneva che gli studi femminili si dovessero mantenere attinenti alla pratica. (P.G.)

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Educazione dei nobili

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Educazione dei nobili

Lettres sur l’education des princes Avec une Lettre de Milton, presso John True-Man, Edimburgo, 1746, frontespizio.

William Darrell, Il Gentiluomo istruito, presso Giovanni Manfré, Padova, 1746.

Niccolò Gaetano Dell’Aquila D’Aragona, La discliplina del cavalier giovane, presso Gennaro Vincenzo Muzio, Napoli, 1738, frontespizio.

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Riflessioni sull’educazione

Stéphanie Félicité Genlis, Adéle et Théodore, ou lettres sur l’éducation, presso M. Lambert & F.J. Baudouin, Parigi 1783, frontespizio.

Sull’autore Adéle et Théodore è un romanzo epistolare e allo stesso tempo un trattato sull’educazione pubblicato nel 1782 da una nota scrittrice francese, la contessa Stéphanie-Félicité de Genlis (1746-1830), che fu autrice prolifica (a suo nome oltre 120 opere) e di grande successo, sia di pubblico sia di critica. La sua forte devozione cattolica e la sua ostilità verso i philosophes (in particolare verso il loro ateismo), fece sì che, nel diciannovesimo secolo, le sue opere cadessero rapidamente fuori moda. Gli studi biografici e le indagini relative al periodo

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Riflessioni sull’educazione

rivoluzionario non l’hanno mai ignorata del tutto, benché l’interesse per i dettagli più personali ed intimi della sua vita abbiano spesso fatto ombra al rilievo effettivo delle sue pubblicazioni. Si ricorda, in questa sede, l’instancabile campagna per l’istruzione e, in particolare, l’istruzione femminile, che la Genlis condusse nell’ultimo tratto della vita; proprio questa, soprattutto negli ultimi decenni, ha contribuito ad un forte ritorno di interesse per la sua figura. (P.G.) La figliuolanza da’ genitori cristianamente educata, opera del Padre Fulgenzio Maria Riccardi, presso Gian Michele Briolo, Torino, 1779, frontespizio.

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Riflessioni sull’educazione

Sul Problema di Molineux Questa storia filosofica racconta la più grande discussione gnoseologica tra Seicento e Settecento. In che cosa consiste il problema di Molyneux? La questione nasce nel 1688, quando l’irlandese William Molyneux, studioso di ottica, pose all’amico Locke il seguente interrogativo: un cieco dalla nascita, al quale si sia insegnato a distinguere mediante il tatto un cubo da una sfera, ove recuperi improvvisamente la vista, sarà in grado di distinguere il cubo dalla sfera, senza far ricorso al tatto?

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Nel Settecento illuminista, poche polemiche eccitano l’ingegno dei philosophes come questo problema, che diviene un banco di prova della disputa tra empiristi e innatismi. Per i primi, il caso del non vedente operato dimostra come la conoscenza non si fondi mai su principi innati, non derivati dall’esperienza. I giudizi su cui fondiamo il nostro sapere hanno un’origine esclusivamente empirica. Per i secondi, al contrario, un sapere vero e indubitabile non può che fondarsi su principi a priori. (P.G.)


Riflessioni sull’educazione

Sull’autore John Locke (1634-1704). Secondo John Locke il processo per l’acquisizione della conoscenza parte dall’esperienza diretta, che può essere interna o esterna al soggetto e che prosegue poi, tramite associazioni e astrazioni fino a giungere al raggiungimento di idee complesse o principi generali. Tale visione dell’apprendimento si pone in netto contrasto con la pedagogia umanistica molto più dogmatica, e contemporaneamente si avvicina a una visione dell’apprendere psicologicamente fondata. A livello metodologico egli si raccomandava dunque di utilizzare l’intelletto partendo dal semplice per arrivare gradatamente al complesso, ponendo attenzione alle conferme empiriche e a una considerazione critica dei rapporti che emergono tra le idee sotto esame. Pertanto, il compito dell’educazione intellettuale per Locke è quello di evitare gli estremi della cultura enciclopedica o un’eccessiva specializzazione, mirando invece a far acquisire all’alunno la capacità di gestire il proprio apprendere attraverso l’uso critico della ragione, che per l’autore si traduceva nel riconoscimento della complessità di un problema, nel mettere in discussione le proprie opinioni confrontandole con quelle degli altri, nella disponibilità alla ricerca della verità senza darla per scontata come possesso della mente e quindi solo da riscoprire. Il compito dell’educazione non era più, per Locke, quello di trasmettere con esattezza i contenuti di una determinata materia o disciplina, ma quanto quello di favorire l’apertura della mente e sviluppare la libertà del pensiero. (P.G.)

Cristofano Sarti, L’ottica della natura e dell’educazione indirizzata a risolvere il famoso problema di Molineux, presso Francesco Bonsignori, Lucca, 1742, frontespizio.

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Riflessioni sull’educazione

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John Locke, Arte dell’educare i fanciulli, presso Dionigi Ramanzini Libraio, Verona, 1736, frontespizio.


Gian Giacomo Rousseau, L’allievo della natura, parte prima, Leida, 1770, frontespizio.

Riflessioni sull’educazione

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Riflessioni sull’educazione

Sull’autore Jean Jacques Rousseau (1712-1778). La sua è una figura centrale nella storia della pedagogia. Per la società nuova che Rousseau ipotizza è necessaria una nuova umanità, una generazione di cittadini consapevoli e buoni, di cui idealmente Émile è il primo rappresentante. Il suo Émile (1762) può essere letto come un ‘programma minimo’, cioè come un tentativo di riforma morale e civile sulla piccola scala dell’individuo, che viene intrapreso perché si riconosce l’impossibilità pratica di attuare una simile riforma sulla grande scala dello Stato. Rousseau mette al centro del suo discorso il bambino ed elabora una nuova immagine dell’infanzia, vista come vicina all’uomo di natura, buono e animato dalla pietà, socievole ma anche autonomo, ed articolata in tappe evolutive tra loro assai diverse per capacità cognitive e atteggiamenti morali. Politica e pedagogia sono strettamente unite in Rousseau, poiché l’una è il presupposto e il completamento dell’altra e insieme rendono possibile la riforma integrale dell’uomo e della società, riconducendola verso il recupero della condizione naturale, cioè per vie totalmente artificiali e non ingenue, attivate attraverso un radicale sforzo razionale. Uno dei suoi meriti principali è quello di cogliere l’aspetto puerocentrico dell’educazione e di comprendere come l’educatore debba porsi al servizio della spontaneità naturale del fanciullo anziché intervenire sulla natura, piegandola ai propri desideri. Deve, insomma, assumere egli stesso il modo di accostare la realtà che è propria del bambino, anziché costringerlo ad interessarsi a ciò che è fuori dai suoi bisogni concreti. Per le accuse che rivolse alla società con la sua opera Émile subì la condanna delle autorità sia religiose sia civili. Rousseau immagina, infatti, di allevare Emilio in campagna lontano dalle influenze di coetanei ed adulti, al fine di conservarne l’integrità. Partendo dal presupposto che l’uomo è portato per sua natura ad imitare, si preoccupava di offrire al suo discepolo modelli esclusivamente positivi. Lontano dai suoi simili sarebbe stato più facile per l’educatore orientare positivamente. L’esigenza prioritaria era quella di fare di Emilio un uomo, prima che un magistrato, un soldato o un prete, cioè prima di offrirgli qualsiasi insegnamento professionale o sociale. Nell’Émile, inoltre, Rousseau si dichiara anche convinto dell’inadeguatezza di ogni precetto morale, poiché reputa necessario convincere nella pratica il suo discepolo dell’utilità di comportarsi correttamente facendo leva unicamente sul desiderio di distinguersi e di meritarsi il rispetto dei suoi simili come mezzo per indurlo ad agire bene. (P.G.)

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John Locke, Guida dell’intelletto nella ricerca della verità, presso Gaetano Motta, Milano, 1776, frontespizio.

Riflessioni sull’educazione

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Riflessioni sull’educazione

Riballier, De L’Education physique et morale des enfantes des deux sexes, presso Nyon l’aîné Librarie, Parigi, 1785, frontespizio.

Educazione dei due sessi Sebbene alcuni filosofi illuministi avessero posizioni a favore dell’uguaglianza fra i sessi, anche il Settecento vide in prevalenza quale soggetto da formare l’individuo maschio, mentre la bambina così come l’adolescente donna erano cresciute come ombre anche nelle teorie dei grandi pensatori. Rousseau, ad esempio, nell’Émile, esponendo la storia d’amore tra Emile e Sophie, descrive quest’ultima secondo i tradizionali dati della biologia e della fisiologia classiche, a giustificazione della limitatezza come tratto peculiare della natura femminile: «Da questa differenza individuabile nel campo dei rapporti morali tra l’uno e

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l’altro [sesso] … L’uno [quello maschile] deve essere attivo e forte, l’altro [quello femminile] passivo e debole … E in effetti quasi tutte le bambine imparano con ripugnanza a leggere e a scrivere» (Émile, Laterza, Roma-Bari 2003, pp. 212-5). Insomma, ancora nel Settecento, il protagonista assoluto dei percorsi formativi restò comunque il sesso maschile, ciò anche nei casi in cui si prendeva in considerazione la diversità: i soggetti che la detenevano erano considerati come destinatari di un’educazione ‘speciale’e ‘a parte’ rispetto ai curricola dell’individuo ‘normale’, ovvero il maschio. (P.G.)


Editoria

Diritto d’autore

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e prime forme di tutela del diritto d’autore sono privilegi a carattere monopolistico concessi da un’autorità pubblica (ad esempio lo stesso sovrano), per un certo periodo di tempo e relativi ad un determinato spazio fisico. La nascita di queste concessioni esclusive non riguarda tanto l’autore dell’opera, quanto chi si impegna nella produzione fisica dell’oggetto libro e alla sua diffusione presso il pubblico. In questo senso, offrire tutela significa soprattutto proteggere l’impegno economico di editori e stampatori, impegnati a concentrare su un certo territorio la loro impresa commerciale e la tecnica. La tutela serve anche a favorire il mantenimento del patrimonio culturale, nonché ad esercitare il controllo censorio sul medesimo. Con il passare del tempo, il privilegio evolve verso la tutela dell’artista, vero autore di un’opera. Il primo diritto di proprietà letteraria per un libro viene concessa all’umanista Marcantonio Sbellico, nel 1436 per una storia di Venezia. Se l’idea della proprietà letteraria nasce in questi anni, solo nel XVIII secolo troverà la sua definitiva sistemazione. L’autore come proprietario della sua opera viene legalmente riconosciuto per la prima volta in Inghilterra nel 1710, in Francia nel 1793, in Prussia nel 1794. Nel 1764 Diderot pubblica a Parigi la Lettre sur le commerce de la librairie in cui riconosce il diritto soggettivo dell’autore sulla propria creazione. Nel frattempo Condorcet esprime convinzioni diverse nei suoi Fragments sur la liberté de la presse, sostenendo la libera circolazione delle idee e immaginando sistemi di pubblicazione basati su sottoscrizioni, orientati alla produzione di testi che sono concepiti come opere collettive e continuamente integrabili. (A.A.)

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Appendice Sistemi scolastici nei secoli XVI-XVIII a cura di Pamela Giorgi

Secoli XVI-XVII

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uesto arco temporale è centrale in Europa per il mutamento del modo di concepire l’educazione, la funzione dell’istruzione e l’organizzazione didattica. Già il Medioevo aveva visto il sorgere delle Università (Bologna, Parigi, Padova) e l’aumento delle scuole per soddisfare il bisogno di istruzione del ceto mercantile emergente. Le esigenze educative dei figli dei mercanti, che avevano il potere economico e in parte quello politico nelle città italiane cresciute nel numero degli abitanti, nello spazio e nelle aspirazioni, erano diverse da quelle dei castellani feudali. La borghesia cittadina, infatti, aveva dato avvio ad una riflessione sulla vita in aperta competizione con le gerarchie ecclesiastiche e questa nuova tendenza aveva fatto avvertire l’insufficienza e l’invecchiamento delle antiche strutture scolastiche. Anche in Italia, come in altre regioni d’Europa il controllo dei processi educativi cominciò allora, con una certa gradualità, a trasferirsi dal completo controllo dei clerici a quello dei laici. Tuttavia le tecniche dell’insegnamento rimasero le stesse fino al termine del Medioevo. A partire dal sec. XVI, oltre alle trasformazioni economico-sociali, avviatesi già nel secondo Medioevo, di cui abbiam fatto cenno, un altro elemento concorse a mutare il quadro dell’insegnamento: il compimento dei processi politici unitari delle grandi monarchie di Francia, Spagna, Inghilterra e Impero Asburgico. Qui lo sviluppo di amministrazione pubblica e burocrazia, indispensabili al

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funzionamento statuale, resero necessario il rafforzare la cultura scritta poiché si necessitava crescentemente di personale dotato di adeguata preparazione. Si ebbe perciò un conseguente aumento dei luoghi d’istruzione e una loro maggiore diffusione capillare sul territorio. Occorre tener presente, tuttavia, che l’effettiva possibilità di frequentare una scuola fu ancora a lungo privilegio di pochissimi. Ne restavano esclusi i contadini, che erano la maggioranza della popolazione, e ne godevano solo parzialmente gli artigiani, sebbene le corporazioni dei mestieri non avessero trascurato mai l’educazione (limitatamente agli insegnamenti legati all’attività artigianale) fuori però dalle istituzioni scolastiche, oltre i palazzi dei principi e dei signori, cioè in connessione col mondo del lavoro. Quanto alla formazione dei tecnici, furono centrali le scuole d’abaco, che, così come nel periodo medievale, anche in quello rinascimentale operarono attivamente. Esse venivano incontro alla necessità di istruirsi e di addestrarsi, degli artigiani e dei mercanti e di altre categorie professionali. L’insegnamento era basato sulla matematica, spiegata con metodi applicativi; l’allievo, o meglio dire l’apprendista, infatti, imparava tramite i metodi dell’osservazione e dell’esercitazione su problemi del mestiere che stava imparando. In queste scuole i manuali scritti, redatti in lingua volgare, erano pochi. Una nuova classe si collocava fra aristocrazia laica ed ecclesiastica: la classe operativa, che si era data progressivamente all’agricoltura, ai commerci, alle industrie. Sul costume di queste classi mercantili si modellò la società italiana e sivenne anche elaborando uno schema di educazione superiore. Dalle loro scuole private, precettoriali, si diffusero esempi, libri, norme trasmesse più tardi ai collegi laici ed ecclesiastici per i figli della classe dirigente. Alla base di questo rinnovamento sociale si trova una diversa valutazione dell’attività umana: al pensare si affianca con la medesima dignità anche il fare economico-produttivo. Un esempio di questo mutamento è l’iter pedagogico che il giovane dovrà perseguire, tratteggiato dal fiorentino Matteo Palmieri (1406-1475): nell’opera Della vita civile si trova

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strutturato il suo concetto di educazione, per cui la naturale condizione umana è comunitaria e il rapporto intercorrente tra virtù individuale e sociale si instaura proprio grazie alla dinamica educativa, che si avvale di due fattori sostanziali, cioè l’unità delle discipline studiate e le suggestioni ambientali. Il concetto di “cittadinanza” diventa centrale nelle riflessioni educative del secolo XVI: non si trattava più di formare solo i signori e i loro figli, quanto gli uomini appartenenti ai ceti emergenti, capaci di governare e di partecipare alla vita civile. La consuetudine con i classici vi contribuì sviluppando un sistema dell’istruzione teso a sviluppare la morale in rapporto con i grandi modelli. Già Leon Battista Alberti (1404-1472), ad esempio, aveva affermato che la sola letteratura non avesse valore se non è capace di dare un contributo al benessere comune. Alla fine del Quattrocento risaliva un primo intervento dei religiosi nel settore dell’istruzione dei laici, con l’istituzione delle scuole di dottrina cristiana, che funzionavano solo la domenica e gli altri giorni festivi, il cui scopo principale era l’insegnamento del catechismo ai ragazzi del popolo: poiché insieme al catechismo vi si insegnava anche a leggere e scrivere, esse dettero un contributo all’innalzamento dell’alfabetismo. Fu poi la Riforma Cattolica a determinare l’incremento delle scuole ecclesiastiche per i laici istituite, prima dai Gesuiti poi da altri ordini religiosi. L’educazione umanistica, ispirata alla riscoperta della classicità, fondata sull’apprendimento del latino e del greco, ebbe tanta fortuna da costituire per secoli lo strumento formativo per eccellenza dei ceti dirigenti, di cui i collegi – retti dagli ordini religiosi nel mondo cattolico e dalle comunità protestanti nei Paesi riformati – furono il luogo principe per la formazione e l’educazione delle élite laiche lungo tutta l’età moderna. La loro nascita fu contemporanea a quella dei seminari (la scuola per il clero, nata durante la Riforma) e le due tipologie di scuola si influenzarono reciprocamente: tanto che i collegi vennero definiti seminaria nobilium, conoscendo una diffusione straordinaria soprattutto ad opera della

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Compagnia di Gesù, l’ordine che legò strettamente la sua attività apostolica all’insegnamento. Questa ‘rivoluzione educativa’ è riscontrabile sia nei metodi didattici sia nei libri per la scuola, che conobbero per la prima volta una specializzazione graduale. Si predisposero quindi libri destinati alla scuola in modo esplicito ed ispirati a criteri didattici veri e propri: ai manuali degli umanisti si affiancarono ben presto i testi redatti dagli insegnanti degli ordini religiosi al fine di offrire gli strumenti didattici per gli istituti dei loro ordini. Particolarmente prolifici furono i Gesuiti, i cui manuali furono in uso per secoli nei collegi gesuitici, così come molti testi furono scritti sia dai Barnabiti sia dagli Scolopi. Ciò tuttavia non determinò la scomparse di quei testi usati tradizionalmente per l’insegnamento, come i catechismi o la raccolta di massime. La sensibilità filologica del tempo, inoltre, aveva reso d’obbligo l’apprendimento delle lingue classiche attraverso le fonti: videro così la luce edizioni integrali di opere latine e greche, a partire dal secolo XVII, poi, si cominciò persino a studiare la geometria sugli scritti originali di Euclide. Come già detto, il secolo XVIII vide il proliferare dei collegi gesuitici: in Italia, se ne contavano ben 111. All’inizio vi si insegnava anche a leggere e scrivere, ma abbastanza rapidamente si trasformarono in istituzioni rivolte a ragazzi dei ceti medi e soprattutto superiori (molti collegi erano riservati ai nobili) già alfabetizzati e con conoscenze elementari di latino, ai quali si forniva un’istruzione di alto livello. Gli studenti erano divisi in cinque classi successive: tre di grammatica, una di umanesimo e una di retorica. La permanenza in ciascuna classe dipendeva dai risultati conseguiti, ma in media era di un anno, tranne la classe di umanesimo, nella quale si rimaneva in media due anni. I ragazzi iniziavano la scuola a 10-11 anni e la terminavano in media a 16-17 anni. I programmi, uguali in tutti i collegi, riprendevano sostanzialmente quelli delle scuole umanistiche rinascimentali. Le principali innovazioni consistettero nell’inserimento di un insegnamento religioso e nello studio regolare del greco. Le lezioni si svolgevano in latino e non vi era posto per il programma svolto, tradizionalmente in volgare, nelle scuole

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d’abaco. Dopo la conclusione degli studi in un normale collegio gli studenti interessati (in genere membri del clero) potevano continuare gli studi in alcune istituzioni superiori che offrivano corsi di logica, filosofia, teologia ed ebraico. Altri ordini religiosi si occuparono invece dell’istruzione in volgare dei ragazzi dei ceti popolari. Particolarmente importanti furono le Scuole pie fondate da Giuseppe Calasanzio (1557-1648), nelle quali, dopo avere imparato a leggere e scrivere e l’abaco (ossia l’aritmetica), gli allievi potevano iniziare a lavorare o proseguire negli studi seguendo un programma di latino. Col tempo gli Scolopi (come fu detto l’ordine fondato da Calasanzio) aggiunsero nelle loro scuole insegnamenti più avanzati, ma non rinunciarono mai all’insegnamento elementare e a quello dell’abaco. Il secolo XVII mise dunque, grazie anche al contributo degli ordini religiosi, un’offerta di istruzione notevolmente accresciuta e i religiosi con un ruolo predominante nella scuola italiana, che rimase incontrastato almeno fino alla seconda metà del Settecento. Già allora, tuttavia, il modello educativo elaborato nell’umanesimo e nell’età delle riforme religiose cominciò ad essere messo in discussione all’interno di ristrette cerchie intellettuali e di piccole porzioni della società, che si interrogarono sugli scopi dell’istruzione collegiale e sull’efficacia delle metodologie applicate. Fu una riflessione che non determinò il tracollo immediato di questo sistema scolastico, ma che lo sottopose ad una revisione graduale. Il passare del tempo aveva reso, infatti, la prevalente opzione collegiale inadeguata ai mutamenti sociali ed economici. La critica era relativa sia ai contenuti sia alle finalità dell’istruzione ivi impartita, sia, infine, alla lunghezza di quel percorso di studi (che impegnava i giovani per quattro anni prevedendo poi anche il completamento con lo studio universitario). Soprattutto le famiglie dedite ad attività mercantili erano critiche verso un’istruzione esclusivamente umanistica e classicheggiante e dunque poco adatta ai commerci. Significativo è proprio il caso delle attività tipografiche che pur necessitando di persone ben alfabetizzate, con conoscenze linguistiche e culturali, non richiedevano la complessità della summa dei programmi collegiali.

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Nacquero nuovi tipi di scuola: da quelle rivolte esclusivamente alla grande nobiltà (Accademie reali o scuole per i paggi) a quelle delle corporazioni di mestiere, alle scuole militari, ai petits collèges. Si svilupparono anche piani di studio innovativi mirati alla formazione del principe; si ricordano quelli di Bossuet Jaques Bénigne (1627-1704) e François Fénelon (1651-1715). In questa nuova prospettiva van lette alcune proposte di riorganizzazione degli studi: Claude Fleury (1640-1723), precettore dei nipoti di Luigi XIV, compose il celebre Traité du choix et de la méthode des études (1686) in cui giudicava improrogabile una riforma che fornisse alla nascente borghesia imprenditoriale i giusti strumenti per le proprie attività d’affari. John Locke (1632-1704) condivise le critiche al sistema scolastico del tempo e la sua più importante opera pedagogica, Pensieri sull’educazione (1693), fu uno dei punti di riferimento anche per il secolo successivo. Una dell’esigenze principali individuate da Locke era quella di educare un cittadino e non un suddito, capace di capire il significato di un patto stretto con i suoi simili ed attuare un controllo critico del potere da parte dei suoi rappresentanti. Inoltre, egli negò il principio della conoscenza innata, a cui preferiva il primato dell’esperienza che fornisca un contatto diretto con le cose: educare ad abitudini intellettuali antidogmatiche significa educare bene l’uomo. Il nuovo metodo scolastico avrebbe perciò dovuto essere basato sull’apprendimento veicolato dall’osservazione e dall’esperienza più che dalla memorizzazione. All’educazione demandò di formare gli individui entro schemi religiosi e sociali meno rigidamente precostituiti di quelli dei secoli precedenti: essa veniva orientata al controllo di se con il quale l’uomo poteva diventare un essere morale in grado di giudicare in modo ragionevole e di partecipare alla vicenda sociale. Il programma scolastico di Locke auspicava: il ridimensionamento del tradizionale primato delle lingue classiche; in favore dell’insegnamento dell’inglese e del francese, la buona conoscenza della geografia e delle discipline matematiche e fisiche; la formazione etica fondata non solo nei testi sacri ma anche sui classici dell’antichità come

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Cicerone; infine, le attività pratiche come il giardinaggio, il lavoro nei boschi, la scherma, la danza e l’equitazione. Si trattava, in sintesi, di una modernizzazione del modello collegiale umanistico dell’uomo colto: non più imperniato di classici, ma virtuoso ed in grado si agire con competenza sul piano delle attività economiche e politiche. Le sue idee avrebbero influenzato gran parte dei riformatori settecenteschi, tra cui Jean-Jacques Rousseau (17121778) in Francia e Gaetano Filangeri (1752-1788) in Italia. Secolo XVIII

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ettato dalla volontà di sostituire il progetto educativo dei collegi, si rafforzò, nel secolo XVIII, il progetto di aggiornare i metodi ed i programmi di studio. Seppure avversata dalla Chiesa, si affermò una nuova idea delle facoltà cognitive dell’essere umano: non più concepite come innate, ma fondate nelle esperienze. Anche la medicina infantile suffragava questa impostazione: ridefiniva, infatti, le caratteristiche e la natura del bambino, mentre in campo filosofico la psicologia insegnava a considerarlo come una tabula rasa, dotato però di sensi e di ragione per conoscere il mondo. Questa concezione aprì nuove prospettive all’educazione. L’infanzia iniziò ad esser considerata come la fase in cui si deve acquisire sicurezza nelle proprie capacità e risorse, oltre che come fase della vita in cui si compiono le prime fondamentali esperienze. Non più età imperfetta, ma una fase naturale della vita, imprescindibile per la formazione dell’uomo completo e dunque da tutelarsi. Nel XVIII secolo i regnanti italiani si fecero latori di un nuovo concetto di Stato laico ed autonomo, sganciato dal controllo ecclesiastico. Occorre a tal proposito ricordare come, in tal senso, l’abolizione della Compagnia di Gesù nel 1773 diede un contributo decisivo. I problemi a cui si doveva far fronte erano enormi: le condizioni del popolo, la mancanza dei maestri, gli scarsi investimenti statali e l’assenza quasi totale della didattica, unite ad una coscienza ancora poco chiara della funzione civica dell’istruzione,

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vanificarono, almeno in parte, i numerosi tentativi dei sovrani illuminati. Si fece largo prima timidamente poi con sempre maggiore forza, un’etica laica o meglio secolarizzata: compito dell’educazione morale non era tanto quella di insegnare i doveri nei confronti di Dio e della comunità dei cristiani, ma nei confronti dei propri concittadini e dello stato, al fine di garantire la ‘pubblica felicità’. Il dibattito sulla laicità aprì anche il tema della funzione della religione nella vita scolastica. Dalla seconda metà del secolo, si accrebbe l’attenzione all’organizzazione della scuola pubblica, anche a livello popolare, specie con i progetti di riforma illuministici. Oltre ai tentativi di riforma dell’istruzione superiore, venne impostata una politica scolastica aperta al popolo, nella quale, in Italia, si distinse per prima la Lombardia di Maria Teresa, seguita dagli altri Stati. Fu a partire dalla Rivoluzione francese e poi con il nuovo assetto dell’Europa dopo il periodo napoleonico, che il ruolo statale nel settore della pubblica istruzione si accentuò anche ai fini del governo della società, mutandonotevolmente l’approccio statuale all’istruzione pubblica. L’educazione fu connessa al concetto di formazione sociale, di cui doveva interessarsi primariamente lo Stato, in vista della costruzione del cittadino e del suo ruolo attivo. In questo periodo nacque la diversificazione delle funzioni della scuola elementare da quelle della scuola media, al cui interno si accentuò la separazione tra gli indirizzi professionali e quelli umanistici-letterari (licei) e si fecero più diffusi i tentativi di operare correttivi didattici per rendere più vivibili e interessanti gli studi e la scuola.

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Elenco dei volumi pubblicati a cura di Alessandra Anichini

Secolo XVI Pietro Borghi, Libro de abacho, presso Bernardino de Bindoni, Venezia, 1540. Ludovico Dolce, Dialogo della Insitution delle donne, presso Gabriel Giolito de Ferrari, Venezia, 1547. Francesco Galigai, Pratica d’Arithmetica, presso i Giunti, Firenze, 1552. Orazio Toscanella, I modi più comuni con che ha scritto Cicerone le sue epistole, presso Bolognino Zaltieri, Venezia, 1558. Pietro Cattaneo, Le pratiche delle due prime matematiche. Libro d’abaco geometria con il pratico e vero modo di misurar la terra, non più mostro da altri, presso Giovanni Griffio, Venezia, 1559. Aldo Manuzio, Eleganze insieme con la copia della lingua Toscana e Latina, presso Aldo Manuzio, Venezia, 1559. Aldo Manunzio, Orthographie ratio ab Aldo Manuntio, Venezia, 1566. Orazio Toscanella, Precetti neces-

sari ovvero miscellane sopra diverse cose pertinenti alla Grammatica, Retorica, Topica, Loica, Poetica, Historia & altre facoltà, presso Lodovico Avanzo, Venezia, 1567. Girolamo Mercuriale, L’arte della ginnastica, presso Iuntas, Venezia, 1569. Ludovico Dolce, Del modo di accrescere e conservar la memoria, presso gli Eredi di Marchiò Sessa, Venezia, 1570. Emanuele Alvari, De Institutione Grammatica, presso gli Eredi di Melchiorre Seffe, Venezia, 1581. Vincenzo Ferrini da Castelnuovo di Garfagnana, Primo Alfabeto esemplare, presso Erasmo Viotti, Parma, 1586. Juan Huarte, Esame de gl’ingegni de gl’huomini per apprender le scienze, presso Aldo Manunzio, Venezia, 1586. Antonio Possevino, Coltura de gl’ingegni, presso Giorgio Greco, Vicenza, 1598.

Secolo XVII Filippo Gesualdo, Plutosofia, presso Perin libraro, Vicenza, 1600. Della educazione civile. Secondo la commune opinione de Filosofi, presso Comino Ventura, Bergamo, 1609.

Eleganze Insieme con la copia della lingua toscana e latina scielte da Aldo Manutio, presso Altobello Salicato, Venezia, 1609. Giacomo Pergamini da Fossombrone, Il memoriale della lingua

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a cura di alessandra anichini

italiana, presso Giovan Battista Ciotti, Venezia, 1617. Ruini Carlo, Del cavallo infermità et suoi rimedii, presso Fioravante Prati, Venezia, 1618. Il principe infante ovvero dell’educatione del principe, presso Matthias Perlin, Francoforte, 1619. Gasparis Scioppi Conte di Chiaravalle, Consultationes De scholarum & Studiorum ratione, presso Paulum Frambottum, Padova, 1636. Flevry Claude, Traite du Choix et de la Methode Des Etudes, presso Pierre Emery e Charles Clousier, Parigi, 1637. Johann Amos Comenius, Nathanaël Duëz, Ianua Aurea reserata quatuor lingua rum (latinam, germanicam, gallicam & italicam), presso Sumptibus Ioannis

de Tournes Reip. & Academiae Tipographi, Ginevra, 1643. Luigi Giuglaris, La scuola della verità aperta a’ Prencipi. Con occasione della Regia Educatione data al serenissimo Carlo Emanuele II, Duca di Savoia, Prencipe di Piemonte da Madama Reale Christiana di Francia sua madre, Bologna, 1650. Orazio Lombardelli, Gli aforismi scolastici, presso Salvestro Marchetti, Siena, 1653. Francesco Feliciano Veronese, Libro di aritmetica e geometria Speculativa e practicale, presso Giovanni Giacomo Herz, Venezia, 1659. Giuseppe Maria Figatelli, Ristretto aritmetico, presso Andrea Cassiani stampator ducale, Modena, 1664. Gérard Pelletier e Buon Bourbon,

Reginae eloquentiae palatium sive exercitationes oratoriae, presso S. Bénard, 1664. Onofrio Orobuoni da Piacenza, Osservazioni sopra la lingua volgare, Stampa Ducale di Giovanni Balzachi, Piacenza, 1667. Cristoforo Clavio Bambergense, Aritmetica prattica, presso Stefano Curti, Venezia, 1686. Alberto Caprara, Insegnamenti del vivere del conte Alberto Caprara a Massimo suo nipote, presso l’erede di Domenico Barbieri, Bologna, 1672. Guglielmo Mechonius, Hermathene, Hoc est Mercurii ac Palladis Simulacrum, De Recta Institutione Juventutis Scholastica, presso Joannis Gorlini, Francoforte, 1673.

ta a risolvere il famoso problema di Molineux, presso Francesco Bonsignori, Lucca, 1742. Salvadore Corticelli, Regole ed osservazioni della lingua toscana ridotte a metodo, presso stamperie Remondine, Bassano, 1746. William Darrell, Il Gentiluomo istruito, presso Giovanni Manfré, Padova, 1746. Sébastien Le Clere, Pratica di Geometria in carta e campo. Per istruzione della nobile Gioventù, nella Stamperia del Bernabò e Lazzarini, Roma, 1746. Lettres sur l’education des princes avec une lettre de Milton, presso John True Man, Edimburgo, 1746. Il giovane civile ovvero precetti di civiltà praticati in Francia Ri-

cordati dal Galateo e da altri autori, presso Bartolomeo Borghi, Bologna, 1752. Maestro Giulio Acceta, Gli elementi di Euclide a migliore e più chiara maniera ridotti, presso Stamperia reale, Torino, 1753. Disgrazie di donna Urania ovvero degli studi femminili, presso Bodoniani, Parma, 1753. Pietro Chiari, La filosofia per tutti, presso Angelo Pasinelli, Venezia, 1756. Lo stato presente di tutti i paesi e popoli del mondo, volume ventesimo parte prima, presso Gian Battista Albrizzi, Venezia 1753. Francois de Salignac, De l’education del filles, presso Arkstez & Merkus, Amsterdam & Leipzig, 1758.

Secolo XVIII Daniello Bartoli, Dell’ortografia italiana trattato del P.D.B, presso Lorenzo Basegio, Venezia, 1709. Alessandro Maria di S. Matteo Romano, Documenti arimmetici, presso stamperia di S. Michele a Ripa Grande, Roma, 1724. John Locke, Arte dell’educare i fanciulli, presso Dionigi Ramanzini Libraio, Verona, 1736. Niccolò Gaetano Dell’Aquila D’Aragona, La discliplina del cavalier giovane, presso Gennaro Vincenzo Muzio, Napoli, 1738. Trattato degli studi delle donne opera di un accademico Intronato, parte seconda, resso Francesco Pitteri, Venezia, 1740. Cristofano Sarti, L’ottica della natura e dell’educazione indirizza-

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Elenco dei volumi pubblicati

Dizionario storico portatile, presso Remondini, Venezia, 1759. Gian Giacomo Rousseau, L’allievo della natura, parte prima, Leida, 1770. Educazione delle fanciulle, presso stamperia di Carlo Palese, Venezia, 1775. Alessandro Zorzi, Del modo di insegnare ai fanciulli le due lingue italiana e latina, per Giuseppe Rinaldi, Ferrara, 1775. John Locke, Guida dell’intelletto nella ricerca della verità, presso Gaetano Motta, Milano, 1776. Giuseppe Antonio Pozzi, Sopra l’educazione del volgo, presso Giuseppe Galeazzi, Milano, 1776. La figliolanza da genitori cristianamente educata, opera del Padre Fulgenzio Maria Riccardi, presso Gian Michele Briolo, Torino, 1779. Amato Accursi Parmigiano, Il donato al senno cioè volgarizzato secondo le regole della lingua toscana. A beneficio de’ Fanciulli principianti in Grammatica, presso Michele Conti, Faenza, 1780. Il giovane istruito nell’arimmetica pratica ed in tutto ciò che le è relativo, presso Francesco Allegrini e comp., Firenze, 1780.

Istruzioni per le giovani dame che entrano nel mondo e si maritano, presso Francesco Vendramini Mosca, Vicenza, 1782. Verità non conosciute ovvero avvertimenti a una madre per dare saggia educazione alle figlie, presso Stamperia di San Tommaso d’Aquino, Bologna, 1782. Stéphanie Félicité Genlis, Adéle et Théodore ou lettres sur l’èducation, presso M. Lambert & F.J. Baudouin, Parigi, 1783. Riballier, De L’Education physique et morale des enfantes des deux sexes, presso Nyon l’aîné Librarie, Parigi, 1785. Saverio Bettinelli, Risorgimento d’Italia, presso Remondini, Venezia, 1786. Dizionario delle favole per uso delle scuole d’Italia, presso Leonardo Bassaglia, Venezia 1787. Nicolai de Martino, Elementa geometriae planae seu elementorum euclidis, presso Lucas Valerio, Napoli, 1787. Geometria Tavole, XVIII sec. Enimmi da indovinare pubblica per diletto della gioventù, presso Stamperie Graziosi a Sant’Apollinare, Venezia, 1788. Carlo Rollin, Della maniera d’in-

segnare e di studiare le belle lettere, Presso Giuseppe Orlandelli, Venezia, 1792. Giovanni Andres, Dell’origine e delle vicende dell’arte di insegnare a parlare ai sordi muti, presso d’Ignazio Alberti, Vienna, 1793. Etienne Bonnot abate di Condillac, Corso di studi utilissimo alla civile gioventù. Tomo I contenente la Grammatica, presso Andrea Santini e Francesco Milli, Venezia, 1794. Rosa Califronia contessa romana, Breve difesa dei diritti delle donne, presso stamperia Taglioretti al Cordusio in Milano, Assisi, 1794. Niccolò de la Croix, Geografia sacra ossia descrizion de’ paesi e de’ luoghi De’ quali si parla nelle Sante Scritture, in Claude Buffick, Geografia Universale, presso Giacomo Storti, Venezia, 1795. Girolamo Bocalosi, Dell’educazione democratica da darsi al popolo italiano, presso Francesco Pogliani e comp, Milano, 1796. Libretto di Abbaco. Per facilissima istruzione de’ fanciulli, presso Damaso Petretti, Roma, 1796.

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Bibliografia

Barbier Frédéric, Storia del libro. Dall’antichità al XX secolo, Edizioni Dedalo, Bari 2004. Chiosso Giorgio, Educazione, pedagogia e scuola dall’Umanesimo al Romanticismo, Mondadori, Milano 2012. Chiosso Giorgio, L’educazione nell’Europa moderna. Teorie e istituzioni dall’umanesimo al primo Ottocento, Mondadori, Milano 2007. Febvre Lucien e Martin HenriJean, La nascita del libro, Laterza, Roma Bari 2005. Gozzer Giovanni (a cura di), Guida D. Annuario della scuola e della cultura, Capriotti Editore, Firenze-Roma 1951.

Martin Henri, Jean e Vezin Jean (a cura di), Mise en page et mise en texte du livre manuscript, Cercle de la Librairie, Promodis, 1990. Petrini Enzo (a cura di), Venticinque secoli di storia dell’educazione in Italia, Centro Didattico Nazionale, Firenze 1970. Petrucci Armando, Prima lezione di paleografia, Laterza, RomaBari 2002. Sani Roberto, Educazione e istituzioni scolastiche nell’Italia moderna (secc. XV-XIX). Testi e documenti, Educatt Università Cattolica, Milano 1999. Tuzzi Hans, Libro antico libro moderno. Per una storia comparata, Sylvestre Bonnard, Milano 2006.

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Stampato a Firenze nel dicembre

2013 ** *


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100 immagini di libri di scuola

Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa

Dal Fondo Antiquario di INDIRE le suggestioni per una ricerca sul libro di scuola vecchio e nuovo e gli spunti per il prosieguo di una valorizzazione significativa del nostro prezioso patrimonio documentario e librario.

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ISBN 978-88-7814-595-5

100 immagini

di libri di scuola Il Fondo Antiquario del Museo Nazionale della Scuola di Firenze ( secoli XVI-XVIII )


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