iNBiCi magazine anno 8 – 10 Ottobre 2016

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lontariamente trasmesse e quindi recepite, rendendo – di fatto - precario già in partenza un risultato. Vediamo adesso di focalizzare con attenzione cosa andiamo ad evocare lavorando manualmente sulle fasce muscolari. La pressione esercitata con le mani ha una scala di sensibilità molto ampia, che si diversifica non per trattamento, ma per punti. Mi spiego: non fate mai l’errore di adottare una sola pressione durante tutta la seduta di trattamento, ma adattatela a seconda di quello che passa sotto la mano, punto per punto, sempre con l’intento di raggiungere la finalità prescelta. Tutto questo per il semplice motivo che stiamo lavorando su strutture strettamente collegate ad un sistema nervoso complesso che le comanda e le condiziona nella loro attività a seconda degli stimoli che arrivano. Tali stimoli, inoltre possono essere di diversa natura… provenire dall’esterno del corpo (temperatura, contatto,stimolo doloroso) oppure dall’interno (dolore, sensazione disagevole, temperatura tissutale ….). Elemento fondamentale, facente parte delle categorie sopra menzionate, è il sistema riflesso miotatico.

sostanzialmente da due tipi di recettori che si localizzano fra tali fasci: gli organi tendinei del golgi, sensibili a variazioni di tensione del muscolo, e i fusi neuromuscolari, sensibili, invece, a variazioni di lunghezza del muscolo. Attraverso due cellule nevose, tali strutture comunicano in tempo reale le informazioni ricevute al midollo spinale e questo, dopo un’elaborazione, determina una risposta che può essere in contrazione o in rilassamento. Già dalla spiegazione anatomica di questo sistema si capisce chiaramente che le sollecitazioni che noi applichiamo durante un trattamento muscolare possono evocare risposte ricercate volutamente; ma nello stesso tempo anche risposte indesiderate che compromettono il trattamento stesso e provocare addirittura danni al tessuto. Ovviamente questo non deve succedere assolutamente, per cui ancora una volta sottolineo l’importanza di un’adeguata preparazione anatomica. Personalmente, durante il trattamento di un muscolo, utilizzo le diverse zone della mano in questo modo: • Durante la valutazione “sensibile” dei piani = intera superficie del palmo e polpastrelli delle 5 dita;

In sintesi è un sistema riflesso primitivo, cioè presente fin dallo sviluppo embrionale, che fa parte dell’attività comportamentale muscolare. La peculiarità è che viene controllato esclusivamente dal midollo spinale e non può essere condizionato volontariamente (da un comando proveniente dal cervello). Gli stimoli meccanici che raggiungono fasci muscolari e tendinei vengono raccolti

• Durante le pressioni attive di trattamento = calcagno, pollice e 4 dita assieme. La scelta di questi punti è spontanea, cioè mi adatto a seconda di dove devo agire e con quale profondità e pressione. Mentalmente pensate sempre in quale porzione anatomica vi trovate, rispettando prominenze ossee e distinguendo zone tendinee da zone muscolari. Come già accennato negli articoli prece-

denti, inizialmente le fasce vanno portate in temperatura attraverso manovre di scivolamento e di scarico, durante le quali si ha modo di percepirne le condizioni. Dopo di che si lavorano eventuali punti contratti e di accumulo con movimenti pressori e semicircolari a frizione utilizzando calcagno e pollice. Alternate sempre con scarico in direzione dei linfonodi più vicini. La direzione delle manovre è sempre prossimo-distale, ad esempio nel massaggio di un arto inferiore si parte dall’inguine e si scende gradualmente verso il piede in modo da “svuotare” prima a monte ciò che potrebbe ostacolare lo scarico a valle. Importante saper percepire se nello strato sottocutaneo c’è ritenzione e ristagno di liquidi, problema frequente e soggettivo negli sportivi. In questo caso è preferibile trattare prima tale disagio con un trattamento di tipo linfodrenante per poi passare allo strato muscolare più profondo. Evitare possibilmente di voler gestire entrambe le situazioni andando direttamente sull’impastamento muscolare. Così si rischia di sommare l’accumulo liquido con il rilascio di tossine e di ingolfare troppo la gamba senza riuscire poi a pulirla completamente al termine del trattamento. Cercare di gestire la durata del trattamento senza però rischiare di interromperlo incompleto. Anche questo, purtroppo, è un problema frequente legato all’organizzazione lavorativa nel contesto in cui si opera. La cosa migliore è sempre quella di poter dedicare il giusto tempo ad ogni problematica fino a quando non si è terminato il lavoro.


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