Ibn Haldun tra Alessandro e Cesare. La Grecia e Roma nel Libro degli esempi

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Subsidia Mediaevalia Patavina collana del Centro Interdipartimentale di Ricerca di Filosofia Medievale “Carlo Giacon” Università degli Studi di Padova diretta da Francesco Bottin e Giovanni Catapano

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MARCO DI BRANCO

IBN Ḫ ALDU N TRA ALESSANDRO E CESARE La Grecia e Roma nel Libro degli esempi

(Kita b al-‘Ibar, II 149 BA - 172 BA ed. Chabbouh) traduzione e note a cura di

Marco Di Branco prefazione di

Cecilia Martini

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L I G R A F O


Comitato scientifico Luca Bianchi, Università di Milano Francesco Bottin, Università di Padova Stefano Caroti, Università di Parma Giovanni Catapano, Università di Padova Donato Gallo, Università di Padova Giovanna Gianola, Università di Padova Alain de Libera, Collège de France Gregorio Piaia, Università di Padova

Papers submitted for publication in the series are subjected to a double blind peer-review

Il presente volume viene pubblicato con un contributo del CIRFIM “Carlo Giacon”, Centro Interdipartimentale di Ricerca di Filosofia Medievale nell’ambito del progetto “Supporting a 3-Year Post-Graduate Program on the Arabic Transmission of Learning in the Mediterranean Area (8th-12th Centuries)”, finanziato dalla Fondazione Nando ed Elsa Peretti. Delegació a Catalunya

© Copyright marzo 2020 Il Poligrafo casa editrice 35121 Padova piazza Eremitani - via Cassan 34, tel. 049 8360887 - fax 049 8360864 e-mail casaeditrice@poligrafo.it www.poligrafo.it ISSN 2612-3770 ISBN 978-88-9387-093-1


INDICE

9 Prefazione Cecilia Martini 13

Introduzione

ibn-ḫ aldun, i greci e i romani

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1. Dalla Muqaddima al Kita-b al-‘Ibar

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2. Un racconto “polifonico”

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3. Notizie (e domande) sul Kita-b Huru-šiyu- s

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4. Da Bisanzio ad al-Andalus: storie di libri e ambascerie

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5. Tra onomastica e genealogie

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6. Da Alessandro a Roma

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7. L’impero di Roma tra Giudaismo e Cristianesimo

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8. L’impero cristiano

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63 9. Translatio imperii, translatio ‘as.abiyyae

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ibn-ḫ aldun

Traduzione italiana annotata e testo arabo

Kita- b al-‘Ibar


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Bibliografia

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Indice dei nomi antichi e medievali

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Indice dei nomi moderni

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Elenco dei passi citati


IBN HÌ® ALDU N TRA ALESSANDRO E CESARE



PREFAZIONE

Cecilia Martini

Nelle pagine conclusive dell’ampio saggio introduttivo che accompagna la prima traduzione integrale in lingua occidentale dei capitoli riguardanti la storia greca e romana del Kita-b al-‘Ibar di Ibn Ḫ aldu-n (1332-1406), Marco Di Branco conduce il lettore a seguire il celebre storico e sociologo tunisino introdursi ossequioso in una tenda mentre medita con quali parole glorificare il condottiero turco-mongolo Tamerlano, per guadagnarsi la sua benevolenza. È l’inizio del 1401, l’accampamento si trova nei dintorni prossimi alla città di Damasco e i Mongoli sono agli occhi di Ibn Ḫ aldu-n « una nazione di nomadi abitanti delle tende » che secondo numerose predizioni astrologiche « dominerà gli imperi, sconvolgerà gli stati e sottometterà la più grande parte del mondo ». Ibn Ḫ aldu-n omaggia Tamerlano e afferma che dopo Adamo mai è apparso sulla terra un re più grande poiché il potere esiste grazie allo “spirito di corpo” (‘as.abiyya) ed è tanto più esteso quanto più numeroso è il popolo che vi si riconosce. Le nazioni più numerose sono quelle degli Arabi e dei Turchi. La grandezza di Tamerlano non è dunque paragonabile a quella di nessun altro re della storia, non al persiano Chosroe, non a Cesare, non ad Alessandro Magno, non a Nabucodonosor. La menzione di quest’ultimo apre una digressione sulla sua controversa genealogia: babilonese-nabatea o persiana? È a questo punto che Ibn Ḫ aldu-n si richiama apertamente al più grande storico dell’Isla-m che l’ha preceduto, T.abarı-, e risponde in linea con lui che Nabucodonosor è uno degli ultimi


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cecilia martini

re di Babilonia. Ma Tamerlano non è d’accordo: si prendano i libri di storia degli Arabi, ma anche quelli dei non-Arabi e se ne discuta. L’opera storica di Ibn Ḫ aldu-n, costituita dalla più nota Muqaddima, composta di getto in una sorta di stato di trance nel castello di Qal‘at Ibn Sala-ma vicino all’odierna Tiaret in Algeria, e dai due libri del Kita-b al-‘Ibar, redatti in Egitto con il sostegno del sultano mamelucco Barqu-q, anticipa di alcuni anni la risposta all’appello di Tamerlano: la storia che vi viene narrata è polifonica. Non soltanto a partire dalla Muqaddima Ibn Ḫ aldu-n discute l’evoluzione delle diverse civiltà grazie alla sua nuova teoria sociologica dello “spirito di corpo”, ma si impegna ad ogni pagina a costruire un racconto a più voci. In un orizzonte più ampio e assolutamente originale, la cronaca universale dell’autore copto cristiano Girǧis al-Makı-n ibn al-‘Amı-d (m. 1273), il Kita-b Huru-sˇiyu-sˇ tratto dalle Historiae adversus paganos di Paolo Orosio, il Sefer Yosippon di Josef ben Gorion (arabizzato da Ibn Ḫ aldu-n in Yu-suf ibn Karyu-n e confuso con Flavio Giuseppe), la voce del giurista persiano Bayhaqı- (m. 1066) e l’opera . enciclopedica dello storico andaluso Ibn Sa‘ı-d al-Magribı- (m. 1286), collaborano con le opere dei grandi storici arabi dei primi secoli dell’Islam a presentare una storia universale libera da una prospettiva islamica marcatamente provvidenzialistica, e invece attenta a mettere alla prova la dottrina dello “spirito di corpo” nell’evolversi delle diverse nazioni (umam). Nelle pagine che seguono Marco Di Branco traduce ed esamina, con l’acume a cui i suoi lettori sono familiari, la narrazione relativa alla nazione di Yu-na-n, la Grecia, e alla nazione dei Ru-m, Roma, nei capitoli ad esse dedicati del Kita-b al-‘Ibar. Se già nella Muqaddima esse venivano descritte come due tra le nazioni più grandi del mondo il cui impero e potere furono tra i più estesi e le cui dinastie – quella di Alessandro, e quella dei Cesari dopo di lui (sic!) – regnavano ancora in Siria all’avvento dell’Isla-m, ciò che colpisce leggendo le pagine del Kita-b al-‘Ibar è la ricchezza e l’ampiezza di informazioni relative ad esempio alla storia delle poleis greche – assente nella Muqaddima – o a quella della plurisecolare dominazione romana in Nord Africa. Aziz Azmeh e Abdesselam Cheddadi negli ultimi vent’anni hanno in diversi contributi denunciato la “méconnaisance” in Oc-


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cidente del Kita-b al-‘Ibar, da considerarsi invece la più importante opera storiografica araba. Ibn Ḫ aldu-n tra Alessandro e Cesare. La Grecia e Roma nel Libro degli esempi (Kita-b al-‘Ibar, II 149 ba--172ba- ed. Chabbouh) risponde ad un desideratum e apre l’accesso a pagine dense di fatti e di idee, riflesso del movimento di traduzione dal greco all’arabo ed espressione delle idee più vitali della cultura islamica tra XIV e XV secolo, pagine in cui – scrive l’autore – « tutte le tradizioni hanno sistematicamente diritto di cittadinanza ». Questo lavoro ha trovato il suo compimento nel corso di un periodo di ricerca che Marco Di Branco ha svolto presso il Centro Interdipartimentale di Ricerca di Filosofia Medievale « Carlo Giacon » dell’Università degli studi di Padova nell’ambito del progetto « Supporting a 3-Year Post-Graduate Program on the Arabic Transmission of Learning in the Mediterranean Area (8th-12th Centuries) » generosamente finanziato dalla fondazione Nando ed Elsa Peretti. Delegaciaó Catalunya.



INTRODUZIONE

Ibn Ḫ aldu-n (1332-1406), uno dei più grandi storici della fine del Medioevo, è tra i pochi autori arabi noti anche al di fuori del ristretto ambito degli arabisti e degli islamisti. Nel suo pensiero, i metodi tradizionali della scienza storica islamica si uniscono a un’acutissima capacità di analisi, frutto delle sue burrascose vicende biografiche, e a una forte sensibilità per l’indagine sociologica e psicologica dei gruppi sociali. In particolare, la cosiddetta Muqaddima (« Introduzione ») – cioè il primo dei tre libri che compongono la sua celeberrima opera storiografica – è spesso definita come l’opera fondativa della sociologia storica: in essa, infatti, l’autore discute le cause e i fattori dello sviluppo e dell’evoluzione delle civiltà, formulando al riguardo la teoria sociologica della ‘as.abiyya (« spirito di corpo »), considerata come l’elemento motore del processo storico. A questo proposito, non sembra per nulla casuale il fatto che il primo personaggio storico a venir nominato nell’opera sia Alessandro Magno. Le storie dei Greci e dei Romani costituiscono per l’autore un utile strumento per riflettere sulla politica e sulle dinamiche che la dominano. In primo luogo, esse sono un banco di prova per la già menzionata teoria dell’‘as.abiyya, lo « spirito di corpo », la forza fondamentale che muove la storia umana: secondo Ibn Ḫ aldu-n, il fatto che il potere dei Greci non sia stato totalmente distrutto, ma sia passato ai loro fratelli, i Romani, confermerebbe la sua teoria in base alla quale, finché l’‘as.abiyya è preservata in seno a una nazione, il potere passa da un suo ramo all’altro. Infine, la storia greca e romana ispira all’autore


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introduzione

importanti considerazioni sugli elementi fondanti e sulla simbologia del Giudaismo e del Cristianesimo. Il fatto che un gigante della storiografia araba come Ibn Ḫ aldu-n fosse interessato alla storia romana non era sfuggito a uno dei maggiori storici del XX secolo, Santo Mazzarino, che gli dedica un grandioso e sorprendente omaggio nella sua Fine del mondo antico.1 Tuttavia, quella di Mazzarino, le cui riflessioni si basano solo sulla Muqaddima, è necessariamente una visione parziale, che non può cogliere in toto la profondità e i limiti delle conoscenze greco-romane di Ibn Ḫ aldu-n.2 Chi si accosti alla lettura della Muqaddima deve infatti tenere sempre presente che il pensiero di Ibn Ḫ aldu-n, il quale, connettendo le concezioni filosofiche derivanti dal movimento di traduzione greco-arabo alle correnti più vitali della tradizione culturale islamica, getta le basi teoriche di una nuova scienza storica, parte dalla Muqaddima ma ha il suo naturale completamento nei due libri successivi del Kita-b al-‘Ibar (« Libro degli esempi »), in cui l’autore, proprio alla luce delle teorie espresse nei “prolegomeni”, riorganizza in maniera globale il modo di narrare la storia universale, limitando il peso della prospettiva provvidenzialistica e mettendo invece al centro il concetto di « nazioni » (umam), entità etniche detentrici di autorità. Il lavoro che qui si presenta offre al lettore la possibilità di conoscere i capitoli riguardanti la storia greca e romana del Kita-b al-‘Ibar, di cui si fornisce per la prima volta la traduzione integrale in una lingua occidentale, corredata da un commento e da un’ampia introduzione che mette a fuoco i punti fondamentali su cui si impernia il “discorso greco-romano” del grande storico arabo.

1. S. Mazzarino, La fine del mondo antico (1959), rist. Milano, Rizzoli, 1988, pp. 77-78. 2. Su Ibn Ḫ aldu-n e Santo Mazzarino si vedano le interessanti considerazioni di L. Capezzone, Egemonia e autorità nell’analisi del potere di Ibn Khaldu-n (1332-1406), in Religione e politica. Mito, autorità, diritto, a cura di P. Pisi e B. Scarcia Amoretti, Roma, Nuova Cultura, 2008 (La Sapienza Orientale. Convegni), pp. 239-255: 239-240.


introduzione

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La pubblicazione di questo libro non sarebbe stata possibile senza il generoso sostegno della Fondazione Nando ed Elsa Peretti e il supporto scientifico del CIRFIM « Carlo Giacon », Centro Interdipartimentale di Ricerca di Filosofia Medievale dell’Università degli Studi di Padova. Sono molto grato al direttore del CIRFIM, professor Giovanni Catapano, e a tutto il personale dell’Università patavina. Un particolare ringraziamento va a Cecilia Martini, per la sua generosità e la sua amicizia, e al mio dotto amico M. Reda Hammad, che mi ha fornito un insostituibile aiuto nell’opera di traduzione.



IBN Ḫ ALDU N, I GRECI E I ROMANI

1. Dalla Muqaddima al Kita-b al-‘Ibar Nessuno dei numerosissimi studiosi che si sono occupati di Ibn Ḫ aldu-n1 sembra aver notato che il primo personaggio storico a venir nominato nella cosiddetta Muqaddima – contenente dei raffinatissimi prolegomeni teorici al suo Kita-b al-‘Ibar –2 sia Alessandro Magno, e che le prime due città a esservi menzionate siano 1. La sterminata bibliografia su Ibn Ḫ aldu-n è raccolta in due studi particolarmente importanti, quello di W.J. Fischel, Selected Bibliography, in The Muqaddimah, Engl. transl. by F. Rosenthal, Princeton, Princeton University Press, 19672, III, pp. 485-521, e quello di A. Azmeh, Ibn Khaldu-n in Modern Scholarship. A Study in Orientalism, London, Third World Centre for Research and Publishing, 1981, pp. 229-318, da integrare con le bibliografie di alcuni saggi recenti sul grande storico tunisino: R. Simon, Ibn Khaldu-n. History and Science and the Patrimonial Empire, Budapest, Akadémiai Kiadó, 2002 (Bibliotheca Orientalis Hungarica, XLVIII), pp. 197-210; G. Martinez-Grosz, Ibn Ḫ aldu-n et les sept vies de l’Islam, Paris, Sindbad-Actes Sud, 2006 (La Bibliothèque Arabe, Hommes et Sociétés, s.n.), pp. 343-348; A. Cheddadi, Ibn Khaldu-n. L’homme et le théoricien de la civilisation, Paris, Gallimard, 2006 (Bibliothèque des histoire, s.n.), pp. 503-509; K. Pomian, Ibn Khaldu-n au prisme de l’Occident, Paris, Gallimard (Bibliothèque des histoire, s.n.), pp. 236-240; e ultimamente R. Irwin, Ibn Khaldun: an Intellectual Biography, Princeton, Princeton University Press, 2018. Cfr. anche M. Talbi, s.v. « Ibn Khaldu-n », in Encyclopaedia of Islam, second edition (d’ora in poi, EI2), III (1971), pp. 849-855, e Id., Ibn Khaldun et l’histoire, Carthage, Éditions Cartaginoiseries, 20062, pp. 103-106. 2. L’edizione critica di riferimento è ora quella a cura di I. Chabbouh, I. ‘Abba- s e la loro équipe: Ibn Ḫ aldu-n, Kita-b al-‘ibar wa dı-wa-n al-mubtada’ wa ’l-ḫ abar, ed. I. Chabbouh, Ih.sa-n ‘Abba-s, Tunis, Da-r al-Qayrawa- n li-l-Našr, I-XIV, 2006-2014.


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marco di branco

Alessandria e Roma.3 La circostanza può certo essere fortuita, ma ci sono buoni motivi per ritenere che così non sia e che, per l’autore, le vicende dei Greci e dei Romani costituiscano uno degli “esempi” storici più importanti su cui riflettere. Alessandro viene chiamato in causa da Ibn Ḫ aldu-n a proposito della leggenda riportata dallo storico Mas‘u-dı- (m. 956) nei suoi Muru-ǧ al-d-ahab (« Prati d’oro ») sulla fondazione di Alessandria,4 che l’autore della Muqaddima considera un ottimo prototipo delle assurdità trasmesse dagli storici. Lo stesso vale, a suo parere, anche per una tradizione concernente Roma (ma relativa in origine a Costantinopoli),5 essa pure derivante dai Muru-ǧ (II, § 1422 Pellat), secondo cui in questa città sarebbe esistita una statua di un uccello sul cui capo, in un particolare giorno dell’anno, gli storni gettavano le olive dalle quali i Romani ricavavano il loro olio.6 Sempre parlando di Roma, nel lungo excursus geografico che si trova all’inizio della Muqaddima, Ibn Ḫ aldu-n ricorda come in essa avesse sede il papa, « il più alto patriarca » dei Franchi (cioè dei Latini) e come la

3. Ivi, I, p. 57. Va precisato che, nel presente lavoro, quando si fa riferimento alla Muqaddima si intende il primo libro del Kita-b al-‘Ibar e non la breve introduzione che lo precede. Sulle confusioni generate dal termine muqaddima (« introduzione », « prolegomeni ») fra gli studiosi contemporanei si veda soprattutto A. Azmeh, Ibn Khaldu-n. An Essay in Reinterpretation, London, F. Cass, 1982, pp. 9-11. 4. Mas‘u-dı-, Muru-ǧ ad--d-ahab (Les prairies d’or, texte et trad. par [Ch.] Barbier de Meynard, [A.] Pavet de Courteille, rev. par Ch. Pellat, Beyrouth, Publications de l’Université Libanaise, 1966: Section des études historiques, XI, II, § 827). Sui racconti arabi concernenti la fondazione di Alessandria si veda M. Di Branco, Alessandro Magno eroe arabo del Medioevo, Roma, Salerno, 2011 (Piccoli Saggi, 49), pp. 83-87. 5. Come ha giustamente notato A. Miquel, La géographie humaine du monde musulman jusqu’au milieu du 11e siècle, II.2, Géographie arabe et représentation du monde: la terre et l’étranger, Paris, Mouton, 1975 (Civilisations et sociétés, s.n.), p. 376, con n. 5, la tradizione in questione, che compare per la prima volta in Ibn Ḫ ur(ra)da- d-bih, Kita-b al-masa-lik wa ’l-mama-lik, ed. M.J. de Goeje, Leiden, Brill, 19672 (Bibliotheca Geographorum Arabicorum [d’ora in poi, BGA], VI), p. 88 ed è riportata da molti geografi arabi, trova una rispondenza a Costantinopoli, dove le fonti collocano la presenza di un albero meccanico provvisto di uccelli di bronzo. Il suo “trasferimento” in ambito romano è probabilmente dovuto alla sovrapposizione, che si registra nelle fonti geografiche islamiche, della “vecchia” alla “nuova” Roma. Sul tema si veda ora M. Di Branco, Storie arabe di Greci e di Romani, Pisa, PLUS, 2009 (Greco, Arabo, Latino. Le vie del sapere. Studi, 1), pp. 223-230. 6. Ibn Ḫ aldu-n, Kita-b al-‘Ibar, ed. cit., I, p. 58.


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città fosse « conosciuta per i suoi edifici grandiosi, per i suoi monumenti imponenti e per le sue chiese gigantesche »,7 e cita fra le sue meraviglie il fiume pavimentato di rame, e la chiesa degli apostoli Pietro e Paolo, « dove costoro sono sepolti ».8 Di Costantinopoli l’autore si limita invece a fornire le coordinate geografiche, descrivendola molto brevemente come « una grandissima città che fu la capitale dell’impero bizantino », aggiungendo soltanto che i suoi edifici e la sua magnificenza « hanno suscitato numerosi racconti ».9 Roma e Costantinopoli sono poi unite a simboleggiare il dominio sull’Oriente e sull’Occidente nelle citazioni riportate da Ibn Ḫ aldu-n di profezie relative all’avvento del mahdı-, del quale si diceva appunto che avrebbe conquistato le due città e sarebbe stato dunque padrone del mondo.10 Nelle pagine conclusive della sezione geografica v’è infine una nuova menzione di Alessandro, legata all’accenno riguardante il muro da lui costruito per arginare Gog e Magog, dove peraltro Ibn Ḫ aldu-n rinvia al testo coranico.11 Ma la Grecia e Roma non sono solo luoghi produttori di favole e di miti. Per l’autore, la terra greca è infatti la terra dell’arte, e soprattutto il centro da cui la scienza si è irradiata nel mondo musulmano: Le scienze sono numerose e ci sono molti saggi fra le nazioni della specie umana. Le scienze che sono andate perdute sono più numerose di quelle che ci sono giunte. Dove sono le scienze dei Persiani [...]? Dove quelle dei Caldei, degli Assiri, dei Babilonesi? Dove sono le loro opere e i loro risultati? Dove sono, prima di esse, le scienze degli Egizi?

7. Ivi, pp. 73-163: 128. 8. Ivi, p. 128. La menzione delle reliquie di Pietro e Paolo, che in Mas‘u-dı- si trova chiaramente riferita a Roma (Mas‘u-dı-, Muru-ǧ ad--d-ahab, ed. cit., § 722), è frutto palese di successiva interpolazione per equivoco fra Roma e Costantinopoli, e in particolare fra la chiesa di San Pietro e quella degli Apostoli. 9. Ibn Ḫ aldu-n, Kita-b al-‘Ibar, ed. cit., I, p. 130. 10. Ivi, p. 564. 11. Su Gog e Magog nella leggenda di Alessandro si veda A.R. Anderson, Alexander’s Gate, Gog and Magog, and the Inclosed Nations, Cambridge (ma), The Mediaeval Academy of America, 1932; A. Al-Azmeh, Barbarians in Arab Eyes, « Past and Present », CXXXIV (1992), pp. 3-18, e soprattutto E. van Donzel, A. Schmidt, Gog and Magog in Early Eastern Christian and Islamic Sources, Leiden-Boston, Brill, 2009.


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ghiera del mattino, aveva detto: “In questo giorno è nato il Fatimide”. Questo accadeva negli anni Quaranta dell’VIII secolo (XIV secolo d.C.). In ragione di tutto ciò, io attendevo il suo avvento. A causa del timore che provavo, ebbi dunque l’idea di intrattenerlo un poco su queste cose, in modo che egli si rilassasse e fosse meglio disposto verso di me. Così, mi rivolsi a lui in questi termini: “Che Dio ti assista, signore! Sono trenta o quaranta anni che speravo in questo incontro”. – “Per quale ragione?” – domandò. – “Per due ragioni” – risposi. La prima è che tu sei il sultano del mondo, il re di quaggiù, e io non credo che, da Adamo in poi, sia comparso nella Creazione un re paragonabile a te. Io non sono di quelli che parlano al vento, perché sono un uomo di scienza. Ecco la spiegazione: il potere non esiste se non grazie allo spirito di corpo, che è tanto più esteso quanto più numerosi sono i popoli raggruppati sotto di esso. Ora, in passato come oggi, gli uomini di scienza sono concordi nel sostenere che le nazioni più numerose della terra sono gli Arabi e i Turchi. Voi conoscete l’estensione del potere degli Arabi quando erano uniti dalla religione intorno al loro Profeta. Quanto ai Turchi, è sufficiente citare, per testimoniare della loro partecipazione al potere, la loro rivalità con i re di Persia, ai quali Afrasya-b sottrasse il paese del Khorasa-n. Nessun re della terra, ne Chosroe né Cesare né Alessandro né Nabucodonosor ha mai avuto a disposizione uno spirito di corpo paragonabile al loro. Il primo è il capo e il re dei Persiani: ma cosa valgono questi ultimi in confronto ai Turchi? Il secondo e il terzo sono re dei Ru-m: ma i Ru-m possono forse essere paragonati ai Turchi? Quanto a Nabucodonosor, è il capo dei Babilonesi e dei Nabatei: e cosa sono questi popoli, davanti ai Turchi? Questa è una prova evidente della verità di ciò che ho affermato nei riguardi della Vostra Maestà. E la seconda ragione per la quale speravo di incontrarvi sono le predizioni degli indovini e dei santi dell’Occidente. E gli dissi ciò che ho riferito sopra. – “Hai citato Nabucodonosor accanto a Chosroe, Cesare e Alessandro”, notò lui. “E tuttavia, non è possibile metterlo in parallelo con costoro: essi, infatti, sono dei grandi re e lui non è altro che un comandante dei Persiani, come io non sono altro che uno dei luogotenenti del monarca che è laggiù”. – E fece un gesto in direzione di una fila di uomini che si trovavano dietro di lui. Voleva indicare l’uomo di cui aveva sposato la madre in seconde nozze, dopo la morte del re Sa-talmaš, ma non lo trovò là, e gli si disse che aveva lasciato il posto. – “A quale popolo apparteneva Nabucodonosor?” – riprese. – “È una questione controversa” – risposi. “Alcuni dicono che egli fosse della stirpe dei Nabatei, ultimi re di Babilonia; altri affermano che discendesse dai primi Per-


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siani. – “Dunque è un discendente di Manu-šihr”, disse lui. – “Sì”, dissi io. “Almeno, è quello che si dice”. – “Noi con questo Manu-šihr abbiamo dei legami di parentela per via femminile”, dichiarò. Io espressi all’interprete la mia grande ammirazione per questo fatto e aggiunsi: “È un altro motivo per cui mi rallegro di averti incontrato”. – “E tu che ne pensi?”, riprese il sovrano. – “Penso”, dissi, “che è uno degli ultimi re di Babilonia”. Ma lui era dell’avviso contrario. – “L’opinione di T . abarı ci crea dei problemi”, dissi io. “È lo storico e il tradizionista dell’Islam, nessuno lo supera”. – “Perché attenerci a T.abarı-?”, disse lui. “Prendiamo i libri di storia degli Arabi e dei non-Arabi e discutiamo: allora anche io sosterrò la causa di T.abarı-. Il nostro dialogo si fermò qui. Lui tacque per un momento; poi, gli fu annunciata la resa della città e l’uscita dei giudici, fedeli alla loro parola di fargli atto di sottomissione in cambio della loro sicurezza. A causa del male che aveva a un ginocchio, lo si trasportò fino al suo cavallo e lo si fece montare. Prese le redini e si mise bene in sella, mentre ai suoi lati si suonavano i tamburi fino al punto che perfino l’aria tremava. Poi, si diresse verso Damasco.

Secondo quanto riportato da Ibn Ḫ aldu-n, il sovrano mongolo si sarebbe dunque mostrato particolarmente interessato a conoscere le vicende del mondo islamico occidentale, ma fra le varie tematiche trattate ci fu anche spazio per una riflessione sugli “eroi del passato”, in cui riemerge appunto il tema della translatio dell’‘as. abiyya. Anche in questo caso, la storia greca e romana è al centro della scena: fra i quattro “re della terra” menzionati dallo storico e ben noti a Tamerlano, che ne riconosce la grandezza, hanno un posto di primo piano “Cesare” e Alessandro.



IBN Ḫ ALDU N

KITAB AL-‘IBAR



[p. 437 Chabbouh] Nazione di Yu- na-n e di Ru- m* Notizia sulle nazioni di Yu-na-n e di Ru-m, sui loro antenati e sulle loro sorti Queste nazioni furono tra le nazioni più grandi del mondo; il loro impero e il loro potere furono tra i più estesi. Avevano due grandi dinastie: quella di Alessandro, e quella dei Cesari dopo di lui, che regnavano ancora in Siria all’avvento dell’Isla-m. La loro genealogia, secondo l’unanime opinione dei sapienti rigorosi, risale a Iafet. Solo al-Kindı- sostiene che Yu-na-n discendesse da Eber figlio di Peleg.1 Adiratosi contro suo fratello Qah.t. a-n, Yu-na-n sarebbe uscito dallo Yemen, accompagnato dalla sua famiglia e dai suoi figli, e si sarebbe stabilito nel paese situato tra i Franchi e i Ru-m. In tal modo, il suo sangue si sarebbe mescolato al loro.2 * La traduzione è stata condotta sul testo critico stabilito da I. Chabbouh, I. ‘Abba- s e la loro équipe (Ibn Ḫ aldu-n, Kita-b al-‘ibar wa dı-wa-n al-mubtada’ wa ’l-ḫ abar, ed. I. Chabbouh, Ih. sa- n ‘Abba- s, Tunis, Da- r al-Qayrawa- n li-l-Nasˇr, III, 2013, pp. 437-509), basandosi sui manoscritti della cosiddetta « versione egiziana » dell’opera dello storico tunisino. Il testo è qui riprodotto alle pp. 139-203. Sulle caratteristiche di questa fondamentale edizione si veda Ben Abbès, L’historiographie arabe médiévale et l’histoire des guerres puniques, cit., p. 330, con ulteriore bibliografia. 1. Per la posizione di al-Kindı- si veda Mas‘u-dı-, Muru-gˇ al-d- ahab, ed. Barbier de Meynard-Pavet de Courteille (rev. par Ch. Pellat), Beyrouth, Publ. de l’Univ. Libanaise, II, 1966 (Sect. des études historiques, XI), §§ 664-668, e Id., Kita-b al-tanbı-h wa ’l-isˇra-f, ed. M.J. de Goeje, Lugduni Batavorum, Brill, 1894 (BGA, 8), pp. 111-112. 2. Mas‘u-dı-, Kita-b al-tanbı-h wa ’l-isˇra-f, ed. cit., pp. 111-112.


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A questa opinione, Abu- ’l-‘Abba-s al-Na-sˇı- rispose in questi termini: « Ti allontani dalla retta via, mescolando Yu-na-n e Qah.t. a-n: per la mia vita! Tra loro c’è una grande distanza! ». È per questo motivo che si pretende che Alessandro fosse un discendente dei Tubba‘.3 Non c’è nulla di vero in tutto ciò. Ciò che è certo è che la loro genealogia risale a Iafet.4 Secondo gli studiosi rigorosi, tutti i Ru-m, Greci o Latini, discendono da Yu-na-n. Quest’ultimo, nella Torah è annoverato fra i discendenti di Iafet. Vi è designato con il nome di Ya-fa-n, con una fa-’ vicina alla wa-w: per questo è stato arabizzato in Yu-na-n.5 [p. 438 Chabbouh] Orosio, quanto a lui, divide i Greci in cinque gruppi che discendono dai cinque figli di Yu-na-n: Kittim, Elisham -(H . aǧı lı h), Tarsis (Taršuš), Dodanim (Dudanim), Isai (Išay). Da questi ultimi discendono i popoli degli Sǧı-nayah (Sicionii?), degli Ateniesi (At-na-š), degli Sama-la- (?), dei Tessali (T.aša-l) e dei Lacedemoni (Laǧdamu-n). Egli annovera tra loro i Ru-m latini, ma non li inserisce in alcuno di questi cinque gruppi. A suo avviso, i Franchi discendono da Togarmah, figlio di Gomer, figlio di Iafet, e gli Slavi discendono dallo stesso antenato dei Franchi. Tra tutti questi gruppi – egli aggiunge – la regalità era nelle mani dei figli di Aškenaz, figlio di Gomer.6 Secondo Orosio, i Goti discendono da Madai (Ma-da-y), figlio di Iafet, e hanno per fratelli gli Armeni. Egli li fa ugualmente risalire a Magog, figlio di Iafet, e fa dei Latini i loro fratelli, condividendo con loro la stessa genealogia, e fa discendere i Galli da Riphat, figlio di Gomer; gli Andalusi, gli Italici e gli Arcadi, invece, da Tubal, figlio

3. Sulle connessioni, in ambito islamico, tra la leggenda di Alessandro e le saghe yemenite si veda Di Branco, Alessandro Magno eroe arabo del Medioevo, cit., pp. 61-73, con ulteriore bibliografia. 4. Mas‘u-dı-, Muru-gˇ al-d-ahab, ed. cit., II, § 666. Cfr. J. van Ess, Frühe Mu‘tazilitische Häresiographie, Beirut-Wiesbaden, Steiner, 1971, p. 4. 5. Si veda M. Di Branco, Storie arabe di greci e di romani. La Grecia e Roma nella storiografia arabo-islamica medievale (VIII-XV secolo d.C.), Pisa, PLUS, 2009 (Le vie del sapere, saggi, s.n.), pp. 39-40. 6. Kita-b Huru-sˇiyu-sˇ (Traducción árabe de las Historiae adversus paganos de Orosio), ed. y estudio M. Penelas, Madrid, Consejo Superior de Investigaciones Científicas-Agencia Espaola de Cooperación Internacional, 2001 (Fuentes ÁrabicoHispanas, 26), pp. 48-49 e 73-74. Da segnalare che, al di là delle diverse trascrizioni dei nomi, nel Kita-b al-‘ibar si aggiunge ai figli di Yu-na- n Isai.


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di Iafet. A suo avviso, le diverse razze dei Turchi discenderebbero [p. 439 Chabbouh] da Tiras, figlio di Iafet. I Greci, a suo parere, comprendono tutti i figli di Yu-na-n che lui stesso menziona, ma divide i Ru-m in Greci e Latini.7 Ibn Sa‘ı-d, basandosi sulle storie dell’Oriente, su Bayhaqı- e altri storici, afferma che Yu-na-n è figlio di Ulǧa-n, figlio di Iafet, e sostiene che è per questo che vengono chiamati « Ulu-ǧ ».8 Tutti gli abitanti del Nord, a eccezione dei Turchi, condividono con loro la medesima genealogia. Le tre popolazioni discendono da . Yu-na-n: i Greci da Igrı-qu-s, figlio di Yu-na-n, i Latini da Latino, figlio di Yu-na-n. Alessandro apparteneva ai Ru-m. Ma Dio sa di più. Ora, noi cominciamo il racconto delle loro più celebri dinastie, basandoci su ciò che ne sappiamo. Dio, sia esaltato e glorificato, è la migliore guida sulla via di ciò che è giusto. [p. 442 Chabbouh] Notizia sulle dinastie di Yu-na-n e Alessandro e sul regno e sul potere che hanno avuto fino alla loro estinzione Quei Greci, che si dividono in Greci e Latini,9 hanno abitato, come già detto, solo la regione nordica della terra abitata, con i loro fratelli figli di Iafet, come gli Slavi, i Turchi e i Franchi dietro di loro e altri popoli di Iafet e occupano la parte mediana fra la penisola di al-Andalus e il paese dei Turchi in Oriente per ciò che concerne la longitudine, e lo spazio che vi è fra l’Atlantico e il Mediterraneo per ciò che concerne la latitudine. Giacché i paesi dei Latini si trovano nella parte occidentale e i paesi dei Greci nella parte orientale, e il mare tra loro è il Golfo di Costantinopoli.

7. Ivi, pp. 48-49 e 75. 8. Fonte di questo passo è dunque lo storico e geografo andaluso ‘Alı- ibn Sa- ‘ı-d al-Mag·ribı- (m. nel 1286), autore di un solo parzialmente edito Kita-b al-mushib fı- g·ara-’ib al-Mag·rib. Il nome Ulǧa- n (la cui forma, attestata in molti manoscritti e riportata nell’edizione di Bu-la- q [Ibn Ḫ aldu-n, Kita-b al-‘Ibar, ed. N. al-Hu-rı-nı-, Bu-la- q, s.e., II, 1867/68, p. 184], appare senz’altro preferibile alla lezione « ‘Alǧa- n » riportata nell’edizione di I. Chabbouh: Ibn Ḫ aldu-n, Kita-b al-‘Ibar, ed. cit., III, p. 439) è chiaramente costruito sulla base dell’aggettivo iligˇ (« straniero », « barbaro »), originariamente indicante i popoli non-arabi e poi usato per definire in non-arabi convertiti all’Isla- m: si veda Di Branco, Storie arabe di greci e di romani, cit., pp. 205-206. 9. Si veda supra, p. 75, n. 7.


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Ed ella vi credette e sperimentò la cosa. Ed essi fecero di questo giorno una festa per il ritrovamento della Croce. Ella poi costruì nel luogo del ritrovamento la Chiesa dell’Immondizia,433 e ordinò al vescovo Macario di costruire le chiese. Questo avvenne nell’anno 328 dalla nascita del Messia (su di lui la pace). Nel ventunesimo anno del regno di Costantino, morì il patriarca Alessandro e divenne patriarca al suo posto il discepolo Atanasio, la cui madre si era fatta cristiana a opera sua; questi crebbe suo figlio presso di lui e lo istruì; poi, quello divenne patriarca dopo di lui. I compagni di Ario cercavano di intervenire contro di lui presso il re ed egli abbandonò il suo trono due volte; poi ritornò.434 Costantino obbligò gli Ebrei di Gerusalemme ad abbracciare il Cristianesimo ed essi lo fecero, ma si astenevano lo stesso dal mangiare il maiale; egli, allora, ne uccise molti.435Alcuni di loro si fecero cristiani e dissero che i sacerdoti ebrei avevano ridotto gli anni della nascita dei Patriarchi di circa 1.500 anni, per impedire che l’Avvento di Cristo fosse nelle settimane [p. 508 Chabbouh] menzionate da Daniele,436 affermando quindi che il tempo non era ancora giunto e che la vera Torah è quella che interpretarono per il re d’Egitto i settanta sacerdoti giudei.437 Ibn al-‘Amı-d ha sostenuto che Costantino si fece portare la traduzione di cui si è appena parlato e la visionò. Ha detto: « si tratta della Torah che oggi è nelle mani dei cristiani ». Ha detto che poi Costantino ordinò il restauro di Bisanzio e la chiamò Costantinopoli dal suo nome.438 Poi divise il regno tra i suoi figli, dando a Costanzo Costantinopoli e i suoi distretti, e all’altro Costantino la Siria fino all’estremo Oriente, e a Costante Roma e le

433. Si veda supra, p. 115. 434. Atanasio I, patriarca di Alessandria (con alcune interruzioni) dal 326 al 373 d.C. Per i dettagli delle vicende che lo videro protagonista si veda A.S. Atiya, s.v. « Athanasius I », in The Coptic Encyclopedia, I, cit., coll. 298a-302b, con ulteriore bibliografia. 435. Sul supposto ‘antisemitismo’ di Costantino si vedano le giuste considerazioni di A. Barbero, Costantino il vincitore, Roma, Salerno Editrice, 2016 (Biblioteca Storica, s.n.), pp. 661-666. 436. Il riferimento è alla celebre profezia di Dan, 9, 25. 437. Si veda supra, p. 88, n. 95. 438. Il riferimento è alla fondazione di Costantinopoli (324-330 d.C.).


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terre cha a essa fanno capo.439 Ha detto poi che egli regnò cinquanta anni, di cui ventisei a Bisanzio,440 prima di sconfiggere Massenzio, e ventiquattro dopo aver conquistato la terra dei Ru-m, e si fece cristiano nel dodicesimo anno del suo regno; poi morì nel seicentocinquantesimo anno dal regno di Alessandro.441 Ha detto Orosio442 che Costantino figlio di Costanzo era della religione dei magi, ed era duro contro i cristiani; egli, difatti, esiliò il patriarca di Roma che pregò Dio contro di lui; quindi, fu colpito dalla lebbra e gli fu consigliato di curarsi, facendo il bagno nel sangue dei fanciulli; egli allora radunò un gran numero di questi giovanetti, ma poi fu preso da clemenza nei loro confronti e li rilasciò. Poi vide in sogno qualcuno che lo invitava a seguire il patriarca, e quindi lo riportò a Roma e guarì dalla lebbra.443 Egli così divenne

439. Sulla divisione del regno fra i tre figli di Costantino, Costantino II, Costanzo II e Costante, si veda ora Barbero, Costantino il vincitore, cit., pp. 218-219, e 693-704. 440. Per l’equivoco tra Bisanzio e Britannia si veda supra, p. 62. 441. In realtà Costantino regnò solo sei anni prima dello scontro con Massenzio e la sua morte avvenne nel 337 d.C., cioè 660 anni dopo la morte di Alessandro. La collocazione della conversione al Cristianesimo dell’imperatore nel dodicesimo anno del suo regno è totalmente fittizia. 442. Kita-b Huru-sˇiyu-sˇ (Traducción árabe de las Historiae adversus paganos de Orosio), cit., pp. 368-374. Cfr. Oros., Historiae adversus paganos, VII 28 Lippold. 443. Sulla « religione dei magi » si veda supra, p. 132, n. 414. L’accenno alla vicenda di Costantino lebbroso guarito da papa Silvestro attraverso il battesimo deriva dai cosiddetti Actus Sylvestri, un’opera di probabile origine siro-palestinese nota in più versioni (siriaca, greca, armena, latina), che hanno conosciuto nell’età tardoantica e in quella medievale un’ampia diffusione – testimoniata da oltre quattrocento codici – e una straordinaria fortuna come testo di riferimento per i compilatori medievali e umanistici. Il periodo in cui gli Actus Sylvestri prendono forma (intorno alla metà del V secolo d.C.) vede crescere l’opposizione alla politica religiosa inaugurata da Costantino: l’esempio più eclatante di tale ostilità (che probabilmente emergeva già nella perduta opera storica di Eunapio) è rappresentato dalla Storia nuova di Zosimo, nella quale si sostiene apertamente un nesso consequenziale tra l’abbandono dei culti tradizionali a favore della religione cristiana e il sacco alariciano di Roma e si accusa Costantino di aver assassinato il figlio Crispo e la moglie Fausta, cercando poi la purificazione delle sue colpe nei riti cristiani (II 28-30). Contro le rinnovate argomentazioni pagane polemizzano gli Actus Sylvestri, che ne annullano l’elemento più negativo – l’uccisione del figlio e della moglie dell’imperatore come causa determinante della conversione – e, facendo ricorso a un tema narrativo forse già noto, presentano Costantino afflitto dalla lebbra, dalla quale egli tenta di guarire attraverso il lavacro battesimale. Si vedano in proposito A. Kazhdan, “Constantin imaginaire”,


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incline al Cristianesimo, ma poi ebbe paura della divergenza dalla propria gente: così, andò a Costantinopoli, [p. 509 Chabbouh] dove risiedette; e la costruì facendo trionfare la religione del Messia, facendosi contrario alla gente di Roma, contro cui poi tornò, sconfiggendola e dando la vittoria al Cristianesimo.444 Poi, egli lottò contro i Persiani finché non li sconfisse e conquistò molte delle loro regioni.445 Nel ventesimo anno del suo regno, un gruppo di Goti marciò contro le sue terre, guerreggiando e prendendo le donne come schiave; quindi, egli marciò contro di loro e li cacciò dalle sue terre.446 Poi, vide in sogno vessilli a forma di croce e una voce che gli diceva: « questo per te è il segno della tua vittoria ».447 Indi, sua madre Elena andò a Gerusalemme alla caccia delle tracce del Messia e costruì le chiese nei paesi; poi tornò.448 Infine, Costantino morì, nel trentunesimo anno del suo regno.

Byzantine Legends of the Ninth Century about Constantine the Great, « Byzantion », LVII (1987), pp. 196-250; V. Aiello, Costantino, la lebbra e il battesimo di Silvestro, in Costantino il Grande. Dall’antichità all’Umanesimo, Atti del convegno internazionale (Macerata, 18-20 dicembre 1990), a cura di G. Bonamente e F. Fusco, Macerata, Università degli Studi di Macerata, 1, 1992 (Università degli studi di Macerata. Pubbl. della Facoltà di Lettere e Filosofia, 67 / Atti, 21), pp. 17-58; S. Lieu, From History to Legend and Legend to History. The Medieval and Byzantine Transformation of Constantine’s Vita, in Constantine. History, Historiography and Legend, ed. by S.N.C. Lieu, D. Montserrat, London - New York, 1998, pp. 136-176; G. Bonamente, Sull’ortodossia di Costantino. Gli Actus Sylvestri dall’invenzione all’autenticazione, « Bizantinistica », s. ii, VI (2004), pp. 1-46, e T. Canella, Gli Actus Sylvestri. Genesi di una leggenda su Costantino imperatore, Spoleto, Fondazione Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 2006 (Uomini e mondi medievali, 7). 444. Il riferimento è ancora alla battaglia di Ponte Milvio. Si veda supra, p. 134, n. 423. 445. Riferimento agli scontri romano-persiani del 337 d.C., poco prima della morte di Costantino. Cfr. T.D. Barnes, Constantine and the Christians of Persia, « Journal of Roman Studies », 75 (1985), pp. 126-136. 446. Sulla campagna militare contro i Goti (332 d.C.) si veda Oros., Historiae adversus paganos, VII 28-29 Lippold. 447. Riferimento al celeberrimo sogno di Costantino, su cui si veda ora Barbero, Costantino il vincitore, cit., pp. 81-86. 448. Si veda supra, pp. 135-136.


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