Il Periodico News - LUGLIO 2018 N°132

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ATTUALITà

LUGLIO 2018

Umanizzare gli animali oltre certi limiti può diventare pericoloso Vivono con noi, mangiano con noi, dormono nel nostro letto, sui nostri divani. Parliamo con loro e a volte persino li vestiamo alla moda. I nostri amici a quattro zampe stanno diventando sempre più umani, ammettiamolo. Soprattutto il cane che, da miglior amico dell’uomo, stiamo trasformando in fratello o figlio. A tutti gli effetti un famigliare. Siamo sicuri di non stare esagerando? Siamo sicuri di non stare confondendo l’affetto e la devozione per un essere vivente con la necessità di colmare un vuoto dentro di noi? Ma, soprattutto, siamo sicuri che questo affetto e devozione che a noi sembrano tratti nobilitanti non possano in qualche modo nuocere in primis a colui cui sono dedicati? L’umanizzazione eccessiva di animali da compagnia può diventare un problema nella misura in cui si finisce per perdere di vista certe prerogative. Abbiamo approfondito l’argomento con tre figure professionali che indagano aspetti sia sociali che medici del comportamento umano e animale: una psicologa, uno psichiatra e un educatore cinofilo. Quello che chiarisce Micaela Loconte, psicologa attualmente in forze alla clinica San Giorgio di Voghera, è che «il

processo di umanizzazione degli animali, quando rimane all’interno di una dinamica relazionale sana ed equilibrata, risponde ad un bisogno di accudimento delle proprie parti più infantili e vulnerabili naturalmente presenti in ognuno di noi e suscettibili di meccanismi proiettivi all’esterno. In sostanza l’accudire un animale, tendenzialmente morbido e a sangue caldo (più difficile sarebbe proiettare le proprie parti infantili bisognose di accudimento ed affetto su un pesce o una lucertola, ad esempio) significa accudire in lui di noi quelle parti infantili che ci rappresentano». Quali dinamiche nel rapporto uomo animale può celare questo bisogno di nutrire il “fanciullino” che è in noi? «Questo atteggiamento può corrispondere ad una logica affettiva di piacere provato nella fisicità di un prendersi cura, ma risponde anche ad altri significati, primo fra tutti le paure di solitudine e rifiuto che, a livelli di differente intensità, popolano ognuno di noi, rendendo il rapporto con l’animale piacevole non solo perché ci consente di dare affetto, ma anche perché ci permette di riceverne gratuitamente da qualcuno che è lì per noi, non ci abbando-

nerà e non ci rifiuterà mai. Tendenzialmente questi atteggiamenti, ovviamente in un discorso generale che non può tener conto delle diverse variabili che esistono in ogni situazione, si associano a situazioni di profonda solitudine e angoscia di perdita, al punto da sostituire l’altro della relazione con un animale che, per definizione, dipende da noi e dalle nostre cure garantendoci una presenza costante». Quando da simpatica consuetudine certi atteggiamenti dell’uomo nei confronti dell’animale possono diventare “preoccupanti”? «Credo che si possa dire che da simpatica consuetudine, probabile e possibile con qualsiasi amico a 4 zampe, si passa al gesto preoccupante nel momento in cui l’animale diviene l’unico interlocutore e soprattutto quando si tende ad interpretarne atteggiamenti e “versi” come probabili risposte o si decide della propria vita in base a presunte preferenze del proprio animale ipotizzate da improbabili discorsi con esso». Trattare il proprio animale domestico come un figlio o un fratello minore può in sostanza considerarsi una pratica

La psicologa: «Preoccupante quando l’animale diventa l’unico interlocutore» sana e ormai normale nel contesto sociale odierno, oppure secondo lei si tratta di una spia che dovrebbe allarmare in qualche modo? «Si tratta, anche a seconda della situazione, di una spia non tanto della patologia della persona (che potrebbe anche non esserci) quanto della patologica disfunzionalita’ di un tessuto sociale in cui sempre meno si educa all’interazione e sempre più si promuovono solitudine e isolamento relazionale. Credo che il rapporto con l’animale si possa definire malsano quando non sono salvaguardati i normali limiti di realtà in


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