IL GIORNALE DELL’AGRICOLTURA www.golfarellieditore.it
AGRITECH REPORT
In abbinamento alla stampa nazionale - Allegato al quotidiano
il Giornale
SPECIALE ALIMENTARE
FAZI 2019 SGUARDO AL FUTURO Appuntamento di primo piano per il settore agricolo-zootecnico. Innovazione e sostenibilità i temi caldi alla fiera di Montichiari
Processo di modernizzazione al via Un sistema unico di controlli sulla qualità dei prodotti e un patto con le Regioni per avviare un percorso di incentivo alla precision farming. Gli interventi del Mipaaf muovendo gli ostacoli al commercio e le distorsioni della concorrenza. «Vogliamo procedere altresì – aggiunge il ministro - a un potenziamento del sistema di rilevazione dei prezzi e dei costi di produzione delle imprese e definire una disciplina nazionale di coordinamento per lo sviluppo e l’incentivazione dell’agricoltura di precisione».
umentare la capacità di accesso all’innovazione degli imprenditori agricoli. È la sfida numero uno sulla quale il Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo concentrerà energie e risorse nei prossimi mesi, nell’ottica di rendere la produzione più sostenibile dal punto di vista ambientale e di maggiore valore qualitativo.
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IN VISTA UN DDL SEMPLIFICAZIONE TUTTO AGRICOLO Un impegno che, in base alle anticipazioni fornite dal titolare del dicastero nel corso dell’ultimo question time al Senato, dovrà passare da un Ddl semplificazione contenente norme per il riordino in materia di agricoltura. «Avviare quanto prima un processo di modernizzazione dei settori agricolo, agroalimentare e del turismo – afferma Gian Marco Centinaio – non è solo un interesse mio personale, ma dell’intero governo. In attesa della formalizzazione delle deleghe necessarie a metterlo in pi-
Gian Marco Centinaio, ministro del Mipaaf
sta, per il momento non posso che rilevare i molteplici obiettivi che ci proponiamo di raggiungere, attraverso un vero e proprio patto con le Regioni da sancire in Conferenza Unificata». Tra questi figura ad esempio la realizzazione di un sistema unico di controlli in materia di qualità dei prodotti, sulle produzioni a qualità regolamentata che oltre a evitare duplicazioni, permetterà di tutelare maggiormente i consumatori ri-
LOTTA DI SQUADRA IN DIFESA DEL FOOD ITALIANO L’altro terreno di battaglia che Centinaio non intende assolutamente abbandonare riguarda la difesa dell’agroalimentare made in Italy, a partire dalla questione delle etichettature a semaforo. Una soluzione che penalizza il nostro patrimonio a denominazione e che vede il Mipaaf schierato in prima linea per contrastarne la diffusione. «Occorre mantenere alta l’attenzione nei fori internazionali in cui si discute di temi nutrizionali – sottolinea il ministro - pro>>> segue a pagina 4
Tecnologia e capitale umano L’esperienza della S.I.M.A., che realizza impianti agroalimentari, nelle parole di Alessia Masetto. «Non bastano know how e innovazione, è anche la capitalizzazione delle risorse umane a fare la differenza» a pagina 17
Sigep Salone dedicato a panificazione, gelateria, caffè e pasticceria. Rimini 19-23 gennaio a pagina 33
Marca 2019 Evento unico in Italia dedicato ai prodotti a marca del distributore. Bologna 16 e 17 gennaio a pagina 32
Energie fresche in agromeccanica
Roberto Rinaldin, presidente Unacma
lla luce delle normative sulla sicurezza in vigore dal 2013 e della legge entrante sulla revisione dei mezzi agricoli, nei prossimi anni si prevede una grossa ondata di richiesta di lavoro conto terzi. Circa 3000 le opportunità occupazionali nell’agromeccanica prospettate da Unacma sulla base delle stime raccolte presso costruttori, commercianti e contoterzisti, che spaziano dalla conduzione dei trattori agli addetti commerciali, fino al pilotaggio dei droni. «Principalmente per un calcolo di sostenibilità economica – spiega Roberto Rinaldin - le aziende agricole hanno imparato a riconoscere il valore del contoterzista, una figura che sta guadagnando sempre più autorevolezza e visibilità nella filiera agricola per più motivi». Vogliamo enunciare i più importanti? «Prima di tutto ha accesso alle tecnologie più recenti poiché riesce a rinnovare il parco macchine molto rapidamente, e in un’economia
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Colophon IN EVIDENZA
L’INDUSTRIA DOLCIARIA Da quasi un secolo Bauli è il messaggero dolce sulle tavole degli italiani, ma continua a investire su innovazione e internazionalizzazione pagina 31 Direttore responsabile Marco Zanzi direzione@golfarellieditore.it
Consulente editoriale Irene Pivetti
Coordinamento editoriale
IL POLLO TOSCANO Un territorio noto per l’eccellenza delle sue carni bianche. Silvia Scipioni racconta la filiera produttiva di Alemas, dall’allevamento, senza antibiotici, al confezionamento pagina 40
Michela Calabretta direzione@golfarellieditore.it
Redazione Tiziana Achino, Lucrezia Antinori, Tiziana Bongiovanni, Eugenia Campo di Costa, Cinzia Calogero, Anna Di Leo, Alessandro Gallo, Simona Langone, Leonardo Lo Gozzo, Lara Mariani, Michelangelo Marazzita, Chiara Milani, Marcello Moratti, Michelangelo Podestà, Silvia Rigotti, Giuseppe Tatarella
Relazioni internazionali Magdi Jebreal
Hanno collaborato Fiorella Calò, Francesca Druidi, Renata Gualtieri, Francesco Scopelliti, Lorenzo Fumagalli, Gaia Santi, Maria Pia Telese
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Relazioni pubbliche Via del Pozzetto, 1/5 - Roma Tiratura complessiva: 90.000 copie
Supplemento a Dossier-Il Giornale Reg. Tribunale di Bologna n. 7578 del 22-09-2004
Diffusa a :
>>> Segue dalla prima di scala diventa sempre più conveniente delegare a questa figura le lavorazioni anziché gestirle con investimenti e risorse proprie dell’azienda agricola. Non è difficile immaginare pertanto che sempre più superficie agricola sarà gestita da questo importante anello di una filiera che si sta rinnovando completamente espandendo il suo business, come dimostrano i dati di acquisto di macchine agricole in crescendo. Le caratteristiche del territorio italiano inoltre faranno sì che i contoterzisti si occuperanno, oltre che delle grandi aziende, anche delle piccole estensioni agricole, fornendo costi certi ai piccoli agricoltori». La meccanizzazione agricola è protesa verso la sostenibilità. Come si riflette questa attitudine nella nuova tipologia di prodotti offerti e richiesti? «La sostenibilità economica è sempre sotto la lente, non si acquista più una macchina “di pancia” o per l’affettività verso un marchio. Le valutazioni passano sempre da un preciso calcolo di ammortamento, costo di gestione, manutenzioni, consumi, calcolo di produttività, costo di assicurazioni per i fermi macchina, furto incendio, danni imprevisti. In definitiva la tendenza è quella di considerare un vero e proprio business plan che comprenda ogni genere di evento calato nella realtà colturale e considerarne l’utile derivante da tale investimento». In termini di sostenibilità ambientale, invece? «La sostenibilità ambientale comincia ad
avere il suo peso nelle decisioni d’acquisto. Un po’ per la presa di coscienza che noi tutti stiamo maturando in questi tempi a inquinare e consumare meno, un po’ per le leggi sempre più restrittive su questo tema. In effetti i costi d’acquisto delle macchine dotate di motori sono leggermente lievitati in conseguenza delle motorizzazioni sempre più ecologiche, e gli investitori ne stanno tenendo conto nei piani di ammortamento e gestione». Tornando alle opportunità per i giovani nel campo delle macchine agricole, che prospettive concrete si stanno aprendo? «L’agricoltura si sta velocemente trasformando da settore bucolico e semplice, a un settore di altissima tecnologia, ben superiore a quella dell’automotive. Trattori guidati da satellite, attrezzi che si autoregolano nelle dimensioni e nelle performance al variare dell’intensità fogliare, macchine che distribuiscono fitosanitari intercettando quelli che si disperderebbero in deriva. È chiaro che i giovani nativi digitali familiarizzano più in fretta con questa tecnologia, riuscendo a guadagnarsi posti di tutto rilievo nella filiera». Quali attività formative promuovete per agevolarne l’ingresso in questo mondo? «In ambito formativo, sono circa 10 mila gli studenti degli istituti tecnici e agrari che hanno partecipato negli ultimi anni ad appositi workshop organizzati da Unacma in collaborazione con l’associazione dei contoterzi-
sti Cai e con i principali costruttori di trattori, presentando loro opportunità di lavoro. In questi anni inoltre, insieme ad alcuni costruttori abbiamo patrocinato dei master biennali presso vari Its del nostro Paese, permettendo a diplomati maggiorenni di approfondire studi sulla meccanica e meccatronica agricola prima di affrontare il mondo del lavoro». Nella cornice di Eima avete portato sotto i riflettori il fenomeno dei furti dei trattori. Quali le possibili soluzioni e che supporto possono dare le istituzioni in questo senso? «I furti dei trattori colpiscono pesantemente concessionari e aziende agricole, poiché presso i nostri piazzali vengono rubati mezzi spesso di alto valore. Le istituzioni non hanno strumenti specifici per contrastarli se non intensificando i controlli presso i confini, specie verso i Paesi dell’Est. Ormai l’unico deterrente sembra essere la geolocalizzazione, ossia la possibilità di nascondere rilevatori a bordo che avvisino il proprietario quando il mezzo lascia un perimetro definito, identificandone la posizione. Per questo abbiamo chiesto al legislatore di contemplare tale dispositivo obbligatoriamente per chi acquista tali mezzi con contributi pubblici poiché il danno, di fatto, ricadrebbe anche sulla collettività. Rimane invece irrisolta la verifica statistica dei furti in agricoltura, per ora insignificante trattandosi di dati macro-assemblati che comprendono trattori, motoseghe e serre». ■ Giacomo Govoni
IL PRIMO NETWORK DI OFFICINE CERTIFICATE Ha acceso i motori nel “tempio” agro meccanico di Eima International la rete Unacma Roc, primo network europeo di officine certificate per le macchine agricole che vede la luce dopo una gestazione durata diversi anni. L’iniziativa prevede corsi di formazione sulla messa a norma delle macchine agricole tenuti da personale Inail, corsi sulla tenuta in sicurezza dell’officina e corsi periodici di aggiornamento su specifiche macchine o gruppi di macchine. Seguiti dal rilascio di una certificazione etica e strutturale da parte di Cepas-Bureau Veritas, sulla base di una check list preparata da Unacma. «L’iter per entrare nella rete Unacma
Roc – spiega Rinaldin - è complesso e articolato. Ai partecipanti è infatti richiesta una solida conoscenza delle normative del settore e delle buone prassi che regolano il commercio e la riparazione delle macchine agricole e da giardinaggio. Ma è proprio per questo che le officine Unacma Roc aspirano a diventare un punto di riferimento per tutto il comparto agromeccanico». A breve con le associazioni di contoterzisti, agricoltori e costruttori, saranno firmati i protocolli d’intesa per “certificare” sul mercato il livello di eccellenza e di capacità tecnico-operativa delle strutture aderenti al network.
>>> continua dalla prima
muovendo l’utilizzo di sistemi di etichettatura che indichino l’origine degli ingredienti e diano corrette informazioni con il sostegno di tutte le amministrazioni competenti. Da sempre l’Italia ha promosso, promuove e promuoverà la “dieta mediterranea”, un modello nutrizionale rimasto costante nel tempo e che l’Unesco ha dichiarato Patrimonio immateriale dell’umanità». Ed è proprio su questo paradosso, che da un lato mette in dubbio la salubrità di alcuni alimenti italiani mentre dall’altro ne celebra l’eccellenza e la distintività, che il ministro sta sviluppando la sua controffensiva, coinvolgendo anche il Ministero degli affari esteri e della cooperazione Internazionale, Ministero della salute, Ministero dello sviluppo economico. «Spiegheremo all’Onu – assicura Centinaio - che non può considerare nocivo un suo patrimonio, continuando a batterci affinché i nostri prodotti vengano tutelati e salvaguardati in giro per il mondo. È una priorità che porteremo avanti con fermezza in tutti i contesti». RISORSE PER INFRASTRUTTURE E PIANO IRRIGUO Una tangibile forma di tutela per la filiera agricola nazionale, intanto, è arrivata dai quasi due miliardi di euro messi in circolo il mese scorso tra pagamenti degli anticipi della Pac per la campagna 2018 e investimenti in opere infrastrutturali idriche finalizzate all’approvvigionamento agricolo in ogni stagione. Di questi, circa 900 milioni di euro corrispondono al primo blocco di risorse erogato attraverso Agea, destinato alle 500 mila aziende che ne hanno presentato domanda con precedenza a quelle umbre, abruzzesi, laziali e marchigiane colpite dal sisma. «Stiamo chiudendo ciò che è
stato lasciato in sospeso dal passato – afferma Centinaio – e come abbiamo promesso, abbiamo deciso di dare subito attenzione ai territori terremotati. Un risultato importante, reso possibile grazie alla collaborazione tra il nostro Ministero e il Mef, che in un momento di difficoltà economica ci permette di dare risposte concrete, migliorando il rapporto tra pubblica amministrazione e privati». Sfiora il miliardo di euro, invece, il secondo importante stanziamento messo a disposizione dal Mipaaf a fine ottobre, che nel dettaglio prevede un fondo di 700 milioni di euro per la riserva d’acqua e la bonifica e altri 283 milioni per il piano irriguo nazionale a servizio dei territori. «Da Nord a Sud – aggiunge il ministro – c’è la necessità di avere a disposizione dei fondi da investire in infrastrutture e bacini idrici. L’obiettivo che avevamo e abbiamo è stato quello di mettere a disposizione un miliardo per fare ammodernamento e costruire nuovi invasi che, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno, potranno essere utili per trattenere l’acqua da utilizzare anche nella stagione estiva». ■ Giacomo Govoni
LA SFIDA DEL MIPAAF
Aumentare la capacità di accesso all’innovazione degli imprenditori agricoli per rendere la produzione più sostenibile dal punto di vista ambientale e di maggiore valore qualitativo
Il Giornale dell’Agricoltura Dicembre 2018 • Pag. 6
Politiche agricole
Il miglior Psr d’Italia È il primato che Giuseppe Pan rivendica alla programmazione agricola veneta. Rivolta principalmente al rinnovo della classe imprenditoriale, alla promozione delle specialità regionali e a incentivare processi di precision farming ar conoscere la qualità dei sapori veneti, indirizzando le risorse di comparto alla promozione di politiche di apertura al mercato. È uno dei focus principali a cui il Veneto sta destinando i fondi europei previsti per lo sviluppo rurale, collocandosi al vertice della graduatoria italiana per tempi di pagamento e impegni di spesa. «Dei 1169 milioni di euro a disposizione – spiega Giuseppe Pan, assessore regionale all’agricoltura - il Veneto ha già impegnato quasi un miliardo, attivando ad esempio linee di indirizzo regionali per la presentazione dei Piani operativi da parte delle organizzazioni dei produttori ortofrutticoli, che prevedono l’utilizzo del 3 per cento del fondo di esercizio per attività promozionali». Con quali altri strumenti mettete in risalto il valore del patrimonio agroalimentare veneto? «Promuovendo la partecipazione dei produttori veneti alle maggiori fiere internazionali tra cui Prowein di Dusseldorf, al WineSouth America in Brasile e il Vinitaly a Verona per il settore vino e Fruit Logistica a Berlino per le produzioni ortofrutticole. Ma anche creando eventi specializzati in loco come Caseus Veneti, manifestazione di spessore internazionale dedicata ai formaggi veneti promossa da 14 anni a Vila Contarini. In più la Regione finanzia ogni anno un programma per far conoscere le produzioni a marchio regionale a livello loca-
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le; attraverso il Psr 2014/2020 sostiene progetti nei Paesi dell’Unione per 16 milioni e ogni anno destina quasi 13 milioni di euro di aiuti per la promozione extra Ue dei vini veneti». Comprendendo sia la produzione primaria che l’industria di trasformazione venete, quali sono le variazioni più significative che si segnalano sul fronte export? «Nel 2017 l’export complessivo del comparto è cresciuto del 4,5 per cento, attestandosi a oltre 6,5 miliardi di euro, confermando un
LA SFIDA DELL’INNOVAZIONE
La rivoluzione dell’agricoltura di precisione è sostenuta dalla Regione con la misura 4.1 del Psr, che ha una dote di 326 milioni di euro e tramite Veneto Agricoltura che ha ospitato Agricare
trend costante dal 2013 in avanti. Spicca a due cifre il lattiero caseario, che tuttavia nel primo semestre 2018 ha risentito delle basse quotazioni del latte e di quelle in sofferenza dei formaggi, seguito dagli ortaggi e dai vini». Sul piano produttivo invece, che dinamica regionale si osserva? «Nell’agroalimentare l’indice segue il trend crescente post crisi, con un aumento nel 2017 del 2,7 per cento in produzione e del 3,1 per cento in fatturato. Per il 2018, i cui dati definitivi devono ancora essere elaborati, riscontriamo un aumento delle superfici a cereali autunno-vernini e il sorpasso, sempre in superficie, della soia sul mais, oltre i 150.000 ettari coltivati. Nel comparto viticolo abbiamo assistito a un’ottima annata sia sul piano quantitativo che qualitativo, grazie a una stagione recuperata dalle piogge di agosto. Un quadro sostanzialmente positivo che premia la capacità di adattarsi alle esigenze ed equilibri del mercato proiettandosi verso nuovi spazi commerciali». In chiave di forza lavoro assorbita, quale peso sta assumendo il settore primario in Veneto e con quali strumenti incentivate i giovani a scegliere la terra? «La Regione Veneto ha fatto del rinnovo della classe imprenditoriale un fattore essenziale di sviluppo del settore, dedicando a tale scopo specifiche misure del Psr 2014-2020. Nei primi 3 anni del ciclo ha finanziato 1100 domande con il premio di primo insediamento, erogando aiuti totali per 44 milioni di euro. Agli stessi 1100 giovani agricoltori sono stati concessi altri 58,5 milioni di euro di aiuti agli investimenti per ammo-
dernare le aziende di cui sono diventati titolari: perché non basta sostenere la nascita di nuove imprese, bisogna anche accompagnarne i primi passi perché possano essere solide e competitive». La sfida dell’innovazione agricola si gioca anche sul terreno delle nuove tecnologie applicate alle coltivazioni. Come si stanno aggiornando i cicli produttivi delle imprese venete in questo senso? «L’innovazione più trasversale e di maggior impatto è la rivoluzione dell’agricoltura di precisione, sostenuta dalla Regione con la misura 4.1 del Psr, che ha una dote di 326 milioni di euro. E anche tramite Veneto Agricoltura che ha ospitato Agricare, uno dei più grandi progetti sull’agricoltura di precisione a livello europeo. In più incentiva direttamente le singole imprese con finanziamenti per 25 milioni a favore di progetti con approccio “bottom up”, in cui esperti ed enti di ricerca collaborano con gli imprenditori agricoli per sperimentare e sviluppare idee innovative». Si discute molto dei tagli alla nuova Pac che avrebbero pesanti ripercussioni sui Psr regionali. Come impatterebbero su quello veneto e quali soluzioni alternative potrebbero scongiurarli? «La contrazione delle risorse comunitarie prospettate per il ciclo della Pac 20212027 espone l’agricoltura veneta al rischio
Giuseppe Pan, assessore all’Agricoltura della Regione Veneto
di ulteriore penalizzazione finanziaria per effetto del meccanismo della “convergenza interna”. È necessario focalizzare gli aiuti accoppiati Feaga secondo logiche strategiche e non meramente distributive. Inoltre non ci convince lo schema di “governance” del Piano strategico nazionale proposto dalla Commissione Europea, con bozze di regolamenti che confliggono con l’ordinamento nazionale, disconoscendo il ruolo di programmazione della materia agricola attribuito alle Regioni dalla Costituzione. È un’impostazione che va subito corretta a livello europeo, a maggior ragione alla luce delle migliori performance di efficienza conseguite dai Programmi di sviluppo rurale regionali 2014-2020». ■ Giacomo Govoni
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anticipo dei contributi legati alla Pac e l’accordo sul prezzo del latte tra allevatori e Italatte (Lactalis) sono buone notizie per la prima regione agricola d’Italia. Con il presidente di Confagricoltura Lombardia Antonio Boselli facciamo il punto sull’attualità del comparto. Qual è l’andamento del settore primario lombardo? «Purtroppo, le analisi congiunturali condotte sul primo semestre 2018 indicano per l’agricoltura della nostra regione quanto meno un rallentamento, se non una vera e propria frenata. Sulle produzioni zootecniche non siamo attualmente in una situazione d’allarme, ma un pò di fiato corto lo si avverte anche per l’effetto dell’aumento dei costi di produzione. Decisamente più critico rimane lo scenario dei cereali i quali, dopo una chiusura 2017 con qualche segno positivo, oggi tornano ad avere quotazioni non remunerative, anche in relazione alla sempre maggiore difficoltà di arrivare a fine campagna con un prodotto sano e commerciabile per effetto di un clima sempre più caratterizzato da eventi estremi». Fauna selvatica, aviaria, tema delle ac-
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Tutela e produttività Dalla fauna selvatica ai timori legati alla nuova Pac. Dalla promozione del prodotto agroalimentare italiano al sostegno delle aziende virtuose che valorizzano il settore. Sono i temi caldi discussi dal presidente di Confagricoltura Lombardia Antonio Boselli
que irrigue, quali sono le problematiche da affrontare? «Direi che l’emergenza aviaria si possa considerare superata, a patto che l’erogazione degli indennizzi per i cosiddetti danni indiretti si chiuda rapidamente, ridando liquidità a quelle aziende che, pur non subendo un abbattimento, hanno comunque registrato limiti negli accasamenti o altri danni di perdita di valore mercantile delle produzioni. Il tema dell’irrigazione e, più in generale, della gestione della “risorsa acqua” è sempre più centrale. Si passa nell’arco di una medesima stagione dalla siccità alle alluvioni e viceversa, con una frequenza veramente preoccupante. In termini generali, la nostra regione è un territorio fortunato perché i grandi laghi lombardi rappresentano una ri-
FIGLI E TERRENI Ha fatto discutere la misura contenuta nell’ultima bozza della manovra di governo, ossia favorire la crescita demografica promettendo la concessione, per un periodo non inferiore a 20 anni, di terreni agricoli e terre abbandonate o incolte ai nuclei familiari con un terzo figlio nato nel triennio 2019 - 2021. «Questa, così come l’assegnazione in concessione di terreni demaniali in via preferenziale ai giovani, sono tutte iniziative concettualmente interessanti, ma che all’atto pratico non impattano significativamente sul fare impresa. La famiglia è importante e punto di riferimento di moltissime aziende del settore, ma non è il numero dei figli a determinare le capacità del bravo imprenditore, sebbene la continuità familiare rimanga uno dei punti di forza del fare impresa in agricoltura», ha commentato Boselli.
sorsa che tanti altri territori ci invidiano. Da anni, però, rimangono irrisolti alcuni problemi strutturali che impediscono di attuare una regolazione dei laghi che massimizzi l’accumulo e, quindi, l’utilizzo della risorsa idrica; limiti a cui si aggiungono in taluni casi norme di regolazione altrettanto insensate. A tutto questo si potrebbe porre rimedio a costo zero o quasi ed è veramente assurdo non farlo. Però anche il tema del contenimento della fauna selvatica alloctona e/o nociva ha assunto da tempo più i connotati della vera emergenza che non quelli di un semplice problema da risolvere». Quali gli aspetti più preoccupanti? «Ormai per le nutrie non si può più ragionare in termini di contenimento, ma di vera e pro-
pria eradicazione ma servono ingenti risorse e metodi di lotta meno condizionati da aspetti burocratici. Sul cinghiale invece è più che una sensazione quella di un circuito commerciale della carne e della lobby dei cacciatori che spesso rende inefficaci le azioni di contenimento anche “innovative”, come quelle da poco poste in essere dall’assessorato all’Agricoltura della Regione Lombardia. Infine, veramente inaccettabile e penalizzate che gli eventuali - e insufficienti - indennizzi riconosciuti alle aziende agricole debbano essere scontati sul regime “de minimis” delle imprese, con l’effetto che aziende che vengono colpite per più di una volta da questo tipo di danno non possono poi ricevere alcun tipo di indennizzo». Tra le vostre richieste all’Assessorato regionale, c’è quella di implementare il Programma sviluppo rurale. Con quali priorità? «Condividiamo le scelte dell’Assessorato di dare la massima attenzione possibile al tema dell’aggiornamento infrastrutturale delle imprese con l’apertura programmata per fine novembre dei bandi a valere sulle misure 4.1.1 e 4.2.1. Solo l’azienda che rinnova è l’azienda che innova, e senza innovazione e ricerca applicata non si va da nessuna parte. In termini più generali, però, dobbiamo lavorare affinché la programmazione 2021 – 2027 si apra con presupposti differenti, immaginando l’adozione di un Psr che dopo pochi mesi dall’inizio della stessa consenta l’apertura delle domande presentate dalle aziende con la massima continuità possibile con la programmazione avviata alla chiusura. Su tutto questo pende l’incertezza della definizione a livello comunitario delle nuove regole di programmazione. Come Confagricoltura Lombardia abbiamo chiesto di lavorare come se non ci fosse l’appuntamento elettorale della prossima primavera, ma ovviamente serve il piano b nel caso si debba affrontare un regime transitorio per una o più annualità». La battaglia per la tutela dei fondi contro la proposta della Commissione Ue di riduzione del finanziamento della Pac è appena iniziata. «Gli obiettivi restano certamente contenere al minimo il taglio del budget agricolo ed evitare che siano le imprese del nostro settore a pagare il conto della Brexit. Ma le considerazioni da fare sono un pò più complesse. Gli agricoltori sono ben consapevoli che, in un quadro di invarianza di pressione fiscale e di politiche di emergenza che richiedono nuove risorse, da qualche parte il
Antonio Boselli, presidente di Confagricoltura Lombardia
taglio vada fatto, ma è inaccettabile che l’Ue non valorizzi l’unica vera “politica economica” che è riuscita a porre in essere, ovvero quella agricola. Perché, per Confagricoltura, la Pac è e deve continuare a essere una politica economica, non una rendita - per altro insufficiente - per aziende improduttive. Pianura, collina, montagna sono diverse e hanno bisogno di una Pac a differenti declinazioni, ma evitando la dispersione di una quota molto significativa del budget in inutili minimi rivoli di contribuzione, si potrebbe dare leva a iniziative dall’efficacia ben maggiore». Capitolo tutela Dop e Igp. Quali le prospettive di salvaguardia del made in Italy? «Ormai la spinta segmentazione commerciale dei prodotti agroalimentari credo imponga una riflessione profonda sul made in Italy, concetto e prodotto che rimane per noi l’unica ancora di salvezza, non potendo la nostra agricoltura competere dal punto di vista strutturale con quelle di altri continenti. Dobbiamo pensare a un made in Italy e a un “made with Italy”, ovvero a prodotti agroalimentari di eccellenza ottenuti solo da materia prima nostrana. Questo perché l’Italia è autosufficiente solo al 75 per cento del proprio fabbisogno e quindi tanto più esportiamo prodotti trasformati quanto più entrano commodities agricole, spesso provenienti da Paesi che hanno costi di produzione inferiori per norme sul lavoro e di tutela ambientale ben meno stringenti delle nostre. L’ingresso di questi prodotti nelle filiere agroalimentari italiane non permette più una forte caratterizzazione nazionale delle nostre produzioni. Esistono centinaia di marchi commerciali di primissima qualità che potrebbero essere rafforzati da una ulteriore valorizzazione in questo senso». ■ Francesca Druidi
Il Giornale dell’Agricoltura Dicembre 2018 • Pag. 8
Speciale Fazi
La fiera del settore primario Con Fazi 2019 il Centro Fiera di Montichiari propone un’esposizione completa, riconfermando la sua storica vocazione all’agricoltura e proponendosi come punto di riferimento privilegiato per il dibattito e la crescita delle imprese alorizzare le eccellenze della zootecnia italiana. È l’obiettivo della rassegna Fiera Agricola Zootecnica Italiana (Fazi) che, in programma dall’1 al 3 febbraio 2019 al Centro Fiera di Montichiari, si annuncia come un evento di primo piano per il comparto, giunto ormai alla sua 91esima edizione. Il 2018 è stato un anno importante per Fazi: il traguardo delle 90 edizioni della manifestazione ha, infatti, coinciso con i 90 anni del polo espositivo Centro Fiera del Garda, che mantiene e rafforza la sua vocazione agricola e zootecnica (sede di uno storico mercato degli animali da reddito dalla forte tradizione). Confermati il profondo legame con il territorio e l’obiettivo di accompagnare la crescita dell’agricoltura all’insegna dell’innovazione. L’hub fieristico di Montichiari è al centro del sistema zootecnico nazionale per qualità e volumi prodotti nei vari comparti lattiero-caseario, suinicolo, della carne bovina, avicola e di uova. Inoltre, l’agricoltura rappresenta a Brescia - e in generale in Lombardia - una voce non indifferente dell’economia. Secondo i dati dell’Istituto Nazionale di Economia Agraria nel 2014 le attività agricole lombarde hanno prodotto un valore pari a 40 miliardi di euro, oltre un settimo del prodotto interno lordo, ma se all’agricoltura si unisce anche l’industria agroalimentare, le imprese del settore hanno raggiunto un quinto del totale italiano. Inoltre, le esportazioni dell’agroalimentare lombardo producono un giro d’affari di 6,4 miliardi l’anno, pari a circa un sesto del totale italiano. L’edizione 2019 di Fazi conferma una superficie espositiva di circa 40mila metri quadrati coperti (dei quali 8mila occupati nel 2018 dalle mostre zootecniche) e riparte dagli ottimi numeri registrati quest’anno: 8 padiglioni, 496 espositori e quasi 39mila visitatori.
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La Fazi propone una vetrina completa del comparto agricolo: nei tre giorni di fiera allevatori, agricoltori e operatori del settore avranno la possibilità di valutare le migliori opportunità sul fronte dei servizi e di confrontarsi con i più importanti marchi italiani e internazionali di macchine e attrezzature agricole (lavorazione terreno e fienagione), attrezzature e prodotti per la zootecnia, soluzioni per le stalle e le strutture di ricovero e allevamento degli animali. Senza dimenticare la nuova frontiera delle energie da fonti rinnovabili, per ridurre i costi di gestione delle aziende agricole e per offrire nuove opportunità di business in campo energetico.
TRADIZIONE E INNOVAZIONE Grazie alla qualità dell’offerta espositiva, nonché a iniziative ed eventi zootecnici di livello, la fiera costituisce un esempio concreto di marketing territoriale, in grado di fornire un supporto concreto alle attività produttive che valorizzano il territorio. Al contempo, Fazi si presenta anche come luogo di dibattito e di aggiornamento attraverso un programma di convegni, workshop e seminari tecnici che si concentrano sulle sfide del settore tra cui la sostenibilità, l’assistenza e i servizi agli allevatori, la sicurezza alimentare, la qualità delle produzioni, il rispetto dell’ambiente e il benessere animale e del suolo. A farla da padrone saranno i temi di attualità, che il mondo agricolo dovrà approfondire. Nell’edizione 2018 si è molto discusso del presente e del futuro della Politica agricola comune e di zootecnia biologica, una nuova
frontiera che sempre di più sta prendendo piede, soprattutto nell’ottica della diversificazione e del miglioramento della redditività. “Innovare per mettere a frutto un patrimonio di tradizioni unico in Europa: è questo uno dei principi guida dell’agricoltura italiana”, identifica uno dei motti della manifestazione. Il miglioramento costante dei processi produttivi è la strategia più efficace per superare l’attuale momento di incertezza e crisi economica. Chi innova e interpreta per tempo le esigenze del mercato ha maggiori opportunità di rispondere alle richieste dei consumatori e restare competitivi. Come da tradizione, la Fiera Agricola Zootecnica Italiana di Montichiari ospiterà il Dairy Show, la 18esima edizione dell’European Open Holstein Show, appuntamento internazionale dedicato alla razza Frisona. Nell’edizione 2019 verranno selezionate le candidate al prestigioso confronto europeo che si terrà a Libramont (Belgio). ■ Leonardo Testi
AUMENTA IL CONSUMO DI CARNE BIO Il tema della zootecnia biologica si innesta nello sviluppo positivo che ha registrato il biologico in questi anni. Un vero e proprio boom, che riguarda i terreni coltivati ma non manca di caratterizzare anche il segmento della zootecnia. I dati del Sinab (Sistema informatico del biologico) relativi al 2016 hanno, infatti, messo in evidenza una crescita significativa anche per le produzioni animali. Da segnalare il numero di bovini allevati con metodi bio (oltre 331mila capi, +24,3 per cento rispetto al 2015) e di suini (oltre 56mila animali, + 13,3 per cento). Buono anche l’andamento per i caprini (+ 13 per cento), il pollame (+12 per cento) e gli equini (+ 9 per cento). Nel primo semestre 2017, in confronto allo stesso periodo dell’anno precedente, si è registrato un incremento del consumo di carni fresche e trasformate di origine biologica: +85 per cento nella grande distribuzione organizzata. I dati Sinab relativi alla fine del 2017 mostrano ancora un incremento del numero di bovini allevati con metodi bio (oltre 336mila capi, +1,5 per cento rispetto al 2016) e di suini (oltre 61mila animali, +8,3 per cento). Una conversione al biologico che risponde alle esigenze di mercato: da un lato c’è la richiesta sempre più pressante del consumatore ad acquistare prodotti biologici, in particolare fra le famiglie con bambini o a più alto reddito; dall’altro si registra l’esigenza di individuare altre forme di diversificazione, in grado di migliorare la redditività delle produzioni.
Il Giornale dell’Agricoltura Pag. 9 • Dicembre 2018
Il vero progresso ama la tradizione Insieme a Carlo Rinieri per scoprire come è nata e cresciuta l’omonima azienda forlivese a conduzione familiare prossima al secolo di attività
l futuro dell’agricoltura italiana (e non solo) passa da Forlì. Precisamente dall’azienda Rinieri, specializzata in una vasta gamma di macchine per la lavorazione e la gestione sia dei frutteti che dei vigneti. Si tratta di un futuro indubbiamente roseo se leggiamo le cifre da capogiro che questa azienda a conduzione familiare sta registrando di anno in anno, come ci mostra Carlo Rinieri, legale rappresentante della società: «Gli ultimi due anni (2018 e 2017) abbiamo chiuso con un aumento complessivo del fatturato oltre il 30 per cento, passando da 2000 a ben 2800 macchine prodotte in loco, dal primo disegno all’ultima verniciatura. Buoni anche gli ordinativi per l’inizio del 2019. Menzione particolare anche all’accordo che abbiamo siglato nel gennaio di quest’anno per una partnership con un’azienda di Bertinoro (FC), la Argnani & Monti, specializzata nella produzione di caricatori frontali, lame apripista, spartineve e macchine spargisale. Questo ha portato ad una unione delle nostre due reti commerciali. E nei prossimi anni amplieremo questo accordo perché l’obiettivo è crescere sempre di più in un mercato altamente competitivo. E si sa, l’unione fa la forza, soprattutto in questi tempi». Una storia di orgoglio italiano e territoriale che parte da molto lontano nel tempo. Era il 1920 quando Olinto Rinieri, nonno di Carlo che di mestiere faceva il fabbro, fondava a Predappio “Rinieri”, una piccola officina artigianale trasferitasi successivamente a Forlì e trasformata, su iniziativa del figlio Ambrogio, in fabbrica vera e propria, cui si sarebbe presto affiancata la moglie Augusta Zanetti. In un primo momento insieme e con Augusta da sola dopo, l’azienda riuscirà a passare da una dimensione prettamente locale a una internazionale. Ad aiutare questo
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I NUMERI
Oggi possiamo vantare 85 risorse interne di cui 60 impegnate nella produzione. Siamo presenti in tutta Italia e in ben 60 Paesi del mondo passaggio la fusione, nel corso degli anni Novanta, con la Rinieri Giovanni, azienda fondata dal fratello di Ambrogio, che aveva già cominciato ad affacciarsi al panorama oltralpe. «Il forte senso di appartenenza e l’indole familiare sono sempre stati la chiave di volta di ogni cambiamento – spiega Carlo –. Se alla fine degli anni Sessanta avevamo 25 dipendenti e ci rivolgevamo soprattutto a clienti in Emilia Romagna, ora possiamo vantare 85 risorse interne di cui 60 impegnate nella produzione che ci permette di essere presente in tutta Italia e in ben 60 Paesi del mondo. Tutto questo lo dobbiamo alla famiglia intera, alla tradizione che si è sempre accompagnata all’innovazione
e che ci ha permesso di ottenere lo sviluppo di una gamma di prodotti che si conferma la più ampia in Italia e tra le prime a livello europeo». Tutti i progetti sono sviluppati dall’ufficio tecnico composto da un team di quattro persone che si avvale della collaborazione dell’Università di Bologna. Merita una particolare menzione il progetto della serie Turbo i cui prodotti per il diserbo ecologico presentati all’Eima nel 2016 hanno guadagnato un certo successo. Si tratta, infatti, di un gruppo scavallatore con lama sarchiatrice che effettua lo scavallamento del ceppo con L’azienda Rinieri ha sede a Forlì (FC) www.rinieri.com
rotazione a 90 gradi dell’utensile di lavoro consentendo così una discreta velocità di avanzamento. Oppure le cimatrici con telaio Tower, che lavorano con estrema pulizia e garantiscono la massima versatilità potendo montare le barre di taglio, la defogliatrice, la spallonatrice e la prepotatrice. Infine, l’ultimo arrivato del 2018: il sistema “bio-dynamic” di attrezzature interceppo per un rapido diserbo meccanico fino a 15 km/h sia dei vigneti che dei frutteti, che ha raccolto a sua volta molti consensi. Ultimo, ma non per importanza, sottolineiamo il conferimento della coccarda blu delle novità tecniche ottenute ad Eima 2018 con il prototipo di un macchinario per la potatura, la simultanea trinciatura dei tralci ed il convogliamento del residuo verso un rimorchio. «Oggi produciamo una vasta gamma di macchine agricole con più di 250 modelli tra coltivatori interceppi, frese, interratori di concime, rasaerba, concimatrici, cimatrici per vigneto, bracci decespugliatori, macchine e attrezzature per viticoltura, potatrici e trinciatrici –precisa Rinieri -. Sono interamente sviluppati nel nostro ufficio tecnico con cad 3d per poi essere prodotti internamente nei nostri reparti di tornitura, fresatura, taglio al laser, carpenteria, verniciatura e montaggio». Tuttavia, l’improvviso aumento dei volumi produttivi negli ultimi tempi ha portato la società ad avvalersi di terzisti selezionati della zona per la gestione di alcune lavorazioni. «Per trarre più vantaggio possibile dagli spazi a noi disponibili abbiamo deciso di modificare il layout dei reparti produttivi – afferma Rinierie stiamo valutando un ampliamento dello stabilimento. Senza dubbio la sfida oggi è riuscire a calibrare la nostra capacità di produzione con l’ottimizzazione dei processi e soprattutto la velocità di risposta alle richieste di una clientela sempre più esigente e cospicua» conclude Carlo. Una sfida che fa onore a tutta l’azienda. ■ Giulia Petrozzi
LA PARTNERSHIP CON ARGNANI & MONTI Siglata lo scorso gennaio del 2018 la partnership con la vicina azienda Argnani & Monti ha permesso alla Rinieri di unificare la rete commerciale sia nazionale che estera delle due realtà imprenditoriali. Ad oggi, infatti, la rete di vendita di entrambe le aziende comprende i rispettivi listini in modo tale da proporre ai clienti di ambedue un’offerta sempre più completa e spe-
cializzata. L’intesa porta benefici multipli e condivisi. Se la Rinieri consente alla Argnani & Monti un’entrata al mercato internazionale, a sua volta la Rinieri beneficia di un ampliamento di gamma e quindi a nuove opportunità. Per il futuro, inoltre, non sono escluse nuove sinergie aziendali sia a livello logistico che produttivo.
Avanguardia tecnologica La qualità senza compromessi è l’unica strategia in cui Gino Merciari crede davvero. Ed è secondo i criteri più restrittivi che produce attrezzature agricole di prim’ordine
acchine agricole che consentono un’esecuzione efficiente e corretta, riducendo in questo modo tempi di lavoro, consumi energetici e numero di passaggi sulla superficie coltivata». Gino Merciari, titolare della C.M. Macchine Agricole, introduce così l’obiettivo dell’impresa riminese. Una mission, quindi, che predilige la qualità della propria produzione, in un’ottica strategica di mercato vincente. «La nostra attività – dice Merciari – consiste nel progettare, produrre e vendere attrezzature agricole, garantendo al cliente di operare in qualsiasi ambito di settore. Le diverse macchine agricole realizzate corrispondono a soluzioni innovative e tecnologicamente avanzate. La riduzione di tempi e consumi, che è possibile con la nostra strumentazione, garantisce rese colturali ottimali». Stando a quanto spiega il titolare della C.M., nella sua azienda si trovano «macchine e attrezzature agricole – continua Merciari − di elevata qualità a costi competitivi, assistenza pre e post vendita qualificata, pagamenti personalizzati, concordati in modo diretto e immediato, assistenza riguardo la spedizione delle macchine agricole, certezza della garanzia e dell’assistenza tecnica per le riparazioni e i ricambi, offerte di nostri prodotti. Preferire il marchio C.M. non significa unicamente scegliere attrezzature agricole di qualità, ma anche l’opportunità di accedere a servizi studiati su misura delle singole esigenze. Ovviamente, i nostri articoli sono progettati e realizzati nel preciso adeguamento dei criteri di sicurezza previsti dalle normative europee a marchio “CE”. Il modus operandi ha finora centrato il bersaglio di una crescita costante.
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«L’ultimo periodo, in particolare, è stato contrassegnato da un segno positivo, con un più venti per cento, dovuto anche all’ampliamento dell’area geografica di riferimento. Ora possiamo guardare con fiducia al futuro. L’inserimento delle innovazioni tecniche e tecnologiche, in particolare, sarà fondamentale. Ogni ditta si misurerà secondo le proprie capacità e ambizioni. Per noi resta importante realizzare macchine e attrezzature sicure, efficienti, permettendo di ridurre i tempi di lavoro, i consumi energetici, garantendo rese colturali ottimali, il tutto a soddisfazione delle richieste lavorative personali. Tra gli altri, segnaliamo la nostra gamma di articoli raccogli tubo Ciclope, lo scava fosso Rolly, Erpice demuschiatore Erpym, il rincalzatore Scout (ideale per i frutteti): questi prodotti sono la dimostrazione di una costante ricerca nel soddisfare le esigenze degli agricoltori». ■ Renato Ferretti C.M. Macchine Agricole a sede a Poggio Torriana (Rn) www.costruzioni-meccaniche.net info@costruzioni-meccaniche.com
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Innovazione
Macchine agricole, l’Italia resta leader L’industria italiana spicca sul piano tecnologico e dell’internazionalizzazione, come ha dimostrato la recente edizione di Eima. Ma è anche un settore produttivo con specificità che richiedono interventi mirati, come spiega il presidente di FederUnacoma Alessandro Malavolti ecord di visitatori per la 43ma edizione di Eima International, la rassegna della meccanica agricola organizzata da FederUnacoma nel quartiere fieristico di Bologna. Superati i numeri del 2016, con 1.950 industrie espositrici, 317mila visitatori, in crescita dell’11 per cento rispetto alla precedente edizione, e oltre 50mila operatori esteri provenienti da 150 Paesi. «È un grande successo per la nostra Federazione e per la fiera di Bologna - ha dichiarato il presidente di FederUnacoma Alessandro Malavolti - ma soprattutto per le industrie della meccanica agricola, un settore che sorprende per il livello tecnologico e che sta entrando nell’immaginario collettivo come un simbolo di progresso e di civiltà. Queste macchine sono sempre più potenti e nello stesso tempo sempre più raffinate e sensibili rispetto all’ambiente e alla sicurezza, attirando una folla di giovani, mai numerosi come in questa edizione». Alla fiera, che dà appuntamento al 2020 (dall’11 al 15 novembre), è intervenuto anche il ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali e del Turismo Gian Marco Centinaio, che si è dimostrato aperto alle esigenze del comparto. «Non esiste agricoltura senza meccanica agricola – ha commentato Malavolti – e occorre per questo sviluppare politiche per il settore primario che concepiscano la meccanizzazione come elemento strutturale». Preoccupa il dato sugli incidenti in agricoltura (200 morti in media ogni anno), incidenti in gran parte causati dall’uso di macchine vecchie e mai revisionate. FederUnacoma chiede in particolare lo sblocco dei decreti attuativi per la revisione obbligatoria delle macchine agricole. Il decreto è stato approvato nel 2015 e si aspetta da quasi tre anni e mezzo che divenga operativo. «Sono cer-
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to che a partire da oggi – ha aggiunto il presidente - su questa e su molte altre questioni che riguardano la meccanica agricola, vedi la compatibilità delle nuove norme con le caratteristiche dei mezzi agricoli, la razionalizzazione delle pratiche per l’erogazione dei Psr, i fondi per la ricerca, si possa lavorare in sintonia con il ministero e con il governo». A partire dall’impegno a incoraggiare l’avvento di una nuova generazione di agricoltori, motivati e aperti all’innovazione. UN MERCATO IN TRASFORMAZIONE Eima è stata anche l’occasione per fare il punto sull’andamento delle macchine agricole a livello internazionale e domestico. L’Italia mantiene una posizione di leadership a livello mondiale, con un fatturato che a fine anno, includendo anche le attrezzature per il giardinaggio e la cura del verde, dovrebbe raggiungere gli 11 miliardi, in linea con i livelli degli anni precedenti. I ricavi provenienti dalle esportazioni dovrebbero attestarsi sui 5 miliardi, in lieve flessione rispetto al 2017. Tra
i primi mercati di destinazione gli Usa, con un balzo del 17,8 per cento in valore. In diminuzione, invece, la Francia, primo sbocco per il macchinario made in Italy. Il mercato interno registra un aumento delle compravendite di macchine usate: nei primi nove mesi dell’anno, secondo l’ufficio studi di FederUnacoma, a fronte di 14.353 unità di nuova immatricolazione ve ne sono oltre il doppio usate, con una crescita del 7,6 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. «Oggi la quota di usato, con una età media delle trattrici vendute pari a circa vent’anni, rappresenta un freno al miglioramento qualitativo del parco macchine», ha spiegato Alessandro Malavolti. «A livello europeo abbiamo il problema di normative che regolano le caratteristiche dei mezzi meccanici e dei motori, derivate direttamente da quelle per l’automotive e che risultano spesso inapplicabili ai mezzi agricoli, mentre per il settore agroindustriale nel suo complesso abbiamo bisogno di politiche di sostegno alle filiere, concependo la meccanizzazione come
elemento non accessorio ma strutturale delle filiere stesse». I primi nove mesi del 2018 tracciano una nuova geografia globale delle vendite, secondo i dati forniti da Agrievolution, l’associazione che riunisce i costruttori dei principali Paesi produttori di macchinari agricoli. Alla crescita significativa degli Stati Uniti (+8 per cento) e dell’India (18 per cento) si accompagna l’arretramento in Europa (5 per cento), con risultati disomogenei che derivano in parte dall’annata agricola e in parte dalla politica protezionistica dei dazi portata avanti da alcuni Paesi. «Quando si parla di strategie di sviluppo sui mercati esteri, si parla comunque di risorse finanziarie da investire per la promozione delle nostre imprese e per tutte le necessarie procedure di accostamento ai nuovi Paesi. Sarebbe dunque importante che l’Ice potesse avere maggiori dotazioni finanziarie per sostenere mostre collettive, missioni esplorative e indagini di mercato», aggiunge Malavolti. FederUnacoma incoraggia le aziende del settore a creare consorzi, anche al fine di garantire nei nuovi Paesi di sbocco l’approv-
Alessandro Malavolti, presidente di FederUnacoma
vigionamento ricambi e l’assistenza tecnica. «I grandi gruppi sono più attrezzati in questo senso, mentre le piccole e medie imprese hanno invece bisogno di agire in sinergia. Il primo passo, tuttavia, è quello di produrre tecnologie che si adattino alle condizioni ambientali e ai modelli di agricoltura presenti nelle diverse aree del mondo. L’industria italiana ha, per suo merito, questa flessibilità e questa capacità progettuale». ■ Francesca Druidi
L’AGRICOLTURA DEI MILLANNIAL L’agricoltore 4.0 italiano è giovane, diplomato o laureato, vive e lavora nel Nord Italia ed è alla guida di una azienda con una superficie coltivabile superiore ai 50 ettari. Lo stabilisce una ricerca di Nomisma promossa dell’Informatore Agrario, e presentata a Eima, che fa il punto sull’evoluzione digitale dell’agricoltura. L’indagine ha coinvolto circa mille imprenditori, attraverso un questionario, partendo da uno scenario nazionale che conta 1,1 milioni di aziende agricole, il 60 per cento delle
quali di piccole dimensioni, e che deve anche fare i conti con il digital divide: nelle aree rurali solo il 77 per cento della popolazione ha infatti accesso a internet. Condizioni non favorevoli che però non incidono sulla propensione all’innovazione, considerata fondamentale per la sopravvivenza dell’impresa dal 72 per cento degli intervistati. La grande maggioranza degli imprenditori coinvolti nella ricerca è proprietaria dei trattori che utilizza, acquistati nei tre quarti dei casi con capitale pro-
prio. Il 18 per cento degli agricoltori usa trattrici a guida assistita a o semi automatica. Il 22 per cento, infine, se avesse a disposizione 10mila euro da investire li userebbe per aumentare la dotazione tecnologica della propria azienda. A livello mondiale i sistemi digitali per l’agricoltura valgono 3,5 miliardi, cifra che si riduce notevolmente in Europa (700 milioni) e in Italia (100 milioni), dove la superficie agricola “digitalizzata” rappresenta solo l’1 per cento del totale.
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Anticipare le richieste di mercato Loris Fattori ci racconta come è cambiato il mercato delle macchine agricole dagli anni ’80 a oggi e perché vale la pena osare nella produzione per distinguersi dalla concorrenza na volta si andava con più calma, e spesso bastava una parola e una stretta di mano. Una regola che sembra valere anche nel settore delle macchine agricole, soprattutto per le aziende che nascevano come ditte artigiane in un periodo di crescita del mercato. «Oggi il rapporto col cliente richiede maggiore cautela, servono garanzie e chiarezza. Prima ci si muoveva a piccoli passi, oggi si va un po’ più di corsa, ma nel frattempo la ditta è cresciuta, mantenendo un approccio artigianale di alta qualità». Loris Fattori racconta così un cambiamento vissuto prima da dipendente dell’azienda di produzione di carri agricoli T.F., fondata dal padre signor Daniele Fattori nel 1980, a cui nel 2012 a causa della prematura scomparsa, è succeduto. Da allora si è scelto di mantenere uno stile artigianale con uno staff che oltre i due soci (Loris Fattori appunto e Giovanni Moneta), conta 11 dipendenti di cui uno alle vendite e tre in ufficio. «Questa visione alza leggermente i costi di produzione, ma consente di cucire il prodotto addosso alle esigenze del singolo utente e al tempo stesso ci permette di distinguerci dalla concorrenza con scelte mirate». L’ingrediente vincente per conquistare i clienti è sempre la qualità, che aiuta a battere la concorrenza nel settore delle macchine agricole specializzandosi in una produzione ricca e tutta customizzata. «Produciamo principalmente su commessa. Il cliente sce-
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T.F. di Fattori Daniele M.&C. si trova a Carpegna (PU) www.tfdifattori.it
glie tra i nostri rimorchi agricoli il prodotto più idoneo. Una volta che è tutto definito, si parte con la realizzazione della macchina su misura. Altre volte invece, si cerca anche di produrre qualcosa di standard o di innovativo per cercare di pilotare l’utente verso macchinari che non sono ancora sul mercato». Anche le ditte artigianali possono innovare le abitudini dei clienti, anticipandone i bisogni. «Abbiamo creato rimorchi a pianale ribassati, con massa complessiva di 50/60 e 100 q.li. Il trasporto di animali vivi è un contesto interessante dove ci distinguiamo producendo, oltre il rimorchio classico, anche macchine più grandi e particolari. Ad esempio prima non esistevano sul mercato rimorchi per trasporto animali vivi di 5 e 6mt, con masse complessive di 100 quintali, balestrati». La sfida è stata quindi quella di realizzare i prototipi per presentarli direttamente sul mercato, senza aspettare le commesse. «Un esempio sono i pianali particolari alti 55/60cm con ruote sotto il pianale e un sistema doppio asse ideato da noi. Abbiamo realizzato un trasporto persone, omologato, per agriturismi che può portare fino a 20 persone in giro per l’azienda e su strada». Una serie di innovazioni sulle quali il mercato reagisce, aumentando gradualmente la richiesta, concentrandosi su un settore in particolare. «Abbiamo avuto grandi soddisfazioni dalla vasta gamma di rimorchi per trasporto animali vivi. Inoltre, mentre per i pianali più grossi ed i Dumper ci scontriamo con i titani delle produzioni (verso i quali cerchiamo di distinguerci con la realizzazione di macchine personalizzate, utilizzando materiali di qualità certificati, per garantire leggerezza e nello stesso tempo senza penalizzare la robustezza), abbiamo una certa richiesta dei pianali ribassati che difficilmente si trovano sul mercato». La T.F. di Fattori Daniele produce circa 200
NON SOLO RIMORCHI
Costruiamo anche attrezzature zootecniche ed effettuiamo un servizio di arredamento di stalle, forniamo a corredo i macchinari che commercializziamo, comprese le attrezzature per il pascolo brado rimorchi l’anno che poi vengono distribuiti sul mercato tramite agenti e punti vendita, o tramite vendita diretta all’utente privato. «Abbiamo anche una sezione usato, nata a livello locale che con internet si è estesa a servizio nazionale». Quando si usano macchine agricole, il rispetto delle normative è di fondamentale importanza. «Siamo controllati dal Ministero dei Trasporti che ogni due anni effettua controlli di verifica in azienda affinché venga seguita una certa procedura. Al momento non è richiesto dal mercato, ma stiamo ragionando se dotarci, in futuro, di un sistema qualità di tipo Iso». Dopo la partecipazione alla Fiera Eima, crescono i progetti per il futuro. «Alle fiere internazionali c’è sempre un buon riscontro, con diversi contatti che poi diventano contratti di vendita. Ora stiamo lavorando per avere nuove omologazioni di tipo “mother regulation” per avere veicoli idonei a livello comunitario. In questo modo speriamo gradualmente di conqui-
stare i mercati esteri, a partire appunto da quello europeo». La produzione di rimorchi è l’attività principale, ma non ci si ferma qui. «Facciamo anche un servizio di costruzione di attrezzature zootecniche e di arredamento di stalle, sia su strutture da rimodernare che su capannoni nuovi, di cui completiamo l’arredo con tutto quello che serve: cancellate, pannelli catturanti, nastri per la pulizia del letame. Inoltre forniamo a corredo i macchinari che commercializziamo grazie al collegamento con altre ditte. Un servizio a 360 gradi che comprende anche attrezzature per il pascolo brado». ■ Patrizia Riso
L’INNOVAZIONE SICURA Tra la linea dedicata al trasporto animali vivi, spiccano i rimorchi agricoli biasse a bilanciere con balestre cantilever. I mezzi sono tutti omologati Cee e conformi alle normative Ausl. In particolare, hanno la caratteristica di riportare nella carta di circolazione la dicitura “trasporto animali vivi” come richiesto dagli organismi di vigilanza. Un elemento importante che non è sempre presente in altre macchine che troviamo sul mercato. «Abbiamo investito sull’aspetto della sicurezza e sulla conformità alle norme anche per fare in modo che i nostri clienti possano lavorare in tranquillità rispetto ai controlli su strada», sottolinea Loris Fattori che aggiunge: «Abbiamo in progetto e sono stati già realizzati anche dei nuovi prototipi di rimorchi particolari a pianale, dotati di sospensioni idrauliche gestite nei loro movimenti elettronicamente, sempre al fine di garantire maggiore manovrabilità e sicurezza agli utilizzatori finali».
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Innovazione
Un’identità da istituzionalizzare «Per prima cosa è il momento che il governo recepisca esattamente che cos’è l’attività agromeccanica». Lo chiede Gianni Dalla Bernardina, impegnato attraverso Cai a ottenere una qualifica professionale specifica per i terzisti agricoli ccoglie 22 mila imprese agromeccaniche, di cui 12 mila che svolgono servizi di terziarizzazione come attività principale, la confederazione Cai, realtà associativa che dall’anno scorso ha radunato sotto un unico ombrello una categoria divisa in passato tra Unima e Confai. Unendo contoterzisti e agricoltori nella comune battaglia per la ristrutturazione della meccanizzazione agricola che guardi verso sicurezza e innovazione, sostenendo il settore attraverso i contributi dello sviluppo rurale. «L’agroalimentare – afferma il presidente Gianni Dalla Bernardina - è un comparto chiave dell’economia italiana, di cui l’agromeccanica è un pilastro fondamentale. Per promuoverne la sostenibilità, in questo primo anno di attività abbiamo avviato un dialogo proficuo con Coldiretti, vera e propria forza sociale in Italia». Quale giro d’affari sviluppa a oggi il contoterzismo agromeccanico e che volumi di superfici interessa? «Le analisi condotte da Crea su dati Istat relative ai primi cinque anni di questo decennio hanno riportato un tasso di crescita di quasi il 3 per cento all’anno, dovuto in parte alla dismissione di macchinari e in parte alla diminuzione del numero di aziende agricole attive, che ha portato a una ridistribuzione delle terre. Poiché entrambi i fenomeni hanno mostrato un incremento negli anni successivi, abbiamo motivo di credere che il tasso di crescita, in termini di fatturato e di superfici, sia rimasto almeno costante. Sulla base dei dati pubblicati da Crea, il settore agromeccanico copre attualmente circa 8 milioni di ettari, pari a due terzi della superficie agricola utile nazionale». Quali lavorazioni hanno semplifi-
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Gianni Dalla Bernardina, presidente di Cai, Confederazione agromeccanici e agricoltori italiani
cato, in particolare, le soluzioni tecnologiche introdotte dalla filiera agromeccanica italiana nell’ultimo periodo? «I progressi più evidenti, visibili anche nel diverso orientamento del mercato delle macchine agricole, riguardano le lavorazioni a impatto ambientale ridotto, sia per la riduzione dei consumi sia per gli effetti sul suolo. Le norme sull’uso sostenibile degli agrofarmaci richiedono agli operatori una professionalità crescente, oltre all’impiego di macchinari sofisticati, che hanno portato le aziende agricole a delegare sempre più la difesa alle imprese agromeccaniche. Elemento comune a tutti i settori operativi resta tuttavia la diffusione, in rapida crescita, delle apparecchiature per il controllo delle funzioni, la guida assistita delle macchine e il dosaggio sito specifico dei mezzi tecnici, che consente la piena tracciabilità delle operazioni colturali». In una recente audizione in Commissione agricoltura al Senato, ha ricordato quanto l’approccio green sia strategico per i meccanici agricoli. Come li state accompagnando in questo passaggio? «I servizi richiesti dalle imprese agricole o, in molti casi, offerti dalle imprese agromeccaniche ai propri clienti, sono in perenne evoluzione. Tuttavia alcune costanti accomunano le nuove tendenze e cioè l’attenzione al suolo, evitandone il compattamento e il depauperamento, l’attenzione alle risorse idriche e alle falde acquifere, l’attenzione a un uso razionale dei mezzi tecnici e degli agrofarmaci, la riduzione dei consumi. La nostra organizzazione è molto attiva sul piano della formazione, organizzata attraverso seminari teorici, corsi pratici, visite nelle aziende costruttrici di macchine». Al centro delle problematiche che
investono il vostro comparto, come quello agricolo in genere, c’è quella del ricambio generazionale. Quali mosse potrebbero rivelarsi utili su questo versante? «Quella del ricambio generazionale è una questione critica. A differenza delle imprese agricole infatti, nel contoterzismo
agricolo non è stato minimamente sostenuto, rallentando i percorsi successori e gli ingressi dei giovani, che sono dunque molto più onerosi. Bisogna riconoscere che le aziende più dinamiche sono comunque riuscite a espandere la propria attività e il proprio raggio d’azione, ma una politica strategica verso i giovani, che nel nostro settore devono essere necessariamente iper-specializzati, sarebbe stata molto utile. Viviamo peraltro con preoccupazione la riforma della Pac, che nel disegno attualmente in discussione non prevede più l’obbligatorietà di sostegni specifici ai giovani, lasciando agli Stati membri la libertà di disporre misure ad hoc». A Bologna, durante Eima, avete ricevuto presso il vostro stand il ministro Centinaio. Quali richieste prioritarie per la futura competitività del vostro comparto avete sottoposto alla sua attenzione? «A Eima International abbiamo fatto cenno al ministro Centinaio di alcuni nodi da sciogliere e abbiamo convenuto di incontrarci al ministero per un dialogo più circoscritto. Chiediamo innanzitutto al governo di recepire esattamente che cos’è l’attività agromeccanica. Siamo da tempo impegnati per ottenere una qualifica professionale specifica, inserita in un contesto che non può che essere quello agricolo. Tenendo presente che l’attività agromeccanica ha valore non solo per mondo agricolo, ma per la società. Pensiamo, ad esempio, alla pulizia delle aree verdi, di fossi e canali, alla manutenzione delle strade in caso di neve o di avversità meteorologiche». ■ Giacomo Govoni
RICAMBIO GENERAZIONALE
Una politica strategica verso i giovani, che nel nostro settore devono essere necessariamente iper-specializzati, sarebbe stata molto utile
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A sostegno dei piccoli produttori e grandi aziende produttrici di macchine agricole spesso sono distanti dalle necessità dei piccoli produttori, costretti a scendere a compromessi per restare sul mercato, riducendo gli investimenti. «Oggi i piccoli produttori cercano di evitare di lasciare i prodotti alle cooperative che gli riconoscono risultati inferiori ai costi sostenuti». Davide Valdinoci conosce il settore in maniera approfondita. L’azienda che gestisce assieme al padre Riccardo è nata ufficialmente nel 2010, ma dopo oltre 30 anni di esperienza di progettazione elettronica per calibratrici per diversi costruttori nazionali e internazionali. «Nasciamo come azienda familiare di produzione di componenti elettroniche. Abbiamo creato la Fruit Tech per completare l’offerta, integrando la parte elettronica con la parte meccanica. In questo modo riusciamo a creare una linea per il confezionamento della frutta completa e tutta interna». La sfida sembra quasi paradossale ai tempi dell’esternalizzazione: mantenere la produzione interna e puntare sui piccoli produttori conviene. «Con grandi produzioni si può abbassare il costo esternalizzando, ma le macchine per gli agricoltori sono come vestiti su mi-
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Soluzioni mini La mini linea lavorazione serie S4v2 è la soluzione ideale per il piccolo produttore ortofrutticolo perché nasce per soddisfare necessità produttive ridotte con un costo di impianto accessibile. Le calibratrici vengono realizzate in versione base o estesa ed è possibile suddividerle per diametro o colore, per selezionare alcuni frutti con la tecnica del diametro elettronico. La forma compatta permette di alloggiare l’impianto in spazi ristretti, ma anche di dotarlo di alcuni accessori per garantire una maggiore produttività e una migliore logistica. Il controllo della macchina viene effettuato attraverso un pannello elettronico in grado di controllare tutti gli inverter di comando con la possibilità di connettere il suddetto pannello a computer, tablet e smartphone attraverso la connessione wireless. La macchina è stata sviluppata per ottenere un’installazione consona agli spazi logistici di ciascun cliente, con ridotto intervento tecnico. Il sistema è stato costruito interamente per ottimizzare il consumo energetico.
Davide Valdinoci della Fruit Tech spiega come oggi sia importante, anche per le piccole realtà agricole, il contributo di un’organizzazione della produzione automatizzata. Possibilmente su misura nersi in maniera più adeguata evitando di dipendere da un solo acquirente». Le piccole realtà vanno considerate anche nelle loro esigenze di contenere gli investimenti. «Uno dei nostri servizi caratteristici è che ci occupiamo anche della revisione di vecchie macchine della concorrenza, aggiornandole tramite il cosiddetto retrofit. Spesso le grandi aziende non producono più alcune componenti per vecchie macchine. Noi utilizziamo la nostra esperienza per sostituire le schede elettroniche anche su macchine di grandi marchi. In questo modo allunghiamo di qualche anno la vita produttiva del macchinario, permettendo a tante aziende che non possono investire di più di continuare a lavorare». Manutenzione, ma anche piani per il futuro. Spesso le realtà piccole sono a conduzione familiare e con l’automazione rieFruit Tech ha sede a Gambettola (FC) www.fruittech.eu
sura, per questo riusciamo ad ottenere una macchina a prezzi più competitivi proprio perché seguiamo tutto il processo dalla progettazione alla revisione, realizzando macchine che rendono i piccoli produttori in grado di competere sul mercato». Un lavoro basato sulla volontà di realizzare e proporre al cliente la migliore tecnologia a un prezzo competitivo. «Sviluppiamo l’aspetto tecnologico e le parti integranti delle macchine di selezione per risolvere le problematiche del cliente. Possiamo produrre soluzioni che spaziano dalla mini calibratrice estremamente compatta per i piccolissimi produttori con budget estremamente ridotto, fino alle macchine di maggiore produttività per realtà molto grandi». Davide si occupa della progettazione meccanica e Riccardo dei quadri elettrici utilizzando soſtware di progettazione all’avanguardia. «Per la parte meccanica usiamo Solidworks e per la parte elettronica i soſtware Cad. Tutte le componenti sono dedicate e vengono sviluppate e aggiornate a seconda di come cambiano le esigenze dei clienti. La progettazione in questa maniera è perfettamente integrata tra la parte meccanica ed elettronica, ottimizzando costi e tempi». Una modalità produttiva che consente di adattarsi alle richieste del cliente. «Le nostre soluzioni sono pensate per essere inserite in contesti lavorativi con spazi ridotti come piccoli capannoni, dove è difficile poter inserire una macchina o una struttura produttiva. Inoltre spesso i nostri clienti non hanno espe-
rienza di lavorazione automatizzata ed è necessario indirizzarli con input adeguati per capire le esigenze di chi acquista per la prima volta una macchina di calibratura». I piccoli produttori si sono sempre lamentati della difficoltà di rimanere sul mercato perché è il termine della filiera che determina i prezzi per tutto quello che è a monte, per cui i produttori si sobbarcano alti costi di produzione. «Con una calibratrice si ottiene una resa migliore utilizzando piccoli impianti per vendere il prodotto già confezionato, non sfuso. In questo modo, anche un piccolo produttore può servire i mercati ortofrutticoli locali. Diamo una mano ai produttori a soste-
scono, anche con poco personale, a raggiungere la produzione richiesta per rimanere sul mercato a prezzi concorrenziali. «Ecco perché stiamo valutando di produrre una linea di rovesciatori di cassette per accelerare una parte del processo e ridurre gli sforzi fisici nella giornata, a parità di prodotto lavorato». ■ Patrizia Riso
UN CONNUBIO PERFETTO
La progettazione è perfettamente integrata tra la parte meccanica ed elettronica, ottimizzando costi e tempi
Il Giornale dell’Agricoltura Dicembre 2018 • Pag. 16
Innovazione
Il contoterzismo guadagna terreno Una domanda di agricoltura sempre più specializzata e rispettosa del suolo, trova negli agromeccanici interlocutori affidabili, innovativi e conoscitori di tecniche avanzate di coltivazione dei campi. L’analisi di Aproniano Tassinari e la mietitrebbia è da sempre la regina dei campi, l’agromeccanico è il principe delle lavorazioni della terra. Questa la nuova equazione che si sta progressivamente affermando in ambito agricolo, rafforzando la centralità del contoterzismo nella gestione efficiente e sostenibile delle aziende operanti nel settore primario. Per dirla con un numero, attualmente in Italia si affida al contoterzista il 98 per cento della raccolta dei cereali. «La mietitrebbia - spiega Aproniano Tassinari, presidente di Uncai - è troppo grande e costosa per un’azienda agricola anche di medie dimensioni, pertanto ci pensa l’agromeccanico ad acquistarla e a farla lavorare il più possibile, a casa di più agricoltori». Per le stesse ragioni, cresce l’esternalizzazione delle lavorazioni che richiedono l’utilizzo di grandi macchine come la trincia, la cava bietole, irroratrici e in parte anche la vendemmiatrice meccanica.
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Aproniano Tassinari, presidente dell’Unione nazionale contoterzisti agromeccanici e industriali
In termini quantitativi, com’è cambiato negli ultimi anni il peso degli operatori agromeccanici nella lavorazione dei campi? «Oggi più che mai è una questione di qualità dei servizi, piuttosto che di quantità. Per questo negli ultimi 10 anni è salita al 14 per cento anche la fetta di contadini che affida la terra per intero ai contoterzisti. Ma il peso degli operatori agromeccanici è cresciuto soprattutto con la domanda di un’agricoltura sempre più precisa, specializzata e rispettosa del suolo». Quali vantaggi offre a un agricoltore affidare le lavorazioni della sua terra a un contoterzista, sia a livello economico che di disponibilità di personale qualificato?
«Il vantaggio economico dell’agricoltore è di non dover immobilizzare capitali importanti in mezzi agricoli che userà pochi giorni all’anno. Uno dei problemi dell’agricoltura italiana è proprio questo: ogni volta che un’azienda agricola, anche medio grande, acquista mezzi necessari a un cantiere sa che quel trattore, quel rimorchio o quella trebbia dovranno lavorare per lui almeno vent’anni per poterne ammortizzare la spesa. Nel frattempo i mezzi diventano meno sicuri, obsoleti e si guastano. Di solito, invece, un contoterzista li ammortizza in 5-7 anni e rinnova il parco macchine più spesso. Inoltre, lavorando essenzialmente sulle macchine, le conosce meglio di chiunque altro, svolgerà ogni lavoro a regola d’arte e le adopererà usando tutta la tecnologia presente a bordo». Per essere competitiva e biologica, l’agricoltura odierna è chiamata ad avvalersi di speciali sistemi tecnici di precisione e digitali. Quali soluzioni può offrire la rete italiana di contoterzisti sotto questo profilo? «Con la guida satellitare e il rateo variabile, l’agricoltura di precisione c’è da vent’anni. All’inizio però si è comportata come una bolla creando diffidenza tra gli operatori. Ma grazie alle connessioni più stabili e grazie all’Internet delle cose è cresciuta l’interconnessione e la cooperazione delle risorse, che siano macchine, persone o informazioni. I contoterzisti dispongono già di banche dati, terabyte di anni di lavorazioni dei terreni. Oggi arrivano sul mercato strumenti e professionalità adeguati per valorizzare e gestire al meglio i dati raccolti in ogni ambito, l’ortofrutticolo come il vitivinicolo e il cerealicolo. Inoltre i sistemi digitali consentono ai contoterzisti di controllare la flotta, le ore di produzione e di lavoro, i consumi di carburante, la produttività di ciascun mezzo e operatore».
Per quali tipologie di colture in particolare la filiera agromeccanica italiana ha compiuto i progressi maggiori negli ultimi 3-5 anni? «In Italia, dove l’industria della meccanizzazione agricola ha una lunga e importante tradizione, il contoterzismo ha contribuito allo sviluppo tumultuoso e rapido della tecnologia. Oggi cerca di diffondere le tecniche della minima lavorazione dei terreni, la raccolta meccanica nei frutteti, la semina di precisione, l’uso dei droni, il diserbo meccanico, vale a dire senza glifosato, il taglio lungo del foraggio. In generale i contoterzisti stanno trasformando l’agricoltura italiana diffondendo l’agricoltura di precisione e digitale, quella che si avvale del Gps, della sensoristica sui mezzi meccanici e in campo e di soſtware gestionali e previsionali in azienda. Una trasformazione trasversale a ogni coltura». Sempre in tema di innovazione tecnologica, all’Eima International 2018 eravate in prima fila. Quali anteprime e quali tematiche avete portato all’at-
tenzione del pubblico durante l’appuntamento bolognese? «Da sempre Eima consente ai contoterzisti di oggi e di domani di viaggiare con gli occhi e con il pensiero verso i confini della tecnologia al servizio dell’agricoltura. Abbiamo partecipato a incontri e convegni dedicati al pomodoro, tabacco, barbabietola, riso, vite e mais. I contoterzisti sono il primo tassello della qualità e della tracciabilità di un prodotto, che investe nei trattori e nei mezzi per i trattamenti e per la raccolta più moderni ed efficienti. Oggi l’innovazione ha però poco valore se non si spinge oltre gli aspetti meccanici. Insieme al mais o all’uva, i mezzi agricoli devono poter raccogliere informazioni in grado di sottrarre un prodotto dall’anonimato, fornendo prove inconfutabili della qualità tanto richiesta». All’ultima Giornata del contoterzismo avete sottolineato l’importanza di ottenere un riconoscimento anche politico della vostra categoria. Quali attenzioni (anche sul versante legislativo) richiedete in questo senso? «Poche settimane fa abbiamo incontrato a Milano il ministro Centinaio, che conosce bene la realtà del contoterzismo agromeccanico e dal quale ci aspettiamo lo sblocco della proposta di legge sulle attività agromeccaniche, ferma in Parlamento dal 2013. La nostra proposta favorirebbe, infatti, il processo di ammodernamento dell’agricoltura e un migliore utilizzo delle risorse della filiera. Chiediamo, quindi, un piano sicurezza in agricoltura che passi da una agenda politica per la meccanizzazione agricola, dalla revisione dei mezzi agricoli, dal sostegno agli agricoltori che investono in servizi agromeccanici e dalla formazione e certificazione degli operatori agromeccanici». ■ Giacomo Govoni
I SISTEMI DIGITALI
consentono ai contoterzisti di controllare la flotta, le ore di produzione e di lavoro, i consumi di carburante e la produttività di ciascun mezzo e operatore
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l mercato globale del turbocapitalismo ci ha abituato a una lotta infinita senza quartiere, senza tanti scrupoli. Significa che l’etica o le deontologie professionali hanno un valore sempre meno riconosciuto: l’unica cosa importante per un’azienda è avere successo, poco importa come. Ma non possiamo fare a meno di considerare l’imprenditoria come l’ossatura principale della nostra società, di conseguenza questa perdita morale corrisponde a un disastro sociale. Ma non solo, il “tutti contro tutti”, in molti casi, è anche controproducente da un punto di vista utilitaristico proprio per le Pmi, che costituiscono il grosso dell’economia italiana. Lo spiega bene Alessia Masetto, della trevigiana S.I.M.A. Srl, specializzata nella progettazione e costruzione di impianti di stoccaggio cereali, leguminose e farine di piccola, media e grande dimensione, realizzati “chiavi in mano”. «Nata nel 1980 – dice Masetto − e trasformatasi negli anni da piccola realtà artigianale ad
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Dall’etica alla competitività Alessia Masetto parla della sua esperienza nel settore dello stoccaggio cereali, spiegando l’importanza di solidi principi morali che, insieme all’esperienza e all’innovazione, costituiscono un elemento irrinunciabile
azienda strutturata (e con una rete vendite che le permette di essere
Silos di carico rapido I silos di produzione S.I.M.A. sono il risultato di una lunga esperienza nel settore dell’impiantistica dell’agroindustria. «La costruzione industriale – dice Alessia Masetto −, l’uso dei materiali di elevata qualità, la scelta oculata del tipo di realizzazione in base alle esigenze di ogni singolo cliente, fanno del nostro Silos di carico rapido un prodotto di elevata qualità con prezzi competitivi sul mercato. Il cilindro viene realizzato con pannelli in lamiera ondulata con montanti esterni di rinforzo, in acciaio strutturale FE S350GD Z450 g/m2 zinco completo di portello di ispezione; la bullonatura con protezione Geomet garantiscono una lunga durata dei materiali anche in zone con elevato tasso di inquinamento. La sigillatura viene realizzata con materiale termoplastico e la bullonatura viene dotata di rondelle in Pvc. Il tetto è composto da spicchi trapezoidali in acciaio Aluzinc, imbullonati sulle nervature di irrigidimento, con pendenza di 31°; sono garantiti la portata e la resistenza nel tempo; completo di portello di ispezione e cappello in vetroresina blu. Il calcolo delle strutture viene eseguito secondo le norme Din 1055 e per le zone sismiche vengono eseguiti in dimensionamento speciale in base alle normative di legge».
presente in molte aree del mondo), S.I.M.A. si distingue poiché fonda la propria attività su valori semplici ma solidi, mantenuti in vita dall’integrità morale dei fondatori e perpetrati negli anni da tutte le persone che lavorano in azienda. Per noi la soddisfazione del cliente e la capitalizzazione delle nostre risorse umane sono il più importante patrimonio aziendale». In che modo si coniuga l’integrità etica con il mercato spietato di oggi? «Il mercato del nostro settore è pieno di opportunità, ma anche pieno di insidie e di trattative al ribasso. So che può sembrare strano, ma l’unico modo per affrontarlo è proprio quello di non scendere a compromessi, proponendo materiale di alta qualità e cercando di soddisfare al meglio le esigenze dei nostri clienti. Perciò, oltre a considerare la propria affidabilità uno dei punti cardine della nostra azienda, i titolari Emilio Menegon ed Ezio Fabris hanno creato nel tempo un’organizzazione tecnica capace di far fronte al maggior numero di esigenze. Con un personale specializzato in grado di seguire tutte le fasi di lavorazione, l’azienda oggi propone una progettazione innovativa e flessibile, mirata alle soluzioni più funzionali e adeguate». Da un punto di vista produttivo che cosa vi distingue? «Trovare le soluzioni innovative e su misura per rispondere alle specifiche esigenze della clientela, è la parte più gratificante del nostro lavoro, perché esalta la nostra esperienza e
la nostra artigianalità. L’essere “sarti” è un tratto distintivo: la nostra forza è la parte produttiva abbinata all’esperienza tecnica nel settore. Non dimentichiamo, infatti, che i titolari sono ex montatori di silos, quindi imprenditori attenti alle reali esigenze del cliente. E come ogni
stro progetto di internazionalizzazione ha iniziato a dare i primi importanti risultati sul mercato estero, sia perché abbiamo siglato un importante accordo commerciale con una delle realtà di intermediazione e consulenza del nostro settore del Centro-Sud Italia più solide. Chiudendo l’anno con un fatturato che ha sfiorato i sette milioni di euro, l’azienda è in una situazione di crescita costante. Un’altra tappa fondamentale degli ultimi tempi riguarda una proficua collaborazione che ha permesso il riassetto aziendale, introducendo una metodologia di controllo analitico a tutti i livelli organizzativi. In questo modo abbiamo creato una struttura più rapida ed efficace per alti livelli di affidabilità̀ e qualità. Inoltre, stiamo approntando un progetto di sostenibilità: ristruttureremo un immobile acquisito nel 2018 bonificandolo e installando pannelli fotovoltaici in un’ottica di tutela ambientale e risparmio energetico. Potrete vedere i nostri cambiamenti sul nostro nuovo sito che sarà messo on line a breve». Quali sono i vostri mercati più
INSIDIE DEL MERCATO
L’unico modo per affrontarle è non scendere a compromessi, con materiale di qualità e cercando la soddisfazione del cliente
Alessia Masetto – a destra Fabris Ezio, amministratore e Maurizio D’Oria, direzione commerciale– a sinistra Emilio Menegon, amministratore e Federico De Lissandri, responsabile commerciale della S.I.M.A. di Spresiano (Tv) - www.simaimpianti.net
buon sarto, realizziamo anche materiale su misura accogliendo eventuali esigenze fuori standard, curando sempre anche i minimi dettagli. Inoltre producendo tutto all’interno della nostra azienda, sappiamo cosa vendiamo ed andiamo a proporre al cliente». Quali risultati avete raggiunto con questa filosofia aziendale? «Il 2017 è stato un anno di svolta rispetto ai precedenti, sia perché il no-
importanti? «Il nostro fatturato proviene da più paesi, sia intra che extra Ue, passando per il medio oriente, il Nord Africa e l’Africa subsahariana, arriviamo fino all’America Latina ed il sud est asiatico. In questo momento vogliamo incrementare il fatturato sul mercato italiano. Per questo stiamo potenziando la rete vendita nazionale così da coprire tutto il territorio». ■ Remo Monreale
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Innovazione nche quest’anno Eima, la fiera internazionale di macchine per l’agricoltura e il giardinaggio che si è tenuta a Bologna dal 7 all’11 novembre, si è confermata una vetrina importante, con centinaia di migliaia di visitatori. L’Ente Fiera organizza dei concorsi relativi alle novità tecniche che quest’anno hanno visto primeggiare la ditta MDB, con ben due premi per due diverse macchine innovative. La prima novità, spiega il titolare dell’azienda Marco Di Biase, «è relativa a un rasaerba molto compatto e facilmente trasportabile, che può essere utilizzato in parchi, giardini pubblici e, grazie a uno speciale sistema applicato ai piatti rasaerba, riesce a sfalciare la vegetazione sotto i guard rail stradali in maniera veloce e senza riduzione di velocità. Il rasaerba è stato sviluppato e costruito pensando a un utilizzatore professionale ma risulta interessante anche per un utilizzatore privato che lo userà per la manutenzione dei propri spazi verdi». L’altra macchina è ancora più innovativa ed è stata studiata per poter rispondere alle esigenze professionali di contractor che hanno bisogno di sicurezza e versatilità. «È una macchina operatrice che stabilisce dei nuovi standard relativi la manutenzione delle strade: pensata e sviluppata mettendo al centro dell’attenzione il conducente. Difatti l’ergonomia e il sistema di guida pongono l’operatore in condizione di poter utilizzare le
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Il valore della novità Riconoscimenti alla fiera Eima per la MDB, che si è aggiudicata due premi: per i nuovi rasaerba e la macchina operatrice. Le ultime innovazioni di una gamma che riesce a soddisfare tutte le possibili tipologie di utilizzo
il radiocomando, l’operatore può lavorare in zone pericolose senza nessun rischio. Inoltre, lavorando direttamente nelle scarpate, i robot della gamma Green Climber non intralciano il traffico e non creano rallentamenti alla circolazione. «I motori – spiega Di Biase - rientrano nelle ultime normative anti inquinamento e funzionano anche su pendenze di 60 gradi in qualsiasi direzione. Il carro cingolato dei modelli LV è a carreggiata allargabile, cosa molto importante quando si lavora in pendenza, di fatti la carreggiata più larga migliora il baricentro e, in pendenze estreme, riduce qualsiasi problema di stabilità derivanti da ostacoli nascosti come sassi o tronchi. Oltre all’allargamento dei cingoli, hanno anche la traslazione della piastra di aggancio dell’attrezzo che può traslare lateralmente per operare fuori dall’ingombro dei cingoli». ■ Lucrezia Gennari MDB si trova a Lanciano (Ch) www.mdbsrl.com
attrezzature agganciate alla macchina in maniera ottimale, con migliore visibilità e facilità di guida. Il conducente, avendo maggior confort, sente minor fatica e riesce a migliorare la produttività». Insieme alle già men-
zionate novità, la gamma completa delle macchine MDB riesce a soddisfare tutte le possibili tipologie di utilizzatori e di utilizzo. Il vantaggio principale delle macchine radiocomandate della MDB è la sicurezza: con
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Macchine dall’anima indistruttibile Il made in Italy, nel settore agricolo, è sinonimo di affidabilità e qualità. I macchinari sono esportati in tutto il mondo e apprezzati per le qualità tecniche e le soluzioni innovative nima indistruttibile”: è più di un mero claim ma rappresenta il legame tra un glorioso passato e un presente altrettanto fulgido. È la caratteristica immutabile di macchine dotate di tempra e che in 70 anni sono state capaci di affermarsi sul mercato conquistando la fiducia degli operatori del settore e degli agricoltori. Tortella è uno storico brand abruzzese nato nel 1949 che rappresenta macchine agricole per la lavorazione del terreno, dall’animo indistruttibile e dal design italiano, per uomini e donne dal carattere forte e sincero come la terra in cui nascono. Il marchio Tortella dal 2017 è entrato a far parte della REMU Srl, azienda metalmeccanica fondata nel 1972. «Abbiamo acquistato il marchio, i brevetti, i disegni tecnici e tutta la proprietà intellettuale e riavviato la produzione delle macchine agricole cominciando da: vangatrici, fresatrici, trinciatrici ed erpici – spiegano gli amministratori dottor Enrico e ingegnere Carlo Marasca. Tortella, rientra in una strategia di sviluppo, che insieme con le altre società di proprietà, REMU e ID&S, formeranno, dal prossimo gennaio il Marasca Group. La sfida nei prossimi anni sarà quella di rilanciare lo storico marchio nel panorama nazionale e internazionale facendolo tornare a essere un punto di rifermento nel mondo dell’agricoltura. Da due anni stiamo ormai producendo macchine agricole e ricambi, per tutte le attrezzature, a marchio Tortella. Stiamo riproponendo al mercato macchine robuste affidabili e con elevate prestazioni dall’anima indistruttibile. Infatti, uno dei tratti caratteristici che, da sempre, viene riconosciuto a queste macchine è la durata. La produzione delle macchine e di ricambi è affidata ai nostri stabilimenti di Manoppello (Pescara). Quindi, la macchine Tortella sono di nuovo in campo con tante no-
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Tortella ha sede a Manoppello Scalo (Pe) www.tortella.it
vità da svelare nel tempo». Insomma, nulla è mutato nella commercializzazione del prodotto, tutto invece nello stile manageriale. Per il prossimo futuro l’azienda sta già pensando alla realizzazione di nuovi macchinari e ciò avverrà intorno alla metà del 2019. Si tratta di prototipi ancora in fase di progettazione. «Uno dei principali vantaggi che contraddistingue sul mercato le macchine commercializzate a marchio Tortella sono l’affidabilità e la qualità del prodotto. Le macchine sono completamente realizzate in Italia con componenti commerciali di qualità e mantengono quelle prerogative di successo provenienti dal passato. Sono strumenti di lavoro che durano nel tempo. Ci sono agricoltori, ad esempio, che per più di trent’anni hanno usato la stessa macchina senza nessun problema con una or-
dinaria manutenzione». L’azienda dispone di un’ampia gamma di modelli, che rappresentano un vero e proprio punto di forza: «Siamo in grado di costruire macchine di piccole dimensioni che possono essere installate sui motocoltivatori, come la nostra vangatrice 001 o “Tortellina”, e macchine di dimensioni più grandi. Ad esempio, di recente, abbiamo venduto in Svizzera una vangatrice di
oltre quattro metri». I prodotti a marchio Tortella, al momento, sono le vangatrici, le zappatrici (frestrici), gli erpici e le trinciatrici. «I nostri prodotti, macchine e ricambi, stanno interessando operatori da più parti del mondo. Arrivano richieste dall’Europa, ad esempio Francia, Germania, Spagna e Portogallo, dal Sud America, Colombia e Brasile tra tutti fino in Libano e Caraibi. Arrivano richieste anche dagli Stati Uniti, dove il marchio Tortella è registrato, apprezzato e conosciuto. Le nostre macchine si adattano alla lavorazione di svariate tipologie di terreno. Sono utilizzabili, ad esempio, per la preparazione del letto di semina per le varie coltivazioni. Possano essere impiegate in campi aperti fino alla lavorazione di piccoli terreni. Abbiamo presentato la nuova realtà all’ultima edizione dell’Eima di Bologna presso lo stand Tecnovir con ottimo successo. I prossimi appuntamenti sono a febbraio dove parteciperemo alla fiera “World AG Expo 2019” in California, a marzo saremo alla “Expoagro 2019” in Argentina e ad aprile alla “Agrishow 2019” in Brasile. Insomma, l’obiettivo è quello di essere un punto di riferimento, per le macchine ed i ricambi, ricollocando il marchio Tortella dove storicamente si è sempre trovato nel mondo». ■ Luana Costa
GLI OBIETTIVI FUTURI Tortella guarda già al futuro attraverso la progettazione di un ripuntatore che verrà commercializzato a metà del prossimo anno. «Stiamo cercando di creare una macchina capace di differenziarsi sul mercato da tutte le altre in termini di lavorazione» spiegano gli amministratori Carlo ed Enrico Marasca. Benché provenienti da altri settori e, in particolare, da quello della meccanica di precisione e non agricolo, gli amministratori della Tortella, sono riusciti in breve tempo a riscuotere successo dovuto in parte alla forza trainante del marchio. «Riceviamo tantissime richieste per macchine nuove e ricambi ottenendo ottimi riscontri ed apprezzamento sia in Italia che all’estero».
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Allevatori
La supply chain bovina a “tinte verdi” Dal prossimo anno si aprirà un nuovo corso per gli allevamenti italiani, che verranno ulteriormente certificati attraverso un percorso garantito da elevati standard di sostenibilità. Con Roberto Nocentini entriamo nel dettaglio el 2019, con una prima fase di test che prevede il coinvolgimento di oltre 4.000 allevatori in tre anni, partirà una nuova stagione di sostegno alla filiera italiana della carne bovina sostenibile. Lo sancisce il protocollo d’intesa siglato durante il recente Forum internazionale dell’agricoltura e dell’alimentazione di Cernobbio, finalizzato a promuovere le migliori pratiche volte al benessere degli animali allevati, al rispetto dell’ambiente e all’inserimento di addetti adeguatamente formati nella filiera bovina da carne. Un’iniziativa che vedrà protagoniste 400 aziende appartenenti al sistema dei controlli messo in campo dall’Associazione italiana allevatori, che consentirà di certificare ulteriormente l’intera supply-chain bovina italiana, dalla nascita, svezzamento e ingrasso degli animali fino al consumo. «Il ruolo di Aia – spiega il presidente Roberto Nocentini - sarà garantire gli standard di allevamento attraverso la certificazione prodotta dal Dipartimento Qualità Agroalimentare. Sarà utilizzato il modello riferito alla piattaforma europea Erbs (The european roundable for beef sustainability), la prima nata a livello continentale nel settore bovino». A questo progetto si collega peraltro l’accordo con cui McDonald Italia si è appena impegnata a farcire i suoi panini con il 100 per cento di carne bovina proveniente da allevamenti sostenibili. In base di quali criteri verranno certificati? «Alla fine della fase progettuale potremmo ottenere i primi allevamenti italiani sostenibili che rispetteranno, per il benessere animale, almeno quattro su cinque indicatori che Aia monitorerà, con verifica da parte del
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Dqa. Gli altri elementi, appunto, riguarderanno la sostenibilità ambientale, con l’impegno al rispetto del criterio di condizionalità previsto in questa fase nella Pac e la sostenibilità economica, etica e sociale, riferita alla trasparenza e aderenza al contratto nazionale di lavoro degli addetti e alle norme di sicurezza». Intanto carne e latte continuano a finire spesso nel mirino di organizzazioni a difesa dell’ambiente e della salute. Quali garanzie già consolidate fornisce la nostra filiera da questo punto di vista? «Le garanzie che offrono le filiere nazionali delle produzioni di derivazione zootecnica sono ai massimi livelli, ai primi posti in Europa e in campo mondiale. Prova ne è la forte richiesta globale di prodotti made in Italy. Tutti gli ingiustificati attacchi rivolti al settore degli allevamenti nazionali negli ultimi anni si sono rilevati perlopiù infondati, frutto di un effetto moltiplicatore di “fake news”, divulgate soprattutto in rete da soggetti o organizzazioni prive delle ne-
cessarie competenze tecnico-scientifiche. Anche in questo caso, fortunatamente, negli ultimi tempi stiamo assistendo a un’inversione di tendenza: molti di coloro che avevano fatto scelte radicali eliminando carne e latticini dai loro regimi alimentari hanno fatto o stanno facendo marcia indietro». Come operate per mitigare gli effetti di queste false informazioni sui consumatori? «L’attenzione della nostra categoria ai temi della sostenibilità ambientale, del benessere animale e della salute dei cittadini è crescente. Lo dimostrano anche i numerosi incontri divulgativi che abbiamo realizzato in molte parti d’Italia su temi quali l’uso controllato e responsabile dei farmaci in allevamento, e il varo del disciplinare “Gli Allevamenti del benessere”, adottato da aziende di produzione e trasformazione. Uno strumento che aggiunge garanzie a quelle già presenti sulla tracciabilità delle produzioni che, lo ricordo, in Italia sono tra le più puntuali e persino superiori a quanto richiesto dalle vigenti normative comunitarie».
Anche gli allevatori sono coinvolti nella rivoluzione tecnologica che sta investendo tutti i settori produttivi. Come si stanno organizzando per affrontare questo cruciale passaggio? «Molte tecnologie innovative sono già in uso negli allevamenti italiani, in particolare in quelli sotto controllo Aia. Mi riferisco ad esempio alle varie gestioni automatizzate in stalla, alla verifica da remoto dello stato di salute della mandria come i rilevatori di parto e altre che monitorano il benessere animale e l’efficienza delle attrezzature. Anche negli allevamenti italiani ci si sta attrezzando per dare un contributo alla cosiddetta “precision farming”, stabilendo criteri più puntuali sul concetto di zootecnia di precisione grazie alla nostra esperienza. Maturata con le analisi prodotte nella Rete dei laboratori distribuita sul territorio e coordinata dal Laboratorio standard latte di Maccarese». Con quali ulteriori iniziative di impronta “smart” li sostenete? «Altre innovazioni e semplificazioni procedurali, di grande aiuto per gli allevatori nell’attività quotidiana in stalla sono state messe in campo attraverso la proposta di un gestionale informatizzato, denominato Si@lleva, che permette di dialogare più efficacemente ed evitare duplicazioni di procedure. Inoltre, il progetto Leo che porteremo avanti nei prossimi anni porterà ancor più la zootecnia italiana nel futuro digitale, creando una base dati unica che avrà lo scopo anche di valorizzare la ricca biodiversità animale del nostro Paese». ■ Giacomo Govoni
Roberto Nocentini, presidente dell’Associazione italiana allevatori
EXPORT, FORMAGGI E SALUMI A GONFIE VELE Una storica inversione di tendenza, con livelli di consumo che non si toccavano da sei anni. È quanto emerge dall’analisi sull’acquisto di carne condotta da Ismea, che nel primo trimestre 2018 rileva un aumento di oltre il 5 per cento nella spesa delle famiglie italiane. Con un rialzo dei consumi di tutte le diverse tipologie di carni: dal 4 per cento di pollame e suini fino al 5 per cento di quelle bovine, che in un quadro di sostanziale stagnazione del “carrello” alimentare hanno fatto registrare il maggior incremento nei primi tre mesi rispetto al
2017. «In un contesto domestico dove migliorano gli acquisti di tutti i prodotti proteici come carne, pesce e uova – sottolinea Nocentini – va segnalato il contributo delle produzioni zootecniche biologiche che, oltre a riconoscere la serietà del lavoro dei nostri allevatori, conferma la tendenza dei consumatori a ricercare prodotti di alta qualità e sostenibilità ambientale». Progressi significativi si osservano anche sul versante export, in cui il settore ha chiuso il 2017 con un valore record di 41 miliardi di euro, detenendo una quota sulle
esportazioni agroalimentari dell’Ue pari all’8 per cento. Determinante il contributo delle produzioni di derivazione zootecnica tra cui ad esempio formaggi e latticini, dove con una quota del 13 per cento l’Italia risulta il quarto esportatore a livello comunitario. Non meno rilevanti le performance della salumeria italiana che integrano un successo estero dei nostri prodotti testimoniato anche da una presenza in espansione nella ristorazione internazionale e nelle catene commerciali di ogni dimensione.
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ispetto dell’ambiente e vocazione all’alta qualità. Sono queste le caratteristiche che hanno consentito alla ditta Sperotto Spa di affermarsi nel settore agricolo. Sin dal 1963 l’azienda si distingue, infatti, nella progettazione e nella realizzazione di impianti avicoli sia per l’alta qualità che per la professionalità ed esperienza offerte ai propri clienti. «La nostra storicità e patrimonio aziendale, riconosciuti dai nostri clienti, ci hanno consentito negli ultimi cinquant’anni di raggiungere traguardi di eccellenza – spiegano Renato e Augusto Sperotto, titolari dell’azienda -. Il marchio è sinonimo di qualità, una qualità conquistata sul campo anche grazie al continuo confronto con i nostri clienti e all’innovazione tecnologica che negli anni hanno arricchito il know how dell’azienda. Si tratta di una caratteristica che si riflette in ogni dettaglio dei nostri prodotti e quindi trasferita come reale valore aggiunto a tutti i nostri clienti». La divisione avicola progetta, produce e installa impianti chiavi in mano per l’allevamento a terra di polli da carne, tacchini, pollastre e galline ovaiole. La divisione industriale permette di progettare e produrre importanti strutture metalliche per edifici a destinazione produttiva. «In particolare – spiegano i titolari -, progettiamo e forniamo strutture prefabbricate in acciaio zincato a caldo per allevamenti a terra e in
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Vocazione per la qualità Il settore avicolo ha conosciuto una rinnovata crescita dovuta all’introduzione di tecnologia che consente di migliorare la salubrità degli allevamenti, con un elevato benessere animale e degli operatori voliera; attrezzature automatiche per allevamenti a terra; impianti di ventilazione, raffrescamento e riscaldamento; strutture prefabbricate in acciaio per il settore zootecnico così come strutture destinate alla lavorazione della carne e di prodotti ali-
mentari; infine strutture prefabbricate zincate a caldo per il settore industriale». In 55 anni di attività Sperotto ha progettato, disegnato e prodotto una vasta gamma di proprie attrezzature appositamente realizzate per gestire al meglio un allevamento avi-
colo, arrivando ad ottenere un rapporto ottimale costi/ricavi che permette ai propri clienti di proseguire negli anni con investimenti in nuovi allevamenti. «Siamo da sempre attenti al rispetto dell’ambiente e all’utilizzo di risorse pulite – aggiunge ancora -. Abbiamo inaugurato nel luglio 2012 un impianto fotovoltaico che permette l’erogazione di energia pulita fino a 700 Kw. Tutti i prodotti Sperotto sono completamente riciclabili e vengono realizzati con processi produttivi assolutamente non inquinanti per l’ambiente». ■ Luana Costa Sperotto ha sede a Sandrigo (Vi) www.sperotto-spa.com
Obiettivo, fieno di qualità superiore Foraggi di qualità superiore ed essiccatoi mirati al raggiungimento di tale qualità sono i nuovi pilastri del comparto della produzione di fieno per animali da latte. Ne parliamo con Margherita Beltrame
l 2018 ha confermato un dato importante: la produzione di foraggio di qualità premia l’azienda che lo produce e anche l’impresa che lo utilizza. La predisposizione accurata e mirata di erba medica, prato stabile, grano da fieno e miscugli vari per la dieta aziendale dell’animale da produzione di latte di alta qualità, infatti, ha permesso di ottenere risultati migliori rispetto agli anni passati. Lo spiega nel dettaglio Margherita Beltrame, un responsabile operativo di Clim.Air.50: «il fieno essiccato è disponibile in poche zone del mercato e il suo prezzo si è attestato su livelli ben superiori rispetto ai prezzi del fieno tradizionale». Clim.Air.50 è una realtà padovana, tutta italiana, specializzata nella produzione di caldaie biomassa ed essiccatoi di foraggio; soluzioni apprezzate per la qualità dei fieni ottenuti e che raccolgono agli oltre cinquant’anni di esperienza. «I prezzi del foraggio essiccato si sono posizionati molto vicino a quelli dell’erba medica disidratata, pur differenziandosi da quest’ultima per caratteristiche organolettiche e meccaniche. Gli allevatori manifestano la propria preferenza per il foraggio essiccato riconoscendogli innegabili superiorità come un’elevata qualità nutrizionale e la sicurezza della totale assenza di muffe o fermentazioni, problemi di conservazione causa di rallentamenti se non blocchi produttivi. Altro aspetto importante che ha incontrato il consenso degli allevatori è l’elevato contenuto di proteine e la loro elevata qualità nutrizionale ed organolettica. Risultati importanti, dunque, resi possibili solamente dall’utilizzo di essiccatoi ad alta performance, in grado di garantire al produttore di fieno il mantenimento dei mas-
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Clim.Air.50 ha sede a Santa Giustina in Colle (Pd) www.climair50.com
simi livelli di qualità di fibra e proteina. «Attualmente – continua Margherita Beltrame – forniamo le soluzioni più innovative in fatto di essiccazione dei foraggi, proposte che trovano ottimo riscontro sul territorio nazionale ma anche su quello internazionale attraverso un’attività di export piuttosto rilevante. Ogni anno sviluppiamo nuovi modelli con caratteristiche sempre più performanti e funzionali, macchinari che sono una vera eccellenza a disposizione delle altre eccellenze dell’agricoltura, sia che si parli di allevatori sia che si tratti di produttori di foraggio di qualità». Clim.Air.50 è un team di persone disponibili e con una profonda esperienza nel settore ed attenti al cliente, garanzia di un’offerta di impianti capaci di durare nel tempo. Ne è dimostrazione anche l’attenzione all’utilizzo di energie rinnovabili che ha portato a mettere a disposizione degli impianti già installati innovative soluzioni di integrazione. ■ Emanuela Caruso
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La lavorazione dell’erba medica Con Riccardo Severi, direttore della SO.PR.E.D. di Campiano, cooperativa agricola romagnola specializzata da oltre 50 anni in erba medica e foraggi disidratati, alla scoperta delle evoluzioni del settore e delle sue specificità erba medica è da sempre uno dei principali alleati dell’allevamento. Con il cambio delle tecniche, delle rotazioni delle colture e il passaggio da una produzione familiare a una industriale, mentre la materia prima del pasto di greggi e mandrie restava la medesima, si modificava il trattamento e la conservazione di questo tipo di foraggio che, rispetto ad altre colture, ha il vantaggio di avere un’impronta green. A dirlo è l’Associazione Italiana Foraggi Essiccati (Aife), secondo cui l’erba medica si distingue per lo scarso impatto ambientale e la tracciabilità in ogni sua fase di produzione. L’Italia, per le caratteristiche dei suoi campi, gode di condizioni particolarmente favorevoli alla sua coltivazione, al punto da essere uno dei Paesi europei tecnicamente più all’avanguardia nei processi produttivi e di conservazione, tanto da essere diventata in pochi anni il secondo produttore in Europa di erba medica disidratata. Nelle zone che li ospitano, gli impianti di disidratazione hanno dato un notevole impulso alla coltivazione di erba medica, perché il processo produttivo risulta meno gravoso rispetto a quello della fienagione classica e la disidratazione favorisce la sostenibilità della zootecnia di qualità in aree agricole climaticamente svantaggiate, da un lato; dall’altro, con la crescita della sensibilità salutista dei consumatori italiani, sempre più interessati alla scelta di prodotti genuini, tipici e di sicura tracciabilità, è aumentata l’attenzione degli allevatori nei confronti di un foraggio che unisce il sapore antico della tradizione con la sanificazione assicurata dalla tecnologia e la tracciabilità di una filiera con un percorso dal campo alla mangiatoia facilmente ricostruibile, al contrario di prodotti
L’
I vantaggi rispetto al fieno L’erba medica disidratata, rispetto al fieno tradizionale garantisce, secondo la SO.PR.E.D. più vantaggi per l’economicità di stalla da vari punti di vista: • Il prodotto è costantemente controllato attraverso un sistema di analisi accreditate sul prodotto • maggiore sicurezza sanitaria del prodotto disidratato con gas metano a una temperatura non inferiore ai 100°, che sanifica il foraggio eliminando rischi dovuti a fermentazioni o muffe; • la pulitura con rimozione di eventuali corpi estranei (ferro, sabbia, legno, vetri o sassi) mette al riparo da incidenti l’animale; • la compressione delle balle, più efficace in stabilimento, riduce i costi di trasporto e lo spazio nello stoccaggio in stalla; • l’erba disidratata è già trinciata e rende più semplici e meno onerose le formulazioni della razione nel carro unifeed; • la garanzia della tracciabilità, aspetto determinante nella produzione di carne o latte di qualità; • uso di seme certificato Italiano no Ogm.
SO.PR.E.D. ha sede a Campiano (Ra) www.sopred.it
800 MILA TON
Capacità produttiva italiana di erba medica. L’Italia nel 2018 è al secondo posto nella produzione europea, dietro la Spagna (1milione e 300 mila tonnellate) e prima della Francia (700 mila tonnellate)
d’importazione come la soia, come sottolinea Riccardo Severi, direttore della SO.PR.E.D. di Campiano, cooperativa agricola romagnola specializzata da oltre 50 anni in erba medica e foraggi disidratati, fra le prime imprese italiane ad avviare l’attività industriale di essiccazione artificiale dei foraggi. «La disidratazione dei foraggi rispetto alla fienagione tradizionale – spiega Severi – riduce le perdite di sostanze nutritive e soddisfa meglio le esigenze delle vacche da latte che hanno bisogno di ingerire alimenti fibrosi, con maggiore concentrazione di proteine e nutrienti. La moderna tecnica della disidratazione artificiale, con temperature minime di 100 gradi, permette al meglio la raccolta della parte fogliare (la più proteica) e un’ottimale con-
servazione nel tempo grazie a un’umidità residua inferiore al 10 per cento, che riduce i rischi di formazione di muffe e/o tossine, e la ripresa di attività fermentativa post-trattamento. Inoltre, attraverso le puliture del prodotto, si eliminano anche ceneri, e corpi estranei che non mancano nel classico fieno. Tutto a beneficio di una maggiore digeribilità, salubrità e apporto proteico e di fibre per l’animale. E la salute dell’animale si vede e si sente, nei colori e nei profumi dei formaggi e del latte». Nata nel 1960 e diventata negli anni una moderna impresa con due stabilimenti di produzione e una capacità produttiva complessiva di 80mila tonnellate annue, SO.PR.E.D. è l’unica organizzazione dei produttori alla sezione foraggi riconosciuta in Emilia Romagna. Certificata GMP+ e prodotto biologico, garantendo la tracciabilità dei propri foraggi in tutta la filiera produttiva come da normative vigenti. Dai primi soci fondatori, sette cooperative di conduzione terreni dell’area sud di Ravenna, la Cooperativa associa oggi oltre 1000 agricoltori che conferiscono ogni anno la produzione di oltre 5mila ettari coltivati a erba medica nella provincia di Ravenna e zone limitrofe, venduta in Italia e all’estero. «Negli anni le evoluzioni sono state considerevoli, la fienagione ha subito trasformazioni radicali e gli investimenti negli impianti e nelle lavorazioni di campo sono cresciuti notevolmente. La richiesta dei conferitori – conclude il direttore della SO.PR.E.D. – è di valorizzare sempre di più le qualità del prodotto, già dal campo. Se parecchi anni fa l’erba medica era considerata il prodotto tipico dei terreni abbandonati, oggi è a tornata a essere a tutti gli effetti un prodotto da rotazione che oltre a migliorare il terreno, a tutelare l’ambiente, è soprattutto una risorsa da valorizzare, perché il bilancio delle stalle parte dall’erba». ■ Alessia Cotroneo
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Prodotti di qualità n un mercato abbastanza uniforme e generalizzato dove non vi sono enormi margini di differenziazione, il valore aggiunto può però essere rappresentato dalla qualità del servizio e dalla personalizzazione del prodotto. Unica caratteristica in grado di richiamare e fidelizzare clienti che possono ottenere mangimi di alta qualità sulla base delle specifiche richieste. È questa la strategia vincente adottata dal mangimificio IMB - Industria Mangimi Brescia, realtà operante nell’area della bassa bresciana ma a servizio delle province di Brescia, Bergamo, Cremona e Mantova. «La nostra azienda risale al 1956, anno in cui nostro padre iniziò l’attività ad Orzinuovi insieme ad altri soci - racconta Christian Tiraboschi, contitolare della società -. Successivamente, negli anni Settanta continuò da solo nella produzione di mangimi per animali: a quei tempi solo per vacche e pollame. Siamo poi entrati a far parte dell’azienda anche noi figli – aggiunge - dapprima Luca, fin da piccolo appassionato all’attività del padre e poi io, che mi sono avvicinato più tardi e solo dopo essermi specializzato in Scienze per la produzione animale». Nel corso degli anni l’attività si è rivolta anche all’allevamento suinicolo e ovino e si è via via specializzata sosti-
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Mangimi, oltre le produzioni standard In un mercato sostanzialmente omogeneo, la differenza la fa la qualità del servizio che diventa personalizzato per soddisfare le richieste dei clienti. Ne parliamo con Christian e Luca Tiraboschi
tuendo i mangimi “di linea” per ogni specie animale con formulazioni personalizzate in grado di soddisfare le esigenze di ogni allevatore. «Potremmo dire che la nostra azienda è una specie di “araba fenice” dal momento che, nel 2012, un bruttissimo incidente ha semidistrutto il sito di produzione, costringendo l’azien-
Il controllo sulle materie prime L’azienda effettua controlli specifici per valutare la qualità delle materie prime. «All’arrivo in sede delle merci effettuiamo il campionamento – spiega Christian Tiraboschi, contitolare del mangimificio IMB - Industria Mangimi Brescia -. Si tratta di un sistema di analisi per valutare la qualità del prodotto». Attualmente la rete commerciale aziendale si estende nella bassa bresciana: «L’incidenza del mangime e del trasporto ha un costo rilevante nei bilanci aziendali. così si cerca di lavorare prevalentemente in zona o nella provincia di Brescia, Bergamo, Cremona e Mantova».
IMB – Industria Mangimi Brescia ha sede a Orzinuovi (Bs) - www.mangimibrescia.it
da a spostare l’attività ad Isorella, dopo un periodo di stop di parecchi mesi. Se ad Isorella c'è la produzione, ad Orzinuovi rimangono però la sede legale, gli uffici e la vendita al minuto di mangime per pollame, conigli, cani e volatili. La complessità del mercato, la concorrenza e le nuove normative sanitarie hanno portato l’azienda a dotarsi di un laboratorio interno per monitorare costantemente da una parte la qualità delle materie prime e dall’altra l’eventuale presenza di micotossine che potrebbero essere nocive per gli animali. La differenza che contraddistingue l’azienda sul mercato è, dunque, la formulazione aperta, un sistema secondo cui ogni allevatore fornisce le caratteristiche e le quantità del mangime che desidera. «Le grandi aziende, ad esempio, dispongono di mangimi di linea però se un allevatore chiede una qualità diversa non sono in grado di fornirla a causa di problemi organizzativi: i clienti hanno quindi scelta obbligata su una specifica gamma di mangimi. Noi, invece, siamo organizzati in modo tale da riuscire a soddisfare qualsiasi necessità dell’allevatore. Infatti, produciamo tanti tipi di mangimi in base alla clientela». La produzione avviene poi in maniera molto
semplice, dice il signor Luca, contitolare e responsabile della produzione, «L’approvvigionamento avviene attraverso l’acquisto delle materie prime che successiva-
tore molto ostico e la concorrenza deve in ragione di ciò spostarsi su altri aspetti: «È arduo distinguere tra i differenti mangimi, la differenza si sostanzia nella proporzione e miscelazione delle materie prime. Nel nostro stabilimento produciamo mangimi di differenti qualità e diversi prezzi in base alle richieste. Inoltre elaboriamo esattamente la quantità richiesta dai clienti ed è quello specifico quantitativo ad essere caricato nel camion. Quindi non vi è alcuna possibilità di accumulare mangimi in grandi quantità che restano all’interno del silo per più tempo e che possono dar luogo a fermentazioni anomale. I nostri clienti possono avvalersi della nostra consulenza e delle nostre indicazioni per poter alimentare correttamente i propri animali. Al giorno d'oggi però sempre più spesso
NESSUNO SPRECO
Produciamo esattamente la quantità richiesta dai clienti ed è quello specifico quantitativo ad essere caricato nel camion. In questo modo il mangime non ha possibilità di subire alterazioni all’interno del silo
mente vengono assemblate all’interno del mangimificio in base a proporzioni già definite da noi impostate e miscelate fino a comporre il mangime finito sulla base o delle nostre indicazioni o di ricette che vengono fornite dal cliente». Quello dei mangimi è un set-
sono gli stessi agricoltori a dotarsi di una figura professionale inserita organicamente nell'azienda. In questo caso non facciamo altro che eseguire le formulazioni indicate dal loro consulente, senza interferire nelle loro decisioni». ■ Luana Costa
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n marchio giovane, dinamico ed eclettico, supportato da un team di professionisti esperti. Il 2000 segna la nascita di forme, azienda specializzata nella produzione di diversi profili di guide lineari di precisione e componenti per la trasmissione della potenza quali cremagliere forate, ingranaggi e relativa accessoristica per la movimentazione di finestre, sportelli, lucernari e cupole. Da forme nascono prodotti innovativi, affidabili e duraturi ma l’azienda è attiva anche nel settore zootecnico, vivaistico e industriale. «Siamo molto apprezzati dai clienti che riconoscono in forme un modello di elevato standard qualitativo - racconta Stefano Pasotti, titolare -. I nostri prodotti si pongono quindi come punto di riferimento nel panorama produttivo nazionale e internazionale ed è anche per questo che ci teniamo a sottolineare che la loro progettazione e produzione avvengono interamente in Italia».
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Idee per la zootecnia Le nuove cremagliere firmate forme, con relativa accessoristica, si applicano alle finestre o ai pannelli permettendo una facile e sicura apertura per il ricambio dell’aria. Le descrive Stefano Pasotti
pio, al settore zootecnico? «Le nostre cremagliere con relativa accessoristica si applicano alle finestre o pannelli permettendo una facile e sicura apertura per il ricambio dell’aria». Come si è evoluto il mercato negli ultimi anni? «Il mercato è incrementato lievemente ma bisogna continuamente far fronte alla concorrenza dei paesi asiatici che interferiscono con prodotti a prezzo sempre inferiore a discapito della qualità e della resistenza dei nostri prodotti made in Italy». Come si è adoperata l’azienda per rispondere a queste esigenze?
Le applicazioni L’azienda forme fornisce una vasta gamma di servizi, tutti all’insegna di efficienza, velocità e precisione. I principali servizi offerti sono: prodotti su misura, preventivi gratuiti, assistenza tecnica e tempi di consegna ridottissimi per commesse particolarmente urgenti. I prodotti sono impiegati principalmente nella movimentazione di finestrature, cupole e lucernari sia nel settore industriale che in locali pubblici come, ad esempio, le serre professionali, i capannoni per allevamenti zootecnici, i capannoni industriali e locali pubblici quali piscine o palestre.
Stefano Pasotti, titolare della ditta forme di Agnosine (Bs) - www.formeitalia.com
Da quali esigenze nasce la linea di prodotti ideata da forme? «La nostra linea di prodotti nasce da un’idea che è quella di semplificare alcune operazioni. L’esigenza che avvertivamo provenire dal mercato era quella di aprire contemporaneamente più finestre con un metodo efficace ed economico». Quali sono le principali caratteristiche dei prodotti, ciò che li rende in grado di rispondere in maniera ottimale alle richieste dei clienti? «Le principali caratteristiche dei nostri prodotti sono la semplicità, l’affidabilità e la capacità di rispondere alle esigenze del cliente che spesso non sono standard. Un’altra qualità che ci teniamo a sottolineare particolarmente è che i nostri prodotti sono interamente realizzati in Italia. I nostri prodotti sono al 100 per cento made in Italy, nella nostra azienda provvediamo infatti alla loro progettazione, lavorazione, al taglio e alla fi-
nitura. Forme sceglie per i propri prodotti materiali di ottima qualità che garantiscano una resistenza duratura». L’azienda impiega tecnologie innovative o tecnologie particolari nella composizione delle linee dei suoi prodotti?
LA CREMAGLIERA
In acciaio inossidabile, non è soggetta a corrosione, ed è molto apprezzata negli allevamenti di suini e nelle strutture agroalimentari
«Nella progettazione degli stampi e nell’ingegnerizzazione di nuovi prodotti vengono usati software Cad-Cam. Questi sistemi permettono di realizzare uno studio più approfondito e capillare sulle caratteristiche di nuovi prodotti in modo da aumentare, ad esempio, la resistenza. Inoltre, interagiscono e rendono più veloce, sicuro ed economico il passaggio dalla creazione di nuovi prodotti con la realizzazione delle attrezzature che produrranno questi ultimi». Quale considera essere il prodotto di punta della linea? Potrebbe descriverne le caratteristiche? «Il nostro prodotto di punta è sicuramente la cremagliera in acciaio inossidabile che è molto apprezzata negli allevamenti di suini e nelle strutture agroalimentari. Si tratta di un prodotto che non è soggetto a corrosione. Rispetta, quindi, tutte le norme igienico sanitarie riscontrando durevolezza nel tempo. I principali settori ai quali questa linea è indirizzata sono quello vivaistico, zootecnico e avitecnico». In che modo si applicano, ad esem-
«L’azienda si è adoperata a rispondere puntando sulla qualità dei prodotti e su un servizio studiato appositamente per soddisfare una clientela esigente sia a livello nazionale che internazionale». Quanto investe annualmente l’azienda in innovazione? «La nostra azienda è molto attenta ai temi dell’innovazione tecnologica, un aspetto che è capace di fare la differen-
za sul mercato. Annualmente forme investe circa il 10 per cento dei ricavi per l’innovazione e lo sviluppo dei propri prodotti». Quali sono le prospettive del mercato, l’azienda ha in mente qualche progetto specifico per il futuro? «Le idee nella nostra azienda non sono mai mancate. Le prospettive per il futuro sono quelle di offrire un prodotto sempre più innovativo, oltre che implementare la gamma degli articoli per soddisfare una più vasta clientela». ■ Luana Costa
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Ricerca
Obiettivo sostenibilità Si fa sempre più strategico il contributo di innovazione e sperimentazione all’agricoltura del futuro, grazie anche all’operato del Crea. Le prospettive e le opportunità di intervento nell’analisi del presidente dell’ente Salvatore Parlato l settore agricolo si trova ad affrontare le importanti sfide del cambiamento climatico e dell’incremento demografico per costruire un futuro sostenibile, dove produrre di più risparmiando ambiente e risorse naturali. L’innovazione e il digitale rappresentano in questo senso driver irrinunciabili, perché consentono margini di sviluppo senza sacrificare, ma anzi implementare, la qualità delle produzioni agricole. A illustrare le frontiere della ricerca in campo agricolo è Salvatore Parlato, presidente del Crea, il principale ente di ricerca italiano dedicato alle filiere agroalimentari. Che valore assume il programma Biotecnologie sostenibili per l’agricoltura italiana e quali sono gli obiettivi a lungo termine? «Le moderne biotecnologie offrono un insieme di strumenti attraverso i quali è possibile migliorare l’efficienza delle varietà coltivate e la qualità dei prodotti che esse permettono di ottenere, valorizzando il patrimonio di agrobiodiversità di cui l’Italia è ricca. Dopo lo sforzo fatto dalla comunità scientifica internazionale per il sequenziamento dei genomi, anche con importanti contributi del nostro Paese, è oggi possibile utilizzare questa importante mole di conoscenze per realizzare interventi di miglioramento genetico mirati, conseguendo in tempi relativamente brevi varietà migliorate, partendo da quelle che caratterizzano il made in Italy agroalimentare. Grazie al progetto Biotecnologie sostenibili sarà possibile ottenere piante con una migliore capacità di adattamento all’ambiente di coltivazione, una maggiore resistenza alle malattie e una maggiore capacità di adeguarsi alle mutate condizioni climatiche. In poche parole, piante che richiederanno un minor utilizzo di chimica di sintesi e di input produttivi e, quindi, compatibili con gli obiettivi di sostenibilità e salvaguardia del pianeta». Sul fronte dell’innovazione tecnica, le
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maggiori opportunità vengono da tecnologie dell’informazione, big data, digitalizzazione. Come questi device stanno concretamente cambiando l’agricoltura e ne delineeranno il profilo nel futuro? «Le applicazioni potenziali dell’Ict all’agricoltura sono immense. Molto promettenti le tecnologie digitali quali le satellitari, le missioni Copernicus a servizio dell’agricoltura e quelle di precisione che fanno uso di droni e sistemi computerizzati. L’osservazione remota o ravvicinata della terra con sensori multispettrali, la possibilità di georeferenziare ogni dato grazie alle tecnologie di posizionamento satellitare, di usare questa stessa tecnologia per guidare le macchine operatrici, di immagazzinare e analizzare rapidamente enormi quantità di dati, di usare piattaforme informatiche per condividere le informazioni e i dati, porteranno una ri-
DIVERSIFICAZIONE COLTURALE Il Crea è il referente per l’Italia del progetto europeo Diverfarming, che si pone l’obiettivo di costruire sistemi colturali diversificati a bassi input chimici, in grado di garantire resa delle colture, aumento del reddito netto degli agricoltori e riduzione degli impatti ambientali. Un team di ricercatori del Crea, in collaborazione con l’Università della Tuscia, Barilla e il Consorzio Casalasco, valuterà per un triennio l’applicazione di sistemi di diversificazione colturale in zone caratterizzate da condizioni pedoclimatiche differenti: tre nel Nord Italia (nella Pianura Padana, presso tre Aziende Barilla/Casalasco) e una nel Sud Italia (Puglia, presso il Crea Cerealicoltura di Foggia).
voluzione i cui confini sono tuttora ignoti. Alcune prime valutazioni segnalano incrementi della redditività superiori al 30 per cento e riduzioni delle emissioni intorno al 15 per cento. La diffusione delle tecnologie digitali in agricoltura favorirà una maggiore efficienza nell’uso delle risorse, con positivi risvolti economici e ambientali, un accesso diffuso alle informazioni abilitanti, lo sviluppo di nuovi modelli di business con un’apertura dei sistemi produttivi locali al mercato mondiale». In quale fase si trova il progetto AgriDigit - Agricoltura Digitale? «Il progetto è in fase di approvazione da parte del Mipaaſt e i lavori inizieranno a gennaio 2019. Tuttavia, durante la fase di messa a punto del progetto sono state sviluppate importanti partnership con soggetti privati di primaria importanza a livello internazionale, che stanno contribuendo a far partire il progetto già su basi avviate. In particolare, sono già in fase di costruzione un caso pilota di tracciabilità con tecnologia blockchain applicata all’arancia rossa di Sicilia e lo sviluppo di sistemi di mappatura colturale con tecnologia Lidar mutuati dal settore forestale e applicati in olivicoltura». Crea porta avanti numerose attività. Quali le più significative? «Cito due progetti che rappresentano un risultato senza precedenti: il Crea coordina 2 dei progetti classificatisi tra i primi 10 della graduatoria finale Miur relativa al Pon di Ricerca Industriale e Sviluppo Sperimenta-
le, area di specializzazione “Agrifood”. Il progetto Water4AgriFood, ossia “Miglioramento delle produzioni agroalimentari mediterranee in condizioni di carenza di risorse idriche”, è incentrato sul rapporto tra acqua e filiera agro-alimentare. È stato concepito come un toolbox, una cassetta di attrezzi innovativi da mettere a disposizione delle aziende agricole per valorizzare al meglio le risorse idriche. L’altro, Pofacs, ovvero “Conservabilità, qualità e sicurezza dei prodotti ortofrutticoli ad alto contenuto di servizio”, si propone di intervenire con nuove conoscenze e tecnologie innovative per migliorare conservabilità, qualità, sicurezza e sostenibilità ambientale ed economica dei prodotti ortofrutticoli. Obiettivi che possono essere raggiunti attraverso innovazioni nella gestione colturale, con interventi di valorizzazione della biodiversità vegetale esistente o di nuove varietà, mediante la messa a punto di protocolli produttivi specifici e di innovativi processi tecnologici». Quali sono gli scenari di crescita della bioeconomia, alla quale Crea contribuisce con la propria attività di ricerca? «L’agricoltura italiana nel prossimo decennio deve produrre cibo sano e nutriente, con il massimo rispetto per l’ambiente, la diversità degli ecosistemi, la fertilità del suolo, la qualità dell’aria e delle acque, del clima e della salute umana. L’agricoltura e la selvicoltura debbono essere resilienti, diversificate, solidali, neutrali rispetto agli scambi di carbonio, parti integranti di un’economia circolare radicata nei territori, ma aperta al mondo e capace di avvalersi di tutte le tecnologie disponibili. Il sistema agricolo e agroalimentare deve porre al centro la società e il bene comune, un mercato dei fattori della produzione e dei prodotti che non sia distorto da monopoli economici e che offra all’agricoltore la giusta remunerazione per il suo lavoro. Il Crea intende essere il motore di questa visione, generando nuova conoscenza con ricerca di alto livello scientifico, favorendo la traduzione della conoscenza in innovazione, mantenendo un dialogo costante con la società e sostenendo lo sviluppo di solide politiche economiche, sociali e ambientali». ■ Francesca Druidi
Salvatore Parlato, presidente Crea
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L’avanzata dei mini cocomeri È commercializzata sul mercato una nuova varietà di anguria, di piccole dimensioni ma che mantiene inalterate le caratteristiche organolettiche e il gusto. Sandro Colombi ha scommesso su questo prodotto e ne descrive le caratteristiche iene coltivato in tutto il territorio nazionale, dalla Sicilia alla Pianura Padana sia in coltura protetta che a pieno campo. È molto più piccola di un’anguria normale ma ne conserva tutte le proprietà organolettiche e il gusto. «L’idea nasce per offrire al consumatore finale molti vantaggi - spiega Sandro Colombi, responsabile marketing Lamboseeds, azienda nata nel 2002 e specializzata nella ricerca e nella commercializzazione di sementi -. La minirossa è un varietà di anguria di piccole dimensioni: da due chili o due chili e mezzo. Un mini cocomero che però conserva le caratteristiche qualitative, migliorandole, di un cocomero normale». Il consumatore può portare a casa un prodotto da due chili ottenendo non solo facilità nell’acquisto, nel trasporto ma soprattutto al momento della conservazione in frigo perché è piccolo. «Inoltre, - aggiunge il responsabile marketing- un altro vantaggio è rappresentato dalle punte di alta qualità e dalle caratteristiche organolettiche. Si tratta, insomma, di un prodotto che viene consumato senza alcun problema. Questo è uno dei motivi che ci ha spinto a intraprendere la strada dei miglioramenti genetici sulle mini angurie. Alcuni anni fa non vi era neppure consapevolezza di questa possibilità, si credevano, infatti, prodotti di scarto. Adesso, invece, sono alimenti di eccellenza». L’azienda trae linfa dalla capacità e dalla volontà di professionisti di fama internazionale, esperti del settore sementiero, che hanno intuito la
azienda è dotata di un biotecnologo che compie attività sul dna ed è in grado di riconoscere dal livello genetico le varie caratteristiche dei prodotti». Lamboseeds è dotata, infatti, di un laboratorio di fitopatologia e di un laboratorio di biotecnologie con professionisti che lavorano costantemente in collaborazione con i genetisti. «Sulla base del prodotto a cui si sta lavorando abbiamo bisogno di acquisire informazioni che provengono dagli enti universitari italiani ed esteri e così abbiamo stretto collaborazioni con altri paesi sia europei sia esteri come Israele o l’America. Siamo un’azienda molto piccola ma abbiamo acquisito una grande conoscenza di questa materia. Un’altra coltura di cui ci occupiamo oltre all’anguria è il pomodoro. Lavoriamo principalmente sui prodotti piccoli, pomodori di piccole dimensioni come la tipologia datterino, dattero o ovalino. Sono queste le nostre
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Lamboseeds ha sede a Sant’Agata Bolognese (Bo) www.lamboseeds.com
necessità di creare un’azienda italiana partendo da ecotipi vegetali del nostro Paese e puntando su varietà peculiari e facilmente distinguibili per qualità e quantità. L’obiettivo è creare nuove varietà, a partire dai più autentici ecotipi nostrani; selezionare, nei più diffusi comprensori di coltivazione, gli ibridi migliori che ne derivano; produrre seme di qualità per gli orticoltori attenti e vogliosi di distinguersi. «Il motore di questa azienda è quella di creare degli ibridi a partire da ecotipi tradizionali coltivati in Italia. L’Italia è ricca di ecotipi quali, ad esempio, il pomodoro. Ed è da qui che siamo partiti realizzando una ricerca degli ecotipi che si sono dimostrati molto particolari e radicati nei luoghi di provenienza. Così abbiamo iniziato a lavorare con l’obiettivo di
NEL SEGNO DELL’INNOVAZIONE Negli anni Lamboseeds è riuscita ad affermarsi e a farsi conoscere presentando sul mercato delle vere e proprie novità che stanno orientando la scelta e i gusti del consumatore. Un esempio su tutti è la minirossa, una mini anguria coltivata a livello nazionale. Tutto il materiale genetico ottenuto dalla ricerca viene registrato e in alcuni casi come nel caso della minirossa registrato anche un brevetto commerciale. «Attualmente ci sono due strade della ricerca: la prima è quella di trovare ibridi molto produttivi e abbastanza semplici da coltivare in diversi territori. La nostra strategia è esattamente il contrario: trovare ibridi che esaltano le caratteristiche qualitative e quindi prodotti che devono essere coltivati ma non in quantità così elevate».
renderli coltivabili in zone più ampie ma soprattutto per rendere anche più semplice la ricerca del prodotto finito. Ad esempio, il pomodoro napoletano diventa improduttivo appena trasportato al di fuori del territorio vesuviano. La selezione del seme avviene in via genetica. Siamo un’azienda che fa ricerca a 360 gradi e la realizziamo sia in forme tradizionali che con l’ausilio delle biotecnologie. La nostra
I POMODORI
Lavoriamo principalmente sui prodotti piccoli, pomodori di piccole dimensioni come la tipologia datterino, dattero o ovalino
specialità ma puntiamo sempre a mantenere un target di qualità molto alto. Le nostre attività si concentrano sui colori del pomodoro e siamo in grado di fornire una gradazione dal rosso a varie tonalità di giallo, all’arancione, allo striato, al rosa e al verde. Possiamo, inoltre, vantarci di aver prodotto un miglioramento genetico a livello salutistico. Stiamo realizzando una ricerca – racconta con orgoglio Sandro Colombi - volta a introdurre geni che esaltano le caratteristiche nutraceutiche del prodotto. Abbiamo presentato alcuni ibridi che esaltano il contenuto di beta-carotene e siamo gli unici specializzati nella conservazione di un gene in grado di incentivare la presenza dell’acido afa-lipoico. Si tratta di una sostanza che viene usata come terapia per aiutare le persone diabetiche. È normalmente presente nella carne e nel fegato degli animali ma questo è il primo caso di un vegetale che contiene questo genere sostanze». ■ Luana Costa
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Ricerca avvento della genomica ha permesso di analizzare in laboratorio le caratteristiche migliorative dei riproduttori bovini senza dover aspettare i risultati di campo e quindi accelerando sensibilmente il progresso genetico sempre e comunque finalizzato al benessere degli animali e al profitto delle aziende agricole. Inseme Spa è l’azienda leader in Italia nel campo della selezione bovina ed opera prevalentemente nella selezione delle razze italiane, in particolar modo della razza Frisona Italiana, la razza più diffusa in ambito nazionale. Inseme è un’azienda relativamente giovane, fondata nel 2011, ma con una lunga storia che nasce dalla fusione delle tre maggiori aziende dell’industria italiana della genetica bovina: C.I.Z., Elpzoo, nota anche come Centro Tori di Zorlesco, e Semenitaly. «Si tratta di un’aggregazione che si è concretizzata con l’obiettivo di creare una struttura in grado di poter competere in un mercato globale, dominato dalle super potenze Nord Americane, con la missione di offrire agli allevatori italiani un prodotto genetico di altissima qualità» spiega il dottor Camillo Cannizzaro responsabile del gruppo. L’utilizzo delle nuove tecnologie selettive, legate allo svi-
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Investire in genetica I progressi fatti nel campo della genetica bovina attraverso le nuove tecniche di sessaggio del seme e i test genomici, consentono una selezione più rapida negli allevamenti italiani destinati alla produzione di latte per la caseificazione. Il punto del dottor Camillo Cannizzaro, direttore generale di Inseme di genetica di alto livello da inserire nel programma di selezione». In una sfida globale è basilare essere attivi su tutti i fronti. «Nei mercati internazionali i riproduttori Inseme sono rinomati come espressione dell’Italian Style, ovvero una selezione che produce vacche più resistenti e con parametri produttivi finalizzati alla massima resa casearia ma anche belle. L’allevatore è sempre e prima di tutto un grande appassionato ed ama i propri animali, ama la propria selezione ed è gratificato, oltre che dalle performance produttive e riproduttive, anche dal fatto di allevare belle vacche. L’Italian Style rappresenta tutto questo e l’azienda continua a lavorare per mantenere alto questo grado di apprezzamento».
viene compiuta un’analisi del Dna dell’animale al momento della nascita e se i parametri di cui eravamo alla ricerca sono presenti nel Dna analizzato, l’animale viene acquistato e ha inizio così la raccolta del materiale seminale che poi verrà utilizzato attraverso una serie di lavorazioni di laboratorio per la fecondazione artificiale delle vacche».
LA CRESCITA DEI DOP
I produttori di Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Asiago e gli stessi allevatori finalmente si vedono riconosciuta e premiata la qualità del prodotto luppo della genomica, ha imposto, infatti, al mondo della genetica un profondo e radicale mutamento dei programmi genetici e dei piani di sviluppo aziendali. La creazione di Inseme trae origine anche da questo mutato scenario ed è pensata per garantire al sistema selettivo italiano un ruolo da protagonista nell’industria globale della selezione. «L’azienda si occupa della selezione genetica dei bovini – precisa il dottor Cannizzaro - principalmente di razza Frisona Italiana. Fondamentalmente, la selezione avviene in base a criteri genomici:
IL QUADRO ITALIANO La proprietà di Inseme si suddivide fra Associazione Italiana Allevatori, Fondazione Cariplo ed Inguran Ltd. Oggi Inseme è azienda leader in Italia nel settore della fecondazione artificiale. Grazie agli investimenti realizzati dalla proprietà, è un’azienda altamente competitiva con un’offerta di prodotti e servizi di alto livello per gli allevatori. «In Italia il mercato del seme – prosegue il responsabile aziendale - è particolarmente agguerrito e a differenza di quello che accade in molte nazioni europee e nord americane, gli allevatori hanno la possibilità di poter reperire facilmente il miglior prodotto genetico a livello mondiale. Nonostante ciò, grazie alla qualità della proposta commerciale, ai servizi agli allevatori e alla capillarità di copertura del territo-
rio, Inseme è un riferimento per il settore». “ITALIAN STYLE” ALL’ESTERO L’altissimo livello qualitativo dei tori è riconosciuto non solo in Italia ma anche e soprattutto all’estero: nelle oltre trenta nazioni in cui l’azienda sta oggi esportando, il gradimento per il prodotto Italian Style è in con-
tinuo aumento, ne è testimonianza il trend in costante ascesa delle esportazioni. «Alla luce di ciò, si è dimostrata quindi strategica la scelta, operata nel 2016, di dotarci di un ramo aziendale dedicato all’estero, che si occupa sia della commercializzazione del seme, sia del supporto tecnico ai clienti, sia del reperimento
I mercati stranieri L’azienda Inseme è leader sul mercato italiano con una penetrazione di oltre il 25 per cento delle quote di mercato. All’estero è presente in quasi tutti i mercati europei oltre che in America Latina, negli Stati Uniti, in Messico e in Canada. E le prospettive guardano a un’ulteriore espansione sugli scenari stranieri. Come afferma Camillo Cannizzaro, alla guida del gruppo: «Proprio adesso ci stiamo dedicando all’apertura del mercato della Cina, della Russia mentre collaboriamo da diversi anni con l’Australia, la Nuova Zelanda».
L’INNOVAZIONE Negli ultimi dieci anni l’innovazione nel campo della zootecnia da latte ha subito un’accelerazione impressionante e Inseme si è subito attivata per aggiornare le proprie tecniche di produzione sfruttando a pieno le nuove tecnologie derivanti dalle ultime ricerche. Le ultime scoperte fatte nel campo della ricerca sul Dna ci hanno permesso di sviluppare la cosiddetta analisi genomica del Dna bovino. Mentre prima si effettuava una valutazione dei riproduttori basata sulla media matematica tra il valore fenotipico del padre e il valore fenotipico della madre che produceva risultati che necessariamente dovevano aspettare di essere validati dalle performance produttive delle figlie, adesso mediante la tecnica di estrazione del Dna da un campione di tessuto, ad esempio il pelo o un pezzettino di cute dell’orecchio, si riesce a individuare l’effettivo valore genetico dell’animale. Nel nostro caso sappiamo quindi con esattezza le caratteristiche che i nostri riproduttori saranno in grado di trasmettere alle future figlie. È questa la vera innovazione. Un altro ambito in continuo sviluppo è quello della produzione del seme. Attualmente abbiamo la possibilità di produrre seme sia convenzionale, sia seme sessato. Quest’ultimo è un prodotto che, grazie ad una innovativa tecnica di produzione detta “sessaggio”, contiene solo una selezione di spermatozoi portatori del cromosoma X se parliamo di “sessato femmina” oppure solo del cromosoma Y se parliamo di “sessato maschio”». IL PROGRAMMA DI SELEZIONE Gli investimenti di Inseme sono al momento concentrati su due aspetti in particolare: sullo sviluppo del prodotto e sullo sviluppo di servizi. «Per quel che riguarda il prodotto, gli obiettivi che perseguiamo sono la massima valorizzazione del patrimonio zootecnico na-
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IL SUPPORTO AGLI ALLEVATORI L’obiettivo principale resta, quindi, quello riuscire ad offrire agli allevatori servizi di alto livello, mirati alla soddisfazione delle necessità quotidiane e soprattutto alla crescita qualitativa degli allevamenti. «Oltre ai servizi già esistenti - azoto, piani di accoppiamento, consulenza genetica - è stato recentemente creato un servizio di supporto tecnico aziendale, che avvalendosi della professionalità di personale altamente qualificato è in grado di collaborare con gli allevatori per formulare programmi selettivi basati su indici personalizzati secondo le esigenze di ciascun allevamento. Il mercato della zootecnia in Italia in questo momento attraversa una fase di discreta ripresa soprattutto per quel che riguarda il settore dei Dop. I produttori di Grana Padano, Parmigiano Reggiano,
zionale attraverso la ricerca e valorizzazione dei migliori riproduttori italiani e la grande attenzione alla selezione delle K-Caseine e Beta Lattoglobuline per migliorare la resa casearia del latte, aspetto particolarmente utile al sistema produttivo italiano della trasformazione. Molta attenzione è poi riservata alla produzione della Beta Caseina A2A2 che valorizza il latte destinato al consumo. Un altro aspetto su cui stiamo concentrando i nostri sforzi è la ricerca e valorizzazione dei caratteri legati al miglioramento del management degli allevamenti quali fertilità, longevità e resistenza alle principali patologie». Affidabilità ed innovazione caratterizzano da sempre il prodotto Inseme: i tori scelti per entrare a far parte del programma di selezione Il dottor Camillo Cannizzaro, direttore generale di Inseme con sede a Saliceta San Giuliano (Mo) www.inseme.it
La “Stalla etica” Grande attenzione l’azienda sta dedicando al benessere animale, allo sviluppo di allevamenti eco-sostenibili, alla valorizzazione di animali più sani e longevi. Circostanza che ha portato a sostenere e contribuire allo sviluppo del progetto Stalla etica, che mira alla riqualificazione della produzione di latte bovino verso quanto richiede il consumatore, con il fine di creare maggior valore per la filiera produttiva. Obiettivo del progetto è quello di dare indicazioni pratiche su come costruire e gestire un allevamento ideale di bovine da latte che assicuri loro il massimo rispetto della loro etologia, crei le condizioni per prevenire le principali patologie d’allevamento e garantisca la massima sostenibilità ambientale.
denominato W€lln€ss che quantifica quanto è il maggior reddito atteso in carriera delle figlie dei tori che trasmettono superiori livelli di resistenza alle principali sindromi metaboliche delle bovine da latte. Utilizzando questo nuovo indice nella selezione, l’allevatore troverà un netto beneficio nella riduzione dell’incidenza di queste patologie e, di conseguenza, nella riduzione dell’uso di farmaci con un evidente beneficio anche per i consumatori di prodotti caseari».
sono sempre progettati mettendo al centro le esigenze dei clienti. Investire per portare valore agli allevatori è la mission di Inseme. È in quest’ottica che, a partire da agosto 2017, l’azienda ha iniziato a testare genomicamente tutti i tori per valutare il livello di re-
sistenza alle principali patologie che sono in grado di trasmettere alle loro figlie. «Riteniamo sia un aspetto molto importante per tutti gli allevatori che, attraverso la selezione, hanno ora la possibilità di ridurre i costi di produzione selezionando animali più sani e resistenti alle malattie. Ma non ci siamo fermati qui: analizzando i dati disponibili in letteratura sull’incidenza di ciascuna patologia in Italia e i costi associati a ciascuna di esse, abbiamo messo a punto un indice di selezione
Paillettes di materiale seminale bovino conservato
Holbra Inseme Rodanas – 2° toro al mondo per indice Gp
in azoto liquido
L’ANALISI
La selezione avviene in base a criteri genomici: viene compiuta un’analisi del Dna dell’animale al momento della nascita alla ricerca di determinati parametri
Asiago e gli stessi allevatori finalmente si vedono riconosciuta e premiata la qualità del prodotto. Leggermente diversa la questione che riguarda il mercato del latte, dove invece il prezzo non ha subito evidenti miglioramenti. La popolazione dei bovini italiani è una popolazione pressoché stabile perché se da una parte si nota la riduzione del numero delle aziende presenti sul mercato, dall’altra si nota un aumento dei capi presenti. La produzione rimane, quindi pressoché invariata pur diminuendo il numero delle aziende, mentre aumenta la specializzazione all’interno delle stesse. IL PRODOTTO INSEME La gamma di tori che Inseme propone agli allevatori è di altissimo livello e primeggia nelle classifiche per indice di selezione nazionale Gpſt. Fra i tori provati (con figlie in latte) citiamo Rodanas, leader della classifica Gpſt, toro con indici genetici di assoluto valore mondiale. Ad esso si aggiungono tori, quali Secretariat, Jedi, Fairplay, Del Dongo, Kellog e Zurich che stanno ottenendo un grosso successo commerciale, sia in Italia che all’estero. Fra i tori genomici (giovani) citiamo invece Bramante, il miglior toro italiano al mondo per indice Gpſt, Marzemino, Munari e Sound System. Si tratta di 4 tori nati in Italia e frutto della selezione nazionale che sono competitivi con i migliori riproduttori a livello mondiale. ■ Luana Costa
SPECIALE
Alimentare Qualità Made in Italy
Una rinomanza da proteggere
Riccardo Ricci Curbastro, presidente Federdoc
romuovere la ricchezza della tradizione enologica italiana, contrastando in parallelo i tentativi di imitazione ai danni delle nostre denominazioni d’origine. È la duplice battaglia che da quasi 40 anni vede Federdoc schierata in prima fila per tutelare i vini eccellenti del made in Italy mediante i canali istituzionali, seguendo direttamente gli accordi bilaterali con i Paesi terzi finalizzati alla loro difesa, ma anche stanziando fondi per la protezione tipica del marchio registrato. «Le nostre denominazioni – spiega il presidente Riccardo Ricci Curbastro - sono apprezzate in tutto il mondo e ovviamente ciascuna ha dei mercati in cui è più richiesta e dove è maggiormente bersaglio di azioni lesive della sua rinomanza. Proprio per questo con i Consorzi di tutela lavoriamo continuamente su tutti i fronti: attualmente, ad esempio, nell’ambito della discussione della nuova Pac stiamo sostenendo la previsione di nuovi mezzi di tutela delle Do da poter utilizzare sul web». Per presidiarlo al meglio, tra l’altro, avete da poco rinnovato l’intesa con eBay che coinvolge anche il Mipaaft e l’Istituto antifrodi. Quali strumenti fornisce e, in generale, come stanno crescendo le nostre Doc e le nostre cantine in rete?
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MARCA 2019 GARANZIA DI QUALITÀ 15esima edizione della fiera di riferimento in Italia per i prodotti a marca del distributore, presenti i nomi più noti della Gdo e della Do. L’appuntamento è a BolognaFiere il 16 e il 17 gennaio a pagina 32
PASTA LIEVITATA E ARENA La passione per l’arte pasticcera e il legame con la città veneta sanciscono un connubio che Bauli ha consolidato nel tempo doni sotto l’albero, le luminarie nelle case e per le strade, i mercatini: tessere che compongono la magica ritualità del Natale, esaltata a pieno dai cenoni in famiglia. Lunghe tavolate traboccanti di prelibatezze dove ogni anno si rinnova il goloso duello tra panettone e pandoro e dove, per la verità, a nessuno importa chi vince. Tanto meno a un’azienda che da quasi un secolo li produce entrambi, regalando un sapore dolce alla festività e trasformandola in un periodo speciale in cui “puoi fare quello che non puoi fare mai”.
I
UN VIAGGIO A VELE SPIEGATE A >>> segue a pagina 58
BORDO DEL PANDORO Speciale come la storia della dinastia Bauli, che per posare la prima pietra di quello che oggi è il gruppo leader in Italia di prodotti da forno è dovuta persino scampare a un naufragio. Il natante si chiamava Principessa Mafalda e a bordo, mescolato tra le centinaia di emigranti italiani imbarcati in cerca di fortuna, trasportava anche Ruggero Bauli, il futuro re dei pandori. Partito a Verona nel 1922 in un piccolo laboratorio artigianale e desideroso, cinque anni più tardi, di portare la sua ricetta antica con tracce di grande modernità a partire dalla lievitazione naturale, alla volta di Bue-
Alberto Bauli, presidente del Gruppo
nos Aires. In mezzo però c’era il mare, anzi l’oceano, che tentò di rovinargli i piani. Per fortuna, senza riuscirci. «In realtà mio padre Ruggero - racconta Alberto Bauli, presidente del gruppo di famiglia - fu soprattutto un grandissimo >>> segue a pagina 31
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pasticciere, che amava il suo lavoro in modo quasi maniacale. La sua passione era la pasta lievitata e il suo sogno quello di produrre il Pandoro di Verona secondo tecniche industriali innovative, ma conservando la consistenza, il sapore e la fragranza della ricetta artigianale». Un sogno che in quasi un secolo di perseveranza e passione si è trasformato in una solidissima realtà, la più importante dell’industria dolciaria italiana, con circa 1700 addetti, quasi 450 milioni di fatturato consolidato e con una leadership indiscussa nel settore dei prodotti da ricorrenza e nel croissant. A Natale e a Pasqua infatti, oltre un quarto di tutto il mercato è targato Bauli, con punte superiori al 22 per cento nel segmento dei croissant e addirittura del 32 per cento in quello del pandoro. «Noi siamo un’azienda veronese doc – prosegue Bauli – e la nostra città si riconosce in questo dolce, che è uno dei capolavori del patrimonio goloso made in Italy grazie alla particolare lievitazione, all’ottima digeribilità e a una capacità di durare nel tempo. È un messaggero dolce della nostra terra, che dal Dopoguerra in avanti è andato a soddisfare il gusto di chi non amava i cedri e le uvette dei panettoni». UNA GALASSIA DI MARCHI STORICI
COL CUORE A VERONA Ma le fortune di Bauli non passano esclusivamente da pandori, panettoni, colombe, uova di cioccolato pasquali e in generale dai soli prodotti tipici delle feste. Da diversi anni l’universo goloso del gruppo scaligero abbraccia tutte le tipologie di prodotti da forno, grazie anche a una strategia societaria espansiva avviata tra il 2004 e il 2006 con l’acquisizione
di Fbf, Doria e Doriano e intensificata proprio durante la fase più acuta della crisi economica dalla nuova proprietà. «Nel 2009 – racconta Alberto Bauli - portammo a termine l’operazione di Motta e Alemagna, a cui “facevamo il filo” da tempo e oggi questi due marchi fanno parte del gruppo assieme allo stabilimento di produzione di San Martino Buon Albergo. L’importanza di questa acquisizione è di-
mostrata dal fatto che oggi sul podio dei panettoni più venduti a Natale c’è il Motta tradizionale, seguito dal Bauli senza canditi e dal Bauli tradizionale». Ultimo colpo di mercato in ordine di tempo è stato nel 2013 l’annessione della Bistefani di Casale Monferrato, che ha restituito nuova vita a marchi storici degli snack anni Ottanta come Buondì e Ciocorì, che a sua volta Bistefani aveva rilevato da Motta. Una campagna di conquista che Bauli non alcuna intenzione di interrompere anche in termini di quote commerciali estere, che oggi la vedono esportare circa 200 prodotti in 70 Paesi mondiali ottenendo tuttavia meno del 10 per cento dei ricavi. In questo senso ci sono ampi margini di crescita sui quali investire, muovendosi principalmente su due fronti oltre a quello pubblicitario mai trascurato: l’innovazione di prodotto e di processo da un lato e, appunto, l’internazionalizzazione dall’altro. Attraverso operazioni analoghe a quella che l’anno scorso con un investimento complessivo di 80 milioni in 5 anni ha portato all’apertura di una fabbrica di croissant in India, la prima di proprietà Bauli completamente fuori dall’Italia. Un impianto che a regime sfornerà circa 17 mila tonnellate di merendine, con l’obiettivo di raggiungere i 30 milioni di euro di ricavi in tre anni. ■ Giacomo Govoni
Il meglio del food & beverage Migliaia di cibi e bevande provenienti da numerosi Paesi con una suddivisione in padiglioni dedicati a otto dei più importanti settori commerciali. Novità, tendenze di consumo e l’Innovation Summit. Si rinnova a Dubai l’appuntamento con Gulfood 2019 onto alla rovescia per la 24esima edizione di Gulfood, il più esteso evento del food & beverage e primo grande appuntamento internazionale dell’industria alimentare dell’anno, che aprirà le sue porte dal 17 al 21 febbraio 2019 al Dubai World Trade Center. Gulfood offre a produttori e fornitori la possibilità di vendere i propri prodotti direttamente a grandi importatori, commercianti al dettaglio e all’ingrosso, albergatori, ristoratori e imprese di catering. La manifestazione non rappresenta solo un’importante piattaforma per il business e per lo scambio di informazioni sulle novità alimentari, ma assicura anche ad operatori e addetti ai lavori l’occasione di partecipare a conferenze specialistiche, nelle quali responsabili ed esperti discutono insieme i temi attuali del food & beverage. Forte dei 98mila visitatori provenienti da 193 Paesi, dei 5000 espositori e dei 120 padiglioni nazionali del 2018, Gulfood 2019 continuerà il suo approccio settoriale per aumentare ulteriormente l’accessibilità e il potenziale commerciale. Decine di migliaia di prodotti finiti – tra cui molte novità – saranno pre-
C
sentati in spazi specifici dedicati a otto dei comparti del commercio agroalimentare: Bevande; Prodotti lattiero-caseari; Oli e Condimenti; Salute, Benessere e Free-From; Legumi e Cereali; Carne e Pollame; Grandi marchi; Cibi dal mondo. I trend del mercato saranno di nuovi esaminati nel Global Industry Outlook Report. Viene inoltre riproposta la Gulfood Discover Zone, lounge esclusiva e interattiva
in cui gli espositori che avranno fatto domanda potranno presentare i loro nuovi prodotti. Gulfood Discover Zone identifica, quindi, un’area strategica per l’innovazione alimentare. Non mancheranno gli appuntamenti storici quali l’Halal World Food, la più grande fiera al mondo di alimenti Halal al mondo; e i “Gulfood Innovation Awards”, che premiano l’eccellenza e l’innovazione dell’industria alimentare e delle bevande della
regione. Tra le novità, il Gulfood Innovation Summit, una tre giorni convegnistica dedicata a trend di acquisto dei consumatori, innovazione di prodotto e case history di successo delle aziende, mentre “Tastes of the World” si preannuncia come una battaglia di sapori con la competizione internazionale dei migliori chef. Quello degli Emirati Arabi Uniti è un territorio molto dinamico e in forte crescita, anche sotto il profilo dell’industria alimentare: secondo Euromonitor International, si prevede che il mercato del food & beverage raggiungerà una valutazione di 82 miliardi AED (22 miliardi di euro) entro il 2020 e che le importazioni agroalimentari in Arabia Saudita, Oman, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Egitto e Bahrein toccheranno i 53,1 miliardi nel 2020. «Attirando numerosissimi visitatori del Medio Oriente e generando un gran numero di transazioni, Gulfood si conferma la principale piattaforma del settore alimentare e delle bevande della regione», ha dichiarato Trixie LohMirmand, vicepresidente senior Exhibitions & Events Management del DWTC. ■ FD
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I Saloni uovo layout per la 15esima edizione di MarcabyBolognaFiere, il salone internazionale dedicato ai prodotti a marca del distributore (Mdd), organizzato da BolognaFiere in collaborazione con Adm. Saranno, infatti, quattro i padiglioni che l’unico evento in Italia nel settore della Mdd - e secondo a livello europeo - occuperà il 16 e 17 gennaio 2019. Ai tradizionali padiglioni si aggiungeranno i nuovi spazi 29 e 30, in corso di totale ricostruzione nell’ambito dei lavori di riqualificazione e ampliamento del quartiere fieristico di Bologna, che prevedono un investimento di 100 milioni di euro e un obiettivo finale di 140mila mq di superficie espositiva completata entro il 2022. Si amplia ulteriormente il numero di insegne del Comitato tecnico scientifico marca, costituito dai nomi più importanti della Gdo e della Do che avranno uno spazio espositivo durante la manifestazione. Acqua&Sapone, Md e Sun Supermercati Uniti Nazionali portano a 23 il numero di aziende impegnate a lavorare per l’evoluzione dei prodotti commercializzati all’interno dei punti vendita della Grande distribuzione organizzata con lo stesso brand dell’insegna o con marchi riferibili all’impresa distributiva. Il Comitato definisce il programma dell’evento denso di incontri, convegni e workshop finalizzati ad analizzare i nuovi processi d’acquisto e gli orientamenti che stanno trasformando radicalmente questo comparto. Collabora, inoltre, all’elaborazione del Rapporto annuale sulla marca commerciale che illustra i principali trend evolutivi nazionali e internazionali del settore. L’edizione 2019 partirà dagli importanti risultati di quest’anno: 9.538 visitatori,
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Piace sempre di più la marca commerciale Sicurezza alimentare, tracciabilità e qualità. Sono i motivi che oggi portano i consumatori a preferire le marche del distributore. MarcabyBolognaFiere approfondirà gli aspetti economici e sociologici della crescita della Mdd
con un incremento del 21 per cento rispetto al 2017. Trend più che positivo che si aggiunge all’incremento degli espositori (706, +14 per cento sul 2017) e delle superfici vendute (+11 per cento). Rafforzata anche la cifra internazionale della manifestazione che ha portato in fiera 80 delegazioni estere da 19 diversi Paesi, con una notevole presenza di category manager provenienti dal mondo del retail. Fondamentale in questo senso il supporto di Agenzia Ice per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese. In mostra ancora una volta i settori dell’alimentare (dalle bevande ai cibi a lunga conservazione, dai prodotti free from ai deperibili e ai biologici), della cura della persona, dei prodotti per la casa, il tempo libero e gli animali, affiancati dalle società di servizi (packaging, marketing). Appuntamento il 17 genna-
io con la presentazione del Rapporto Marca, in collaborazione con Nomisma e Iri, che metterà a diretto confronto studiosi e analisti, retailer e copacker (le imprese fornitrici di prodotti a marchio del distributore). In programma anche Marca Tech, iniziativa dedicata al packaging e alla logistica per generare più efficienza nella gestione delle imprese, che si articolerà in spazi espositivi all’interno di Marca e in un convegno specialistico. L’ANDAMENTO DELLA MDD In uno scenario ancora critico per i consumi, il settore della Mdd continua a crescere, dimostrando di andare incontro ai bisogni dei consumatori al pari dell’industria di marca grazie a innovazione, sicurezza e sostenibilità. È la prima volta, infatti, che nel largo consumo confezionato il segmento supera in Italia i 10 mi-
LE SCELTE DEL CONSUMATORE In occasione del Marca Training Programme, workshop autunnale che costituisce una tappa di avvicinamento a MarcabyBolognaFiere 2019, Silvia Zucconi, responsabile marketing intelligence di Nomisma, ha illustrato i nuovi trend e driver di scelta del consumatore. Il 48 per cento dei consumatori utilizza i social media per informarsi, con netti tassi di crescita: è importante veicolare informazioni sui prodotti in Facebook, Youtube, Instagram. Gli utenti abituali della rete sostengono di cercare almeno una volta alla settimana informazioni su prodotti attraverso questi canali. Ma il canale digitale è anche di acquisto che segna le trasformazioni in atto: secondo i dati forniti da Nomisma, nel 2014 era di 14,6 miliardi di euro l’ammontare degli acquisti fatti online, oggi questa quota è più che duplicata a 30,5 miliardi, con interesse che riguarda non solo i prodotti, ma anche i servizi, con il 40 per cento degli italiani che ha fatto un acquisto online negli ultimi 12 mesi.
liardi di ricavi, con una quota di mercato del 18,7 per cento. Alcune anticipazioni su dati e trend più rilevanti sono stati svelati il 25 ottobre in occasione della 14a edizione del Marca Training Programme, il seminario di formazione riservato alle imprese copacker organizzato da MarcabyBolognaFiere con Nomisma e Iri, che costituisce un importante momento di confronto e di avvicinamento all’evento di gennaio. In base ai dati diffusi da Iri, nei primi otto mesi del 2018, fatto 100 il totale della spesa nel carrello del largo consumo confezionato il 19,2 per cento era costituito da Mdd. Due i fattori determinanti: la capacità di innovazione di prodotto e il presidio in tutte le categorie (food e non food), testimoniato dalle attuali 1.536 referenze a marca del distributore (+4,9 per cento rispetto al 2017).
La leva del prezzo arretra nelle priorità del confronto fra insegne e fornitori. A contare, secondo Silvia Zucconi di Nomisma, quelli che vengono definiti i “cinque pilastri” sui quali oggi il consumatore fonda le sue scelte: l’attenzione agli sprechi (dall’impatto ambientale al formato, al numero di atti di acquisto), la qualità del prodotto, il benessere (inteso come salubrità del prodotto e attenzione ai riflessi benefici dei suoi ingredienti sulla salute), le garanzie di sicurezza (tracciabilità, appartenenza a una filiera controllata), e infine il rispetto per l’ambiente (nei metodi di produzione, nell’ecocompatibilità del packaging). Queste indicazioni trovano preciso riscontro nei dati di vendita nella distribuzione moderna organizzata relativi alla marca del distributore, che vedono crescere i prodotti bio, quelli orientati al benessere e quelli funzionali. ■ Francesca Druidi
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Sigep spegne 40 candeline Il salone internazionale dedicato a gelateria, pasticceria, panificazione artigianali e caffè torna in scena a Fiera di Rimini, dal 19 al 23 gennaio 2019. Per la prima volta ci saranno l’International Pastry Camp e il World Coffee Roasting Championship
igep, il salone internazionale del dolciario artigianale, festeggia 40 anni con un’edizione densa di eventi e proposte. Reduce dai numeri record della passata edizione che ha registrato quasi 136mila buyer italiani e oltre 32mila buyer esteri da 180 Paesi, la rassegna di Italian Exhibition Group consolida e rilancia la propria ricetta vincente: presenza dei leader in una logica di integrazione fra filiere, concorsi internazionali, ribalta sui maestri mondiali dell’arte dolciaria, alta formazione. L’obiettivo è confermare Sigep come il principale hub per il canale foodservice, anticipatore di tendenze e innovazioni della grande filiera italiana e internazionale di prodotti e tecnologie per gelato, pasticceria, panificazione e caffè, con uno sguardo alle strategie di sviluppo tracciate dal piano industriale quinquennale di Ieg. Un piano caratterizzato da investimenti in strutture, innovazione e internazionalità.
oltre venti Paesi - tra cui Australia, Corea del Sud, Thailandia e Usa - sarà dedicato il padiglione D3, con le gare che si svolgeranno da domenica 20 a mercoledì 23 gennaio. I concorrenti saranno valutati in base alle loro prestazioni valutando la qualità del caffè verde (classificazione del caffè), sviluppando un profilo di tostatura che accentua al meglio le caratteristiche desiderabili di quel caffè e sull’ultima tazza
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PASTRY EVENTS A Sigep 2019 si svolgerà la quinta edizione del campionato mondiale di pasticceria juniores, con la partecipazione di 12 tra i migliori pasticceri under 23 provenienti dai cinque continenti. La squadra italiana, selezionata a Sigep 2018, sarà formata da Filippo Valsecchi (Lecco) e Vincenzo Donnarumma (Napoli). Il Campionato Mondiale di Pasticceria Juniores, ideato 10 anni fa dal maestro Roberto Rinaldini, avrà per tema “Il Volo” e ogni concorrente avrà il supporto di un team per aiutarlo a far emergere le proprie qualità nelle sette prove previste. In programma anche i Campionati mondiali seniores. La novità sarà l’International Pastry Camp, vetrina dedicata alle migliori scuole di pasticceria a livello internazionale con le pastry star del futuro, provenienti da sette nazioni del mondo, che si esibiranno alla Pastry Arena presentando
le tipicità dolciarie dei propri paesi. L’evento si affiancherà al tradizionale Sigep Giovani con le scuole italiane, in collaborazione con Conpait, Pasticceria internazionale e Castalimenti. Altri appuntamenti da non perdere: le selezioni fra le migliori professioniste per comporre la formazione dell’Italia che nel 2020 gareggerà a The Pastry Queen; e il concorso The Star of Sugar, nel quale i maestri internazionali dello zucchero presenteranno in fiera le loro spettacolari creazioni in un’area adiacente alla Pastry Arena. Per la gelateria l’appuntamento è con Sigep Gelato d’Oro, dove si sfideranno i finalisti dei nove appuntamenti in programma durante l’anno in Italia e che selezionerà il team in rappresentanza del nostro Paese alla IX Coppa del Mondo della Gelateria 2020. Per la competizione mondiale si sono già svolte a febbraio, a Città del Messico e ad aprile, a Singapore, le prime selezioni estere della Coppa del Mondo della gelateria nelle quali sono state scelte le prime 4 squadre che si sfideranno sempre a Rimi-
ni nel 2020: Messico, Singapore, Malesia, Giappone. Nel 2019 le selezioni proseguiranno fino a portare il numero delle squadre a 12. CAFFÈ PROTAGONISTA Per la prima volta a Sigep arriverà il World Coffee Roasting Championship, itinerante competizione mondiale che premia l’eccellenza nella torrefazione del caffè, un settore in cui in Italia operano 700 imprese con 6300 addetti e un fatturato di 3,5 miliardi di euro (dati Cerved). Al Campionato mondiale, che vedrà la partecipazione di
di caffè tostato. Nei paesi partecipanti si stanno svolgendo in questi mesi le selezioni valide per l’accesso al mondiale. In gara per l’Italia ci sarà Emanuele Tomassi, il vincitore incoronato a Sigep 2018. Un atteso appuntamento quello del Campionato mondiale di Torrefazione, che allarga ulteriormente la proposta della fiera dedicata al comparto caffè. A Sigep, infatti, si svolgeranno tutte le finali dei 7 campionati italiani baristi che selezioneranno gli ambasciatori del tricolore al World Coffee Events, considerato l’Oscar internazionale del caffè. ■ Francesca Druidi
GLI APPUNTAMENTI NEL MONDO La prima di Sigep al Summer Fancy Food di New York a luglio è stata un successo. Gelato artigianale e caffè sono stati protagonisti di uno stand esperienziale che ha intercettato buyer, distributori e importatori statunitensi, che hanno voluto provare in prima persona i prodotti delle aziende italiane e i professionisti top del settore. Sigep sta promuovendo diversi appuntamenti nel mondo per diffondere il made in Italy di settore, favorire business e
networking, arricchendo il profilo internazionale del salone. In particolare sono due i grandi roadshow promossi: Gelato Festival, evento itinerante che mira a diffondere nel mondo la cultura del gelato artigianale. Sono state toccate città italiane (a Firenze, Roma, Torino e Milano) ed europee (Berlino, Varsavia, Londra e Vienna) per poi chiudere il programma fra agosto e ottobre negli Usa (Jersey City, Denver, Chicago, Washington Dc, Los Angeles, Dallas, Scottsdale e
Tucson). Inoltre, Barista&Farmer, il talent show dedicato al mondo del caffè, in programma mei prossimi giorni in Colombia - terzo esportatore mondiale di caffè - e presentato a febbraio a Melbourne, sarà anche ad Amsterdam a giugno e a Belo Horizonte a novembre. Gli eventi internazionali protagonisti dei Pastry Events avranno appuntamenti di presentazione a Manila e Gurgaon (India), in settembre e a Lione, in ottobre.
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Eccellenze italiane
Divertirsi, con dolcezza È la filosofia che Marcello Rapisardi applica al suo mestiere di pasticcere. Contaminando il classico con ingredienti innovativi e sperimentali e, soprattutto, lasciandosi trasportare dalle suggestioni e dai sapori del territorio na crostata alla crema pasticcera e frutta fresca. Un grande classico del patrimonio dolciario italiano che, nel tragitto dalla bocca allo stomaco di Marcello Rapisardi, è passato per il cuore. Facendolo innamorare di un mestiere antico al quale il 34enne pastry chef ha consacrato il suo talento, maturato precocemente alla corte di Ernst Knam come responsabile di cioccolateria. Un’ascesa impetuosa che l’ha portato prima a lavorare con grandi nomi della cucina tra cui il pasticcere Moreno Cedroni, gli chef Ezio Santin e Claudio Sadler, poi a fondare un suo laboratorio di creazioni dolci e salate, aperto tre anni in uno storico locale di Milano. Dove, non a caso, «il primo dolce che ho adagiato nel mio banco frigo è stata una crostata con gelatina di lamponi ganache al cioccolato fondente e lamponi freschi» ricorda Rapisardi, pre-
te e pasticcini mignon: sperimentiamo con gli ingredienti e proponiamo sempre qualche novità particolare accanto ai prodotti più classici che in pasticceria non possono mancare». Il legame con il territorio è un elemento qualificante per una torta o un dolce. Quali ingredienti ricorrenti e quali prodotti del suo repertorio goloso, di ieri e di oggi, lo raccontano meglio? «Adoro il territorio e mi lascio condizionare spesso dal posto in cui mi trovo. Essendo di base a Milano ad esempio, abbiamo lavorato con lo zafferano dedicando alla città un frollino con farina di riso e zafferano. Inoltre abbiamo recuperato la produzione delle ginevrine, i classici zuccherini che si trovavano in drogheria, che abbiamo fatto nei gusti
Marcello Rapisardi, pasticcere
Campari e Ramazzotti creando una contaminazione di prodotti particolari per “una Milano da bere”. O ancora, la crostata al cioccolato e fava tonka. Anche con le gelée di frutta ci divertiamo utilizzando arancia, peperone e vaniglia, cocco e rum, açai. Infine per le prepa-
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miato l’anno scorso dal Gambero Rosso come miglior pasticcere emergente. Pasticcini, biscotti, torte: all’interno della sua proposta culinaria, quali sono i prodotti di punta per ciascuna di queste tre categorie? «Il motto della nostra pasticceria è “forma antica, contenuto contemporaneo”. La linea di prodotti sempre disponibile in pasticceria cerca di abbracciare la tradizione, strizzando l’occhio alla contemporaneità e all’innovazione. Accanto ai classici biscotti come frollini, ovis e baci di dama e via dicendo, si trovano a rotazione cookies ai cereali con cioccolato e zenzero, biscotti alla frutta senza uova e altri. Lo stesso vale per tor-
ti dall’ambiente circostante, dagli ingredienti. Penso sia uno dei pochi mestieri in cui ci si può esprimere, stando sempre attenti alle esigenze dei clienti. Nella nostra pasticceria cerchiamo sempre di realizzare dolci non eccessivamente ricchi di zucchero, anche perché così si sentono meglio i sapori e gli aromi degli ingredienti utilizzati. Credo che questa sia una tendenza che i consumatori seguono». Il Natale bussa alle porte, accompagnato dalla voglia di farsi deli-
razioni salate ci piace usare prodotti di qualità: presidi slow food come il porro di Cervere e ingredienti di piccoli produttori». Gusto per la sperimentazione e spirito innovativo sono alla base dell’arte pasticcera. In quali sue recenti creazioni vengono maggiormente esaltati questi aspetti e come si riflettono nella scelta delle materie prime? «Quando troviamo un ingrediente nuovo o che non viene generalmente associato alla pasticceria o all’idea di “dolce”, ci piace lavorarlo. Uno degli ultimi ingredienti cui mi sono appassionato è il plancton. Queste microalghe sono usate in ristorazione nella preparazione di piatti salati. Abbiamo voluto utilizzarlo per creare un cioccolatino un pò diverso dal solito. Per il ripieno abbiamo realizzato una ganache a base di cioccolato bianco, che funge da fissatore di sapore grazie alla sua tendenza grassa, e plancton. Per la camicia abbiamo utilizzato un fondente 70 per cento, in modo da lasciare una bocca pulita dopo la degustazione». Quali lati del suo mestiere considera più stimolanti e quali nuove attitudini e conoscenze si richiedono oggi a un pasticcere moderno e “sintonizzato” sulle esigenze dei consumatori? «I lati più stimolanti del mio mestiere sono davvero molti. Posso trarre spun-
ziare il palato da dolci tentazioni. Quali ricette sta studiando o ha già messo a punto per coccolare quello dei suoi clienti? «Per il Natale, oltre ai classici dolci della tradizione, ho pensato a una mousse alla “Foresta nera”. Una monoporzione golosa e leggera realizzata con due strati di mousse, a base di panna e cioccolato, amarene e una fondo di biscotto di croccante frolla al cacao». ■ Giacomo Govoni
SPERIMENTAZIONI
«Quando troviamo un ingrediente in genere non associato alla pasticceria ci piace lavorarlo. Uno degli ultimi a cui mi sono appassionato è il plancton»
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Eccellenze italiane
È torinese il primo gelato di Starbucks La tradizione italiana del gelato artigianale incontra il caffè americano di Starbucks. A celebrare l’unione il maestro gelatiere di Torino Alberto Marchetti, da anni sinonimo di qualità nella selezione degli ingredienti. Dal rapporto con SlowFood al nuovo progetto didattico la prima volta che Starbucks introduce nei propri store il gelato e riconosce l’eccellenza del prodotto italiano scegliendo per la Reserve Roastery di Milano il maestro gelatiere torinese Alberto Marchetti. «Il nitro gelato affogato è 100 per cento Marchetti a livello di produzione, viene poi mantecato fresco al momento dell’ordine nel punto vendita con la tecnica dell’azoto liquido», una delle tecniche più note e spettacolari della cucina molecolare. La miscela di gelato entra, infatti, a contatto con l’azoto liquido a una temperatura di 197 gradi e si congela in maniera immediata, così da ottenere una struttura del gelato eccezionalmente setosa e fine, con microcristalli 700 volte più piccoli rispetto a quelli che si hanno con una mantecazione di tipo tradizionale. «È un gelato che si prepara in pochi minuti al bancone, davanti al cliente conquistato dalla teatralità dell’operazione. E poi l’affogato non conosce stagionalità. L’idea della tecnica è stata di Starbucks, che però aveva come desiderata quello di utilizzare gelato italiano. Il sogno, e la speranza, è portare il nostro prodotto in America». Frutto di un lavoro di ricerca e sviluppo con i team della catena fondata a Seattle, i tre gusti di Alberto Marchetti sono creati con i caffè Starbucks Reserve™ e accompagnati con espressi della stessa miscela in esclusiva per la Roastery. Si tratta di fiordilatte, sorbet-
È
Casa Marchetti (Piazza Cln 248-254 a Torino)
to al caffè e crema al caffè. «Il fiordilatte – spiega Marchetti – si sposa bene con l’espresso per dar vita al classico affogato. Il sorbetto al caffè nasce per valorizzare l’infusione a freddo cold brew (sistema di estrazione a freddo che richiede tempi molto lunghi, ndr) mantenendo la cremosità del gelato. Il terzo gusto, la crema al caffè, è una crema classica con uova di gallina allevata a terra e latte di filiera alpina piemontese, preparata con un’infusione a freddo del caffè Starbucks nel latte. Latte che acquista così l’intensità del caffè per un gu-
sto assolutamente da provare». GELATI BUONI, PULITI E GIUSTI Facciamo un passo indietro. C’è chi rifiuta il mestiere del padre e chi invece lo abbraccia senza riserve. È il felice caso di Alberto Marchetti: un’infanzia trascorsa nella cremeria di famiglia, da cui derivano passione e cura per il gelato che alimentano l’odierno impegno a offrire un prodotto fresco, semplice e buono. Sono cinque le gelaterie aperte in questi anni (3 a Torino, 1 a Milano e Alassio) e molti i riconoscimenti ottenuti. Il segreto è nella scelta di ingredienti freschi e di alta qualità, che riaccendono sapori autentici e dimenticati. «Una delle caratteristiche, ad esempio, del gelato torinese è il tradizionale utilizzo del latte condensato, probabilmente adottato in tempo di guerra, quando il latte non si trovava con facilità». La visione di Alberto Marchetti non può che incontrare quella di SlowFood. «Quando ho aperto la prima gelateria a Torino, ho conosciuto di più l’associazione e le strade si sono incrociate: tra i clienti tanti sono di SlowFood». Dalla collaborazione con la Fondazione SlowFood per la Biodiversità Onlus nascono i gelati dei Presìdi: la robiola di Roccaverano, la farina bòna, la fragola di Tortona, il Ramassin della Val Bronda e il cioccolato Chontalpa: tutti prodotti straordinari ma poco conosciuti, che hanno trovato nel gelato un importante veicolo di pro-
Preparazione del nitro gelato affogato servito a Starbucks Reserve Roastery Milano
mozione. «Al Salone del Gusto di quest’anno abbiamo riorganizzato la Piazza del gelato. Quello con SlowFood è un percorso connotato da una forte volontà di crescita, che ha iniziato a coinvolgere sempre più colleghi». La ricerca di materie prime d’eccellenza non si ferma mai: «a volte è la casualità a guidarmi, altre volte la specifica ricerca di un ingrediente. Ad esempio l’amaretto l’ho scoperto a Mombaruzzo, passandoci per caso mentre mi dirigevo a Strevi per il moscato passito. Mi sono fermato per assaggiare e ho incontrato un produttore, con cui mi sono trovato da subito in sintonia. È fondamentale la costante relazione con i produttori». Sono in arrivo nuovi gusti nel 2019, ma l’obiettivo di Marchetti è soprattutto quello di portare il gelato in luoghi inusuali. «Quest’inverno a San Domenico di Varzo (stazione sciistica San Domenico Ski), nel cuore delle Alpi Lepontine Piemontesi, sarà a disposizione lo Chalet con lo shop Marchetti e a 2488 metri costruiremo un Iglù di ghiaccio, una gelateria temporanea che da Natale farà compagnia agli sciatori fino all’arrivo della bella stagione». Nel 2017 ha aperto Casa Marchetti, un locale a due piani nel centro di Torino con cui l’artigiano gelatiere racconta il suo modo di fare il gelato. C’è un laboratorio a vista, grazie al quale si possono “spiare” i maestri gelatai al lavoro. Ci sono un ledwall gigante sul quale scorrono immagini delle materie prime, dei produttori,
Il maestro gelatiere Alberto Marchetti
dei partner, di tutti gli amici dai quali Marchetti acquista la migliore materia prima per i suoi gelati; il salotto realizzato in collaborazione con produttori locali con uno spazio interamente dedicato alla storia del gelato; lo studio che si concentra sulla ricerca delle materie prime d’eccellenza e la cucina, dove vengono ospitate conferenze, presentazioni, collaborazioni con chef e tanto altro. «Negli spazi di Casa Marchetti io e Roberto Lobrano abbiamo avviato la Scuola internazionale di Alta Gelateria; almeno altri 10 colleghi saranno coinvolti nel progetto formativo che verterà su conoscenza, approfondimento delle materie prime e trasmissione dell’esperienza. Non sarà quindi solo una scuola tecnica, ma esamineremo anche pratiche giuste ed errori del nostro mestiere». ■ Francesca Druidi
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Eccellenze italiane
Arte dolciaria: l’identità è tutto uasi vent’anni fa, ormai, il gelato confezionato dichiarò guerra a quello artigianale. Vinse, soppiantando il prodotto tradizionale, in quasi tutto il mondo. Quasi. In Italia la stessa operazione di marketing, così ben studiata da determinare il settore sul piano internazionale, non riuscì. Certo, il gelato è nato qui e forse la qualità media espressa da noi è sempre stata superiore a quella di altri paesi. Ma questo piccolo aneddoto ci insegna qualcosa su un aspetto tipicamente nostro: quell’operazione fallì in Italia non tanto per un certo conservatorismo dei consumatori italiani, quanto piuttosto per la cultura enogastronomica che il Belpaese può vantare. E la cultura, nel senso antropologico del termine, non è qualcosa che puoi cancellare in poco tempo. Le tendenze nell’arte dolciaria, quindi, si comportano in modo simile a quanto possiamo definire la buona tavola: non a caso, quando andiamo all’estero, ci prendono in giro perché parliamo di cucina molto più degli altri. Insomma, per noi mangiare bene, cercare il prodotto migliore e la lavorazione più efficace, è quasi un’ossessione. In questo senso, ha un’enorme importanza nel nostro mercato, com’è facile immaginare, la fornitura di materie prime. «L’artigiano sta diventando sempre più integralista, vuole conoscere al meglio le materie prime che adopera, i cicli produttivi più adeguati per la realizzazione della sua produzione, ed è in cerca della massima specializzazione per rafforzare il più possibile la sua identità». A parlare è Filippo Spinelli, il quale ha un punto di vista privilegiato in materia, data la sua posizione alla guida di un’azienda come l’udinese Crespi Srl. Che da più di vent’anni opera nel settore dei panifici, delle pasticcerie e cioccolaterie, delle gelaterie e di tutto ciò che riguarda il mercato dei prodotti per l’arte dolciaria. «È una ditta che è sinonimo di qualità e serietà – dice Spinelli −. Commercializziamo le migliori marche: dal burro alle margarine e oli vegetali, dalle marmellate alla frutta candita artigianalmente, dalle farine classiche a quelle più particolari. Collaboriamo con un’azienda leader di cioccolato per poter garantire un prodotto su-
Q
Filippo Spinelli spiega la grande importanza che l’artigianalità riveste nel settore food e quali sono oggi le esigenze, soprattutto riguardo alle materie prime, di chi si impegna a produrre inseguendo la massima qualità possibile deve tenere in considerazione il totale cambiamento degli stili di vita: si mangia sempre più fuori casa, sia il dolce che il salato. Di fatto, la nostra clientela ha trasformato le botteghe statiche, che sono durate fino ai primi anni del 2000, in locali dinamici. Per la nostra azienda è fondamentale stimolare la nostra clientela in questi passaggi». Come descriverebbe la vostra attività? «Noi della Crespi privilegiamo gli ingredienti naturali e rigorosamente selezionati dalle migliori ricerche tecnologiche, per proporre ai nostri clienti il massimo della qualità, accompagnata da professionalità, efficienza e serietà, con lo stimolo costante di fare sempre meglio. Dal
Farina sostenibile Filippo Spinelli, titolare della Crespi Srl, si sofferma su una delle gamme di prodotti commercializzate dall’azienda friulana. «Nel 2007 è nata Petra – spiega Spinelli −: la farina di grano tenero cento per cento italiano da agricoltura sostenibile integrata macinato a pietra. Frutto della riattivazione dell’antica macinazione di famiglia in una chiave contemporanea, che usa la tecnologia industriale più avanzata per ridare gusto alla farina con un livello di sicurezza alimentare impensabile in molini di piccole dimensioni. A distanza di 8 anni, Petra oggi identifica tutte le farine del Molino Quaglia, anche quelle macinate con i cilindri di ghisa, perché la cura nella scelta dei grani e la qualità del processo sono uguali per tutte le farine che nascono nel nostro molino, a prescindere dal tipo di macinazione».
blime, sceglie la frutta secca con cura nei paesi d’origine, privilegiando gli ingredienti naturali e rigorosamente selezionati dalle migliori ricerche tecnologiche, per proporre ai clienti il massimo della qualità, accompagnata da professionalità, efficienza e serietà, con lo stimolo costante di fare sempre meglio». Quali sono le condizioni nel vostro ambito? «Di certo mi sento di affermare che negli ultimi anni il food ha avuto l’opportuni-
VISIBILITÀ
Il food occupa ampi spazi in Tv, stampa e social. Questo fa emergere chi ha una reale cultura professionale
tà di occupare ampi spazi televisivi, carta stampata e social network. Tutta questa visibilità ha dato la possibilità di emergere a tutti coloro che hanno una reale cultura professionale, spazzando via molti interpreti mediocri. Ritengo che questo favorisca un mercato più corretto, che
2003 investiamo il 3 per cento del nostro fatturato in progetti di formazione finalizzati all’aggiornamento del bagaglio professionale degli operatori del settore: panettieri, pasticceri e quant’altro; certi che l’affinamento delle tecniche di lavorazione della materia prima e l’approfondita conoscenza delle modalità di impiego dei macchinari a disposizione si traducano in una migliore qualità del prodotto finale. I corsi da noi organizzati si tengono all’interno di un laboratorio, appositamente adibito a scopo didattico e attrezzato con apparecchiature moderne, in modo da consentire a tutti i partecipanti di seguire al meglio anche le applicazioni pratiche di quanto insegnato. I docenti da noi contattati sono tutti professionisti del settore, selezionati in base alla
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loro esperienza e alle vostre specifiche richieste, capaci di trasmettere con passione ed entusiasmo la loro abilità tecnica. Proprio la ricerca assoluta di un’identità, di cui parlavo all’inizio, è diventata l’esigenza fondamentale, da cui dipende la visibilità e la redditività della propria azienda. La realizzazione del centro formazione vuole fare da supporto alla crescita dei nostri clienti». Che tipo di corsi avete organizzato? «Si può fare l’esempio del corso sul lievito madre. Imparare a conoscere il lievito,
«Personalmente ho registrato una costante crescita per la nostra azienda, che già dal 2000 si impegnava nel creare corsi sfruttando le strutture delle scuole professionali coadiuvato da consulenti esterni. Successivamente, dal 2003, abbiamo inaugurato la nostra sala di formazione che ci rendeva tutto più facile, sia in termini di organizzazione che di visibilità sempre con l’ausilio di consulenti esterni. Nel 2009, altra data importante per noi, ha visto la creazione dell’associazione “etica del gusto”, un progetto importante che ci vede legati alla
Il meglio della frutta secca Tra le forniture offerte dalla Crespi, quella della frutta secca e candita è uno dei core business. «Ho conosciuto personalmente gli agricoltori che lavorano per noi mandorle della zona di Castelluccio, una frazione di Noto, così come le nocciole che acquistiamo a Cravanzana, piccolo paese nelle Langhe cuneesi. Riguardo le noci, le importiamo direttamente dalla Romania. Tutto ciò ci ha permesso di assicurarci un’elevata qualità di prodotto. Discorso simile anche per la frutta candita, in particolare per l’arancio che produce esclusivamente per noi la pasticceria Morandin, e che nasce da materie prime selezionate con estrema cura e procedimenti di lavorazione che mantengono invariate le caratteristiche organolettiche e nutrizionali».
tutte le sue potenzialità e i pregi delle lavorazioni fatte con il lievito naturale, tra queste il re del Natale: il panettone. Un percorso approfondito sugli accorgimenti e tutte le dinamiche che possono presentarsi così da prendere padronanza con il lievito madre. Oppure l’iniziazione al cioccolato, un ingrediente raffinato ed estremamente versatile. La conoscenza delle sue caratteristiche e delle principali tecniche di lavorazione è un presupposto fondamentale per valorizzarlo al meglio. E poi croissant, pan brioches, vienneseria, sfoglie… con varie tipologie di lievitazioni, sono gli argomenti che si andranno ad approfondire nelle giornate dedicate a questo tipo di dolci. In questo corso si realizzano i classici della colazione, ma non solo. Si parla anche dell’evoluzione dei prodotti». Quali conseguenze concrete ha avuto l’adozione di questa filosofia aziendale? «La strada che abbiamo intrapreso vuole essere quella della specializzazione, diminuire i numeri di categorie merceologiche per specializzarsi su quelle che riteniamo più strategiche. Tutto ciò ci ha costantemente premiati nei quasi 25 anni di attività: il 2017 lo abbiamo chiuso in crescita del 17 per cento, e il 2018 registra pure un dato positivo con un incremento del 8 per cento». Quali sono state le tappe decisive di questo successo?
nostra clientela in una missione di costante formazione, sia a livello tecnico professionale sia nell’adoperarsi ad acquisire competenze manageriali. E soprattutto permette alla nostra clientela di poter comunicare direttamente con il consumatore finale dando vita a delle rubriche sulla carta stampata specializzata, creando del-
Quali sono i comparti per voi più importanti? «La selezione di frutta secca per noi rappresenta un fiore all’occhiello, la collaborazione con agricoltori diretti nel caso di mandorle, noci e nocciole ci ha permesso di differenziarci, così come la selezione e distribuzione di frutta candita prodotta da un artigiano. Attualmente copriamo interamente il Friuli-Venezia Giulia, il prossimo anno puntiamo a province venete le trasmissioni televisive sulle tv locali, partecipazioni a fiere del food. Con un ottimo lavoro di squadra, per esempio, siamo riusciti a finire sui network nazionali per aver stabilito il world guinness del tiramisù per due volte, uno come più pesante di, e in seconda battuta come più lungo. Le nostre forniture avvengono direttamente da collaboratori nostri interni, in modo da poter garantire la massima disponibilità. Per quanto riguarda le omologhe aziende mediocri sinceramente faccio fatica ad individuarle, preferisco concentrarmi al massimo sulle esigenze della clientela».
Filippo Spinelli, titolare della Crespi, con sede a Pasian di Prato (Ud) - www.crespi.ud.it
come Belluno e Treviso». Quali saranno le innovazioni del futuro? «A livello manageriale penso bisogna avere il coraggio di credere nelle risorse umane, sono convinto che all’interno di tutte le aziende ci sia molto materiale umano schiacciato dall’incapacità dell’imprenditore di pescare le attitudini di ogni singolo collaboratore, serve la capacità di motivare al meglio i propri collaboratori e questi assicureranno l’innovazione che in ogni modo porteranno le nuove generazioni più abituate alle nuove tecnologie». ■ Renato Ferretti
IL CENTRO DI FORMAZIONE
Si può fare l’esempio del corso sul lievito madre. Imparare a conoscere il lievito, tutte le sue potenzialità e i pregi delle lavorazioni fatte con il lievito naturale, tra queste il re del Natale: il panettone
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Eccellenze italiane ffrire a consumatori particolari, attenti ed esigenti, prodotti gluten free di altissima qualità, superando quel gap sensoriale che potrebbe esistere rispetto ai prodotti convenzionali: da questa volontà nasce l’avventura imprenditoriale dell’azienda Bioalimenta creata nel 1998 a Fara San Martino, paese noto nel mondo come capitale della pasta di qualità. «La nostra realtà – puntualizza Cesidio Di Martino – è impegnata da anni nella produzione di alimenti senza glutine. La nostra mission è quella di offrire a tutti dei prodotti gluten free che sotto il profilo del gusto
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Senza glutine ma con tanto gusto E chi l’ha detto che i celiaci debbano rinunciare alla pasta? Nessuna rinuncia con la gamma di pasta Farabella prodotta da Bioalimenta, spiega Cesidio Di Martino, amministratore delegato dell’azienda, che illustra i progetti innovativi di questa giovane realtà abruzzese abbiano le stesse caratteristiche di quelli tradizionali, intercettando anche quell’esigenza di molti consumatori attenti al controllo del peso e alla salute dell’apparato digerente e che includono per questi motivi gli alimenti senza glutine nel loro stile di vita». Oggi sono cinque le linee di produzione attive per oltre sessanta formati di pasta e per gnocchi. «Disponiamo di una gamma completa, davvero molto simile a quelle di alimenti convenzionali - continua Di Martino . Tutto viene prodotto con materie prime selezionate ed acqua pura di sorgente della Majella, nel rispetto dell’antica tradizione pastaia del posto. I formati classici, ad esempio, vengono essiccati lentamente a basse temperature. La nostra rete di distribuzione sul territorio nazionale è quella farmaceutica spe-
“I CuociPresto”: «Questa pasta ha le caratteristiche tipiche della pasta fresca ma grazie ad una particolare tecnologia innovativa può essere conservata a temperatura ambiente. È buona e morbida come quella fatta in casa», spiega Di Martino.
cializzata, poiché siamo un’azienda che si colloca a metà strada tra questo settore e quello alimentare. Sul mercato internazionale abbiamo collaborazioni con strutture distributive e catene; anche all’estero il gluten free sta prendendo sempre più piede». Nel 2014 viene ideata l’esclusiva linea di pasta stabilizzata, oggi offerta nei segmenti “I Regionali” e
Cesidio Di Martino, amministratore delegato della Bioalimenta con sede a Fara San Martino (Ch) - www.farabella.it
Il 2018 per la Bioalimenta è stato l’anno del lancio di due progetti innovativi e importanti: la linea PLUS+ e la linea Bio-GlutenFree. La linea PLUS+ nasce con la ricetta riso integrale e teff, un cereale antico dalle molteplici proprietà. È una pasta fonte di fibre, ferro, potassio e magnesio, ideale per gli sportivi e per chi ha qualche problema di infiammazione della mucosa intestinale e di autoimmunità. È ottima, inoltre, per chi vuole introdurre con l’alimentazione una quota di minerali organici e per chi, pur non avendo problemi di intolleranza al glutine, decide di variare la propria dieta con l’inserimento di prodotti funzionali e gluten free. Presto la linea PLUS+ verrà arricchita anche con una ricetta a base di solo riso integrale. La linea Bio-GlutenFree, invece, è costituita da 10 formati classici, realizzati con ricetta mais e riso (materie prime italiane) e rappresenta il degno coronamento della filosofia “naturale” dell’azienda. ■ Luana Costa
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Il pane secondo natura Lucia Ferraroni ci porta dietro le quinte del suo agri-bio-panificio, la cui filosofia di produzione prevede solo l’uso di grani antichi non modificati geneticamente, macinazione a pietra e lavorazioni con lievito madre uando ero ragazza, ormai molti anni fa, avevo fatto una promessa: di impegnarmi nel fare qualcosa in sostegno della natura e dell’ambiente». Lucia Ferraroni, titolare della reggiana Orto di Lucia, si racconta e presenta così il suo lavoro all’insegna del rispetto della natura e dei suoi cicli. «Trascorsi molti anni – continua Ferraroni − il ricordo di quell’impegno mi si è presentato all’improvviso in un documentario alla tv. Ed era un fiore: quello dello zafferano. La sua bellezza e la sua delicatezza mi colpirono in un modo così profondo che pochi anni dopo acquistai i primi bulbi in Sardegna. Portati a Reggio Emilia, cominciai a coltivarli nel 2005. Ancora non sapevo che da quel primo embrione avrebbe preso vita una vera azienda agricola biologica, qual è ora». Con l’aiuto della famiglia, poi, l’imprenditrice reggiana ha iniziato con le orticole, aumentando di anno in anno la superficie coltivata «man mano che acquisivamo esperienza – spiega Ferraroni −. Attualmente l’orto ha un’estensione di due ettari circa. Abbiamo in conduzione diversi campi in collina e in montagna, dove coltiviamo cereali, patate, legumi, grano saraceno. È da sottolineare la mia passione per il pane, che ha trovato impulso quando sono venuta a conoscenza del recupero che si iniziava ad attuare delle varietà antiche di grani teneri locali: l’Università di Bologna, nella persona del professor Dinelli della Facoltà di Agraria, stava portando
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L’azienda agricola Ferraroni Lucia si trova
UN’EVOLUZIONE DANNOSA «Da sempre l’essere umano si è nutrito di cereali spontanei – spiega Lucia Ferraroni, titolare della reggiana Orto di Lucia −, per questo il genere umano si è coevoluto con i cereali stessi. L’uomo ha scelto in natura le spighe con le migliori caratteristiche e ne ha coltivato i semi selezionandoli nel tempo. Recentemente, le varietà antiche sono state quasi del tutto abbandonate in favore di varietà moderne a taglia bassa, create e selezionate con logiche industriali di maggiore resa e glutine più tenace, per una panificazione meccanizzata e veloce. Una maglia glutinica più forte rende più facile panificare, trattiene meglio i gas che si liberano durante la lievitazione, permettendo un maggiore sviluppo del volume del pane durante la cottura. Ma, secondo le più avanzate ricerche, si è visto che le proteine del glutine possono causare, in soggetti predisposti, innumerevoli problemi di fastidi, intolleranze fino ad allergie vere e proprie come la celiachia. Da qui l’importanza di nutrirsi di cereali che abbiano un basso contenuto di glutine, come avviene appunto nel caso dei grani antichi».
a Reggio Emilia - www.ortodiluciabio.it
avanti questo lavoro». Quella dei grani antichi non è una moda priva di senso. «Si tratta di grani antichi o storici non modificati geneticamente – dice Ferraroni − ma selezionati nei secoli dagli agricoltori in base alle loro caratteristiche di produttività e resistenza alle avversità climatiche del luogo in cui venivano coltivati. Le loro caratteristiche principali sono la taglia alta e il basso contenuto di glutine della farina che se ne ricava, con tutto il vantaggio che questo comporta dal punto di vista salutare. Ovviamente, però, per produrre secondo la nostra filosofia non ci si può fermare alla selezione di materia prima non convenzionale. In particolare, il lievito madre è quello giusto per panificare con farina di grani antichi: le molte de-
cine di ceppi diversi di lattobacilli che lo compongono, predigeriscono gli amidi contenuti nelle farine, permettendo un’assimilazione facile e completa dei preziosi nutrienti, contemporaneamente arric-
CON LIEVITO MADRE
Il processo che si ottiene è delicato, completamente naturale e l’impasto è lavorato manualmente per un tempo prolungato
chendo la microflora del nostro intestino. Il processo della lievitazione che si ottiene in questo modo, delicato e completamente naturale, richiede che l’impasto sia lavorato manualmente più volte e un tempo prolungato, a differenza della veloce lievitazione con lievito di birra, il quale è composto da un unico tipo di microrganismo. Per questo la nostra pasta madre è coccolata, nutrita, dissetata con periodici rinnovi che ne assicurano il benessere ed il vigore». Per ciò che riguarda la macinazione, i cereali biologici coltivati dall’azienda emiliana vengono macinati nel proprio mulino a pietra, preservandone la qualità. «Dopo un’adeguata pulitura da impurità e semi estranei, i chicchi, cariossidi, vengono messi nella tramoggia (una specie di imbuto) collocata sopra le macine, e da questa cadono nello spazio tra queste: quella superiore è girevole, mentre quella inferiore è fissa. Il chicco viene prima spogliato del rivestimento esterno (crusca), poi frantumato e infine si avvia verso la zona periferica delle macine (zona di triturazione), trasformandosi in farina. Con mulini a pietra si ottengono farine non raffinate, ricche di tutte le loro componenti naturali: amidi, fibre, vitamine, minerali, proteine, perfette per creare pane e prodotti da forno saporiti, nutrienti, durevoli e profumati. Le farine raffinate “0” e “00” si ottengono invece solo con mulini industriali a cilindri, che sfogliano il chicco strato per strato, allontanando la crusca e le parti nobili del chicco, come l’aleurone e il germe». Con queste premesse, la scelta di costruire un agri-bio-panificio nel quale produrre pane e prodotti da forno è stata conseguente. «Produciamo vari tipi di pane a lievitazione con pasta madre, certificati biologici, come quello di grani antichi, farro, segale, grano duro Senatore Cappelli, pane con grano saraceno. Altro prodotto del quale andiamo fieri è “l’erbazzone”, tipico reggiano, in versione vegetariana e certificato biologico: è una torta salata i cui ingredienti vengono coltivati nel nostro orto. L’agri-bio-panificio è un laboratorio polifunzionale nel quale prepariamo confetture, pasta, mostarde, salsa di pomodoro prodotti da forno salati e dolci come torte e biscotti, essicchiamo le erbe aromatiche e lo zafferano, prepariamo e invasettiamo il miele delle nostre api». ■ Remo Monreale
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Eccellenze italiane a storia delle aziende del settore primario racconta di come nelle aziende a gestione familiare, spesso le terze generazioni siano in grado di fare un lavoro di sintesi unendo l’esperienza tradizionale a precise analisi di mercato. Michele Campobasso porta lo stesso nome del nonno, fondatore dell’azienda agricola Campobasso, specializzata dal 1980, nella produzione e commercializzazione di clementine di alta qualità. «Mettiamo il nostro nome sui prodotti perché commercializziamo solo la nostra produzione, non acquistiamo nulla da terzi» chiarisce Michele, responsabile dell’azienda e testimone diretto dell’evoluzione del mercato ortofrutticolo dagli anni ’80 ad oggi. «C’è stato un cambiamento nelle dinamiche di acquisto. I consumatori oggi sono più orientati a comprare l’ortofrutta dalla Gdo, piuttosto che nel negozio specializzato, in quanto avvantaggiati nel trovare tutti i prodotti in un unico luogo e a prezzi convenienti». Un cambiamento che si ripercuote su tutta la filiera agrumicola e in generale dell’ortofrutta, perché non tutti gli operatori del settore sono in grado di assecondare le politiche commerciali spietate della Gdo . «I nostri prodotti sono rivolti più che altro al dettaglio specializzato. Riforniamo principalmente i mercati ortofrutticoli all’ingrosso e i clienti finali sono poi i rivenditori di ortofrutta». Il 90 per cento della produzione è destinata alla vendita sul territorio nazionale, ma con la terza generazione si guarda ol-
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Clementine da raccontare I cambiamenti del mercato agrumicolo vissuti da un’azienda familiare pugliese e le scelte utili per conquistare il mercato con una filiera di qualità. L’esperienza di Michele Campobasso zionamento delle clementine (circa 60 dipendenti). Durante il confezionamento avviene la cernita del prodotto, una fase di importanza fondamentale: ogni dipendente viene formato per riconoscere e individuare tutte le possibili alterazioni dei frutti ed essere in grado di effettuare una selezione accurata, immedesimandosi nel cliente finale e non deluderne le aspettative. La migliore tecnologia per il nostro prodotto, al momento, rimane ancora l’uomo». ■ Patrizia Riso
Le varietà
costi di produzione sono alti e il prezzo finale rappresenta questa filiera di qualità che deve essere ripagata». Per restare sul mercato degli agrumi serve fare una scelta di campo e capire su cosa puntare per distinguersi. «La nostra strategia si basa sulla scelta di comunicare agli acquiren-
STORYTELLING
La nostra strategia si basa sulla scelta di comunicare agli acquirenti quello che c’è dietro al prodotto, la sua storia produttiva
mo la certificazione biologica, ma adottiamo pratiche ecosostenibili lungo tutto il percorso di produzione, fino alla maturazione del frutto. Ricorriamo a pratiche di agricoltura biologica come sfalciare l’erba invece di usare il diserbante, in modo da non inquinare il terreno e al tempo stesso aumentarne la fertilità. Inoltre integriamo il più possibile l’utilizzo di prodotti biologici sia per la nutrizione delle piante che per il controllo dei patogeni, al fine di ridurre al minimo i residui nel prodotto finale». L’eco sostenibilità è importante per avere un prodotto finale sano, curato nei dettagli. «Ogni frutto è senza foglia, viene pinzettato e tagliato raso per evitare che durante le fasi di lavorazione, si provochino tra i frutti lesioni che sono una via di ingresso per muffe. Come tutte le aziende agricole, ci avvaliamo di manodopera stagionale per la raccolta e confe-
Nell’ultimo decennio c’è stata molta innovazione e ad oggi in commercio ci sono oltre 20 varietà di clementine, parecchie delle quali sono state introdotte dalla Spagna, molto all’avanguardia sulla ricerca e innovazione varietale. La quasi totalità della produzione di Agrumi Campobasso è composta da Spinoso, Comune e Fedele, tre varietà autoctone del Golfo di Taranto, comprese nel disciplinare Igp. «Abbiamo aumentato la superficie aziendale con un nuovo impianto di varietà medio precoci, per soddisfare a pieno la domanda di clementine a inizio stagione. Il nostro calendario di produzione va da dall’ultima decade di ottobre a inizio febbraio». Crediamo che nel vasto panorama varietale la varietà Comune sia quella che rappresenta al meglio la categoria per le sue pregevoli caratteristiche organolettiche e qualitative».
L’azienda agricola Campobasso si trova a Palagiano (Ta) - www.agrumicampobasso.it
tre i confini nazionali. «Stiamo cercando di ampliare gli orizzonti commerciali sui mercati europei. Conquistare i mercati esteri vuol dire far fronte alla concorrenza dei paesi produttori di agrumi del bacino mediterraneo: Paesi come la Spagna e Paesi del Nord Africa possono offrire il loro prodotto a prezzi più competitivi in quanto supportano costi di produzione inferiori. Per avere un prodotto di qualità, i
ti quello che c’è dietro al prodotto, la sua storia produttiva. Dietro ogni frutto c’è un mondo e il lavoro di un anno». L’origine e la filiera produttiva va condivisa con la propria rete di clienti fidelizzati per farla arrivare a chi poi rivende al dettaglio un prodotto di qualità. «Ricadiamo nel territorio Igp, ma abbiamo scelto di mantenere il nostro marchio per continuare a essere riconosciuti dai nostri clienti. Non abbia-
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Eccellenze italiane
La via bresciana di latte e derivati iliera corta, valorizzazione di sapori, colori e lavorazioni il più possibile naturali, senza rinunciare ai controlli e alla fruibilità di prodotti ideati per rispondere alle esigenze del consumatore contemporaneo. Puntano su questi plus allevatori e mastri caseari della Pianura Padana per resistere alla condizione strutturalmente critica del comparto lattiero-caseario italiano. Nell’Unione Europea, principale area mondiale di produzione di latte, secondo i dati diffusi da un recente studio realizzato da Sda Bocconi in collaborazione con Parmalat, l’Italia è il paese che sta attraversando la fase più complessa, principalmente a causa di costi di produzione mediamente più alti rispetto agli altri produttori europei, in particolare Francia e Germania. Le ragioni sono molteplici ma a incidere in maniera determinante, secondo gli analisti,
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Con Massimo Zanoletti, del Caseificio Fratelli Zanoletti, focus sulle scelte che hanno portato la famiglia a investire su un’azienda agricola e casearia a ciclo completo, filiera corta e conduzione familiare per valorizzare latte, yogurt e mozzarelle locali
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Litri di latte giornalieri provenienti dai circa 700 capi di bestiame: una filiera corta, anzi cortissima quella del Caseificio Zanoletti
Gdo, e-commerce e spuntini veloci È cambiato il vento per i produttori di prodotti caseari freschi a km zero come il Caseificio Zanoletti. Anche la grande distribuzione organizzata comincia a interessarsi ai loro prodotti. «Nell’ultimo anno stiamo testando anche la vendita negli ipermercati – sottolinea Massimo Zanoletti – anche perché la nostra politica sui prezzi prova da sempre a essere competitiva, i grandi numeri non ci spaventano, dato che il nostro caseificio può lavorare più del doppio dei numeri attuali e per garantire un buon tempo di commercializzazione pur senza uso di conservanti, coloranti artificiali e addensanti, effettuiamo la sterilizzazione degli imballaggi ed evadiamo gli ordini nel Nord Italia con nostri automezzi e con trasportatori certificati per tutta la penisola e l’Europa. Ma da maggio lanceremo anche l’e-commerce, con il progetto innovativo Abaitatua.it (che consente la consegna in 24 ore di ordini effettuati online), in collaborazione con altri produttori. Inoltre, siamo pronti a commercializzare snack innovativi per spuntini veloci ma genuini, che valorizzano lo yogurt in aggiunta a ingredienti salutari».
è la conformazione del settore lattiero-caseario tricolore, composto per lo più da operatori di piccola dimensione conferenti latte, con una forte discrepanza tra produttori trasformatori di filiera. In altri termini, le aziende che lavorano a livello industriale nella trasformazione del latte si interfacciano con molti operatori di piccola o piccolissima dimensione, che possono contare, in genere, su bassi livelli di produttività. Per reagire a questa condizione
molto poco favorevole agli allevatori, quindici anni fa l’azienda agricola della famiglia Zanoletti, in provincia di Brescia, ha scelto di gestire direttamente tutto il ciclo del latte. È nato così il Caseificio Fratelli Zanoletti, un’azienda a ciclo completo, a conduzione familiare in cui lavorano papà Andrea e i suoi tre figli, con sede in cascina Bornina, nel cuore della Pianura Bresciana, tra Ghedi e Leno, in una campagna ricca di fontanili e acque inconta-
minate in cui ancora prolificano specie di pesci altrove scomparse. «L’esperienza di tanti anni di allevamento di mucche da latte e la convinzione che la qualità dei prodotti caseari dipende soprattutto dalla qualità del latte – spiega Massimo Zanoletti – ci ha portati a cimentarci nell’arte casearia, incrementando progressivamente i nostri capi di bestiame, costruendo un moderno caseificio e ideando soluzioni per proporre alle tavole degli italiani prodotti buoni e genuini, utilizzando esclusivamente latte del nostro allevamento di bovini».
Una scelta salutista, di valorizzazione delle produzioni e della tradizione locale che oggi è perfettamente in linea con il cambio delle abitudini alimentari e una tendenza al consumo consapevole da parte di clienti che sono disposti a pagare di più per una qualità maggiore, ma che all’inizio poteva sembrare un salto nel buio. Eppure quella scelta, nata dall’esasperazione di doversi confrontare ogni giorno con prezzi peggiori del latte, è risultata vin-
cente per la terza generazione di allevatori della famiglia. «Siamo un’azienda giovane, che punta sulle moderne tecnologie ma con un grande rispetto della tradizione e della qualità. Il caseificio – aggiunge Massimo Zanoletti – porta avanti un modello di azienda a ciclo completo, dall’allevamento di bovini da latte a mungitura, stoccaggio e controllo, trasformazione e distribuzione di latte crudo, formaggi e prodotti caseari della tradizione lombarda. La qualità viene garantita da numerosi e severi controlli sulla materia prima e durante le fasi di lavorazione. I nostri terreni sono coltivati in funzione delle necessità alimentari della nostra mandria di 800 capi, quindi sorgo, loietto, triticale e ovviamente mais, elemento principale della razione delle bovine da latte. Il latte diventa yogurt (compatti, da bere e probiotici) nell’arco di 24 ore. Parallelamente ci dedichiamo alla preparazione di mozzarella, ricotta e stracchino. Una quota del latte viene, poi, venduto a crudo, un’altra, variabile in funzione della stagione, conferito al consorzio del Grana Padano. Così d’estate, quando la richiesta di yogurt è più alta, riusciamo a trasformare e vendere autonomamente circa l’80 per cento del nostro latte». ■ Alessia Cotroneo
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Eccellenze italiane
La Toscana, promotrice delle carni bianche dati nazionali stanno registrando un continuo aumento del consumo pro-capite di pollo e una generale crescita del settore avicolo, dunque è con orgoglio che portiamo il nostro contributo rappresentando l’intera Toscana con prodotti genuini e di qualità». Così Silvia Scipioni commenta un trend più che positivo per il mercato di carni bianche e, di conseguenza, per tutte quelle aziende che proprio come la società Alemas, di cui la Scipioni è titolare, operano con esperienza e competenza nel settore. In particolare, Cortona, dove Alemas ha la propria sede, è diventata il fulcro della produzione del “pollo toscano”, un vero e proprio punto di riferimento per rilanciare e valorizzare l’eccellenza del prodotto toscano. Silvia Scipioni spiega che «Alemas riunisce quattordici aziende in regime di società agricola che conferiscono in via esclusiva i propri animali, creando in tal modo un legame strettissimo con il territorio di appartenenza e permettendoci di portare sulle tavole dei consumatori prodotti allevati e macellati esclusivamente in Toscana. La nostra intenzione è far crescere le aziende del settore e, per riuscirvi, ci siamo fatti promotori di questa rete societaria che da parte degli allevatori di tutta la regione ha trovato collaborazione e coinvolgimento». Tra i presupposti del progetto “pollo to-
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Alemas ha sede a Cortona (Ar) - www.alemas-srl.it
scano” – ma gli stessi valori valgono anche per gli altri prodotti avicoli di cui si occupa Alemas – rientra l’innalzamento della qualità della carne, garantita da ogni allevatore attraverso l’applicazione di standard condivisi e legati al benessere degli animali, con particolare attenzione alla cura dell’alimentazione, rigorosamente priva di farine animali, e alla salubrità degli ambienti. «Ormai portiamo avanti la nostra attività da oltre sessant’anni – continua ancora la Scipioni – e abbiamo rac-
Gli allevamenti toscani portano alta la bandiera dell’eccellenza delle carni bianche operando con metodo, qualità e rispetto degli animali. Silvia Scipioni racconta la propria esperienza
100% NATURALE
L’unico prodotto toscano allevato senza l’utilizzo di antibiotici viene distribuito solo ed esclusivamente dalla nostra azienda colto l’eredità storica di molteplici realtà a carattere agricolo e rurale tipiche della nostra zona e di una tradizione contadina che, con le opportune innovazioni, ha saputo tramandarsi fino ai giorni d’oggi. Ciò significa che, attualmente, alleviamo, macelliamo e confezioniamo tutti i prodotti avicunicoli di origine toscana, curando anche la spedizione presso i clienti e gestendo in prima persona anche gli allevamenti dei quattordici associati». All’interno di un ciclo produttivo come quello promosso da Alemas, che punta tutto sulla qualità delle carni e il loro ottimale trattamento, è facile immaginare quanta importanza ricopra la fase di allevamento degli animali, vero motore dell’attività di macellazione. «La qualità delle carni messe in commercio, però, non dipende soltanto da come vengono macellate. Infatti, molto dobbiamo alla fase di allevamento che, grazie alla capacità professionale di chi alleva, alla scelta oculata dell’alimentazione e alle location lontane da zone industriali e dai grandi
centri urbani, contribuisce in via principale alla qualità e alla sapidità del prodotto». Tutti gli animali che arrivano nello stabilimento di Alemas sono allevati
a terra nel rispetto dei vari criteri di benessere e salubrità; inoltre gli allevamenti sono ad aerazione naturale, luce naturale e non prevedono l’utilizzo di antibiotici. «Nel nostro stabilimento gestiamo la produzione di carne bianca a ciclo completo, partendo cioè dall’animale vivo per arrivare fino al prodotto confezionato, posto in contenitori logistici e pallettizzato per la consegna. Gli animali giungono vivi nella nostra azienda e vengono subito macellati tramite l’ausilio di apparecchiature automatiche nel rispetto del loro benessere e della sostenibilità ambientale. Successivamente, si passa al raffreddamento degli animali, sia che siano preparati per essere consegnati tal quali sia che debbano essere sottoposti ai vari tagli anatomici. Poi, arrivano al reparto di confezionamento, dove vengono posti in vaschetta, chiusi con il film ed etichettati. Infine, i prodotti sono confezionati in pallet e posti su mezzi frigo pronti per la consegna. Il ciclo inizia e si conclude nella stessa giornata, così da garantire un
Un riconoscimento fondamentale Un importante traguardo Alemas lo ha raggiunto ottenendo la certificazione dovuta all’adesione al disciplinare di etichettatura volontario stilato da Unaitalia in merito alla provenienza esclusivamente Toscana e all’allevamento di Capponi, Faraone e Toscanacci senza l’utilizzo di antibiotici e con mangimi senza farine animali. L’azienda è, infatti, risultata – insieme a poche altre realtà italiane – conforme alle indicazioni contenute nel disciplinare di etichettatura volontaria stilato da Unaitalia. Di conseguenza, dopo aver superato la valutazione su origine locale degli animali, sistema di allevamento,corretta alimentazione con mangimi senza farine animali e mancato utilizzo di antibiotici, oggi Alemas è riconosciuta tra le imprese modello italiane e può apporre l’etichetta di Unaitalia sui 50mila capi di pollo, cappone e faraona immessi ogni settimana nei mercati di tutto il centro Italia, fornendo così al consumatore le informazioni necessarie per la trasparenza e la garanzia delle carni.
prodotto fresco ogni giorno della settimana». Attualmente, Alemas è specializzata nella realizzazione di prodotti di pollo boiler– compresi tutti i tagli, quali petto, cosce, fuselli, anche… – galletto, coniglio, faraona, anatra e prodotti di nicchia come il piccione, l’oca, il pollo Toscanaccio – di cui l’azienda ha l’esclusiva – e il cappone, vero fiore all’occhiello del periodo natalizio. I prodotti sono a disposizione di grossisti, grande distribuzione, piccoli negozi e gastronomie di pesce. ■ Emanuela Caruso
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Made in Italy nel mondo
Salumi, la qualità è preaffettata Il consumo del preaffettato in vaschetta negli ultimi due anni è di nuovo in crescita dopo un periodo di stagnazione. In quest’ottica, Brendolan Service ha investito molto in qualità prodotto e packaging na storia italiana di tradizione e passione coltivate con competenza da diverse generazioni. Brendolan Service è stata, infatti, una delle prime aziende nel settore salumi a credere nel mercato del preaffettato . Nel 2004, proprio per rispondere alle crescenti richieste del settore in piena espansione, ha costruito ed avviato un nuovo centro di affettamento di Langhirano. «Oggi Brendolan Service può contare su sette linee di affettamento e circa sessanta dipendenti nei due siti produttivi di San Daniele e Langhirano e ha un fatturato complessivo di circa ventidue milioni di euro» spiega Gianluca Puozzo, amministratore delegato del gruppo. Brendolan Service nasce nel 1995 a San Daniele del Friuli nella provincia di Udine grazie alla famiglia Brendolan presente nel mondo dei salumi fin dal 1928. Coniugando l’esperienza con l’innovazione tecnologica, negli anni l’azienda è riuscita a rispondere con competenza e professionalità alle richieste del mercato degli affettati. «Siamo specializzati nell’affetta-
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mento e nel confezionamento a marchio del cliente, con una sensibilità oserei dire sartoriale. Quindi ci occupiamo – precisa l’amministratore delegato – di un’accurata selezione delle materie prime da affettare e di fornitori qualificati. Promuoviamo e offriamo prodotti in vaschetta legati fortemente al territorio e per questo il 70 per cento del nostro fatturato deriva dai mercati esteri. L’accurata attenzione dell’affettamento e l’ottimo servizio nell’evasione degli ordini ci vengono riconosciuti da tutti i nostri clienti e non solo». I siti produttivi di San Daniele del Friuli (Ud) e Langhirano (Pr) sono certificati secondo gli standard Ifs e Brc: «Offriamo ai nostri clienti prodotti su misura, secondo le specifiche richieste. La nostra forza si basa su una forte vocazione che è quella dell’affettare e del confezionare specialità gastronomiche della tradizione italiana (Dop, Igp) e non solo, selezionando i prodotti migliori. Contiamo a nostra volta una collaborazione consolidata negli anni di fornitori qualificati e certificati. Forniamo diverse catene Gdo, Discount e Iper sia nazionali che estere e sia-
mo in grado altresì di fornire un servizio di attività di conto affettamento per altri player nel settore dei salumi». Il consumo del preaffettato in vaschetta negli ultimi due anni è di nuovo in crescita dopo un periodo di stagnazione, la marca privata lascia sempre più spazio alle privatelabel legate alla Gdo. «C’è una forte competitività e pressione nel settore – prosegue Gianluca Puozzo - costi e margini sono fortemente dipendenti dai costi della materia prima, imballaggi e mano d’opera. Ne consegue una crescita degli investimenti nelle tecnologie di produzione per il miglioramento delle rese, nell’efficienza di produzione, lasciando sempre spazio all’innovazione. Qualità e sicurezza alimentare concetti imprescindibili sempre alla base di tutte le nostre attività e scelte». Il mercato estero pesa circa il 70 per cento del fatturato aziendale. «Siamo presenti in Germania, Austria, Francia, Belgio, Olanda, Danimarca, Slovenia, Bulgaria, Inghilterra e Irlanda. Le nostre linee di affettamento, sia in vaschetta termoformata che preformata, contano sistemi all’avanguardia al fine di mantenere massimi standard qualitativi e di efficienza produttiva. Siamo sempre stati attenti alle richieste del mercato tanto da aver istituito nel 2015, mediante la creazione di una linea dedicata, l’at-
UN BILANCIO IN CRESCITA In linea con la ripresa del settore dopo un periodo di stagnazione, il bilancio del gruppo Brendolan Service nel 2017 si è chiuso in positivo, con un fatturato consolidato di poco più di 22 milioni di euro: +14,3% circa rispetto al 2016. «Anche quest’anno – afferma l’amministratore delegato Gianluca Puozzo - il trend si conferma in crescita con una previsione del +4 per cento circa». Alla base della qualità dei prodotti Brendolan c’è la garanzia di una filiera produttiva rigorosamente controllata in ogni suo aspetto. Tutto per offrire ai consumatori sicurezza, igiene e qualità assoluta. L’azienda è infatti certificata Brc global Food standard – Ifs International Food Standard.
Brendolan Service ha sede a San Daniele del Friuli (Ud) - www.brendolanservice.com
tività di affettamento di prodotti vegetariani e vegan, segmento in continua espansione. È un settore abbastanza articolato e complesso: al di là della forte competitività determinata dal prezzo, la domanda sta cambiando ed è molto più attenta a salute e servizi. Oltre al classico consumo di affettato di salumi di carne suina, si assiste alla crescita del consumo di carne bovina, carni bianche e prodotti vegetariani-vegani. Il consumatore finale è attento anche agli ingredienti, alla presenza o meno di conservanti, glutine, lattosio e contenuto in sale. Particolare attenzione viene data agli allergeni. Anche nei preaffettati i prodot-
IL TREND
Il cambiamento dello stile di vita ci spinge sempre più a elaborare prodotti & packaging più “pronti all’uso”, veloci da consumare anche fuori casa ti bio cominciano ad affermarsi in modo importante». Sicurezza alimentare e tracciabilità a garanzia della filiera portano l’azienda ad investire continuamente in innovazione tecnologica: «Il cambiamento dello stile di vita ci spinge sempre più a elaborare prodotti & packaging più “pronti all’uso”, veloci da consumare anche fuori casa. Affettiamo e confezioniamo inoltre, salumi antibiotic free o, comunque, prodotti con caratteristiche sempre più naturali. Non ultima per importanza è la ricerca di imballaggi riciclabili ed eco-sostenibili: la maggiore sensibilità verso l’ambiente è una delle sfide dei prossimi anni». ■ Luana Costa
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Olivicoltura rancesco Tabano, presidente Federolio, la maggiore organizzazione italiana di categoria nel settore del commercio all’ingrosso e del confezionamento dell’olio di oliva e dei prodotti derivati, fa il punto della situazione del settore olivicolo, pressato dalla crisi dei volumi e dalla competizione nel Mediterraneo. E difende la storica intesa di filiera tra Coldiretti, Unaprol, Federolio e Fai (Filiera Agricola Italiana) sottoscritta a fine giugno. Si stima un’altra campagna olearia all’insegna della scarsità di olio italiano. Quali stime e dati ci sono al momento? «Gli ultimi dati Ismea evidenziano una chiara flessione della produzione nella campagna 2018/2019 rispetto a quella dello scorso anno. La produzione nazionale si attesterebbe intorno alle 265mila tonnellate, che significherebbe una contrazione del 38 per cento rispetto allo scorso anno. A livello territoriale, mentre al Nord si prevede un recupero della produzione di oltre il 30 per cento, grazie alla buona situazione della Liguria, nelle aree del Centro si stima una lieve flessione produttiva legata anche al clima, ma a pesare sul risultato complessivo è la situazione di difficoltà nel Mezzogiorno, da dove arriva oltre l’80 per cento della produzione totale nazionale. Un anno quindi difficile, che certamente aggrava ancora una volta la storica insufficienza della nostra produzione nazionale a coprire il fabbisogno». La qualità dell’olio italiano è eccellente ma il volume produttivo resta un forte punto critico. Qual è il punto della situazione per l’extravergine italiano sia sul mercato domestico che in relazione all’esportazione? «La nostra produzione nazionale è da sempre purtroppo insufficiente a coprire il fabbisogno interno e quello necessario alle attività di export, pari complessivamente a 1 milione di tonnellate. Se, infatti, si considera che il consumo interno di oli da olive si attesta intorno alle 600mila tonnellate e che circa 400mila sono le ton-
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Il saper fare italiano L’accordo di filiera può essere il punto di partenza per un nuovo modello, che assicuri la giusta distribuzione del valore tra tutte le parti della filiera e valorizzi la qualità della produzione made in Italy. L’analisi di Francesco Tabano, presidente Federolio
Francesco Tabano, presidente Federolio
nellate di cui le nostre aziende hanno bisogno per quell’attività di export che fa dell’Italia il primo Paese esportatore di olio da olive in confezioni, ben si comprende come sia da sempre strutturalmente indispensabile selezionare anche in mercati esteri l’olio che la produzione nazionale non è in grado di fornire. Pur esaltando produzioni realizzate con materie prime prodotte al 100 per cento in Italia, le nostre imprese necessitano di andare alla ricerca di altre eccellenze, europee ed extraeuropee, concentrandosi sulla qualità delle produzioni e mettendo in campo quella tradizione del “saper fare” tipica delle imprese confezionatrici italiane ancora gestite dalle famiglie che le hanno fondate». L’accordo di filiera ha scatenato accese proteste. Cosa prevede nello specifico e come Federolio risponde all’accusa di sdoganare con quest’intesa le miscele di oli (italiano con comunitario ed extracomunitario) non difendendo il lavoro dei produttori?
«Desidero ancora una volta sgombrare il campo da ogni strumentale equivoco. Quello siglato da Federolio, Coldiretti e Unaprol è il più grande contratto di filiera per l’olio made in Italy di sempre e ha ad oggetto esclusivamente la valorizzazione del 100 per cento italiano, che non ha nulla a che vedere con il cosiddetto “italico”. Un’intesa che riguarda un quantitativo di 10 milioni di kg per un valore di oltre 50 milioni di euro, che mira a garantire sicurezza e diffusione del 100 per cento italiano e assicurare stabilità economica di vendita ai produttori, difendendo il lavoro delle aziende familiari italiane. Rispetto a quello che è stato mediaticamente definito “italico” il punto è chiaro. Oggi la produzione nazionale è purtroppo gravemente insufficiente a coprire il fabbisogno, sia interno che legato all’export. Nel tempo che ci separa dal momento in cui la produzione nazionale diventerà sufficiente a coprire questo fabbisogno – obiettivo per cui Federolio, Unaprol e Coldiretti hanno siglato l’Accordo - le imprese non possono cessare la loro attività e quindi necessitano di selezionare materia prima anche all’estero, prevedendo nella loro gamma anche prodotti composti da una percentuale di oli extravergine provenienti da altri Paesi. E qui si inserisce il discorso “italico”, che è stato oggetto di strumentalizzazione. Se, infatti, è vero come è vero che oggi il blend del prodotto comunitario è composto principalmente di olio spagnolo, a volte greco e una componente residuale di olio italiano, pensare a un prodotto comunitario distinto dagli “altri comunitari”, con una percentuale garantita di almeno 50 per cento di olio italiano, come auspicato da Federolio, non è una cosa criminale come qualcuno vuole far credere, ma anzi un passo in più nella direzione di una difesa dell’olio italiano, a cui
BOOM DELL’OLIO D’OLIVA NEL MONDO Crescita record dei consumi mondiali di olio d’oliva nel mondo che, in una sola generazione, hanno fatto un balzo di quasi il 49 per cento negli ultimi 25 anni cambiando la dieta dei cittadini in molti Paesi, dal Giappone al Brasile, dalla Russia agli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna alla Germania. È quanto emerge dall’analisi di Coldiretti sugli ultimi dati del Consiglio Oleicolo Internazionale (Coi). Nel mondo sono stati consumati nel 2017 2,95 miliardi di chili, la metà dei quali nei Paesi dell’Unione europea con la vetta della classifica conquistata dall’Italia con 557 milioni di chili, seguita dalla Spagna con 470 milioni di chili. Sul podio anche gli Stati Uniti con un consumo di ben 315 milioni di chili quasi triplicati (+174 per cento) rispetto a 25 anni fa.
si affianca l’impegno, forte e deciso, alla valorizzazione del solo 100 per cento italiano». Da quali fattori passa il rilancio quali-quantitativo della produzione nazionale: l’innovazione, il dialogo con la distribuzione, la cultura del consumo dell’olio? «Attraverso la collaborazione con le due realtà maggiormente rappresentative del mondo agricolo italiano – Coldiretti e Unaprol – Federolio intende battersi per un rilancio quali-quantitativo della produzione nazionale, sulla base di una visione comune fondata su pilastri quali: rilancio dell’olivicoltura italiana che passa certamente attraverso la ricerca e il rinnovamento agri-colturale; valorizzazione del prodotto nazionale, come tale certo ma anche come componente di oli extravergini comunque inquadrabili in una tradizione di “saper fare” tipica delle imprese confezionatrici italiane ancora gestite dalle famiglie che le hanno fondate, che oggi hanno necessità di utilizzare oli di varie origini, a fronte dell’oggettiva mancanza di prodotto italiano; necessità di una maggiore trasparenza e informazione verso i consumatori, da costruire nell’ambito di un rapporto nuovo con le catene Gdo, essendo oggi l’extravergine cruciale nelle politiche distributive e la Federazione profondamente convinta della necessità di sottrarre questo prodotto al ruolo di “traffic builder” e all’eccesso di campagne promozionali». Come la filiera può organizzarsi di fronte alla competizione di altri paesi come Spagna e Tunisia? «Ho già delineato il quadro della strategia che la Federolio, insieme all’Unaprol e alla Coldiretti, intende seguire. Ciò premesso guardiamo certo con grande interesse al piano olivicolo e ai Psr perché pensiamo che si debba comunque perseguire un “modello italiano” dell’olivicoltura nazionale che deve essere rilanciata ma senza inseguire – l’ho detto spesso – inattuabili modelli di altri Paesi e, in particolare, quello spagnolo. Ciò che non significa ignorare le evidenti esigenze di modernizzazione del settore, compreso il ricorso all’intensivo e, dove possibile, anche al super-intensivo. Ma il modello deve essere quello italiano, quello – lo ripeto – caratterizzato da un inimitabile patrimonio di biodiversità, con oltre cinquecento cultivar e numerosi riconoscimenti di oli extravergini Dop e Igp». ■ FD
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Il re della dieta mediterranea olio extravergine di oliva è un’eccellenza italiana apprezzata in tutto il mondo. Oltre a esaltare il sapore tipico di ogni piatto, i suoi polifenoli, infatti, contengono un’elevata quantità di proprietà nutritive in grado di svolgere un’azione essenziale per contrastare i radicali liberi, prevenire l’invecchiamento cellulare e ridurre il colesterelo. Per realizzare un prodotto genuino, che porti sulle nostre tavole gli straordinari valori del chicco d’oliva naturale, occorrono una passione e una competenza capaci di garantirne l’estrema cura in ogni momento della lavorazione. Con una professionalità ricca di storia, la famiglia Gonnelli gestisce il Frantoio di Santa Téa, nel cuore della Toscana, dal 1585, coltivando oltre 43mila piante di olivo, tra le migliori varietà autoctone, per realizzare diverse tipologie di oli, accomunati dal medesimo desiderio d’eccellenza. Dalla suggestiva sede recentemente realizzata, Giorgio Gonnelli, titolare dell’azienda, racconta le peculiarità di un frantoio in cui produzione tradizionale e innovazione tecnologica hanno trovato un perfetto equilibrio. Dopo l’acquisto del podere di Santa Téa, nel 1585, la sua famiglia ha iniziato un percorso nella produzione e distribuzione di olio italiano. Cosa rappresenta oggi la sua azienda? «Attualmente, Gonnelli 1585 è il marchio che
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Con la conquista di svariati primati nel settore, e da sempre portavoce dell’importanza dell’olio come alimento dalle innumerevoli propietà nutritive, il Frantoio di Santa Téa è una delle eccellenze italiane nel mondo in perfetto equilibrio tra storia e innovazione
esprime il legame tra la mia famiglia e il mondo della produzione di olio artigianale. Nel 1585, infatti, la mia famiglia acquistò per 300 soldi dai Frati del Convento del Carmine di Firenze il podere di Santa Téa e l’annesso frantoio, costruito nel 1426. Il frantoio era già noto e apprezzato per il suo olio del tutto speciale, frutto di olive rese nobili dal
microclima particolare dell’altopiano di Reggello, a 400 metri sul livello del mare, e a soli 30 minuti da Firenze. Oggi l’azienda, proprietaria anche del frantoio di Vertine nel cuore del Chianti Classico, rappresenta una delle eccellenze italiane nel mondo dell’olio extra vergine e offre un ventaglio di prodotti ampio e variegato. Ben sedici oli extra vergine di oliva con differenti profumi e sensazioni gustative». Qual è la vostra filosofia e il vostro rapporto con l’innovazione? «La filosofia è da sempre quella di offrire un prodotto sano, genuino e naturale. Questo è possibile solo seguendo direttamente
Quali sono le tecnologie e i sistemi del vostro processo produttivo? «L’impianto esclusivo, dotato di due linee di produzione a ciclo continuo, con frangitura a freddo e sotto azoto, è stato studiato e predisposto all’interno dell’officina meccanica del frantoio e modificato ogni anno per migliorare la qualità finale dell’olio. Lavoriamo circa 100 quintali di olive in un’ora, senza alterare il naturale sapore dell’olio racchiuso in ogni oliva. 15 ore è il tempo massimo intercorso dalla raccolta alla frangitura. La conservazione in cisterne di acciaio inox e il processo d’imbottigliamento, inoltre, avvengono sotto azoto, così da preservare al massimo la totale freschezza dell’olio extra vergine di oliva. L’olio selezionato dalla cisterna, in base alla varietà e alle caratteristiche organolettiche, viene imbottigliato al ricevimento dell’ordine, e ogni bottiglia riempita con azoto in assenza di ossigeno viene controllata da un operatore».
Giorgio Gonnelli, titolare della Gonnelli 1585 di Reggello (Fi) - www.gonnelli1585.it
DALLA RACCOLTA ALLA FRANGITURA
La produzione media è di 100 quintali l’ora di olive, senza alterare il naturale sapore dell’olio racchiuso in ogni oliva. 15 ore è il tempo massimo intercorso dalla raccolta alla frangitura
Una produzione attenta alla qualità L’azienda Gonnelli segue direttamente circa 43mila olivi situati tra Firenze e Siena. La particolare altitudine, l’esposizione al sole e il terreno ben drenato sono elementi importanti per la qualità finale dell’olio e sono pertanto caratteristiche che l’azienda Gonnelli 1585 tiene di conto per la selezione delle piante. Le qualità di olive selezionate vanno dal Leccino al Frantoio e Moraiolo oltre alle varietà autoctone. Proprio grazie a questa varietà e a una sapiente scelta di raccogliere le olive nei tempi diversi di maturazione si ottengono diverse tipologie di oli, che si distinguono e si differenziano per diverse sfumature di sapori e profumi. L’ampia gamma di prodotti va dagli oli che nascono dalla frangitura di una singola varietà, a blend classici e profumati fino a selezioni particolarmente pregiate, per offrire al cliente la possibilità di scoprire il proprio olio extra vergine di oliva ideale. Inoltre, dall’eccellenza dell’Olio extra vergine di oliva Biologico del Frantoio di Santa Téa, nasce la linea di creme Toscana Terre e Frantoi, per offrire prodotti cosmetici del tutto naturali e per il benessere quotidiano.
ogni fase produttiva, dalla coltivazione e selezione delle olive alla trasformazione in frantoio, dalla conservazione all’imbottigliamento. A ogni processo vengono, inoltre, applicate nuove tecnologie e sistemi innovativi, al fine di ottenere un prodotto eccellente nel rispetto della naturalità delle sue caratteristiche. La nostra azienda, inoltre, annovera svariati primati nel settore, come quello di essere stata la prima al mondo ad aver installato e collaudato, già nel 1962, un impianto a centrifuga, ed è stata pionieristica nel promuovere l’importanza dell’olio come alimento dalle innumerevoli propietà nutritive e salutari, oltre che portatore di gusto e valore su ogni piatto e preparazione».
La qualità del vostro olio è percepita non solo in Italia. Qual è il vostro rapporto con l’export e con la distribuzione nazionale? «Oggi Gonnelli 1585 vende in Europa, Russia, Svizzera, Giappone, Corea e Stati Uniti con un’incidenza del 35 per cento sul totale fatturato. Le bottiglie vendute annualmente sfiorano le 700mila quantità. Inoltre, in Italia, i nostri prodotti sono presenti nelle migliori catene di Gdo, oltre che in più di 800 tra ristoranti ed hotel. Garantiamo il 60 per cento di copertura del territorio italiano grazie alla collaborazione di 42 agenti della nostra società commerciale Toscana Terre e Frantoi». ■ Andrea Mazzoli
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Speciale Abruzzo n olio con profumo delicato, dal sapore unico e inconfondibile, capace di conservare la bontà delle olive appena raccolte». In che modo si ottiene una produzione come questa? Per Carlo Verna, general manager dell’abruzzese Frantoio Oleario Verna Sas, è un mix di fattori a rendere possibile l’eccellenza olearia italiana. Ma tra questi sicuramente sono due i termini maggiori. «La nuova tecnologia e l’esperienza maturata nel tempo – spiega Verna − ci garantiscono le premesse fondamentali per la migliore qualità di olio che conosciamo». Partiamo dall’esperienza: da quanto tempo è attivo il vostro frantoio? «La nostra storia ha inizio con l’Unità d’Italia, nel 1861. Da oltre 150 anni, generazione dopo generazione, ci impegniamo quotidianamente nella produzione di un olio extravergine d’oliva di assoluta qualità, coniugando gusto e rispetto per la terra. L’Olio Verna viene realizzato solo con olive della nostra zona, ottenendo così un olio italiano di origine garantita cento per cento made in Italy. Chi sceglie i prodotti Verna vuole portare sulla propria tavola l’esperienza di un sapore unico e cerca il gusto, il piacere e l’arte del buon vivere. In altre parole, potremmo dire che la nostra è la storia di una passione che continua nel tempo». Chi sono gli attuali ammini-
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L’oro verde da gustare Ultima generazione di una famiglia dedita alla produzione di olio dall’anno dell’Unità d’Italia (1861), Carlo Verna ci porta nel suo frantoio per assistere alla nascita del condimento più importante della cucina italiana
L’Olio Biologico Verna Carlo Verna, general manager del Frantoio Oleario Verna, presenta la novità di questa campagna olearia 2018. «Abbiamo realizzato un olio prodotto esclusivamente con il metodo della agricoltura biologica, non utilizziamo fertilizzanti chimici e pesticidi, ma solo sostanze naturali. È un olio prodotto da olive biologiche italiane di diverse cultivar, Gentile di Chieti, Leccino, Cucco; queste olive vengono lavorate con il sistema continuo a freddo entro le 4 ore dalla raccolta. Un prodotto – dice Verna –dedicato a chi sceglie un’alimentazione sana, naturale ed equilibrata. “Olio biologico Verna: naturale, buono, giusto”».
Antonino Verna, padre di Alessandra, Carlo e Giustiniano, attuali amministratori del Frantoio Oleario Verna, che si trova a Guardiagrele (Ch) - www.frantoioverna.it
stratori? «Oggi siamo in tre: oltre a me c’è mia sorella Alessandra e mio fratello Giustiniano. Siamo noi ad aver raccolto il testimone di chi ci ha preceduti, proseguendone il lavoro con lo stesso impegno e la stessa immutabile passione, nel solco di
una tradizione aziendale orientata verso un costante rinnovamento senza perdere l’originaria vocazione artigianale. Per i nostri clienti, con cui abbiamo costruito un bel rapporto di fiducia, noi siamo “i fratelli dell’olio”, a loro piace chiamarci così. Ci hanno visto crescere a
“pane e olio” all’interno del nostro frantoio e crescendo abbiamo appreso il mestiere». Come diceva all’inizio, però, non si vive di sola esperienza. «Il nostro interesse è sicuramente di proporre un olio extravergine di oliva legato all’esperienza e alla passione per la tradizione. E, infatti, il nostro è un prodotto tipico, di nicchia, oltre che di ottima qualità. Detto questo, attualmente il nostro obiettivo è legato anche alla prevenzione della salute, al miglioramento e all’innovazione. Per questo motivo, da poco abbiamo rinnovato il nostro processo di lavorazione, tramite sistema continuo a freddo e con la tecnologia dei macchinari all’avanguardia: abbiamo così ridotto i tempi di stoccaggio delle olive e di produzione dell’olio, garantendo un olio sano, che conserva le sue proprietà organolettiche e offre benefici per il nostro organismo».
Come ne descriverebbe il risultato? «L’Olio Extravergine di Oliva Verna è un fruttato medio, leggermente amaro con note piccanti, a bassa acidità e con un alto numero di perossidi. È un prodotto che possiede sostanze antiossidanti e vitamine importanti per la nostra salute. Un olio medio intenso che non copre, ma esalta il sapore di tutte le pietanze. In più è di origine garantita, cento per cento italiano. Non a caso è ricavato da olive locali, raccolte nelle nostre colline d’Abruzzo. Si tratta di olive, in prevalenza della varietà “Gentile di Chieti”, che appena raccolte vengono lavorate con cura nel nostro frantoio artigianale. Il nostro territorio, la rigorosa selezione delle olive, i brevi tempi di stoccaggio
e la lavorazione con il sistema continuo a freddo, permettono all’olio Verna di conservare le sue proprietà organolettiche, la fragranza e la bontà delle olive appena raccolte. Ma non è l’unico prodotto del nostro lavoro». Cos’altro realizzate? «Oltre all’intramontabile classico, produciamo anche oli aromatizzati. Come per esempio, gli agrumati al limone o all’arancia: sono delle specialità della nostra produzione. La principale caratteristica di questo condimento è data dalla contemporanea molitura delle olive e degli agrumi che selezioniamo in base alla loro maturazione e varietà. È da sottolineare che non utilizziamo le essenze, ma adoperiamo l’intero frutto. Questo permette di ottenere un prodotto naturale dal sapore unico e delicato. In particolare, sono scelti per arricchire e diversificare tutti i tipi di piatti, primi e secondi a base di pesce o carne, insalate di pesce o di verdure o di legumi e dolci. Fedeli al nostro spirito innovativo, in questi ultimi anni abbiamo arricchito questa linea con altri nuovi oli aromatizzati alla menta, allo zenzero e al basilico. Questi vengono realizzati da pregiate varietà di olive e da foglie di menta dolce ligure, zenzero non trattato, o da foglie di basilico fresco. Vengono lavorate con il nuovo sistema continuo a freddo e dalla loro contemporanea frangitura. È un olio dal sapore gradevole al palato: siamo riusciti a combinare la genuinità dell’olio extravergine di oliva e l’aroma inconfondibile di questi agrumi ed erbe. La linea di prodotti Verna “Gli Aromatizzati” rappresenta il condimento diverso, unico, perfetto».■ Renato Ferretti
INNOVAZIONE
Da poco, abbiamo rinnovato il nostro processo con sistema continuo a freddo e tecnologia all’avanguardia
Speciale Alimentare Pag. 55 • Dicembre 2018
el 2000 Niko Romito e la sorella Cristiana rilevano la trattoria di famiglia a Rivisondoli. Parte così l’avventura del Reale - entrato nel gotha della ristorazione mondiale dei The World’s 50 Best Restaurants - e del suo chef, oggi tristellato, che a a Castel di Sangro, nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo, crea un polo consacrato all’accoglienza e all’alta cucina. Il suo codice gastronomico votato all’essenzialità, all’equilibrio e al gusto è in costante evoluzione e guarda lontano: la sfida per il futuro è quella di nutrire con cibo buono e sano la più estesa platea di persone possibile. Quando nel 2007 ha ottenuto la prima stella, ha ricevuto moltissime richieste e sollecitazioni per spostarsi in una grande città. Perché è stato importante stare in Abruzzo e da qui esportare in tutto il mondo la sua concezione di alimentazione e cucina? «Sono un cuoco autodidatta. Ho costruito un mio linguaggio gastronomico originale con un lungo processo di studio e ricerca, ma per farlo ho dovuto capire a fondo le mie radici. Quando dieci anni fa Bulgari mi offrì la direzione del ristorante del Bulgari Hotel & Resort di Tokyo, io rifiutai perché volevo lavorare in Abruzzo, dove sentivo che avrei sviluppato qualcosa di importante. E allora decisi di acquistare Casadonna, ex monastero del Cinquecento che oggi è il centro di tutte le mie attività. La mia cucina è figlia della regione da cui provengo, l’Abruzzo, che per me è sempre stata una grande fonte di ispirazione. Sono partito da qui per poi allargare i miei orizzonti: il viaggio è fondamentale per crescere, ma se non si conoscono a fondo le proprie radici, come si può raccontarle al resto del mondo? Oggi chi va nei Bulgari Hotels di Pechino, Dubai e Shangai (gli ultimi due di prossima apertura) trova il mio ideale di cucina italiana, che dall’Abruzzo si sta espandendo in tutto il mondo». Cosa rappresenta il modello Casadonna per l’Abruzzo, il suo sistema di ospitalità, di ristorazione e di alta formazione gastronomica? «Quando ho acquistato Casadonna, non volevo solo trasferire il Reale in uno spazio
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Photo Brambilla Serrani
Un laboratorio per il cibo del futuro Radici ben salde in Abruzzo, lo chef stellato Niko Romito è autore di una delle scalate più dirompenti ai vertici della cucina italiana che, oggi, porta oltre confine. Nel complesso Casadonna a Castel di Sangro prendono forma la sua visione e la sua ricerca
Lo chef Niko Romito
più grande, volevo costruire un polo gastronomico. A Casadonna ci sono il ristorante Reale 3*** Michelin, la scuola di cucina professionale Niko Romito Formazione, il laboratorio di panificazione e pasticceria, il vigneto, il frutteto, il giardino di erbe aromatiche e spontanee, le 9 stanze del boutique hotel e un territorio bellissimo da visitare. I riconoscimenti del ristorante Reale hanno aperto la strada a una nuova generazione di cuochi abruzzesi: altri cinque ristoranti hanno guadagnato una stella Michelin, sette dei miei allievi hanno aperto o gestiscono un ristorante proprio qui in Abruzzo. Il nostro esempio ha mostrato che la ristorazione può fare da traino allo sviluppo economico: l’Abruzzo ha una incredibile biodiversità, prodotti enogastronomici eccezionali ed è la regione più verde d’Europa. Se offriamo ai visitatori servizi di qualità e un’esperienza soddisfacente, il turismo può svilupparsi ulteriormente». A quale piatto tipico associa la sua memoria, la memoria della sua terra? «Il pancotto, un piatto semplice e insieme fondamentale a cui sono molto legato. È
un piatto della tradizione contadina e pastorale, quando i pastori con la transumanza trasferivano le greggi dall’Abruzzo alla Puglia attraversando i tratturi (ancora percorribili), portando con sé pane raffermo e formaggio. Ha molte varianti regionali; la versione abruzzese è arricchita con le cime di rapa e una spolverata di pecorino grattugiato. Nel 2004 ho voluto reinterpretarlo, creandone una mia versione moderna che rispetta la tradizione ma accoglie anche elementi di novità». Quanto nel tempo è cambiato il suo rapporto con la tradizione gastronomica abruzzese e l’interpretazione delle materie prime della sua terra? «Il mio lavoro è stato fortemente influenzato dal territorio. Inizialmente con i miei piatti ho rivisitato le tradizioni locali. A mano a mano che la mia cucina è cresciuta, tuttavia, mi sono emancipato sempre di più dalle ricette della regione; ho continuato e continuo tutt’ora a usare la migliore materia prima della mia terra, ma l’Abruzzo per me oggi rappresenta soprattutto un ideale. Un ideale di concentrazione, riflessione, rispetto, verità applicati all’ingrediente. È ispirandomi a questi valori che io cucino e che gradualmente sto formando la mia idea di cibo del
DALL’ABRUZZO AL MONDO
Assoluto di cipolle, parmigiano e zafferano tostato di Niko Romito
La mia cucina è figlia della regione da cui provengo, che per me è sempre stata una grande fonte di ispirazione
futuro. Alcuni piatti della tradizione come il “Torcinello di agnello arrosto con cime di rapa e mosto”, o l”Assoluto di cipolle, parmigiano e zafferano tostato” sono in carta al Reale da anni e rappresentano appieno il carattere “abruzzese” della mia cucina». Il Reale è il laboratorio di ricerca e sviluppo di format e ricette che si estendono poi agli altri suoi progetti. Come avviene per lei il processo di creazione e di innovazione? «Al Reale abbiamo a disposizione le migliori professionalità, le migliori materie prime e la migliore strumentazione tecnica in spazi pensati appositamente per fare ricerca. Spesso si tratta di una ricerca astratta, che non porta direttamente a un nuovo piatto o a un nuovo format, ma che diventa per noi uno strumento di formazione sul campo. Altre volte, invece, la ricerca è finalizzata a progetti specifici come un nuovo menù per Spazio (dedicato ai giovani cuochi della Scuola di cucina Niko Romito Formazione a Castel di Sangro), o un nuovo concept come nel caso di Bulgari. In tutti questi casi, la base di partenza è sempre il Reale, che da luogo elitario per definizione diventa un laboratorio dove mettere a punto protocolli e prodotti in grado di raggiungere il 100 per cento del pubblico. L’innovazione sta nel mettere a disposizione di quante più persone possibile il risultato delle nostre ricerche, creando format replicabili su larga scala che sfruttano gli investimenti in ricerca e sviluppo portati avanti al Reale». Il suo progetto Intelligenza Nutrizionale apre nuovi scenari per la ristorazione e la qualità del cibo negli ospedali. Dove sta andando la cucina italiana, almeno dal suo punto di vista? «Vedo molti cuochi impegnati in progetti che hanno una ricaduta sociale e, in generale, una maggiore attenzione al benessere di chi mangia. Credo che una grande responsabilità del cuoco oggi sia di migliorare la qualità della vita di quante più persone possibile, ecco perché è nato Intelligenza Nutrizionale. In futuro andremo sempre più verso un concetto di cibo sano, in grado di “nutrire” chi mangia nel senso più ampio del termine». ■ Francesca Druidi
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Beverage >>> continua da pagina 30
«Questo protocollo di intesa ha dimostrato in questi ultimi anni la sua efficacia come strumento di lotta alla contraffazione all’interno della rete Internet. Grazie a esso è stato possibile bloccare le inserzioni illegittime poste in violazione di vini Dop e Igp, impedendo la circolazione dei relativi prodotti. Il rinnovo del protocollo consentirà di proseguire in questa direzione, in un contesto in cui le aziende e le nostre produzioni di qualità sono sempre più rivolte al commercio digitale. Tuttavia ci sono ancora molte barriere da superare a livello di disciplina comunitaria per consentire alle nostre cantine di arrivare direttamente in casa del consumatore anche europeo. Ci stiamo lavorando, sperando nella collaborazione anche delle istituzioni europee». Intanto gli osservatori italiani sul vino indicano che l’export delle nostre bottiglie a denominazione è cresciuto a valore nel primo semestre di quest’anno. Quale chiusura di 2018 si stima? «I dati relativi al primo semestre del 2018 ci dimostrano indubbiamente che il mercato del vino prosegue con performance stabili. Abbiamo aumentato del 3 per cento l’export in valore, anche grazie ai risultati portati a casa dai vini spumanti che hanno registrato una crescita del 14 per cento circa in valore e del 5 per cento circa in volume. Il quadro dipinto da queste prime statistiche delinea una stabile crescita delle nostre denominazioni che si riflette anche sull’andamento dei mercati». Quali destinazioni in particolare si stanno distinguendo? «Gli Stati Uniti continuano a essere uno dei principali mercati verso i quali i produttori dirigono le loro produzioni anche se le percentuali di crescita conseguite non sono molto alte (+0.6 per cento in volume e +0.0 per cento in valore). Ciò conferma la necessità di investire ulteriormente in promozione in questo Paese data la sua varietà e complessità. Non siamo invece ancora abbastanza presenti sul mercato cinese, dove la crescita procede lentamente malgrado il mercato presenti buoni margini di incremento. Stiamo però progettando adeguate strategie di sistema, con le quali cercheremo di conquistare una posizione nella top 10 del vino». La campagna di promozione “Italian Wines: Taste the passion” rientra proprio in questa strategia di aggressione al mercato cinese. Come si snoderà in concreto e quali categorie di pubblico punterà ad attrarre? «Questa campagna, finanziata dal Mise e gestita dall’Ice, nasce dalla collaborazione con l’Ambasciata italiana in Cina, Vinitaly e le associazioni di categoria Fe-
L’EXPORT DEL VINO ITALIANO
Gli Stati Uniti sono uno dei principali mercati verso i quali i produttori dirigono le loro produzioni. Non siamo invece ancora abbastanza presenti sul mercato cinese che presenta però buoni margini di incremento dervini, Uiv e Federdoc. Mette a disposizione 2 milioni di euro per far crescere la posizione dei nostri vini in questo mercato dalle grandi potenzialità di crescita, puntando ad avvicinare il consumatore cinese principalmente attraverso la comunicazione digitale. Verranno utilizzati i social, tv online e maxi schermi e influencer del Paese per attrarre il
maggior numero possibile dei 320 milioni di cinesi che comprano vini imbottigliato e importato. L’obiettivo è di far comprendere ai target individuati (millenials, generation x, medium e high spender) che l’Italian lifestyle è anche Italian wine e far crescere l’apprezzamento di entrambi». Nel campo della sostenibilità dei
nostri vini, è in pista da un paio d’anni lo standard Equalitas. Quale modello “green” propone per la filiera vitivinicola e quali risultati ha prodotto finora? «Non essendo più possibile parlare di competitività senza sostenibilità, Equalitas nasce proprio da questa intuizione: sviluppare uno standard di sostenibilità della vitivinicoltura italiana, dal territorio al prodotto, che certifichi l’azienda, seguendo tre pilastri: ambientale, sociale ed economico. L’Italia in questa sfida non è partita per prima, ma ha sicuramente ben compreso quando entrare in gioco, decodificando le richieste attuali di un consumatore sempre più attento a certe tematiche. Molte aziende ma soprattutto grandi denominazioni italiane credono nel progetto e hanno aderito allo standard Equalitas, percorrendo quindi la strada della certificazione territoriale». Si dibatte molto sull’incidenza che i cambiamenti climatici potranno avere in futuro sulle nostre coltivazioni di qualità. Che rischi reali corrono i nostri vini eccellenti e quali nuovi scenari si prefigurano in questo senso? «Sicuramente i cambiamenti climatici degli ultimi anni preoccupano i nostri produttori. La consapevolezza di fenomeni ambientali estremi desta preoccupazione, ma soprattutto pone degli interrogativi sulle possibili soluzioni, tecniche e accorgimenti adottabili per evitare tali danni. Abbiamo iniziato a riflettere sul possibile uso di vitigni resistenti, nelle zone climatiche particolarmente rigide e difficili e a valutare più approfonditamente l’impatto di questi sulle produzioni di qualità». ■ Giacomo Govoni
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Valdobbiadene incanta il mondo Samuel Dalla Francesca racconta l’impegno della sua famiglia in un’attività vitivinicola che non scende a compromessi. «Per un prodotto che rappresenti la maggiore espressione delle terre coltivate, dove tutto ha inizio»
pesso si dice che il buon vino racconta una storia. Altrettanto spesso si tratta di un racconto che parla della terra da cui proviene e della cultura del popolo che la abita. Nel mercato attuale, però, la finzione e la ricerca di un profitto a tutti i costi rendono difficile non solo cercare una bottiglia in cui ritrovare il carattere di un territorio. Lavorare e investire con una filosofia aziendale votata all’autenticità, infatti, significa fare una scelta in cui tutto è più complicato e con un rischio maggiore. Ma il risultato, come ben sa ogni vero appassionato, ne vale la pena. Un esempio è dato dalla Tenuta Dalla Francesca, che si trova in uno dei territori più famosi al mondo per la produzione vitivinicola. Siamo a Valdobbiadene, in provincia di Treviso, dove il Prosecco è un’istituzione. «L’esperienza che possiamo vantare – dice Samuel Dalla Francesca, uno dei titolari dell’azienda a conduzione famigliare − è iniziata con il lavoro del papà Gabriel presso una delle più storiche realtà vitivinicole, associata al mio precedente lavoro di progettazione di macchinari enologici,
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nonché alla passione di mio fratello Mattia sviluppatasi con il riconoscimento della qualifica di sommelier professionista. Tutto questo ha portato alla creazione della nostra realtà vitivinicola attuale: la Tenuta Dalla Francesca. Un progetto che già dal primo anno parte con la realizzazione del primo stabilimento di vinificazione dove vengono tuttora lavorate le uve d’oro che con tanto amore, anno dopo anno, coltiviamo, alleviamo e lavoriamo fino all’ottenimento dei nostri vini pregiati». Qual è il vostro vino di punta e quali sono gli abbinamenti più indicati? «Siamo in terra di Prosecco e il nostro vino di punta rimane per noi il Vino Prosecco Spumante Superiore Docg nelle denomi-
UN’ANTICA TRADIZIONE «La storia della nostra famiglia nasce nel lontano 1381 – dice Samuel Dalla Francesca − quando un ramo discendente da Francesco, di Giovanni, ottiene la maggiore carica al Priorato della Repubblica propagando la stessa tra Monterchi, Bibbiena e fino al Senese trasferendosi successivamente a Roma verso la metà del Settecento, per ragioni di commercio, mettendosi in società con un altro ramo della dinastia stabilitosi per il riconoscimento della baronia di Casale della Polzella. Nel 26 marzo 1834 la famiglia venne ammessa alla nobiltà fiorentina iscrivendosi così nell’Elenco Nobiliare Ufficiale presso il Consiglio Araldico Italiano. Una storia di commercianti che ha portato fino alla nostra dinastia quella vena di imprenditorialità che tutt’oggi fa parte della nostra quotidianità. Passati dall’imprenditoria immobiliare, nel 2010 è maturata in noi la voglia di riscoprire le radici del passato, dove il nonno paterno, Sergio Dalla Francesca, dovendo provvedere al sostentamento di una famiglia numerosa, iniziava l’attività di agricoltore e allevatore di bestiame successivamente a un periodo di migrazione all’estero in tempi di guerra. Da qui nasce il nostro progetto della Tenuta Dalla Francesca».
nazioni Asolo e Conegliano/Valdobbiadene. Da subito la volontà fu quella di valorizzare una Docg poco conosciuta con caratteristiche peculiari delle terre dell’Asolano, terre molto cariche di minerali dove la varietà di situazioni geologiche la rendono unica e considerevolmente fertile nonché caratteristica nei sapori che si possono scoprire poi nell’assaggio dei suoi spettacolari vini. Non ci sono abbinamenti particolarmente consigliabili per la degustazione di questo vino perché, nonostante tutto, il Prosecco è un vino che si adatta a ogni tipo di cucina, passando dall’aperitivo ai primi, dai secondi fino alla chiusura dei pasti, accompagnando i dolci tipici della zona». Quali sono i vostri caratteri distintivi? «Ogni produttore deve essere rispettato quando, dal duro lavoro in vigna e fino alla trasformazione delle uve in cantina per l’ottenimento del suo vino caratteristico, realizza un prodotto che rappresenti la maggiore espressione del risultato sperato,
nonché delle terre coltivate, da dove tutto parte. Siamo orgogliosi che, per scelte aziendali, ogni uvaggio delle vigne viene lavorato separatamente l’uno dall’altro favorendo ogni possibile profumo, colore, gusto diversi tali da poter determinare la qualità nel prodotto finito, in bottiglia». Qual è la tendenza attuale che avete registrato nei consumi? «Quello italiano rimane da sempre una fetta importante di mercato ma, da qualche anno, le cose stanno cambiando. Il motore, o la macchina, del Prosecco è ormai un brand a livello mondiale e di anno in anno nuovi mercati esteri si avvicinano a questo prodotto, che rimane per la maggiore facilmente accessibile a tutti coloro che amano degustare la bollicina». Quali sono i mercati esteri più importanti? «Per il momento il nostro mercato principale rimane quello italiano. Solo da qualche tempo abbiamo iniziato a farci conoscere all’estero con la partecipazione a fiere ed eventi: in Gran Bretagna, negli Stati Uniti e in Australia. Il nostro obiettivo non è fare troppo e subito ma di certo ampliare quello che per noi rimane un grande progetto facendoci conoscere pian piano al mondo». Su quali innovazioni avete puntato? «Nell’ambito della lavorazione delle terre abbiamo già fatto molte scelte che prevedono il rispetto del territorio sempre più sensibilizzato alla necessità di rimanere attenti a come vengono trattate le colture. Parliamo dell’utilizzo di concimi naturali piuttosto che chimici, alla lavorazione meccanica del terreno sotto-pianta piuttosto che al diserbo chimico, fra l’altro ormai in fase di bandimento in diverse aree, alla considerevole riduzione dei trattamenti fogliari con attrezzature a recupero e carica elettrostatica, per poi passare alle lavorazioni delle uve in cantina, dove il rispetto del prodotto della terra deve trasmettersi poi direttamente al consumatore. Macchinari sempre più all’avanguardia stanno favorendo tutto ciò». ■ Elena Ricci Samuel Dalla Francesca, contitolare della Tenuta Dalla Francesca, con sede a Valdobbiadene (Tv) www.tenutadallafrancesca.it
PROSECCO
Un vino, Re dell’aperitivo, che si adatta a tutto pasto partendo dalle sue note più amabili con il Dry per poi spostarsi fino ai vini più secchi con l’Extra Brut
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Beverage
Una tradizione millenaria Nel territorio del Frignano, dove storica è la produzione vinicola. Qui Irene Balim racconta la produzione della sua cantina, con particolare attenzione a varietà autoctone come il Malbo Gentile, uva da “rinforzo” da una decina d’anni prodotta in versione ferma in purezza na perla, orgoglio dell'azienda, l’Esterosa 2007 Super Riserva è uno spumante metodo classico con 120 mesi di permanenza sui lieviti, di colore rosa tenue con chiari riflessi buccia di cipolla. Il perlage è fine e persistente ed è ottenuta da uve varietà Pinot nero. «Le uve arrivano in cantina e immediatamente vengono poste in cella frigo per abbattere la temperatura in modo da preservare aromi e profumi - spiega Irene Balim, titolare dell’azienda agricola Cantina del Frignano -. La pressatura delle uve avviene in maniera soffice per ottenere una resa del 50 per cento di mosto fiore con fermentazione a freddo». Ci troviamo nel territorio del Frignano dove avviene la coltivazione delle uve impiegata nella produzione vinicola. Un territorio che occupa la parte centrale dell’appennino modenese, di origine gal-
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rito innovativo; infatti è in programma la piantumazione di altri quattro ettari e l’espansione sul mercato estero. La produzione annua si aggira intorno alle 22mila bottiglie. «La nostra produzione è così composta: metodo classico, rossi fermi, passito e ancestrali. I nostri metodi classici sono prodotti da Chardonnay e Pinot nero, con le uve che vengono raccolte anticipatamente in modo da ottenere una buona acidità, raffreddate e pigiate ottenendo il 50 per cento di mosto. La fermentazione avviene a freddo e si continua col bottonage, fino alla
22MILA
Quantità di bottiglie prodotte ogni anno dalla Cantina del Frignano
lo-celtica. Furono, infatti, i Friniati, popoli liguri-provenzali ad abitarvi per secoli. Numerose sono le testimonianze nella cultura e nella gastronomia. Note sono le tigelle e i borlenghi. In questo territorio nel 1993 nasce l’azienda con un primo vigneto sperimentale della regione Emilia Romagna. Successivamente nel 2000 e 2001 sono stati impiantati altri vigneti sino al raggiungimento di cinque ettari. I vigneti situati nel Frignano Basso sfruttano le escur-
La Cantina del Frignano ha sede a Pazzano di Serramazzoni (Mo) - www.cantinadelfrignano.it
sioni termiche esaltando la peculiarità del territorio. I terreni sono composti da argilla, limo, sabbia, in quantità equilibrata, marnici e gessosi, particolarmente adatti alle uve da spumante metodo classico e, in altra parte, i terreni sono argillosi, adatti a uve a bacca rossa. I ceppi per ettaro sono quattromila circa. L’azienda ha ripreso la viticultura, rivalutando vitigni autoctoni. «Considerato il microclima e l’altitudine - 450550 mt sul livello del mare - abbiamo impiantato varietà medio-precoci. Le varietà autoctone da noi prodotte sono il Malbo Gentile, l’uva Tosca e il Grasparossa. La potatura avviene ancora in maniera manuale con il metodo Guyot utilizzando le attenzioni dei preparatori d’uva. Anche la vendemmia è manuale e avviene in casse da venticinque chili selezionando i vari uvaggi e operando un’accurata scelta. La resa è di cinquanta o sessanta quintali all’ettaro». Dal 2008 i vigneti sono in gestione biologica. Oggi l’azienda si sviluppa su una estensione di poco più di cinque ettari, esposti a sudsud est, con la nuova gestione di Fernando Digani e la sommelier Irene Balim, subentrati ad ottobre 2018, continuerà così la filosofia aziendale, ma con spi-
Giorgio Pinchiorri, miglior sommelier al mondo «Fin da bambino ho respirato aria che profumava di castagna, crescentine, borlenghi, vino e più tardi anche di rosso Ferrari. Ho riscoperto da poco il Malbo Gentile, storico “rinforzo” del Lambrusco da qualche anno prodotto in purezza. Tutto ha inizio nel 1993 nell’azienda di Luigi Boni, attuale Cantina del Frignano a Pazzano di Serramazzoni che, in pochi ettari, con una vendemmia ritardata di uve super selezionate e dolce affinamento in barrique per un anno, ha ottenuto l’Apice, vino dal sapore antico, colore rosso intenso e profondi riflessi violacei. I profumi sono ampi con note floreali e fruttate di bacche rosse che si riscontrano con 2 vini ottenuti dalla vendemmia 2010: di Syrah, l’australiano Shiraz di Grange Perfolds e l’Hermitage di J.L.Chave Aoc Rodano. Nel confronto l’Apice non ha per niente sfigurato e ha confermato il gran carattere di questo Malbo Gentile».
Matteo Comastri, cantiniere
seconda decade di marzo. A questo punto vengono imbottigliate con i loro lieviti e le fecce nobili. I rossi fermi vinificati con uva Malbo Gentile, Merlot e Cabernet vengono raccolti e portati in cantina e vinificati immediatamente. Il loro mosto ha una permanenza sulle bucce da cinque a quindici giorni in base alla varietà. La fermentazione mallolatica avviene alzando la temperatura del mosto. Alcuni, riposano in barricaia con barrique di secondo e terzo passaggio, altri, continuano l’affinamento in bottiglia. Per quanto riguarda il passito, l’uva viene raccolta e deposta in graticci avendo cura di non sovrapporre i grappoli, ma questo anche grazie alla varietà Malbo gentile e le sue peculiarità di acini spargoli otteniamo un’appassitura lenta fino a metà febbraio, quando viene poi pigiato e affinato in barrique. Gli ancestrali, infine, sono costruiti seguendo metodi naturali, non filtrati e rispettando le fasi lunari e il risveglio naturale dei lieviti procurando una torbidità, classica di questa tipologia di vini». ■ Luana Costa
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Cantine d’autore Il professionista enotecnico Diego Nardi condivide la sua esperienza sui metodi tradizionali di produzione del vino e sulle modalità di trattamento ecologiche dei vitigni
hi produce vino sa che per avere un prodotto di qualità in grado di farsi apprezzare, e quindi di competere sul mercato, è bene cominciare prendendo coscienza dell’importanza della terra, elemento base per produrre un buon vino. Questa consapevolezza muove l’operato di aziende come la Cantina Nardi. «La nostra società è una realtà a conduzione familiare, negli ultimi anni abbiamo raggiunto gli ottanta ettari circa di terreno coltivato a vite, interamente di nostra proprietà. I terreni si trovano in prossimità della sede aziendale, nello splendido paesaggio della Marca Trevigiana». Diego Nardi, enotecnico e socio della cantina, descrive orgogliosamente la location aziendale. «Ci troviamo nel territorio definito “vini del Piave” perché compreso tre le province di Venezia e Treviso che si affaccia appunto nel bacino del fiume Piave. In questa zona, grazie al suolo argilloso, ricco di sali minerali, riusciamo ad ottenere vini di pregio e qualità sia bianchi che rossi». Grazie alla professionalità di Diego Nardi, diplomato alla Scuola Enologica di Conegliano Veneto, la cantina, fondata nei primi anni ’70 e situata nel mezzo dei vigneti a San Nicolò, si è evoluta nel corso del tempo, con l’obiettivo di
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soddisfare le crescenti richieste di produttività e qualità, con una certa attenzione al rispetto dell’ambiente. «Abbiamo investito in nuove tecnologie per ridurre al minimo l’uso di erbicidi e fitofarmaci, unendoli a lavorazioni tradizionali come la potatura a mano differenziata tra i vari cultivar e la trinciatura al suolo dei sarmenti». Alla Cantina Nardi, si predilige la pressatura soffice delle uve, il raffreddamento immediato dei mosti, la fermentazione a temperatura controllata in vasi vinari in acciaio inox. «Riusciamo a conferire ai nostri prodotti gusto, aromaticità e freschezza, esaltando le caratteristiche delle varie uve di partenza. Curiamo con estrema attenzione ogni fase del ciclo produttivo, dalla pigiatura dell’acino ai travasi finali. Lo stoccaggio del vino finito avviene in serbatoi in acciaio inox refrigerati, ideali per garantire nel tempo il mantenimento delle qualità organolettiche». Come ogni cantina che si rispetti non può mancare il punto vendita dove si esprime al meglio la forma di ospitalità tipica di ogni famiglia veneta. Ma non finisce qui perché i prodotti vengono consegnati personalmente su tutto il Nord Italia, un valore aggiunto per fidelizzare i propri clienti. «Il nostro obiettivo è mettere in risalto un vino di alta qualità abbinandolo a un’immagine moderna e accat-
tivante con precise scelte promozionali e di marketing che ci aiutino ad esprimere il nostro continuo impegno nella ricerca e nell’innovazione delle lavorazioni vitivinicole. La cantina produce otto qualità di rosso e otto di bianco. Tra le prime citiamo Merlot, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Raboso, Malbech, Refosco dal Peduncolo Rosso, Rosato di Raboso, Marzemino Frizzante, tutti di Marca Trevigiana Igt così come alcune delle otto tipologie di bianco. In particolare: Verduzzo Dorato e Verduzzo Frizzante, Manzoni Bianco, Traminer, Sauvignon. A questi si aggiungono lo Chardonnay Spumante Brut e il Prosecco Doc Spumante extra dry. «Da un anno circa, essendo il mercato del vino in continua evoluzione, abbiamo cominciato a introdurre delle bottiglie di vino studiate e pensate per una clientela più raffinata, per raggiungere nuovi canali commerciali. I nostri nuovi vini, che hanno già riscosso un ottimo successo sono il Rosè Spumante dry, Prosecco Doc Millesimato Spumante Brut e Pinot Grigio Doc delle Venezie». Il primo è ottenuto dalla vinificazione di sole uve Raboso Piave,
mentre il Prosecco Doc Millesimato Spumante Brut, dal colore giallo paglierino brillante con perlage fine ed elegante, arriva dalla scelta delle nostre migliori uve Glera. Il profilo aromatico risulta essere più complesso rispetto all’extra dry grazie alla più lunga fermentazione e permanenza sui lieviti. Il risultato è un prodotto ben strutturato e fragrante al palato che risulta fresco, secco e piacevolmente acidulo. Il Pinot Grigio Doc delle Venezie infine, insieme al Prosecco, è il vino veneto più conosciuto al mondo. Col suo colore giallo paglierino, ha un profumo elegante, intenso e fruttato con sapore asciutto, sapido e persistente. «I dati di fine novembre 2018 dimostrano che attualmente la nostra produzione si aggira intorno alle 105mila bottiglie, in crescita rispetto all’anno precedente che abbiamo chiuso con una produzione di circa 97mila bottiglie». ■ Patrizia Riso La società agricola Nardi Clemente & Figli si trova a San Nicolò di Ponte di Piave (Tv) www.cantinanardi.it
RABOSO ROSÈ Il Rosè Spumante Dry è un vino ottenuto dalla vinificazione di sole uve Raboso Piave e Veronese e spumantizzato con metodo Charmat. Elegante ed equilibrato, dal colore rosa carico con riflessi rosso brillante, si presenta fresco e aromatico, con sentore di piccoli frutti rossi. Il suo gusto pieno e amabile è ottimamente bilanciato da una naturale e spiccata acidità. «Abbiamo scelto appositamente di fare un Rosè Spumante Dry da uve Raboso perché è un vitigno autoctono della zona del quartier del Piave». La presenza di questo vitigno nel Veneto Orientale è antichissima perché risale ai primi del ‘600. La vendemmia è tardiva, viene svolta in autunno inoltrato verso la fine di ottobre. «Raboso, Prosecco e Pinot Grigio sono vitigni delle nostre zone e vengono coltivati da diverse generazioni di produttori».
Speciale Alimentare Dicembre 2018 • Pag. 62
Beverage n territorio unico, dove la fama mondiale dei suoi vini si accompagna a una tradizione culinaria antica e preziosa. Siamo a Torbiato di Adro, in provincia di Brescia, nel cuore di quella Franciacorta la cui enogastronomia non ha bisogno di presentazioni. È ai piedi del campanile in paese che si trova il podere de La Torre, appunto: sotto questo nome, la famiglia Corsini si dedica alla propria cantina e al ristorante. «Abbiamo rilevato la tenuta solo nel 1987 – spiega Massimo Corsini –, ma lavoravamo qui fin dal 1969. Ma forse la vera svolta l’abbiamo data nel 2001, quando abbiamo deciso che la qualità dei nostri prodotti acquisisse un marchio, per quanto riguarda i vini: l’obiettivo era la stretta osservanza del disciplinare per una produzione elegante, di classe. La storia della nostra cantina di Franciacorta è iniziata, quindi, con la costruzione di una nuova struttura di 600 metri e con la nuova impiantazione di vigneti che arriveranno a pieno regime anno dopo anno». Oggi la superficie complessiva consta 24 ettari la cui gran parte è destinata alla produzione di vini di Franciacorta Docg. «Un esempio di questi e il più prodotto – dice Corsini – è il Franciacorta Docg Brut: il suo è un giallo paglierino con riflessi dorati, perlage fine e persistente, bouquet con caratteristiche note dalla fermentazione in bottiglia, cioè sentori di croste di pane e di lievito arricchiti da delicate note di agrume e di frutta secca (mandorla, nocciola), sapido, minerale, fresco, fine e armonico. Ma realizziamo anche rossi come il Curtefranca Baccus, fatto con Merlot (50 per cento) e Cabernet Franc e Sauvignon (50 per cento). Prodotto dalle annate più
U
Franciacorta, teatro del vino Massimo Corsini ci guida tra le meraviglie di uno dei territori più famosi per vocazione vitivinicola e grande tradizione culinaria. «Per un matrimonio costante tra vini eleganti e cucina eccellente»
antiche attraverso percorsi che non siano solamente enologici». Dal 2009 vi è anche il ristorante che porta lo stesso nome, tutto nasce da una passione prima ancora che da un intento imprenditoriale. «Che si voglia trascorrere una serata all’insegna dello slow-food o
calde e favorevoli alla maturazione in pianta, si diversifica anche per l’affinamento, cioè nel periodo di riposo, il vino si armonizza lentamente in un ambiente, la cantina, che lo protegge dalla luce e dal calore eccessivo. Il legno conferisce al vino aromi specifici, che si combinano perfettamente al frutto in-
OBIETTIVO QUALITÀ
Dal 2001, il nostro fine è la stretta osservanza del disciplinare per una produzione elegante, di classe
che si desideri solo un tagliere o un piatto veloce accompagnato dai nostri vini, il risultato sarà sempre lo stesso: il pasto sarà un piacere. Il nostro obiettivo è che il cibo sia veicolo di convivialità e per questo usiamo solo ingredienti eccellenti. Il Ristorante La Torre accoglie i suoi ospiti, previa prenotazione, in un ambiente raccolto, fatto di volte in mattoni, camino e atmosfera rilassata: qui va in scena la ricchezza gastronomica del territorio ma anche l’originalità grazie alla quale un piatto tradizionale può diventare una nuova creazione dell’arte culinaria. Anche il buongustaio più curioso ed esigente resterà soddisfatto. D’estate, poi, si può godere dei profumi della Franciacorta, gustare la genuina ma ricercata cucina del nostro ristorante nella cornice del grande portico o nel dehors e riuscire a godere anche di quella natura collinare dalla quale proviene la nostra tradizionale produzione vinicola». ■ Elena Ricci
La Torre si trova a Torbiato di Adro (Bs) www.vinidifranciacortalatorre.it www.ristorantebrescialatorre.it
tenso dei 4 vitigni, ma svolge un ruolo altrettanto fondamentale nello scambio fra vino e l’ossigeno, che contribuisce enormemente alla qualità dell’invecchiamento. La durata della maturazione è solitamente compresa fra i 10 e i 14 mesi». Come le più famose cantine di Franciacorta, in occasione dei vari eventi organizzati dal consorzio, La Torre apre le porte agli eno-turisti per offrire un’esperienza unica, alla scoperta del Franciacorta e delle tradizioni della sua terra. «Per un originale week end fuori porta – continua l’imprenditore bresciano − la nostra cantina in Franciacorta si esprime in un’accoglienza pensata per soddisfare i palati più diversi. L’obiettivo comune sarà condurre gli ospiti alla scoperta degli angoli più belli della Franciacorta, della sua storia e delle tradizioni più
Franciacorta Docg Brut Vitigno: Chardonnay 95% – Pinot Nero 5% Vinificazione: in acciaio. Gradazione alcolica totale: 12,63% vol. Acidità totale: 7,1 g/l. Zucchero: 2,6 g/l. Estratto: 22,3 g/l. Affinamento: 22 mesi sui lieviti. Degustazione: Servire in calici Franciacorta a una temperatura di 8-10°C. Conservazione: er una corretta conservazione le bottiglie vanno tenute coricate, affinché il tappo rimanga umido, espanso e pertanto garantisca la tenuta, al buio e al fresco, a temperatura costante fra 10-15°C e un’umidità intorno al 70-75%. Abbinamenti: È particolarmente indicato a tutto pasto, con predilezione per piatti dai sapori delicati, oltre che come aperitivo e dessert.