Antologia Premio Nazionale di Arte letteraria Metropoli di Torino - XVIII Edizione - Anno 2021

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bocca, che prima sembrava un sorriso sulla vita di chi la attraversava, era ormai chiusa, serrata, e la piccola tettoia sopra di essa era come un vecchio baffo ingrigito dal tempo e dalla solitudine. Lateralmente due orecchie verdi, ante di legno un tempo aperte sul mondo, ora non ascoltavano più e parevano essere sorde ad ogni richiamo mentre il cartello che vi avevano applicato sopra non accennava ad essere tolto. “VENDESI”! Sembrava una sentenza di morte, e forse lo era, visto che da allora nessuno è mai più passato, neppure per una visita. Nella fretta, i vecchi proprietari, avevano scordato qualche vaso di piante grasse su un gradino, su un piccolo balcone e a terra, davanti all’entrata ed io, ogni tanto, porto con me una bottiglia con un po’ d’acqua e mi chino ad annaffiare le piantine. Loro resistono, ignare del tempo e del silenzio, ogni tanto buttano fuori un fiore colorato e restano l’unico segno di una vita passata. Un tendone rosso è rimasto appeso all’interno del tuo grande occhio: forse, però, non se lo sono dimenticato, ma è stato lasciato lì per confortarti, per asciugarti una lacrima, come ultimo gesto gentile di chi aveva vissuto in te, di chi avevi protetto e cresciuto. Io posso solo farti visita durante le mie passeggiate solitarie, posso venire a tenerti compagnia, sedendomi come ogni giorno sui tuoi gradini e raccontandoti storie, cose che vedo e che sento, avventure che vivo, o che spero arrivino… Qualche volta poso una mano sul tuo muro o ci appoggio la schiena, fregandomene del segno bianco di intonaco che resta sopra la giacca quando mi rialzo: so che ti fa piacere, che ami ancora quel contatto e a me, infondo, non costa nulla. E poi qualcosa te lo devo, tu mi ascolti attenta e silenziosa; certe volte ti sento quasi sussultare o sorridere, come se ti conoscessi da sempre, come fossimo amici, come tu fossi viva. E forse lo sei, anche grazie a me. Si è fatto tardi davvero, ora. Mi alzo lentamente, scuoto un poco la giacca, tanto per darle una sistemata, poi mi volto e ti osservo ancora: ti conosco troppo bene ormai e mi pare che tu possa cambiare “espressione” – so che è assurdo ciò che penso – tra quando arrivo e quando me ne vado. Prima, ad esempio, un poco del tuo vecchio smalto era tornato, mentre gli ultimi tiepidi raggi di sole ti lambivano appena, e guardandoti mentre arrivavo avevo, forse, notato un tuo sguardo più luminoso, mentre ora (ma forse è colpa del buio che ci ha sorpresi all’improvviso) mi sembri ancora più vecchia e triste, ingobbita sotto il peso degli anni e della solitudine. 144


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